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Politica ed economia nei territori bianchi; le attività di propaganda e spionaggio

4. IL MOVIMENTO BIANCO

4.2 Politica ed economia nei territori bianchi; le attività di propaganda e spionaggio

I governi fondati dai bianchi nei territori da loro amministrati si basavano sul modello tradizionale dell'autocrazia russa, nel quale lo stato prendeva totalmente a suo carico la gestione della società, pretendendo però in cambio il pieno controllo dei suoi sudditi. Nella concezione della statualità così come voluta dai regimi bianchi, si rifletteva anche la debolezza delle relazioni intersocietarie di fronte al potere centrale. In una società di questo tipo, la promozione di un individuo poteva avvenire soltanto per mezzo del meccanismo di cooptazione, grazie al quale un individuo poteva accedere al livello superiore della scala gerarchica. Gli stessi principi si ritrovavano a livello amministrativo: le periferie del paese dovevano essere governate dal centro, responsabile del loro sviluppo all'interno di uno stato fortemente centralizzato368.

364 Kenez, ivi, pag. 80 365 Kenez, ivi, pag. 81 366 Kenez, ibid.

367 Kenez, The defeat of the whites, pag. 312 368 Zimina, cit., pag. 10

Ma, nonostante queste premesse di carattere teorico, il campo bianco si presentava come una serie di regimi locali, ognuno dei quali aspirante al titolo di governo panrusso. I diplomatici russi bianchi presenti alla Conferenza di pace di Parigi del 1919 si assunsero il difficile compito di unire i diversi governi regionali sotto un'unica leadership. Considerando le diverse inclinazioni personali dei generali, la loro ambizione, e i contrasti che li opponevano ai loro stessi sottoposti, la missione dei diplomatici russi a Parigi non era affatto facile. Quando il consiglio dei ministri del Direttorio di Omsk concesse all'ammiraglio Kolčak il titolo di Capo Supremo e di comandante in capo di tutte le forze armate, egli ottenne anche il potere di prendere ogni misura necessaria al fine di garantire l'arruolamento e il rifornimento delle truppe, ma anche di ristabilire legge e ordine nella società russa. Qualsiasi attentato alla vita del Capo Supremo, ora equiparato al tentativo di rovesciare o modificare l'ordinamento statale esistente, era punito con la pena di morte, mentre l'offesa verbale, anche nelle lettere o sulla stampa, avrebbe comportato l'incarcerazione.

Queste misure, così severe, furono giustificate in nome della necessità di creare un potere forte, capace di riorganizzare l'esercito, resistere ad attacchi sia da sinistra che da destra, e lottare efficacemente contro partiti sovversivi e movimenti partigiani369.

Ciononostante, la dittatura di Kolčak si rivelò molto fragile: privo di un effettivo sostegno popolare, e indeciso di fronte alle richieste della popolazione, il regime del Capo Supremo rimase debole e soggetto a pressioni da parte di altre forze politiche, spesso del tutto indifferenti verso la sua opinione. Lo stesso Kolčak fu sempre molto cauto nel valutare il suo ruolo e il modo in cui aveva preso il potere, insistendo sul fatto di essere stato nominato dal Direttorio di Omsk in seguito a fatti eccezionali, che avevano costretto il governo ad affidare il potere ad un unico leader.

Soprattutto di fronte agli alleati, Kolčak non si stancò mai di dichiarare che la sua era una «dittatura costituzionale», una dittatura nata «a favore della democrazia». Egli stesso affermava che i suoi poteri sarebbero venuti meno al momento della convocazione dell'Assemblea Costituente370.

Kolčak riteneva che il suo compito fosse quello di rendere le forze armate efficienti, in modo tale da sconfiggere i bolscevichi e ripristinare legge e ordine: proprio per questo, egli ordinò ai suoi

ufficiali e soldati di tenersi lontani dalla politica, minacciando punizioni in caso contrario. Anche le retrovie andavano mobilitate ed unite al fronte nel comune sforzo bellico, in modo da superare, per decreto dall'alto, l'apatia delle masse e renderle partecipi della lotta bianca.

Kolčak, pur richiamandosi più volte alla continuità con il Governo Provvisorio, e dichiarando la sua fedeltà ai principi della democrazia, volle assolutamente evitare che, durante lo sforzo bellico, l'unità d'intenti delle forze armate e dei civili delle retrovie potesse essere minata da elezioni e lotte politiche, che avrebbero inevitabilmente provocato pericolose spaccature.

La politica, prima della conclusione vittoriosa del conflitto, era considerata un pericolo mortale per la solidità e l'integrità dell'esercito371. Il parallelo e non pienamente giustificato accento sulla

democraticità del regime divenne ancora più forte con il sopraggiungere delle sconfitte sul fronte orientale: l'attività riformatrice, anche al fine di mostrare agli occhi degli alleati la validità delle affermazioni di Kolčak, doveva però necessariamente andare di pari passo con un rafforzamento del potere dittatoriale. A fine novembre 1919, il Capo Supremo sciolse il suo Consiglio, creando un nuovo organo consultivo nel quale dovevano essere riunite le attività di vari enti e dicasteri, le cui raccomandazioni andavano coordinate con il lavoro dell'esercito372.

In questo modo, il governo di Kolčak, pur continuando ad appellarsi alla democrazia, divenne ancor più centralizzato di quanto non fosse prima.

Denikin, criticato dall'ala di destra e monarchica del movimento bianco nel sud per il suo essere moderato e per le sue vere o presunte concessioni a favore della democrazia e persino del

socialismo, era contestato al tempo stesso dagli esponenti di sinistra per la sua difesa della dittatura, considerata un espediente necessario per liberare la Russia dal bolscevismo.

369 Zimina, ivi, pag. 147 370 Zimina, ivi, pag. 149 371 Zimina, ivi, pag. 150 372 Zimina, ivi, pag. 152

Egli non rinunciò mai al suo potere di sciogliere gli organi legislativi o porre il proprio veto a qualsiasi progetto di legge373: rimase fedele alla sua istintiva diffidenza verso la politica, difendendo

il primato del potere militare su quello civile, convinto che, in un periodo tanto turbolento, il governo di un uomo solo fosse essenziale per mantenere l'ordine e vincere il nemico, quando invece ogni possibile limitazione impostagli da eventuali organismi elettivi sarebbe stata assai pericolosa. Nella primavera del 1919, di fronte alle vittorie di Kolčak sul fronte orientale e alla popolarità che tali successi portarono al Capo Supremo anche nelle terre bianche del sud, la pressione esercitata su Denikin affinchè egli accettasse di sottomettersi all'autorità dell'ammiraglio crebbe gradualmente. Denikin era già stato accusato di non aver voluto unire i fronti orientale e meridionale per evitare la sottomissione, ed era inoltre chiaro che, se avesse acconsentito alla sottomissione, il prestigio del movimento bianco ne sarebbe risultato accresciuto, dando la possibilità agli alleati di concedere il loro riconoscimento a Kolčak quale leader dell'intero campo bianco, ed evitando al tempo stesso che essi potessero trovare invece un accordo con le autorità sovietiche374.

Così, il 12 giugno 1919, Denikin accettò di sottomettersi all'autorità di Omsk: egli rimase comunque a capo del suo governo, il Consiglio Speciale, istituito già nell'ottobre dell'anno

precedente. il Consiglio coordinava il lavoro dei vari dipartimenti, o ministeri, provvedendo anche al loro finanziamento. Era l'organismo legislativo più importante del governo bianco della Russia meridionale, ma doveva sottoporre le sue proposte di legge al comandante in capo, che con la sua firma ne suggellava l'entrata in vigore. Fu proprio il Consiglio Speciale ad occuparsi, nelle terre sotto il controllo di Denikin, di tutti i principali problemi della vita civile, ma anche delle questioni di politica estera. La presidenza del Consiglio venne affidata dapprima al generale Dragomirov, poi al generale Lukomskij; altri militari figurarono tra i ministri, mentre, a rappresentanza dei civili, vi furono in particolare membri del partito cadetto, di vedute sia liberali che monarchiche.

Nessun socialista ottenne mai degli incarichi presso il Consiglio, sebbene i cadetti avessero suggerito a Denikin di nominarne almeno uno in segno di conciliazione.

La destra, quindi, soprattutto monarchica, ebbe fin da subito il sopravvento all'interno del governo, facendo capire chiaramente all'opinione pubblica che i militari, in esso, avrebbero goduto di un potere maggiore rispetto ai civili, la cui presenza sarebbe stata tollerata fintanto che essi avessero appoggiato la linea politica voluta dai generali375. I membri civili del Consiglio Speciale ebbero

sempre paura di assumersi le proprie responsabilità, evitando in ogni modo di prendere decisioni riguardanti questioni di importanza vitale, che venivano quindi studiate e discusse per mesi da commissioni appositamente fondate, il più delle volte senza raggiungere risultati degni di nota376.

Il Consiglio Speciale divenne così una sorta di capro espiatorio contro cui tutti, dai militari che lo detestavano in quanto bastione del potere civile, fino ai socialisti, che lo consideravano un

organismo reazionario, potevano scatenare la loro ostilità, invece di dirigerla direttamente contro Denikin. Anche i cosacchi erano ostili al governo, che ritenevano potesse ostacolare, con il suo spiccato centralismo, le loro politiche autonomiste e federaliste.

Per quanto riguarda l'amministrazione locale, inizialmente i bianchi controllavano soltanto aree abitate da cosacchi, cui affidarono il controllo delle loro terre, interferendo poco o nulla negli affari locali, e tollerando persino le violenze praticate dai cosacchi verso gli inogorodnie.

I cosacchi si autogovernavano in base a leggi proprie, formulate tenendo contro delle specificità locali, e i loro rappresentanti prendevano parte ai lavori di organismi amministrativi autonomi, sia a livello regionale ( denominati krug, o rada), che locale, dove i vari villaggi, o stanicy, erano

governati da assemblee presiedute da atamani. Queste forme di governo erano altamente

rappresentantive della popolazione e delle usanze locali, e non risentivano affatto della mancanza di quadri qualificati o lontani dal comune sentire delle genti locali.

Gli organi di autogoverno e le costituzioni cosacche venivano riconosciute come inviolabili dal

373 Zimina, ivi, pag. 139 374 Kenez, cit., pag. 52 375 Kenez, ivi, pag. 56 376 Kenez, ivi, pag. 57

comando bianco persino nei progetti riguardanti il futuro assetto della Russia postbellica377.

Ma le vittorie del 1919 portarono il territorio sotto il controllo di Denikin ad estendersi fino a contare una popolazione di circa quaranta milioni di abitanti: in queste zone, i bianchi ricrearono la vecchia struttura amministrativa zarista, affidando il potere a burocrati e militari avidi e corrotti, poco o per nulla controllati dal centro378. Questo modello doveva ricordare alla popolazione la

vecchia amministrazione zarista, nella quale spesso gli ufficiali, in veste di governatori militari, ricevevano incarichi civili e amministravano provincie e governatorati.

Gli ufficiali erano molto dubbiosi riguardo la lealtà politica della popolazione civile, ragion per cui videro con molto sospetto l'idea di affidare il controllo dei territori da loro controllati ad organi di autogoverno locale come gli zemstva o le dume cittadine. Per questo motivo, le elezioni vennero rese prive di reale efficacia, e le competenze di questi organismi molto limitate379.

I bianchi, per controllare il territorio, preferirono avvalersi di milizie e organi di polizia guidati da ufficiali, che, però, si dimostrarono spesso inaffidabili.

Oltre al carattere reazionario e alla militarizzazione della società civile, un'altra caratteristica dell'amministrazione bianca, tipica anch'essa dell'epoca zarista, fu la proliferazione degli organismi burocratici. Migliaia di persone finirono per entrare a far parte di comitati, dipartimenti e uffici di ogni genere, il più delle volte inutili, nei quali potevano evitare di assumersi le proprie

responsabilità e trascorrere al sicuro il periodo della guerra civile.

I salari, nella Russia di Denikin, erano molto bassi, e, a causa dell'inflazione galoppante, vivere affidandosi al solo salario avrebbe voluto dire accettare di affamare sé stessi e le proprie famiglie. La corruzione diventò quindi la norma, e, se lo stesso Denikin e qualche altro capo vollero dare l'esempio e accettarono, per il bene della causa, di vivere in uno stato di sostanziale indigenza, la maggiorannza della popolazione non fu estranea a pratiche disoneste380.

Anche quando le sconfitte militari si trasformarono in una precipitosa ritirata, Denikin, pur aprendosi a maggiori concessioni, non abbandonò mai del tutto i propri principi, cosicchè i suoi progetti di democratizzazione rimasero per lo più sulla carta, lasciando sostanzialmente invariato il suo potere. A fine dicembre 1919 il Consiglio Speciale venne abolito, e al suo posto, nel febbraio 1920, nacque un nuovo governo, molto più rappresentativo del precedente, e presieduto dal cosacco Mel'nikov, di cui fece parte persino il socialista Nikolaj Čajkovskij, reduce della sua partecipazione al movimento bianco nel nord della Russia. Il nuovo governo, formato in gran parte da cosacchi di idee moderate, cominciò il suo lavoro nella consapevolezza di non poter ricoprire, data la difficile situazione, un ruolo attivo e determinante. Le concessioni di Denikin fecero del suo nuovo governo uno dei più radicali e liberali all'interno dello schieramento antibolscevico, anche se bisogna ricordare che si trattò di compromessi nati dalla disperazione, in una situazione nella quale le possibilità di vittoria sembravano remote ed era molto più semplice promettere riforme che probabilmente non sarebbero mai state attuate381.

Per Denikin, il confronto con il generale Vrangel', carismatico e sicuro di sé, rappresentò sempre un problema: Vrangel' mise costantemente in discussione gli ordini e le politiche del suo superiore, rendendo ampiamente note le sue critiche e raccogliendo attorno a sé tutti quei conservatori e monarchici che consideravano Denikin troppo liberale e condiscendente verso i cosacchi.

Dopo essere stato infine allontanato dal suo incarico per ordine di Denikin, sempre più infastidito dalle critiche del suo avversario, Vrangel' si stabilì a Novorossijsk, da dove diresse le sue trame contro Denikin. In seguito venne costretto da Denikin a lasciare temporaneamente la Russia, da cui partì alla volta di Costantinopoli. Denikin, un uomo di indubbie qualità morali e dedito alla causa al punto di indossare stivali coi buchi invece di approfittare della sua autorità per ottenere un alto standard di vita in una situazione di generale sfacelo382, dopo le continue sconfitte subite decise di

377 Cvetkov, cit., pag. 63 378 Kenez, cit., pagg. 58-59 379 Kenez, ivi, pagg. 60-61 380 Kenez, ivi, pag. 63 381 Kenez, ivi, pagg. 234-235 382 Kenez, ivi, pag. 255

lasciare il suo incarico, decisione che egli prese a malincuore, ma anche sentendo dentro di sé un profondo senso di liberazione a causa delle pesanti critiche che continuamente riceveva da parte dei suoi avversari. I suoi errori principali, tuttavia, non furono di carattere militare, ma politico,

essendo egli convinto di non aver bisogno di conquistarsi il consenso delle masse o di convincere gli indecisi ad appoggiarlo. Ritenendo che la sua posizione imponesse a tutti di seguirne la

leadership, egli permise incautamente a uomini ambiziosi come Vrangel' di tramare alle sue spalle. Denikin venne tradito dal suo carattere mite e cortese, ma anche dalla sua testarda convinzione di essere stato investito di un ruolo che nessuno avrebbe avuto il diritto di mettere in discussione. Una volta preso il posto di Denikin al vertice di ciò che rimaneva del movimento bianco, Vrangel' introdusse subito una novità: egli rivendicò apertamente i suoi poteri dittatoriali, assumendosi la piena responsabilità, senza alcuna limitazione o concessione, sia delle decisioni in ambito militare che di quelle politiche. Egli sottomise al suo comando anche i cosacchi, cosicchè, per la prima volta, il leader del movimento bianco nel sud della Russia ebbe ai suoi comandi l'intero esercito. Vrangel' promise ai cosacchi piena autonomia, ma la questione rimase teorica, poiché nessuno dei territori da essi abitati si trovava in mano sua.

Quella di Vrangel' era la vittoria dell'ala conservatrice del movimento bianco, e con lui al potere funzionari e ufficiali del vecchio regime zarista, che sotto Denikin non avevano avuto spazio, tornarono a ricoprire ruoli di primo piano383. Tuttavia, per quanto fiero delle sue origini

aristocratiche e favorevole alla vecchia Russia monarchica prerivoluzionaria, Vrangel' fece del pragmatismo la sua arma principale: egli si disse disposto ad allearsi «anche col diavolo» pur di sconfiggere i bolscevichi. L'11 aprile 1920, Vrangel' inaugurò il suo governo: egli stesso prese personalmente parte a molte sedute, cosa che Denikin non aveva mai fatto. Il governo tuttavia, non prendeva mai decisioni di importanza vitale, che venivano invece assunte, in quanto dittatore, da Vrangel', che era solito consultarsi con pochi uomini di fiducia per poi dichiarare le proprie decisioni.

Il concetto di «Russia grande e indivisibile» che guidava i programmi politici dei governi bianchi, dato il suo carattere astratto si prestava a diverse interpretazioni. La mancanza di esperienza da parte dei militari nelle questioni relative all'amministrazione dello stato, per giunta, ne rendeva l'attuazione pratica quanto mai soggetta ad errori e malintesi, circostanza favorita dalla grave penuria di funzionari competenti. Anche le specificità regionali, contribuendo a determinare le diversità socio-economiche dei vari governi regionali bianchi, concorrevano nel rendere difficile il raggiungimento di una linea comune, condivisa equamente da tutti i governi locali, in relazione alla questione dell'edificazione dello stato384.

I bianchi, nell'amministrare i loro territori, tentavano di unire due principi contrapposti, quello autoritario e quello consultivo-democratico: immancabilmente, il primo modello, basato sul comando e sull'obbedienza aveva sempre la meglio, e, nello stato di totale confusione che regnava nelle retrovie, assumeva spesso forme coercitive e violente.

Leggi e provvedimenti, nella maggior parte dei casi, non venivano messi realmente in pratica, rimanendo di fatto sulla carta, sotto forma di consigli e raccomandazioni.

La mancanza di un'autentica ideologia ben delineata, unita alla presenza di diverse forze politiche tra loro contrapposte, le cui dispute si riflettevano anche sugli organi di stampa, impedivano ai bianchi di influenzare adeguatamente la popolazione e di favorirne l'unità di intenti.

Partiti e organizzazioni politiche, inoltre, erano ammessi dai governi bianchi soltanto a condizione che essi approvassero il punto di vista dei generali posti a capo del governo, a loro volta costretti, a causa della loro ignoranza in materia, a fare propri, o quanto meno ad ascoltare, i consigli dei politici. Il pluralismo politico «controllato» era la norma nei territori amministrati dai bianchi, che, almeno ufficialmente, si impegnavano tutti a difendere i principi della democrazia.

383 Kenez, ivi, pag. 268 384 Zimina, cit., pagg. 174-175

Questo valeva anche a proposito della libertà di stampa: nella Siberia di Kolčak, ad esempio, uscivano ben 157 diversi giornali di diverso orientamente politico, tranne, ovviamente, quelli favorevoli al regime di Mosca385. Lo stato, secondo i bianchi, era espressione della volontà del

popolo, ma, come si diceva, nelle condizioni della guerra civile la realizzazione di tale volontà da parte dei politici poteva risultare impossibile: Denikin, in un discorso dell'agosto 1918, affermò che il ruolo del suo governo era soltanto quello di creare condizioni tali da poter vivere e respirare in

modo accettabile e tollerabile fino a quando l'Assemblea Costituente, rappresentante il buon senso e la coscienza del popolo russo, non potrà indirizzare quest'ultimo verso un nuovo corso, verso la luce e la giustizia386. In questo modo, molti politici antibolscevichi poterono evitare, grazie a questa

semplice giustificazione, di assumersi le proprie responsabilità di fronte a quel popolo che, in teoria, avrebbero dovuto rappresentare. Le innovazioni politico-amministrative che i bianchi tentarono di introdurre, specialmente durante l'ultima fase della loro epopea, quella successiva alle sconfitte da essi subite su tutti i fronti da parte dei rossi, non produssero risultati rilevanti, scontrandosi con le dure necessità del tempo di guerra e con l'incapacità dei militari di fare propri i metodi dei politici. Gli ufficiali, del resto, erano portati, per la loro stessa mentalità ed educazione, ad apprezzare i metodi di governo di stampo autoritario, con la loro struttura gerarchica rigida, l'estraneità rispetto alla popolazione civile e la mancanza di un'autentica divisione dei poteri387.

L'attività riformatrice dei bianchi, di conseguenza, si rivelò essere nient'altro che una serie di iniziative, spesso contraddittorie, volte a conquistare il consenso della maggioranza della

popolazione: ma la mancanza di punti di riferimento chiari, e la nebulosità dei progetti, resero infine necessario l'utilizzo, da parte dei militari, di metodi coercitivi e talvolta anche violenti, volti ad imporre la propria volontà ai civili, riluttanti ad accettare le soluzioni escogitate dai bianchi.

Tutto ciò determinò il diffondersi tra i civili sottoposti all'autorità dei bianchi di sentimenti di apatia e insoddisfazione, rendendo evidente il fallimento della tattica prediletta dai bianchi, che puntavano