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Sopravvivere nelle città

5. IL DRAMMA DELLE CAMPAGNE E LA LOTTA PER LA SOPRAVVIVENZA

5.6 Sopravvivere nelle città

Durante la guerra civile, le città russe, un tempo vivaci e popolose, assomigliavano a cimiteri. Ovunque regnava il silenzio, gli ingressi di negozi e ristoranti erano chiusi dalle saracinesche, e le erbacce crescevano sulle strade deserte. L'immondizia veniva gettata ovunque, formando grossi mucchi, e le carogne dei cavalli, che nessuno si curava di rimuovere, rimanevano sulla strada, divorate dai cani. Le fabbriche, prive di elettricità, carbone e materie prime chiudevano i battenti. Il tasso di disoccupazione era tanto elevato che, entro l'autunno del 1918, le industrie di Pietrogrado impiegavano meno di un terzo degli operai che lavoravano in quegli stessi stabilimenti l'anno prima760. Gli stabilimenti ancora aperti non ricevevano ordini, i rifornimenti andavano scemando e i

fondi si prosciugavano. All'interno delle fabbriche, furti grandi e piccoli erano comuni, e, talvolta,

755 Brovkin, ivi, pag. 83 756 Brovkin, ivi, pag. 84

757 Brovkin, Workers' unrest and the bolshevik response in 1919, pag. 369 758 Brovkin, Behind the front lines of the civil war, pag. 85

759 Brovkin, Workers' unrest and the bolshevik response in 1919, pag. 368 760 Lincoln, cit., pag. 47

gli operai stessi smerciavano macchinari e attrezzature appartenenti alle loro industrie761.

Le condizioni di vita erano al limite del sopportabile: presto i rifornimenti alimentari cominciarono a scarseggiare, e persino in città come Saratov, nel pieno della regione cerealicola del Volga, le code per aggiudicarsi un pezzo di pane cominciavano a formarsi alle cinque del mattino.

Gli operai erano tra i più colpiti dalla crisi economica e alimentare: in media, un operaio consumava meno della metà del pane e un terzo della carne che aveva a disposizione prima della guerra, e, in generale, assumeva non più di duemila calorie al giorno, meno della metà dell'apporto energetico consigliato. I centri di razionamento e le mense collettive servivano patate congelate, pesce guasto e carne di cavalli morti di fame o di fatica762. I prezzi di generi alimentari che era sempre più difficile

reperire salivano alle stelle, mentre i salari tendevano a diminuire: nel 1918 la retribuzione degli operai equivaleva al 24% di quanto guadagnavano nel 1913, e nel 1919 il valore scese al 2%. Gli operai, mediamente, spendevano tre quarti del salario in alimenti, mentre nel 1913 ne

spendevano meno della metà. Gran parte dei lavoratori, quindi, era costretta, per sopravvivere, a procurarsi i viveri necessari al loro sostentamento giornaliero sul mercato nero763.

L'emergenza alimentare derivava in gran parte dal fatto che la guerra e la cronica penuria di combustibile avevano messo in ginocchio il sistema ferroviario, impedendo un adeguato rifornimento delle derrate alimentari ai centri urbani.

A contribuire al caos in cui versavano le ferrovie era anche la massa di abitanti delle città, soldati e profughi delle zone di guerra che ogni giorno assaltavano i treni nella speranza di procurarsi del cibo. Molti treni merci venivano saccheggiati o dirottati, anche a causa della corruzione dilagante tra i funzionari delle ferrovie764. In questa situazione, con le città prive di cibo e combustibile,

moltissimi operai lasciarono le fabbriche alla volta delle campagne, dove spesso si trovavano i loro villaggi di origine e dove speravano di trovare migliori condizioni di vita.

Per i bolscevichi si trattava di un problema grave, trattandosi della distruzione dei loro bastioni industriali. Secondo il governo, coloro che abbandonavano le città erano in maggioranza operai specializzati, quelli dotati della maggior coscienza di classe, e la loro fuga equivaleva al

«declassamento» dei centri urbani e allo sfaldamento della classe operaia.

In tal modo, l'ondata di scioperi che ebbe inizio nella primavera del 1918 poteva essere dipinta dal regime come il moto di protesta di elementi politicamente «arretrati», o di infiltrati piccolo-borghesi guidati da menscevichi e socialisti rivoluzionari. In realtà, proprio quegli operai «evoluti», che nell'ottobre del 1917 avevano favorito l'ascesa al potere dei bolscevichi, appartenenti soprattutto alle categorie dei metalmeccanici, delle industrie degli armamenti e delle ferrovie765, ora, dopo soli sei

mesi, ne invocavano la caduta. Coloro che lasciavano le città, infatti, erano soprattutto gli operai di recente origine rurale, che avevano mantenuto forti legami con le terre di origine.

Una volta giunti nelle campagne, questi operai allestivano i propri negozi o le proprie officine artigianali, aiutando i contadini a reperire quegli articoli industriali che dalle città arrivavano sempre più raramente. Un'altra tipologia di operai che tendeva a lasciare le industrie urbane erano lavoratori giovani, generalmente non sposati e attivi politicamente, che si univano all'Armata Rossa o

trovavano un impiego nell'amministrazione bolscevica766.

Il decremento nel numero degli operai in diverse città industriali della Russia ebbe, in effetti, dimensioni notevolissime: tra il 1918 e il 1920, il 42% degli operai di Mosca lasciò la capitale, ma, in città di provincia come Ivanovo-Voznesensk e Vladimir, le percentuali raggiunsero

rispettivamente ben il 75 e l'80%767. Quelli che restavano nelle fabbriche, quindi, non erano gli

operai generici e semirurali, ma gli operai specializzati nati nelle città, padri di famiglia ed autentici

761 Rosenberg, cit., pag. 224 762 Lincoln, cit., pag. 322 763 Figes, cit., pag. 726 764 Figes, ivi, pag. 729 765 Brovkin, cit., pag. 370 766 Brovkin, ivi, pag. 353

proletari768. Coloro che rimanevano, inoltre, diventavano spesso dei mešočniki, gli «uomini con il

sacco», o «fagottari» che, riunendosi talvolta in bande armate di anche cento persone, sequestravano i treni per dirigersi verso sud alla ricerca di cibo: ogni mese, le stazioni di Tambov, Kursk, Simbirsk e Saratov erano raggiunte da quasi centomila mešočniki.

Molti di loro erano operai, che portavano con sé combustibile, rottami di ferro o strumenti, talvolta da loro stessi fabbricati durante l'orario di lavoro, che scambiavano poi con i contadini, un

fenomeno quest'ultimo denominato zažigaločničestvo, dalla parola zažigalka, che in russo indica gli accendisigari, uno degli oggetti più frequentemente ceduti agli agricoltori in cambio di grano769.

Sebbene questi scambi fossero ufficialmente vietati, e il governo avesse allestito dei distaccamenti di stanza lungo le ferrovie, i fiumi e le strade principali per impedire questi traffici, gli stessi comitati di fabbrica chiudevano un occhio riguardo a queste iniziative, o le approvavano persino, interpretando il principio del controllo operaio come diritto, per gli operai, di spartirsi i prodotti di fabbrica e farne l'uso che preferivano. Le stesse autorità sovietiche, consapevoli, ad esempio, che i traffici dei mešočniki avevano assicurato agli abitanti delle città più di metà del grano da essi consumato nel primo anno successivo alla rivoluzione, lasciarono agli «uomini con il sacco» la possibilità di compiere i loro viaggi, proibendoli del tutto solo nel mese di ottobre, a raccolto concluso770. Il lavoro in fabbrica vero e proprio, quindi, era praticamente cessato: in media, in un

dato stabilimento poteva risultare assente fino al 30% del personale, e, nell'industria metallurgica, il tasso di assenteismo poteva giungere all'80%. Le restrizioni al mercato nero venivano ignorate dagli operai, che rivendicavano durante le loro proteste il diritto di recarsi in campagna alla ricerca di cibo. Alcune fabbriche e soviet organizzavano addirittura gli scambi su base collettiva,

accordandosi con un soviet rurale riguardo la quantità di beni da scambiarsi reciprocamente771.

Spesso erano le cooperative a prendere in mano la gestione del baratto: nel 1918 esse erano in grado di provvedere alle esigenze di cento milioni di consumatori, pari al 70% della popolazione russa772.

Per tentare di mantenere gli operai legati alla loro fabbrica, nel 1919 i bolscevichi dovettero pagarli in natura, in generi alimentari o concedendo loro una quota del prodotto aziendale, che i lavoratori potevano poi scambiare sul mercato nero coi contadini. Nel 1920 tale prassi era diventata la norma773. I bolscevichi non rinunciarono tuttavia al loro tentativo di irregimentare la popolazione

per mezzo del lavoro obbligatorio, e, a tal fine, istituirono i subbotniki, sabati durante i quali gli abitanti delle città prendevano parte a lavori utili all'intera cittadinanza come la pulizia delle strade. I subbotniki si trasformarono in settimane del lavoro collettivo e non retribuito, durante le quali ai cittadini sovietici venivano imposti disciplina, conformismo e obbedienza.

La mancata partecipazione come «volontari» ad un subbotnik, del resto, poteva portare all'arresto come controrivoluzionari774. Anche la distribuzione del cibo era un modo per tenere sotto controllo

la popolazione. Tutti i cittadini, nella Russia bolscevica, erano classificati in base alla loro utilità per lo stato sovietico: le razioni di prima classe, non abbondanti ma sufficienti, spettavano ai soldati dell'Armata Rossa, ai burocrati e a coloro che lavoravano nei settori vitali dell'economia, mentre gli altri lavoratori ricevevano razioni di seconda classe, in realtà molto scarse, e i borghesi dovevano accontentarsi della razione di terza classe, che, secondo Zinov'ev, corrispondeva a tanto pane

quanto ne bastava a non dimenticarsene l'odore775.

Migliaia di burocrati furono quindi impiegati nella distribuzione di queste magre razioni di cibo, avendo nelle proprie mani la responsabilità della vita o della morte di milioni di persone.

Lenin, ribadendo a Trockij la necessità di destinare le razioni più abbondanti ai lavoratori delle industrie di importanza vitale, scrisse: la razione individuale di pane dev'essere ridotta per coloro

768 Figes, cit., pag. 732 769 Figes, ivi, pag. 733 770 Lincoln, cit., pagg. 56-57 771 Figes, cit., pag. 734 772 Figes, ivi, pag. 735 773 Figes, ivi, pagg. 870-871 774 Figes, ivi, pagg. 872-873 775 Figes, ivi, pag. 874

che non sono impiegati nei trasporti, ed aumentata per quelli che si dedicano a tale attività. Che migliaia di altri muoiano pure di fame, almeno il paese sarà salvo776.

La crisi alimentare sempre più grave, tuttavia, fece sì che, alla fine del 1920, quando si era arrivati a ben diciotto diversi tipi tessere annonarie, anche le razioni di prima classe fossero appena sufficienti a non morire di fame777. Il modo migliore per sopravvivere era rivolgersi al mercato nero, ma

l'enorme differenza nei salari rendeva difficile l'acquisto di una quantità sufficiente di cibo: nel 1920, un operaio non specializzato riceveva tra i 2.200 e i 3.000 rubli al mese, mentre un direttore di fabbrica veniva pagato anche 100.000 o 120.000 rubli.

Gli operai più specializzati, aggiungendo i guadagni derivati dagli straordinari, potevano arrivare a guadagnare anche 12.000 rubli al mese, ma, considerando che a Mosca o a Pietrogrado mezzo chilo di burro costava 4.500 rubli e mezzo chilo di carne 3.000 rubli, un operaio poteva aggiungere ben poco alla magrissima dieta derivante dalla sua razione di base778.

A rendere difficile la vita in città, infine, erano le prepotenze messe in pratica dell'esercito di burocrati bolscevichi incaricato di gestire ogni cosa. Essi erano inclini ad approfittare della loro posizione per vendicare torti ed offese subite in passato, ed il clima di oppressione e di insicurezza vissuto dalla popolazione spingeva molti al suicidio, una piaga che diventava di giorno in giorno sempre più frequente, così come le morti dovute a malattie come il tifo, il colera o la polmonite779.

Werth riporta alcuni dati interessanti che mettono in luce non solo la forte contrazione nella consitenza numerica della classe operaia, ma, in generale, il forte spopolamento subito dalle città russe: nel 1921 gli operai attivi nelle fabbriche erano meno di un milione, mentre 600.000 servivano nelle forze armate, 180.000 erano rimasti uccisi durante la guerra civile, e un gran numero di loro era entrato a far parte degli organismi amministrativi dello stato780.

Mosca aveva perso metà dei suoi operai, Pietrogrado due terzi. Tra il 1917 e il 1921 le città si spopolarono e cambiarono struttura sociale: le élites economiche e culturali, insieme agli operai, lasciarono il posto a persone appartenenti alle categorie emarginate e agli ambienti equivoci, che prosperavano nel clima di caos e di corruzione imperante, mentre l'unica categoria sociale che conobbe un autentico sviluppo fu quella degli impiegati e dei burocrati, nella quale confluirono i membri dell'intelligencija operaia, ma anche ex funzionari zaristi e altre persone istruite781.

Il governo, di fronte al costante decadimento fisico e morale della vita urbana, non si assunse mai alcuna responsabilità: il partito, avanguardia delle classi lavoratrici, non poteva sbagliare per definizione, ed ogni «temporanea difficoltà» era quindi da imputare agli intrighi dei capitalisti e alle cospirazioni di menscevichi e socialisti rivoluzionari, che si servivano della scarsa coscienza politica delle masse per minare la stabilità del regime782.

Per far fronte al problema dei rifornimenti, menscevichi e social-rivoluzionari sostenevano fosse necessario ripristinare i meccanismi di mercato, aumentando i prezzi dei prodotti agricoli in modo tale da recuperare la fiducia dei contadini verso il regime e la loro volontà di scambiare i loro prodotti con le città. Alcuni bolscevichi moderati sostenevano idee simili, ma per Lenin e gli altri capi del partito una rinascita del capitalismo sarebbe stata politicamente inaccettabile, considerando che avrebbe portato ad una rinascita delle campagne e dei protettori politici dei contadini, i socialisti rivoluzionari783. La corrente di destra del partito, insieme ai menscevichi, era stata estromessa dalla

vita pubblica sovietica nel giugno del 1918, ma, col tempo, la necessità di porre un freno all'arbitrarietà della Čeka e alla rigida burocratizzazione del partito bolscevico, insieme alla

necessità di mostrare all'estero l'esistenza di una Russia sovietica democratica e multipartitica a fini

776 Cit. in Brovkin, Behind the front lines of the civil war, pag. 278 777 Figes, cit., ibid.

778 Brovkin, cit., pag. 279 779 Lincoln, cit., pagg. 326-327 780 Werth, cit., pag. 193 781 Werth, ivi, pag. 195 782 Brovkin, cit., pag. 272 783 Brovkin, ivi, pag. 15

di propaganda, fecero sì che, spinte dai moderati all'interno del partito, le autorità bolsceviche centrali decisero, nel novembre del 1918, di legalizzare i partiti socialisti di opposizione.

La loro libertà di partecipare alle elezioni per soviet e sindacati, di riaprire i loro club e giornali, era tuttavia in gran parte fittizia, e controllata strettamente dalla Čeka784.

L'apparato del partito menscevico, in particolare, venne ripristinato di fatto solo a Mosca, mentre nelle province le autorità bolsceviche locali, temendo di veder venire meno i loro privilegi, agivano di propria iniziativa, impedendo ai menscevichi l'accesso ai soviet.

Questi ultimi furono comunque capaci di ricreare le loro organizzazioni, e di essere eletti in un certo numero di comitati di fabbrica, sindacati e cooperative785.

La loro popolarità era tale che, secondo un loro esponente, durante i comizi tenutisi nel gennaio del 1919, quando un oratore bolscevico tentava di prendere la parola, gli operai non lo facevano

neanche parlare, urlandogli subito «vattene!», ma se sul palco appariva un menscevico, il pubblico iniziava ad applaudire prima ancora che egli avesse il tempo di aprire bocca786.

La dirigenza menscevica, tuttavia, decise di adottare una strategia cauta, dichiarandosi pronta a collaborare con i bolscevichi all'interno del sistema sovietico a patto che i principi della legalità socialista vi venissero rispettati: essi, in caso contrario, avrebbero denunciato ogni violazione della cornice legislativa garantita dalla costituzione sovietica, nella quale era previsto lo svolgimento di libere elezioni per i soviet787. Per quanto riguardava l'economia, i menscevichi proposero una

parziale denazionalizzazione dell'industria e la concessione ad imprenditori stranieri di fare degli investimenti in Russia. A loro avviso, l'ipercentralizzazione dell'economia voluta dai bolscevichi aveva portato l'industria sovietica allo stallo, generando al contempo un'enorme burocrazia e il dilagare di fenomeni speculativi. Quella che i menscevichi proponevano era, in sostanza, un'economia mista, basata sulla collaborazione tra lo stato e il settore privato.

Queste idee, che in seguito sarebbero state fatte proprie anche dai bolscevichi con la NEP, dimostrando la fondatezza delle proposte mensceviche, erano viste come un pericolo dai bolscevichi più intransigenti, che cercarono quindi un argomento con il quale attaccare i loro rivali788. Le critiche rivolte dai menscevichi al militarismo bolscevico diedero loro l'appiglio che

stavano cercando. I menscevichi accusarono i bolscevichi di applicare soluzioni militari a problemi civili: requisendo il grano ai contadini e sopprimendo gli scioperi, il governo spingeva la

popolazione a ribellarsi, e per sopprimere queste rivolte doveva aumentare sempre più le dimensioni dell'esercito, per sfamare il quale era costretto ancora una volta a ricorrere alle requisizioni.

Si creava così un circolo vizioso che portava ad un'escalation della guerra civile.

I menscevichi ritenevano invece che il governo sovietico non dovesse combattere la popolazione, ma cercare di guadagnare il suo consenso, mettendo fine all'illegalità e alla violenza.

I bolscevichi intransigenti poterono quindi accusare i menscevichi di tradimento verso l'Armata Rossa, impegnata nella sua nobile lotta contro i «banditi» dell'imperialismo mondiale.

La chiusura del loro giornale, Vsegda Vperëd, segnò l'inizio della fine per i menscevichi789.

Dopo il colpo di stato di Kolčak, nel novembre 1918, i membri del partito social-rivoluzionario di destra, costretti alla clandestinità, concordarono sulla necessità di combattere i bianchi, ma si divisero riguardo l'opportunità di continuare o meno la loro lotta anche contro i bolscevichi.

Alcuni membri del partito, riuniti in un gruppo denominato delegazione di Ufa, decisero di tentare una negoziazione con i bolscevichi, a patto che questi si impegnassero a ripristinare il governo socialista di coalizione e a convocare l'Assemblea Costituente790.

Sebbene una conferenza del partito socialista rivoluzionario tenutasi a Mosca nel febbraio del 1919 avesse condannato i tentativi della delegazione di Ufa di trovare un accordo coi bolscevichi, questi

784 Brovkin, ivi, pag. 29 785 Brovkin, ivi, pag. 30

786 Brovkin, Workers' unrest and the bolshevik response in 1919, pag. 354 787 Brovkin, Behind the front lines of the civil war, pag. 35

788 Brovkin, ivi, pag. 37 789 Brovkin, ivi, pagg. 38-39 790 Brovkin, ivi, pagg. 40-42

ultimi decisero comunque di legalizzare il partito, in modo tale da presentare di fronte al mondo l'intera società sovietica unita nel comune sforzo contro i bianchi e gli imperialisti occidentali. Durante il breve tempo in cui i social-rivoluzionari furono legalizzati, durato una decina di giorni, i bolscevichi invitarono la base ad appoggiare la delegazione di Ufa piuttosto che le politiche di opposizione dura del Comitato Centrale, portando ad una parziale rottura nel partito791.

La Čeka si oppose fin da subito alla legalizzazione dei socialisti moderati, e, il 20 marzo, arrestò l'intero Comitato Centrale menscevico, portando tutti i suoi membri alla Lubjanka.

Approfittando del fatto che il giornale dei socialisti rivoluzionari, Delo Naroda, pubblicava articoli estremamente critici verso il regime, denunciando anche le atrocità della polizia politica,

Dzeržinskij, probabilmente con il consenso di Lenin, lanciò una massiccia campagna di arresti in tutte le principali città. Centinaia di membri dei partiti di opposizione e operai loro simpatizzanti furono arrestati e detenuti come ostaggi, il cui destino sarebbe dipeso dalle mosse dei rispettivi comitati centrali792. Così, entro l'aprile del 1919, la fase di legalizzazione dei partiti socialisti di

opposizione ebbe fine. Lenin, di fronte al fallimento della possibilità di un'espansione della rivoluzione in Germania, e alla costatazione che le potenze occidentali stavano aiutando i bianchi, perse ogni incentivo a mostrarsi moderato, lasciando che i fautori della linea dura all'interno del partito, in particolare Dzeržinskij e gli uomini della Čeka soffocassero ogni moto di indipendenza da parte degli avversari793. Anche in seguito, tuttavia, l'opposizione ebbe modo di far sentire la sua

voce: nell'ottobre del 1919, durante l'avanzata di Denikin verso Mosca, una delegazione del Comitato Centrale menscevico arrivò a Tula, dov'era stata autorizzata ad esortare gli operai a difendere il regime sovietico contro i bianchi ( in quell'occasione, gli operai scoprirono con sorpresa che i menscevichi non erano controrivoluzionari com'era scritto sui giornali)794.

La fazione di destra del partito, invece, guardando ai principi della democrazia occidentale, non considerava il regime bolscevico né socialista, né proletario.

Essi, però, a differenza dei social-rivoluzionari di destra, non intendevano cavalcare l'onda delle rivolte contadine, ma, essendo sostenitori delle forze sane della moderna società civile, preferivano collaborare con i bianchi, sperando di democratizzarne i regimi in futuro.

Il partito menscevico, quindi, si divise tra un'ala favorevole a collaborare con la dittatura rossa, e un'altra più incline a collaborare con la dittatura dei bianchi795.

I socialisti rivoluzionari, dopo la primavera del 1919, decisero di abbandonare, almeno per il momento, la lotta armata, per combattere i bolscevichi soltanto con mezzi politici.

Essi non presero mai in considerazione l'idea di poter influenzare i bolscevichi, riformando il loro regime per mezzo della sua componente «liberale». La dittatura sovietica, secondo loro, non era in