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La macchina burocratica e l'uomo nuovo sovietico

5. IL DRAMMA DELLE CAMPAGNE E LA LOTTA PER LA SOPRAVVIVENZA

5.4 La macchina burocratica e l'uomo nuovo sovietico

Se la rivoluzione russa venne diretta dall'alto, dal ristretto gruppo dell'élite bolscevica, la sua realizzazione pratica e gli ideali che la animarono a livello popolare furono di chiara impronta popolare. Per il popolo comune, la rivoluzione bolscevica era una rivoluzione sociale, il cui principale obbiettivo sarebbe dovuto essere l'abolizione dei privilegi di classe.

A partire dai costumi propri della comune rurale tradizionale, i contadini e gli operai di recente origine contadina elaborarono una visione della società nella quale l'eccessiva ricchezza da parte del singolo era da considerarsi immorale, la proprietà privata della terra andava abolita, e nel lavoro, specialmente quello manuale, andava cercato il valore di un essere umano all'interno di una società di uguali. Figes, inoltre, mette in rilievo come la rivoluzione popolare, con i suoi ideali di giustizia sociale, si riallacciasse ai valori della particolare visione del cristianesimo adottata dalle campagne, nella quale la povertà in sé era considerata una virtù672.

A tutto ciò si univa l'avversione generale per qualsiasi autorità superiore alla gente comune, fosse essa rappresentata da magistrati, ufficiali, politici, preti, proprietari terrieri o imprenditori.

I bolscevichi poterono quindi consolidare il proprio potere sulla popolazione istituzionalizzando, durante i primi mesi del loro governo, la guerra al privilegio condotta dalle masse popolari,

sfruttando la soddifazione che esse provavano nel vedere i loro ex padroni e sfruttatori rovesciati e perseguitati, nonostante fosse evidente che il nuovo regime non sarebbe stato in grado di migliorare il tenore di vita delle persone comuni. Sfruttando l'energia popolare rilasciata dalla rivoluzione, interpretata da contadini e operai come rivalsa contro i ricchi, all'insegna di una nuova

pugačëvščina contro il barin673 e il borghese capitalista, i bolscevichi riuscirono così a consolidare il

proprio sostegno nelle città, e, almeno inizialmente, nelle campagne674.

In seguito, per i bolscevichi si rese necessario ricostruire l'apparato statale, secondo la nuova forma da essi desiderata. La cosa era particolarmente difficile nelle campagne, a causa della scarsità in esse di quadri bolscevichi affidabili e per l'abisso che separava la tradizionale cultura della società contadina e i progetti che i comunisti avevano in serbo per convertire, per mezzo

dell'ammodernamento e della collettivizzazione, l'arretrata popolazione rurale in un nuovo

proletariato di campagna di pura fede socialista. Il governo seppe sfruttare abilmente il desiderio di

670 Figes, Peasant Russia, civil war, pag. 155

671 Brovkin, Behind the front lines of the civil war, pag. 405 672 Figes, La tragedia di un popolo, pag. 628

673 Termine con il quale, nella Russia prerivoluzionaria, si definivano gli appartenenti alla classe nobiliare. 674 Figes, ivi, pagg. 628-629

molti giovani contadini, soprattutto se reduci di guerra, di fuggire dall'angusto mondo dei villaggi,

dalla vecchia Russia delle icone e degli scarafaggi675, per entrare a far parte del mondo

urbanocentrico dell'élite rivoluzionaria. L'ingresso nel partito e il servizio militare nell'Armata Rossa erano le vie maestre per accedere a posizioni di comando nel nuovo regime.

L'arruolamento nell'esercito rosso, oltre a consolidare la determinazione degli aspiranti nuovi quadri di origine rurale, permetteva loro di accedere alla cultura e all'istruzione: fin dall'aprile del 1918, infatti, ai militari venivano tenuti corsi obbligatori di lettura, scrittura e aritmetica, e un gran numero di figli di contadini imparò questi rudimenti fondamentali nelle scuole dell'esercito676.

L'Armata Rossa, con il suo apparato di comando centralizzato, fece da modello anche per

l'amministrazione civile sovietica, della quale entrarono a far parte, durante la guerra civile, mezzo milione di reduci, i quali, diventando commissari e funzionari di partito, portavano con sé gli ideali e i metodi di comando del regime bolscevico, militarizzando la società civile677.

In effetti, dopo la presa del potere dell'Ottobre, entrare nei ranghi del partito bolscevico significava acquisire privilegi e prestigio sociale, e poter accedere alle cariche burocratiche del nuovo stato. In pratica, equivaleva a far parte dell'aristocrazia del vecchio regime zarista, dato che, come essa un tempo, i bolscevichi possedevano ora tutte le caratteristiche proprie di un ceto dominante.

A differenza di un normale partito politico occidentale, quello bolscevico si era trasformato in una casta di primi inter pares, simili alla decaduta nobiltà. Lo stesso Lenin, del resto, aveva affermato:

se diecimila nobili hanno potuto governare l'intera Russia, perchè non possiamo farlo noi?678.

Questo nuovo bolscevismo plebeo, finì quindi per prendere il sopravvento sul nucelo intellettuale originario dei bolscevichi, ora diluito in una massa di origine contadina e operaia.

Nel frangente della guerra civile, quando la principale motivazione che poteva spingere ad entrare nel partito era la prospettiva della promozione sociale e il reclutamento dei nuovi quadri avveniva tra gli appartenenti ai ceti inferiori, la corruzione era un male inevitabile del nuovo regime, ed il problema era ampliato dal fatto che il controllo esercitato dal centro sui suoi esponenti locali era molto blando. Soprattutto nelle campagne, si creavano reti clientelari i cui comportamenti, sfuggendo alla sorveglianza degli organi centrali del partito, assumevano la connotazione di un sistema mafioso. Anzi, spesso gli stessi dirigenti a livello nazionale, come ad esempio Stalin, controllavano le proprie reti personali di potere nelle provincie o nell'amministrazione statale679.

Il proliferare della corruzione era del resto tollerato dalla dirigenza bolscevica, incline a giudicare con indulgenza i numerosi casi di cui veniva a conoscenza, giustificando i propri quadri, impegnati in una dura lotta per la vittoria del partito e della rivoluzione, e perdonando loro molti degli eccessi di cui si rendevano protagonisti. Col tempo, anzi, si affermò sempre più la convinzione che gli

esponenti del partito avessero bisogno di ricevere più elevate retribuzioni e razioni alimentari più consistenti, di alloggiare in comodi appartamenti o in camere d'albergo, di accedere a punti di vendita e a ospedali riservati, di servirsi di dače private, di macchine con autista, di

scompartimenti ferroviari di prima classe e di trascorrere le vacanze all'estero, senza contare gli innumerevoli altri privilegi un tempo appannaggio all'élite zarista680.

Ai livelli più bassi della gerarchia i benefici non erano altrettanto elevati, e vi furono alcuni tra i bolscevichi, tra cui lo stesso Lenin, che si accontentò di tre stanze al Cremlino, che condussero volontariamente una vita modesta, facendo propri gli ideali egualitari della dottrina comunista, ma la corruzione rimase un fenomeno endemico del partito bolscevico, dettata dal potere illimitato che i bolscevichi, d'un tratto, si trovarono a dover gestire. Lenin era personalmente incline ad incolpare della corruzione dilagante quegli elementi di origine piccolo-borghese che, grazie al caos della guerra civile, erano riusciti ad infiltrarsi nell'apparato sovietico.

Ciò era in parte vero, ma era anche il risultato della burocratizzazione subita dai soviet, che, da

675 Figes, ivi, pag. 721 676 Figes, ibid. 677 Figes, ivi, pag. 723

678 Cit. in Figes, La tragedia di un popolo, pag. 819 679 Figes, ivi, pag. 832

assemblee rivoluzionarie, si erano trasformati in organi burocratici del partito-stato.

Inizialmente i bolscevichi non avevano una chiara idea di come organizzare i rapporti istituzionali tra i soviet e il partito, ed essi nacquero quindi spontaneamente a partire dall'esperienza pratica dei suoi rappresentanti, molto inclini, inizialmente, ad operare in maniera fortemente improvvisata e decentrata, sottraendosi al controllo del governo centrale681.

Nel 1918 si distinsero in questo senso le autorità bolsceviche del governatorato di Kaluga, dove essi diedero vita ad una «repubblica» sovietica autonoma da Mosca, con tanto di guardie alla frontiera. Poi, la guerra civile impose ai bolscevichi il consolidamento del proprio controllo sulle provincie, dalle quali trarre le risorse necessarie allo sforzo bellico, e i soviet furono ricondotti all'obbedienza. I bolscevichi si impadronirono dei comitati esecutivi dei soviet, gli organismi che esercitavano il potere tra una seduta e l'altra dei soviet, che, del resto, venivano convocate di rado.

Gli oppositori del potere bolscevico chiamarono questo sistema ispolkomščina, ossia «dittatura dell'esecutivo». Il partito, in questo modo, imponeva il suo controllo anche a livello amministrativo, oltre che politico, sui vari apparati statali, fondendo di fatto le sue funzioni con quelle dello stato. A seguito dell'VIII Congresso ( marzo 1919), l'apparato centrale del partito venne riformato, con l'istituizione di un Politburo composto da cinque membri ( Lenin, Trockij, Stalin, Kamenev e Krestinskij), responsabile delle decisioni politiche che dovevano poi essere imposte ai soviet, divenuti ormai, come anche i sindacati, poco più che agenzie di propaganda, o secondo l'espressione utilizzata da Stalin, «cinghie di trasmissione» degli ordini provenienti dal vertice.

Le cariche di responsabilità all'interno dei soviet, un tempo elettive, venivano ora decise dal centro, che nominava propri commissari di fiducia, inviandoli nelle provincie.

Essi, essendo estranei alla realtà del luogo in cui operavano, erano assai inclini a compiere abusi di ogni tipo682. Dato che il partito-stato, dopo l'abolizione di tutte le istituzioni pubbliche e private

esistenti nel paese, doveva occuparsi di ogni aspetto della vita pubblica, il numero dei burocrati alle sue dipendenze crebbe a dismisura, e nel 1921 c'erano ormai tanti burocrati quanti operai, con i primi che ormai avevano sostituito i secondi come autentica base sociale del regime.

Circa un terzo dei burocrati bolscevichi si dedicava alla regolamentazione di un'economia che, in realtà, era ormai quasi del tutto collassata. Ma, data la scarsità di beni disponibili e la proliferazione del mercato nero, il lavoro richiesto per regolare la distribuzione dei prodotti alimentari e

industriali, basato su stime irrealistiche e su risorse inesistenti, era intenso e difficile: basti pensare che il 90% della carta consumata nei primi quattro anni del regime sovietico venne impiegata dalla burocrazia. I privilegi, a cominciare da quelli alimentari, di cui godevano i burocrati, spingevano molti ad entrare nelle fila della gigantesca burocrazia sovietica, dando vita a fenomeni di

parassitismo che vedevano protagonisti anche molti ex addetti alla pubblica amministrazione di epoca zarista, molto numerosi anche negli uffici dei commissariati del popolo bolscevichi683.

Ai livelli inferiori la burocrazia era invece dominata dai cosiddetti «piccolo-borghesi», impiegati, commercianti, tecnici e professionisti, ma anche da una quota, in realtà piuttosto bassa, di operai, che erano meno di un terzo persino tra i quadri di fabbrica684.

Nel febbraio del 1920, nel tentativo di migliorare l'efficienza dell'apparato burocratico, i bolscevichi istituirono il RABKRIN, un nuovo ente che avrebbe dovuto compiere continue ispezioni presso tutti gli uffici statali. In realtà, lo stesso RABKRIN diventò l'ennesimo ente burocratico sovraffollato, contribuendo ad infoltire la burocrazia, invece che snellirla.

Il partito comunista, nel corso del tempo, si era trasformato in un conglomerato di enti burocratici, il cui scopo era l'amministrazione dell'esercito, della polizia, degli approvvigionamenti e

dell'economia, tutti operanti al fine di sostenere lo sforzo bellico e garantire la sopravvivenza del regime. Un censimento parziale del partito di fine 1919 rivelò che, se il 52% degli iscritti si

dichiarava di origine operaia e solo il 18% contadina, solo l'11% di essi lavorava in fabbrica, mentre

681 Figes, ivi, pag. 822 682 Figes, ivi, pagg. 824-825 683 Figes, ivi, pagg. 826-827 684 Figes, ivi, pag. 828

il 25% serviva nell'Armata rossa, e il 61% lavorava nei vari uffici amministrativi, dimostrando la crescente importanza delle burocrazie per lo stato sovietico685. Tra il 1917 e il 1920, 1,4 milioni di

persone aderirono al partito bolscevico, due terzi dei quali erano di origine contadina.

Questi nuovi quadri si videro assegnare tutte le cariche più importanti, talvolta senza nemmeno tenere conto delle loro effettive capacità e competenze686. A causa delle enormi perdite che il partito

subiva a causa della guerra civile, durante la quale molti rinunciavano alla tessera piuttosto di essere inviati al fronte, mentre i più devoti restavano uccisi in gran numero sui campi di battaglia, i

bolscevichi organizzavano delle settimane speciali durante le quali, per stimolare l'arruolamento di massa, veniva sospeso temporamente l'obbligo delle referenze per l'iscrizione.

Tra l'estate e l'autunno del 1919, in particolare, con i bianchi vittoriosi su tutti i fronti, sembrava improbabile che tra i quasi duecentomila nuovi iscritti vi fossero molti opportunisti e carrieristi, privi di una reale fedeltà al partito e ai suoi ideali687. Tale politica di reclutamento indiscriminato,

tuttavia, faceva sì che l'egemonia della classe operaia, peraltro fittizia, all'interno del partito, venisse meno, a causa dell'iscrizione di un gran numero di contadini, i quali, oltretutto, erano spesso poco istruiti, o addirittura analfabeti: nel 1920, meno dell'8% degli iscritti aveva conseguito un titolo di scuola media, mentre il 62% di essi si era fermato alle elementari e il restante 30% non era mai andato a scuola. L'ignoranza di molti di costoro, anche riguardo il partito e le sue politiche, era talvolta impressionante: nel 1920, a Mosca, molti non sapevano nemmeno chi fosse Kamenev, il presidente del soviet cittadino, o pensavano che «imperialismo» fosse una repubblica ubicata in Inghilterra688. Ancora nel 1922, secondo uno studio, il 50% degli operai e il 70% dei contadini

iscritti al partito non possedevano alcuna conoscenza della politica689.

Ma, del resto, questi funzionari e membri del partito apparivano agli occhi della popolazione come «uno di loro», e il regime seppe sfruttare questa identificazione a proprio vantaggio, potendo presentare sé stesso come quel «governo del popolo» che in realtà non era mai stato690.

Perciò, anche se il governo bolscevico era del tutto impopolare agli occhi della gente comune, essa preferì sostenerlo contro i bianchi, percepiti come altri da sé, nel momento in cui essi sembravano sul punto di poter vincere. I tipici bolscevichi della base, infatti, erano degli ex contadini poveri, nati tra gli anni '80 e '90 dell'Ottocento che, una volta abbandonato il loro villaggio, avevano lavorato in fabbrica, rimanendo coinvolti nel movimento operaio e radicalizzandosi.

Dopo aver preso parte ai moti del 1905, molti di loro erano stati in carcere, in esilio, o avevano vagato di città in città, per combattere poi durante la Grande Guerra nella fila dell'esercito

imperiale. Al fronte, i giovani bolscevichi avevano imparato ad usare le armi e avevano acquisito capacità organizzative che sarebbero poi venute utili dopo la rivoluzione.

Dopo il Febbraio, le reclute bolsceviche erano poi entrate a far parte dei soviet dei soldati,

dedicandosi alla propaganda tra i commilitoni. Tornati in città o nelle campagne di origine alla fine della guerra, avevano preso parte alla redistribuzione dei terreni agricoli e alla costruzione

dell'apparato di partito nelle campagne691. Si trattava di uomini sradicati e declassati, degli

emarginati sia nelle campagne da dove provenivano, sia nelle città, poco istruiti e quindi incapaci di pensare con la propria testa e di mettere in discussione la volontà dei capi di partito.

Erano persone pratiche (quelle che Stalin chiamava i praktiki), poco inclini al pensiero astratto, interessate a migliorare la propria condizione sociale per mezzo della modernizzazione, che avrebbe spazzato via l'arretrata Russia contadina delle loro origini e dato origine ad un mondo più giusto e razionale. Il marxismo proponeva una spiegazione «scientifica» delle ingiustizie sociali di cui erano stati vittima in gioventù, e, con la sua rigida struttura organizzativa, che ricordava quella

dell'esercito, offriva loro un modo per eliminarle. I leader del partito erano i depositari di questa

685 Graziosi, L'Urss di Lenin e Stalin, pag. 133 686 Figes, cit., pag. 829

687 Lincoln, cit., pag. 429 688 Figes, cit., pag. 830 689 Adelman, cit., pag. 101 690 Figes, cit., pag. 831

«scienza», e, quindi, ciò che dicevano era ritenuto incontestabilmente giusto, e i loro ordini andavano eseguiti senza obbiettare692. Con queste sue caratteristiche, la burocrazia sovietica era

quindi destinata a trasformarsi in breve tempo in una casta sociale separata dalle masse che

pretendeva di rappresentare. Per contrastare l'afflusso di elementi indesiderabili nelle fila del partito, Lenin stesso ordinò di condurre delle periodiche epurazioni, di cui erano vittima soprattutto gli iscritti di origine rurale693. Anche la chiamata al fronte, dal canto suo, spingendo i militanti meno

devoti a lasciare il partito, fungeva da setaccio, ma, nel complesso, l'effetto delle purghe fu quello di destabilizzare la base del partito, che venne ripulita al punto che nel 1922 solo il 30% degli iscritti tra il 1917 e il 1920 faceva ancora parte dell'organico del partito: 400.000 comunisti erano stati espulsi durante le purghe annuali che colpirono i ranghi del partito, e altri 50.000 erano morti durante la guerra civile694. Il leader bolscevico, infine, istituì dei controlli che si sarebbero dovuti

tenere a intervalli regolari sugli apparati amministrativi, ma che non portarono ad alcun miglioramento695.

Il regime comunista si proponeva l'obbiettivo di creare un'umanità di tipo nuovo. I bolscevichi, muovendosi sul solco tracciato dall'intelligencija russa dell'800, intendevano portare alle masse la luce dell'ideologia socialista, permettendo loro di elevarsi al di sopra delle tenebre dello

sfruttamento classista. Il marxismo, inoltre, considerando la natura umana come il prodotto delle circostanze storiche, riteneva fosse possibile trasformare l'uomo mediante una rivoluzione. Le teorie darwiniane e del materialismo scientifico, molto in voga tra gli intellettuali russi

dell'epoca, avevano contribuito a far nascere nei bolscevichi l'idea che la natura umana derivasse dal modo in cui l'uomo vive. La scienza e la rivoluzione, si credeva, avrebbero potuto creare l'uomo nuovo. Ma occorre notare che in quella stessa epoca, in seguito alle violenze della prima guerra mondiale, nelle società di tutta Europa si erano diffusi dubbi e incertezze riguardo il valore stesso della vita umana696. A causa dei traumi della guerra, della rivoluzione e della guerra civile, con il

generale imbarbarimento ed il drastico peggioramento delle condizioni di vita che ne derivarono, soprattutto nelle città, furti e omicidi, in Russia, rispetto al periodo 1914-1916, crebbero, a partire dal marzo del 1917, di quasi cento volte, e ancora nel 1918 il tasso di criminalità rimaneva 15 volte più alto rispetto all'anteguerra. La fame e il declino della morale derivante dall'incertezza e dalla violenza di quegli anni, fecero sì che la quantità di omicidi commessi in Russia non cominciasse a declinare prima del 1922, rimanendo comunque molto più alta rispetto a gran parte degli altri paesi europei697. A contribuire al dilagare della violenza ci fu anche il consumo di alcol, che, dopo

l'introduzione del proibizionismo nel 1914 da parte del governo zarista e il suo prolungamento da parte del Governo Provvisorio, conobbe una grande diffusione, legata ad eccessi che ebbero inizio in particolare dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi, quando le riserve di alcol statali vennero prese d'assalto dalle folle698. I bolscevichi, preoccupati, reagirono duramente contro il

consumo, la produzione e la vendita delle bevande alcoliche, ma per molti tutto ciò rientrava nel loro diritto di festeggiare il trionfo della rivoluzione. Inoltre, per i rappresentanti del potere sovietico, soprattutto quelli isolati nelle campagne, il consumo di alcol costituiva un modo per fuggire dai loro dubbi e paure quotidiane. Lo stesso valeva per l'utilizzo delle droghe: prima della Grande Guerra, il loro consumo non veniva percepito in Russia come un problema sociale, essendo limitato quasi esclusivamente ai circoli urbani dell'intelligencija e degli artisti. Droghe come

692 Figes, La tragedia di un popolo, pag. 832 693 Figes, ivi, pag. 833

694 Adelman, cit., pag. 94 695 Figes, cit., pagg. 833-834 696 Figes, ivi, pag. 881

697 Sharon Kowalsky, Transforming society: criminologists, violence, and family in war and revolution, in Adele Lindenmeyr, Christopher Read, Peter Waldron, Russia's home front in war and revolution, 1914-1922, Book 2. The experience of war and revolution, Bloomington, Indiana, Slavica 2016, pagg. 356-357

698 Igor Narskij, Julija Chmelevskaja, Alcohol in Russia as a means of social integration, communication and survival during World War I and the

revolution, in Adele Lindenmeyr, Christopher Read, Peter Waldron, Russia's home front in war and revolution, 1914-1922, Book 2. The

morfina, eroina e cocaina erano anzi viste essenzialmente come farmaci e antidolorifici699.

L'abuso di droga, all'epoca, veniva considerato un risultato della decadenza e della degenerazione morale della moderna civiltà industriale, da cui erano affette soprattutto le persone più ricche e istruite. Poi, tra la fine degli anni Dieci e i primi anni Venti, si assistette ad una «spaventosa proliferazione» delle droghe, che per la prima volta divennero in Russia un grave problema