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I grandi massacri: il terrore rosso e il suo ruolo nella vittoria bolscevica

6. L'ARMA DEL TERRORE

6.2 I grandi massacri: il terrore rosso e il suo ruolo nella vittoria bolscevica

Lenin e i bolscevichi avevano sempre riconosciuto la necessità di utilizzare il terrore come arma per difendere la rivoluzione e soggiogare coloro che avrebbero voluto rovesciarla.

Così come avevano sostenuto la necessità di trasformare la guerra «imperialista» in guerra civile per abbattere il potere della borghesia internazionale, i bolscevichi furono fin da subito dei convinti assertori delle virtù del terrore rosso. Lenin diresse la repressione comunista da dietro le quinte,

862 Figes, cit., ibid. 863 Mel'gunov, cit., pag. 197 864 Mel'gunov, ivi, pag. 203

865 Cit. in Mel'gunov, Il terrore rosso in Russia, pag. 219 866 Mel'gunov, ivi, pagg. 225-226

867 Lincoln, cit., pag. 344 868 Lincoln, ibid.

tenendosi lontano da un'implicazione in prima persona nelle uccisioni e nelle torture messe in atto dai suoi opričniki: ciò alimentò, nel corso del tempo, il mito di Lenin come di un capo buono e benevolo, estraneo agli eccessi della base bolscevica, ma la realtà era ben diversa.

Già in occasione del II Congresso panrusso dei soviet, quando l'assemblea, durante la seduta del 26 ottobre 1917, aveva approvato l'abolizione della pena di morte voluta da Kamenev, Lenin, infuriato, replicò: sciocchezze! Come si può fare la rivoluzione senza i plotoni d'esecuzione?869.

Egli riteneva il terrore un puro e semplice strumento della lotta di classe, e non esitò ad incoraggiare gli appartenenti alle classi sfruttate a prendersi la propria rivincita sui ricchi e i borghesi.

A tal proposito, nel giugno del 1918, Lenin scrisse: dobbiamo favorire l'energia e la natura

popolare del terrore870. In Russia, in effetti, furono molti coloro che videro con soddisfazione la

caduta in disgrazia e la persecuzione della borghesia, e fu proprio questo moto popolare spontaneo, dettato dall'odio per il privilegio, a costituire la base per il terrore di massa che dilagò nel paese durante i primi mesi di vita del governo bolscevico.

Le iniziative, anche di carattere violento, prese di propria iniziativa dalla popolazione contro i ceti abbienti, furono anche alla base del funzionamento stesso delle prime cellule locali della Čeka871.

L'odio verso le classi agiate, unito alla libertà che i bolscevichi avevano concesso alle masse popolari di prendersi la propria rivincita «espropriando gli espropriatori», fornirono al regime, soprattutto all'inizio, una potente fonte di sostegno emotivo, grazie al quale i bolscevichi furono in grado di distruggere la vecchia società prerivoluzionaria e di mobilitare la gente comune contro i bianchi872. Lo stato proletario, così come lo vedeva la dirigenza bolscevica, doveva rappresentare un

«sistema di violenza organizzata» contro la borghesia, contro la quale era permessa ogni forma di violenza, saccheggio e rappresaglia. Come sostiene Figes, quindi, il terrore non fu creato dai bolscevichi, che si limitarono ad incoraggiarlo: esso era insito nella rivoluzione stessa, intesa dai ceti poveri come una guerra spietata contro il privilegio e la ricchezza.

Non fu soltanto un fenomeno politico, dettato dalla volontà del regime di sconfiggere i suoi nemici ed eliminare ogni minaccia al suo dominio, ma nacque bensì dal basso. Le razzie compiute da folle in preda all'anarchia, e i processi sommari contro i «nemici del popolo» appartenenti alla borghesia, furono fenomeni spontanei, che i bolscevichi si limitarono ad istituzionalizzare, decretando la confisca dei beni e la tassazione dei ceti abbienti, così come la nascita di un rudimentale sistema di giustizia rivoluzionaria, amministrata da appositi tribunali873.

Il sentimento anticapitalista e antiborghese, del resto, era ampiamente diffuso nella società russa già da tempo874, ed era stato alimentato dalla stampa socialista, non soltanto bolscevica, in particolare

negli anni della Grande Guerra e del Governo Provvisorio: nel 1917 conobbe una grande popolarità l'opuscolo «I ragni e le mosche» («Pauki i muchi»), di cui furono vendute milioni di copie in oltre venti diverse edizioni, pubblicate da giornali bolscevichi, menscevichi e social-rivoluzionari. L'opuscolo, largamente diffuso negli ambienti clandestini socialisti già prima del 1917, descriveva in toni vividi l'immagine del «nemico del popolo» borghese, contrapposto ai lavoratori, sfruttati e sottomessi alla volontà di avidi capitalisti: i ragni sono i padroni, gli accaparratori, gli sfruttatori, i

latifondisti, i ricchi e i preti, ruffiani e parassiti di ogni tipo! (…) le mosche sono gli infelici lavoratori, che devono obbedire a qualsiasi legge i capitalisti si sognino di inventare. Devono obbedire, perchè il povero non ha nemmeno una briciola di pane875.

Ad alimentare l'orientamento antiborghese nella coscienza delle masse popolari erano anche le pubblicazioni dei partiti di sinistra, nelle quali essi esponevano i loro programmi alla popolazione. Secondo l'opuscolo «Per che cosa lottano i socialisti rivoluzionari» («Za čto borjutsja socialisty-

revoljucionery»), pubblicato nel 1917 in almeno sette edizioni, la società russa era divisa in due

869 Cit. in Figes, La tragedia di un popolo, pag, 756 870 Cit. in Figes, La tragedia di un popolo, ibid. 871 Figes, ivi, pagg. 756-757

872 Figes, ivi, pag. 974 873 Figes, ivi, pag. 632

874 Un riflesso del tradizionale egualitarismo della società russa si può vedere, innanzitutto, nella comune contadina, l'obščina.

classi, i proprietari capitalisti e i lavoratori, questi ultimi costretti a mantenere un piccolo gruppo di uomini inetti e viziati: come risultato, persone che hanno lavorato infaticabilmente per tutta la loro

vita vivono in sporchi tuguri, nel bisogno, soffrendo la fame e il freddo, mentre i capitalisti e i proprietari si godono il meglio della vita senza alzare un dito876.

I socialisti moderati, nel fare appello alle masse contro le classi agiate, tuttavia, cercavano al contempo di trovare un accordo con la borghesia nella cornice del nuovo Governo Provvisorio, mentre molti operai, nel corso di quei mesi, cominciarono a vedere sempre più in quel governo un riflesso dei fallimenti della borghesia russa e delle insicurezze insite nelle fluttuazioni del mercato capitalistico877. Ma, come sottolinea Kolonitskij, la retorica antiborghese veniva fatta propria, in

quegli anni, anche in alcuni ambienti che facevano capo alla Chiesa ortodossa: filosofi, pensatori e semplici sacerdoti adottarono gli ideali del socialismo cristiano, contrario alla concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi capitalisti a scapito del resto della popolazione878.

Persino tra gli appartenenti a movimenti di estrema destra come i Centoneri vi fu chi accolse con favore la rivoluzione bolscevica, vista come la rivolta del popolo russo contro il potere di capitalisti ed ebrei. Sul giornale Groza, organo di stampa dei Centoneri, all'indomani dell'Ottobre venne scritto: I bolscevichi hanno avuto la meglio. Essi hanno spazzato via il servo degli inglesi e dei

banchieri, l'ebreo Kerenskij, che si è insolentemente arrogato il nobile titolo di comandante supremo e ministro-presidente del regno russo ortodosso879.

A livello popolare, l'astio verso la borghesia, incoraggiato dalla stampa e dai partiti, si manifestava sotto forma di satire e parodie, nelle quali il concetto di «borghese» assumeva forme molto più ampie di quelle proposte dai politici. Il termine andò a indicare uno status sociale: chiunque fosse ricco, istruito, colto, pulito e ben vestito, veniva chiamato «borghese», o, secondo la dicitura popolare, «buržua». Nel clima carico di tensione e incertezza della rivoluzione, i soldati

chiamavano buržua i loro ufficiali, gli operai consideravano buržua tutti coloro che non lavoravano in fabbrica, e i contadini davano questo appellativo a chiunque fosse vestito in abiti di foggia cittadina880. Il termine buržua, infine, diventò un insulto, usato per descrivere i ricchi capitalisti,

avari ed indifferenti verso le altrui sofferenze: un borghese è qualcuno che pensa solo a sé stesso e

alla sua pancia. È disinteressato verso gli altri, ed è pronto ad afferrare chiunque per la gola se si parla di denaro o di cibo. Un borghese è una persona che conduce una vita individualista, priva di senso e direzione (…)881. I borghesi erano considerati egoisti, avidi e disonesti. Tra i soldati si

diffuse anche l'idea che fossero i soli responsabili dello scoppio della Grande Guerra, alla quale avevano dato inizio per far fronte ai loro interessi e utilizzando la gente comune di tutti i paesi coinvolti nel conflitto come carne da cannone882.

Il disprezzo verso le classi agiate era tale che le richieste di democratizzazione provenienti dagli strati bassi delle società escludevano categoricamente l'inclusione di borghesi e capitalisti nella costruzione del nuovo stato socialista e democratico che sarebbe sorto dopo la rivoluzione. La repressione contro i buržua, al contrario, era ritenuta moralmente giusta, e per nulla in

contraddizione con il concetto di democrazia. Non solo i bolscevichi, ma anche i partiti socialisti moderati facevano apertamente appello alla discriminazione politica verso la borghesia883.

La popolazione, in effetti, sperava che la rivoluzione avrebbe portato non soltanto dei semplici cambiamenti nella vita politica e sociale, ma una vera e propria rigenerazione della nazione e una sua purificazione dalle «forze oscure» che intralciavano il cammino del paese verso il radioso futuro prospettatole dai capi rivoluzionari. Il nemico interno venne trovato nei «nemici del popolo», termine nato durante la Rivoluzione francese e che ora venne a indicare la borghesia russa.

876 Cit. in Kolonitskij, Antibourgeois propaganda, pagg. 185-186 877 Rosenberg, cit., pag. 220

878 Kolonitskij, cit., pag. 187

879 Cit. in Kolonitskij, Antibourgeois propaganda, pagg. 188-189 880 Kolonitskij, ivi, pag. 190

881 Cit. in Kolonitskij, Antibourgeois propaganda, pag. 191 882 Kolonitskij, ivi, pag. 192

Quando la rivoluzione, soprattutto dopo l'Ottobre, mancò di portare a compimento le sue promesse iniziali, e le difficoltà materiali diventarono sempre maggiori, il popolo fu quindi incline ad

incolpare di tutto la borghesia, e a credere all'esistenza di fantomatici «complotti controrivoluzionari», che andavano smascherati ed abbattuti il prima possibile.

In un loro messaggio rivolto «agli oppressi del mondo», i marinai della flotta del Baltico avanzarono eloquentemente le loro proposte per salvare la rivoluzione: che tutti quei macellai

assetati di sangue che opprimono il popolo periscano nella tempesta della rivoluzione sociale. Mandiamo in frantumi il cranio del capitale, il cranio del dispotismo sanguinario, che per secoli ha oscurato le vite sepolcrali della gente lavoratrice, le vite dell'onesto popolo lavoratore884.

Mentre il regime, nei primi mesi della sua esistenza, non riusciva a fermare la crisi sempre più grave che affliggeva il paese, ovunque in Russia aumentavano gli appelli alla soppressione di massa delle «sanguisughe» borghesi: tutti i buržua vanno sterminati, in modo che i russi onesti possano

vivere meglio, affermavano gli operai nel gennaio del 1918885.

Da questo clima di odio verso i «borghesi» derivò anche l'utilizzo, da parte della Čeka, della presa di ostaggi, spesso rastrellati senza alcuna imputazione a loro carico e potenzialmente soggetti a fucilazione, in risposta a veri o presunti atti controrivoluzionari.

L'arbitrio di questi arresti casuali era totale: capitava di frequente che gli ostaggi non fossero nemmeno dei veri borghesi, dato che la Čeka era solita allestire dei posti di blocco alle due estremità di un certo tratto di strada e arrestare chiunque vi si fosse trovato in quel momento. Si poteva essere arrestati per essersi trovati per puro caso sulla scena di una sparatoria o di un omicidio, o per essere parenti o conoscenti di un sospetto borghese886.

La pratica del prelievo di ostaggi era legata a quella della spoliazione della borghesia: le tasse rivoluzionarie imposte dai soviet agli abitanti benestanti delle città erano estremamente esose, e, spesso, i distaccamenti della Čeka si assicuravano che l'imposta venisse effettivamente riscossa prendendo in ostaggio i familiari dei borghesi del posto. A Nižnij Novgorod, ad esempio, dopo aver imposto alla borghesia cittadina un tributo pari a ventidue milioni di rubli, centocinque persone vennero arrestate e trattenute come ostaggi fino al completo pagamento della tassa.

Molti borghesi, tuttavia, avevano lasciato la Russia all'indomani della rivoluzione, e, ad ogni modo, i redditi e le ricchezze di coloro che erano rimasti erano stati fortemente compromessi

dall'inflazione. Di conseguenza, gran parte dei «ricchi» perseguitati dal regime sovietico altro non erano che commercianti, insegnanti, medici o impiegati impoveriti, che non erano in grado di pagare le cifre astronomiche che venivano loro imposte dai funzionari sovietici.

Ciò portò ad un aumento nel numero degli arresti e delle fucilazioni di ostaggi da parte degli agenti della Čeka, convinti che i borghesi nascondessero enormi ricchezze, allo stesso modo dei kulaki che nelle campagne nascondevano il loro grano887. Gli appartenenti alla borghesia, oltre ad essere

sottoposti ad espropriazione e a rischiare di essere fucilati in quanto «nemici del popolo», erano anche soggetti a lavori forzati obbligatori. Il lavoro, nella Russia sovietica, doveva essere obbligatorio per tutti, ragion per cui i borghesi furono reclutati per svolgere lavori pesanti.

La stessa Costituzione sovietica del 1918, nel dichiarare «l'abolizione dello sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo», stabiliva infatti la nascita della categoria dei lišency, gli «esclusi», privati del diritto di voto: vi rientravano, oltre a nobili e uomini di chiesa, i borghesi e gli «oziosi», ossia coloro i cui redditi non provenivano esclusivamente dal loro lavoro888.

Queste persone, prive di diritti e perseguitate dalla Čeka, non potendo prendere parte attiva nel processo di costruzione del nuovo ordine socialista, potevano però essere costrette a svolgere lavori pesanti per il nuovo regime proletario. Fu in particolare Trockij a voler sottoporre i borghesi al lavoro coatto: l'emergenza bellica spinse il commissario alla guerra a sfruttare la manodopera non

884 Cit. in Kolonitskij, Antibourgeois propaganda, pagg. 194-195 885 Figes, cit., pag. 631

886 Figes, ivi, pag. 771 887 Figes, ivi, pag. 635 888 Werth, cit., pag. 180

combattente per scavare trincee ed erigere difese. Poi, però, i soviet urbani ampliarono l'utilizzo dei lavori forzati, obbligando nobili, impiegati, funzionari e preti delle città russe a pulire le strade o a spalare la neve. Gruppi di donne e ragazze venivano costrette a ripulire le caserme dell'Armata Rossa o le sedi degli enti amministrativi sovietici, sotto la sorveglianza di soldati e commissari che, pistola o frusta alla mano, potevano arrivare al punto di obbligarle a ripulire le latrine a mani nude889. Questo tipo di lavoro obbligatorio aveva chiaramente il solo scopo di umiliare i ceti

abbienti: privati dei propri possedimenti e delle proprie carriere, derisi e oltraggiati, i borghesi videro la loro vita degradarsi sempre più. Ora venivano chiamati byvšie ljudi, letteralmente le «ex persone», o «quelli di una volta», ed erano costretti a sopportare fianco a fianco con i proletari le durezze della vita sovietica, subendo costantemente le prepotenze e le violenze di commissari e funzionari comunisti890. Questi ultimi approfittavano della loro libertà di requisire beni alla

borghesia per arricchirsi, trattenendo per sé stessi molti degli oggetti e del denaro sottratti durante le operazioni di confisca e prendendo possesso delle migliori residenze cittadine, appartenute un tempo a nobili e ricchi borghesi. Un esempio di queste spoliazioni arbitrarie viene fornito da Brovkin, che descrive come nel marzo del 1921 le autorità bolsceviche di Ekaterinodar avessero deciso di celebrare i cinquant'anni della Comune di Parigi organizzando un attacco diretto alla borghesia della città: tutti gli abitanti furono obbligati a compilare un questionario, nel quale dovevano specificare, tra le altre cose, la propria professione e origine sociale. Durante la notte, le case di coloro che erano stati identificati come borghesi vennero prese d'assalto da distaccamenti armati di čekisti e soldati dell'Armata Rossa, che trafugarono denaro, abiti e altri oggetti di valore. Centinaia di famiglie furono coinvolte nell'operazione, al termine della quale molti veri o presunti borghesi furono rinchiusi in un campo di concentramento, o inviati a svolgere lavori forzati sulle coste del Mar Caspio891. Queste imposte rivoluzionarie, riscosse in maniera brutale, costituivano,

agli occhi dei bolscevichi, delle vere e proprie indennità di guerra, che la borghesia russa, sconfitta sul fronte interno della guerra civile, era tenuta a pagare al vittorioso regime proletario.

Quando una città veniva conquistata, o riconquistata, dai bolscevichi, tutte le assemblee cittadine elettive venivano sciolte, il commercio vietato, con il conseguente rincaro, e poi la definitiva scomparsa, dei rifornimenti alimentari, e tutte le imprese confiscate e nazionalizzate.

L'imposizione della dittatura del proletariato veniva quindi completata con l'imposizione vessatoria di enormi tributi a carico della borghesia, intesi come mezzo per mettere in ginocchio i ceti

possidenti delle città finite sotto controllo sovietico892.

In molti casi erano gli stessi čekisti, che spesso erano nient'altro che criminali comuni, a redigere i mandati di perquisizione delle abitazioni dei borghesi, che si accingevano poi a depredare893.

A tutto ciò, inoltre, si accompagnavano pratiche di giustizia sommaria che avevano luogo nelle piazze e nelle strade delle città, dove le folle affrontavano il dilagare della criminalità comune «processando» pubblicamente, e giustiziando per mezzo di linciaggi, tutti i delinquenti grandi e piccoli su cui riuscivano a mettere le mani. I bolscevichi avevano provveduto a legittimare anche la pratica dei processi di piazza, creando i tribunali del popolo, ai quali spettava il compito di applicare sommariamente la cosiddetta «giustizia rivoluzionaria».

Eliminata la normale procedura penale come «relitto dell'ordinamento borghese», essa era stata sostituita dai giudizi emanati da corti elettive, i cui membri erano privi di qualsivoglia preparazione giuridica ma dotati di «coscienza rivoluzionaria», trattandosi per lo più operai o contadini, con l'aggiunta di qualche piccolo funzionario. Non era prevista alcuna procedura prestabilita, né il diritto di difesa. Le condanne, molto spesso, venivano emanate sulla base di denunce frutto di risentimenti personali, e il pubblico partecipava direttamente al dibattito, esprimendo ad alta voce la sua opinione. Queste sentenze sembravano ricalcare, piuttosto che le normali procedure giudiziarie,

889 Mel'gunov, cit., pag. 211 890 Figes, cit., pag. 637 891 Brovkin, cit., pagg. 333-334

892 Werth, Uno stato contro il suo popolo, pagg. 97-98 893 Mel'gunov, cit., pag. 234

le antiche norme consuetudinarie vigenti nelle campagne, basate sulla legge del taglione894, essendo

i giudici interessati non tanto a valutare oggettivamente i fatti, quanto all'estirpare ogni fattore di disturbo o di pericolo per la rivoluzione e il governo proletario895.

Spesso a farne le spese erano proprio i buržua, ritenuti responsabili del progressivo deteriorarsi delle condizioni di vita. Così, mentre i prigionieri politici dello zarismo avevano la possibilità avvalersi di una difesa efficace, e, se condannati, godevano di condizioni di reclusione o

deportazione relativamente leggere896, le vittime della «giustizia» rivoluzionaria, nell'impossibilità

di difendersi dagli abusi, non potevano far altro che sottostare all'arbitrarietà dei giudici bolscevichi. Coloro che un tempo erano appartenuti alle classi privilegiate della società, e che ora, dopo la rivoluzione, erano caduti in disgrazia, erano considerati dai bolscevichi e dai loro sostenitori alla stregua di nemici vinti, o di prigionieri di guerra.

Il governo sovietico, in sostanza, non considerava queste persone dei cittadini del nuovo stato, ed essi, pertanto, non erano protetti dalle leggi del regime proletario.

Essere un nemico di classe era una macchia incancellabile: la natura di uno sfruttatore capitalista non poteva essere cambiata, rendendo la sottomissione della borghesia, anche per mezzo dello sterminio, l'unica soluzione possibile, e l'unica garanzia di sopravvivenza per la rivoluzione897.

Il caos che regnava nella società russa, stanca da tre anni di guerra che avevano già avuto sulla popolazione un effetto fortemente brutalizzante, rendendola particolarmente incline all'uso della forza per ottenere ciò che voleva da un governo ormai incapace di imporre il proprio controllo e riportare l'ordine, venne rinfocolato dagli appelli al terrore popolare lanciati dai bolscevichi, che dal lievitare degli antichi risentimenti sociali e delle frustrazioni delle masse avevano solo da

guadagnare: in molte zone, come ad esempio nella regione di Archangel'sk, i bolscevichi potevano contare su pochissimi sostenitori locali, ragion per cui l'appoggio loro offerto dal gran numero di soldati ammutinati, dai prigionieri di guerra austro-ungarici, e dai lavoratori a contratto scarsamente o per nulla pagati presenti nell'area, era fondamentale.

Tutti costoro, esasperati dai ritardi nei pagamenti e dalle difficoltà alimentari, e incitati alla violenza dalla retorica rivoluzionaria, nel corso del 1917 uccisero molti ufficiali, linciarono un gran numero di funzionari, e assaltarono treni e depositi per saccheggiarli, aprendo le porte al temporaneo dominio bolscevico sulla regione898. Gruppi di Guardie Rosse armate, costituite da operai e soldati

smobilitati o in rivolta, viaggiando lungo le ferrovie, prendevano possesso con le armi delle varie cittadine e località della regione per conto dei bolscevichi, destituendo le autorità locali liberamente