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La nascita del movimento bianco

1. L'INGANNO DELL'OTTOBRE (Ottobre 1917 – Gennaio 1918)

2.5 La nascita del movimento bianco

Molti dei protagonisti del movimento bianco, la principale forza che si oppose in armi ai

bolscevichi durante la guerra civile, avevano preso parte al tentativo di colpo di stato intentato dal generale Kornilov nell'agosto del 1917. Spinti dall'idea che il Governo Provvisorio di Kerenskij stesse portando il paese e le forze armate allo sfacelo, i militari che si unirono a Kornilov si misero in marcia alla volta di Pietrogrado, ma furono fermati e imprigionati nella fortezza di Bychov, in Bielorussia. Dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi, nel mese di novembre, molti degli ufficiali e dei generali imprigionati, che sotto il nuovo governo rivoluzionario avrebbero rischiato di essere condannati a morte, si diedero, sotto vari travestimenti e con vari sotterfugi, alla fuga135.

Da soli o in piccoli gruppi, al termine di un lungo e pericoloso viaggio nella Russia bolscevica, con il pericolo costante di essere scoperti da manipoli di guardie rosse e altri simpatizzanti dei

bolscevichi, essi si unirono ad un gruppo di uomini politici che aveva trovato rifugio a Novočerkassk, capoluogo dei cosacchi del Don.

In quelle terre, politici e militari conservatori e controrivoluzionari speravano di trovare nei cosacchi una popolazione amica, che potesse ospitarli aiutandoli ad organizzare la lotta contro gli usurpatori bolscevichi. I cosacchi costituivano una compagine particolare all'interno della società russa: soldati professionisti stanziati in alcune specifiche aree di confine, lontano dai centri urbani rivoluzionari, i cosacchi erano da secoli i tradizionali difensori dell'impero russo.

133 Lenin era convinto che le potenze alleate, per ora impegnate nella Grande Guerra, avrebbero alla fine attaccato la Russia sovietica: anche per affrontare questa eventualità, il 15 (28) gennaio 1918 venne fondata l'Armata Rossa degli operai e dei contadini.

134 Mawdsley, cit., pagg. 54-55 135 Lincoln, cit., pag. 33

Dotati di un forte senso identitario e di coesione, fedeli ai loro capi, allo zar e alla nazione, i cosacchi costituivano una forza conservatrice di circa quattro milioni e mezzo di persone136,

orgogliose della propria specificità e della propria cultura. La loro fedeltà veniva ripagata con dei privilegi impensabili per gli altri contadini russi: a differenza di questi ultimi, i cosacchi ricevevano dal governo, in cambio di un lungo servizio militare, che si protraeva fino all'età di trentasei anni, 30 desjatiny137 di terra ciascuno138. I bianchi, però, dovettero subito fare i conti con una società

cosacca che, a causa della guerra e della rivoluzione, aveva visto dei notevoli cambiamenti ed era molto meno compattamente tradizionalista di un tempo: i giovani cosacchi reduci del fronte, di ritorno nelle loro terre, portarono con sé un'ondata di radicalismo che li mise in opposizione con quanti erano rimasti, compresi padri o fratelli maggiori. Ne risultò una sanguinosa guerra fratricida locale, che rese più difficile per il fondatore del movimento bianco, il generale Michail Alekseev, fare delle terre del Don la base operativa del suo movimento.

Ex capo di stato maggiore imperiale e, dopo la rivoluzione di febbraio, comandante supremo dell'esercito, Alekseev aveva accettato l'idea che la Russia potesse diventare una democrazia di stampo occidentale, ma, quando i bolscevichi rovesciarono il Governo Provvisorio, egli si recò subito sul Don, deciso a creare un esercito capace di sconfiggerli, ripristinando l'ordine in Russia. I primi bianchi, politici e militari, che giunsero nelle terre cosacche meridionali, ignorarono o sottovalutarono anche un altro aspetto: in quelle regioni, oltre ai cosacchi, vivevano i cosiddetti

inogorodnie. Si trattava di contadini di origine non cosacca, giunti in quelle terre fin dal XVIII secolo al fine di popolarle, ma che rimasero sempre degli estranei rispetto ai cosacchi139.

Costretti a lavorare nelle terre dei proprietari terrieri cosacchi, nelle fabbriche o nelle miniere, gli

inogorodnie rappresentavano nel 1917 quasi la metà della popolazione della regione, possedendo però soltanto un decimo dei suoi terreni agricoli140.

Legati dalle stesse esperienze di vita e dallo stesso sentimento di rivalsa, gli inogorodnie, gli operai delle fabbriche di Rostov e di Taganrog e i minatori del Donbass, preoccupati per la presenza dei volontari nelle loro terre, nel novembre 1917 proclamarono la nascita della Repubblica Sovietica del Don, con capitale Rostov. Coloro che erano sospettati di fiancheggiare i bianchi vennero spesso uccisi con brutalità, mentre i bianchi, per rappresaglia, inflissero ai loro avversari vendette

altrettanto crudeli, che comprendevano l'estrazione degli occhi o il taglio del naso141.

L'atamano cosacco locale, il generale Kaledin, non riuscendo a convincere tutti i suoi uomini, soprattutto i più giovani, a combattere per riconquistare la città, si rivolse allora alla nascente Armata dei Volontari, che Alekseev stava faticosamente assemblando a Novočerkassk e che contava, all'epoca, soltanto seicento effettivi142.

Alekseev accettò la richiesta di aiuto di Kaledin, e le due forze congiunte dei cosacchi e dei volontari riuscirono a riprendere Rostov il giorno 2 dicembre. La Repubblica Sovietica era durata solo pochi giorni. Tuttavia, le rivalità e le inimicizie all'interno del nascente campo dei bianchi resero difficile la costituzione di un fronte comune: a pesare fu soprattutto il disprezzo che il generale Kornilov, giunto nel frattempo nei territori del Don, provava verso Alekseev, colpevole di aver eseguito l'ordine del Governo Provvisorio di trarlo in arresto dopo il fallito golpe dell'agosto precedente. Nel corso del mese di dicembre i bianchi giunsero a un accordo: venne creato un triumvirato, nel quale Kaledin avrebbe avuto il compito di sovrintendere agli affari cosacchi, Alekseev si sarebbe occupato delle questioni civili e diplomatiche, mentre Kornilov, col suo grande carisma, sarebbe stato a capo dell'Esercito Volontario, che in quel momento contava ancora meno di mille uomini143. Le difficoltà iniziali del movimento bianco furono legate soprattutto a questioni di

136 Mawdsley, cit., pag. 17

137 La desjatina era un'antica unità di misura russa, pari a 1,0925 ettari. 138 Werth, cit., pag. 161

139 Lincoln, cit., pagg. 63-64 140 Lincoln, ivi , pag. 64 141 Figes, cit., pag. 675 142 Lincoln, cit., ibid. 143 Lincoln, ivi, pag. 65

ordine finanziario: armi e munizioni per l'esercito andavano infatti acquistate fuori dal territorio occupato dai volontari. Nonostante gli sforzi di privati dediti alla causa, come l'infermiera militare Marija Nesterovič, che da sola riuscì a raccogliere più di settemila rubli viaggiando in clandestinità tra Mosca e Novočerkassk, e alle donazioni volontarie di banche e organizzazioni antisovietiche144,

un aiuto consistente poteva giungere solo dalle potenze alleate.

I diplomatici alleati, in quella fase, ritenevano erroneamente che fosse l'atamano Kaledin, e non Alekseev o Kornilov, l'uomo forte cui affidare le speranze di una vittoria contro i rossi145.

Ma quando, nel gennaio 1918, le truppe bolsceviche marciarono vittoriose nelle terre del Don senza che i cosacchi fossero in grado di respingerle, Kaledin rassegnò le dimissioni e si suicidò sparandosi al cuore. Di fronte all'avanzata dei bolscevichi, guidati da Vladimir Antonov-Ovseenko, il

comandante che aveva guidato l'assalto al Palazzo d'Inverno, l'Armata dei Volontari dovette accettare di ritirarsi. Il 22 febbraio i bolscevichi entrarono a Novočerkassk, e per i volontari iniziò quel trasferimento di ottanta giorni tra le steppe gelate che passò alla storia come la prima marcia sul ghiaccio. In mezzo a venti gelidi e tormente di neve, circa quattromila volontari, cui si erano unita una massa di civili in fuga, marciarono faticosamente verso sud, in direzione di Ekaterinodar, capitale delle terre cosacche del Kuban', da cui Kornilov sperava di riorganizzare le truppe e lanciare la sua controffensiva. Ma gli operai della città se ne erano nel frattempo impadroniti, proclamando la loro fedeltà ai bolscevichi. Kornilov fu quindi costretto a cingere d'assedio la città, ordinando infine ai suoi uomini, a corto di cibo, medicine e munizioni, un ultimo disperato assalto. Ma prima che Kornilov potesse lanciare i suoi all'assalto, una granata centrò in pieno il casolare in cui egli aveva allestito il suo quartier generale, uccidendolo. Pochi giorni dopo i bolscevichi, intenzionati a prendersi una macabra vendetta sul generale bianco, estrassero il cadavere di Kornilov dalla sua tomba, esibendolo in parata per le vie di Ekaterinodar146.

Dopo la morte di Kornilov, il nuovo comandante dei bianchi divenne il generale Anton Denikin, il quale, sicuro che la conquista di Ekaterinodar fosse impossibile e avrebbe portato la piccola armata al completo sterminio, comandò alle sue truppe di cominciare la ritirata.

Tentando di tornare nelle zone da cui erano partiti, i volontari, privi di contatti radio o telefonici col mondo esterno, marciarono a tappe forzate di cinquanta chilometri al giorno, lasciandosi alle spalle i feriti e i malati. Al termine di questa seconda marcia sul ghiaccio, gli esausti uomini di Denikin giunsero nei villaggi cosacchi di Mečetinskaja e di Egorlykskaja147, nelle terre cosacche del Don,

che nel frattempo avevano subito la violenza dell'occupazione bolscevica.

I bianchi avevano disperatamente bisogno di un aiuto esterno per poter sopravvivere.

Molti di loro, in quella fase, videro nei tedeschi, che già occupavano l'Ucraina, più che negli alleati, la potenza con cui scendere a patti per ottenere sostegno e protezione.

Il nuovo atamano dei cosacchi del Don, il generale Pëtr Krasnov, già noto per aver guidato un reparto cosacco contro i bolscevichi di Pietrogrado nell'ottobre 1917, si accordò con i tedeschi, cui accettò di fornire grano in cambio di armi e munizioni. Per far fronte alla questione morale

dell'opportunità di un'alleanza con i tedeschi, che avrebbe violato l'impegno preso con gli alleati, ma anche per tentare di appianare le loro divergenze al fine di unificare le proprie forze, i capi bianchi Alekseev, Denikin e Krasnov intavolarono tra loro delle trattative che portarono però ad un nulla di fatto. Riunitisi nel villaggio di Manyčeskaja alla fine di maggio, essi constatarono che troppo grandi erano le differenze e le aspirazioni tra i vari capi, e troppo in conflitto le loro personalità: mentre Denikin ed Alekseev invocavano la lotta contro i bolscevichi per restaurare l'ordine e l'onore in tutta la nazione, Krasnov non intendeva mettere i suoi cosacchi al servizio di Denikin affinchè

combattessero in territori che non fossero le terre del Don.

Egli, inoltre, rimproverava ai capi bianchi il fatto di accettare, per il tramite dei cosacchi, le armi

144 Lincoln, ivi, pag. 66 145 Lincoln, ibid. 146 Figes, cit., pag. 678 147 Lincoln, cit., pag. 72

tedesche, pur continuando a rifiutare ufficialmente ogni contatto o alleanza con loro148.

Krasnov, la cui popolarità era grande tra i cosacchi, riuscì ad accrescere di molto il numero degli effettivi ai suoi ordini e, dopo aver ripulito i territori del Don dalla presenza dei bolscevichi ed aver imposto un regime nazionalista, basato sul passato mitico dell'età aurea del suo popolo e sul

disprezzo per ogni cosa non fosse cosacca149, puntò alla conquista dell'importante città industriale di

Caricyn150, sede di industrie belliche e fondamentale snodo ferroviario, in modo tale da eliminare

una costante fonte di pericolo non lontana dai confini delle sue terre.

La difesa di Caricyn venne presa molto sul serio dal comando militare sovietico, conscio

dell'importanza della città dal punto di vista strategico. Per gli intensi e prolungati combattimenti che vi si svolsero, tra l'autunno del 1918 e l'estate dell'anno seguente, la città venne soprannominata la «Verdun rossa». La difesa venne guidata da Kliment Vorošilov, operaio del Donbass diventato comandante militare al tempo della conquista tedesca della regione, quando guidò i suoi uomini da Charkov a Caricyn, e da Semën Budënnyj, comandante della cavalleria bolscevica, coadiuvati dal commissario del popolo per le nazionalità, Iosif Stalin, inviato nella zona del basso Volga per sovrintendere alla requisizione dei cereali. Stalin, insieme a Vorošilov e Budënnyj, in occasione della battaglia di Caricyn, si fece portavoce perentorio della cosiddetta «opposizione militare», il movimento di protesta all'interno delle forze armate rosse che si opponeva all'utilizzo degli ex ufficiali zaristi voluto da Trockij. Le difese di Caricyn tennero, e i tentativi cosacchi di prendere la città vennero definitivamente meno quando, all'inizio del 1919, i difensori sopravanzarono gli assedianti nel numero e nella qualità degli armamenti.

Prima della fine di gennaio, Krasnov fu costretto a ritirarsi e, ora che la Germania era sconfitta, privo dei rifornimenti tedeschi, decise di unire le proprie forze a quelle di Denikin, non prima di aver rassegnato le dimissioni dalla carica di atamano151. L'Esercito del Don e l'Armata dei Volontari

si fusero, prendendo il nome di Forze Armate della Russia Meridionale. Denikin divennne il comandante in capo delle forze armate bianche unificate.

Mentre Krasnov iniziava il suo attacco contro Caricyn, Denikin, intanto, aveva dato inizio alla cosiddetta seconda campagna del Kuban', con la quale egli sperava di creare nel meridione russo una solida base operativa per il movimento bianco. Queste prime vittorie ottenute dai volontari, che concentrarono i loro sforzi sulla conquista di alcuni vitali snodi ferroviari, costarono la vita al ben voluto generale Markov, sostituito dal rigido generale Romanovskij, la difesa del quale da parte di Denikin provocò le prime critiche verso quest'ultimo da parte di soldati e ufficiali.

Inoltre, rifiutando di assistere Krasnov nel suo attacco contro Caricyn, Denikin si lasciò sfuggire la possibilità di creare un unico fronte antibolscevico, unendosi alle forze dei cecoslovacchi e del Komuč che combattevano più a nord lungo il Volga. Tuttavia, verso metà agosto, Denikin fu in grado di ordinare l'attacco finale contro Ekaterinodar, che cadde il giorno 16.

Con la definitiva conquista della città, l'Armata dei Volontari disponeva ora, nonostante le continue dispute strategiche e la diatriba con i suoi alleati del Don e del Kuban' sulla questione del

regionalismo cosacco, di retrovie sicure da cui organizzare le proprie attività.

Le vittorie ottenute dai volontari contro forze nemiche assai più numerose, l'ampliamento

dell'esercito, che con l'arruolamento di un gran numero di cosacchi del Kuban' raggiunse la cifra di circa 40.000 uomini152, e l'invio, da parte degli alleati, dei primi carichi di armi e munizioni, con la

prospettiva di aiuti ancor più consistenti in futuro, consolidarono l'autorità di Denikin, che in quei mesi costruì intorno a sé una solida base di autorità tra i controrivoluzionari della Russia

meridionale. Il generale Alekseev in ottobre morì di infarto: con la sua scomparsa, Denikin divenne l'indiscusso leader non solo militare, ma anche politico, della controrivoluzione meridionale, che

148 Lincoln, ivi, pag. 76 149 Figes, cit., pag. 680

150 Proprio in onore di Stalin, che tanta parte ebbe nella difesa della città durante la guerra civile, la città venne ribattezzata, nel 1925, Stalingrad. Dal 1961, nel quadro della politica di destalinizzazione voluta dall'allora segretario generale del partito comunista Nikita Chruščëv, la città porta il nome di Volgograd.

151 Lincoln, cit., pag. 178 152 Mawdsley, cit., pag. 95

ottenne così nel mite generale quel dittatore militare che tanti avevano desiderato alla guida dei controrivoluzionari del meridione russo. Con l'espulsione delle ultime forze rosse assediate nelle terre dei cosacchi del Terek e sulle pendici settentrionali del Caucaso, la conquista di una vasta area geografica utilizzabile dai volontari come loro base operativa poteva dirsi conclusa con successo153.

La società siberiana differiva sensibilmente da quella della Russia europea: la maggior parte degli abitanti erano contadini, ma la povertà non era così diffusa e i proprietari terrieri erano pochi. La popolazione operaia era esigua, e poco numerosi erano anche gli intellettuali: alle elezioni per la Costituente, i bolscevichi avevano ottenuto appena il 10% delle preferenze in Siberia e soltanto il 20% negli Urali. I pochi mesi durante i quali i bolscevichi avevano detenuto il potere nella regione erano bastati a ridurre ancor di più la loro già debole base di supporto, soprattutto a causa delle requisizioni forzate di grano, che in Siberia furono estremamente intense154.

Il terreno era fertile per i controrivoluzionari, così, mentre gli eserciti del Komuč si avviavano alla loro definitiva disfatta, i politici e i militari antibolscevichi stanziati in Siberia, col sostegno degli alleati, tentarono di superare le reciproche diffidenze e pregiudizi per giungere ad un'unione delle varie forze antibolsceviche, che in quel frangente sembrava quanto mai necessaria.

Come sede delle trattative venne scelta Ufa, città situata sulle pendici europee dei monti Urali, dove affluirono, all'inizio di settembre, oltre centocinquanta delegati in rappresentanza di quattordici diversi governi provvisori e di nove tra partiti e raggruppamenti politici155.

Nikolaj Avksentev, ministro dell'Interno e presidente del Consiglio della Repubblica durante il Governo Provvisorio, nel discorso di apertura della conferenza, la sera dell'8 settembre, esortò i delegati a porsi l'obbiettivo solenne di fondare un governo unitario, lasciandosi alle spalle i tentativi precedentemente falliti. Vista l'imminente caduta del Komuč, i rappresentanti di molti governi locali abbandonarono le loro pretese, convincendosi della necessità di giungere al tanto sospirato accordo. Poco più di due settimane dopo, il 23 settembre, la Conferenza di Stato di Ufa annunciò che la suprema autorità sullo stato russo sarebbe stata esercitata da un Governo Provvisorio Panrusso composto da un Direttorio di cinque membri eletti, sia socialisti che non: oltre al socialista

Avksentev, entrarono a far parte del Direttorio il socialista moderato Nikolaj Čajkovskij, che in quel periodo si trovava ad Archangel'sk, dove presiedeva la locale Amministrazione Suprema del

Nord156, e il socialista rivoluzionario Pëtr Vologodskij, presidente del Consiglio dei ministri del

Governo Provvisorio della Siberia Autonoma, mentre, a rappresentanza dell'ala liberale, furono eletti il cadetto Nikolaj Astrov, che però si trovava ad Ekaterinodar, e il generale Vasilij Boldyrev, che del Direttorio divenne anche comandante delle forze armate157.

L'autorità del Direttorio, tuttavia, difficilmente si sarebbe potuta estendere a tutti i territori in mano alle forze controrivoluzionarie, data l'esistenza dei governi bianchi di Archangel'sk e di

Ekaterinodar. Čajkovskij ed Astrov, per giunta, rifiutarono gli incarichi loro offerti dalla Conferenza di Ufa, che dovette quindi sostituirli rispettivamente con il socialista rivoluzionario Vladimir Zenzinov, che nel 1917 aveva fatto parte del Comitato Esecutivo del Soviet di Pietrogrado, e con il cadetto Vladimir Vinogradov158. Nel frattempo, i rappresentanti delle formazioni più conservatrici

insistevano sul fatto che solo una dittatura militare avrebbe potuto superare le divisioni unificando le varie forze politiche. Durante l'autunno il Direttorio, vista l'avanzata dell'Armata Rossa, si trasferì più ad est, nella città di Omsk, dove tentò di dar vita ad un governo stabile ed efficiente.

Ma il disprezzo di cui era vittima da parte tanto dei conservatori che dei socialisti, unito al dilagare degli omicidi politici, sullo sfondo di un intricato groviglio di congiure e controcongiure, rese impossibile per il Direttorio svolgere adeguatamente il suo lavoro.

Cresceva sempre più la sensazione che soltanto un dittatore avrebbe potuto riportare ordine nel caos

153 Figes, cit., pag. 681 154 Mawdsley, cit., pag. 101 155 Lincoln, cit., pag. 206

156 Il governo antibolscevico venutosi a creare nel governatorato di Archangel'sk, nell'estremo nord della Russia europea. 157 Lincoln, ivi, pag. 207

dilagante. Tale prospettiva spaventava i socialisti di Omsk, che temevano di subire persecuzioni: i loro esponenti più radicali si erano infatti schierati contro il Direttorio, organismo che secondo loro tradiva lo spirito del governo popolare e della Costituente159. Le sole truppe veramente disposte ad

aiutare il Direttorio in quel momento erano quelle della Legione cecoslovacca: molti legionari, solidali con i socialisti, abbandonarono il fronte e si diressero ad Omsk, esortando il Direttorio ad agire risolutamente contro ogni possibile tentativo di colpo di stato, ma il governo rifiutò di usare la forza per mantenere il potere. I cecoslovacchi, delusi dalla mancanza di risolutezza dei politici socialisti del Direttorio, abbandonarono Omsk al suo destino.

A quel punto l'attenzione generale si rivolse all'ammiraglio Aleksandr Kolčak, che il Direttorio aveva nominato ministro della guerra e della marina.

Giovane (aveva solo quarantaquattro anni), aristocratico ed elegante, Kolčak, fiero patriota russo,

fedele ad un codice d'onore vecchio stampo che lo avvolgeva in un'aura di integrità in un ambiente ben noto per la corruzione e gli egoistici interessi che vi predominavano160, sembrava rappresentare