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Le requisizioni forzate e i comitati dei contadini poveri

5. IL DRAMMA DELLE CAMPAGNE E LA LOTTA PER LA SOPRAVVIVENZA

5.2 Le requisizioni forzate e i comitati dei contadini poveri

I bolscevichi vedevano nei contadini una classe sociale appartenente alla parte capitalista della società. Essi ritenevano che gli operai dovessero essere la classe egemone nel nuovo stato, e che fosse loro compito educare i loro fratelli minori nelle campagne, meno evoluti politicamente, disorganizzati, e spiritualmente e socialmente arretrati, a fare proprio il sistema socialista.

La classe operaia avrebbe dovuto aiutare il partito a riplasmare lo stile di vita dei contadini, in modo da modificare la loro stessa mentalità. I bolscevichi pensavano di poter trovare, negli strati più poveri della popolazione contadina, degli alleati naturali, che avrebbero sostenuto fin da subito la rivoluzione proletaria. Le aspettative dei bolscevichi, tuttavia, furono presto deluse, data l'evidente inclinazione, anche dei piccoli e medi proprietari rurali, verso il libero mercato, che rendeva questa fascia della popolazione contadina, che costituiva l'assoluta maggioranza degli abitanti delle campagne, una possibile alleata della borghesia nella lotta contro il regime sovietico.

Il partito, per evitare un'alleanza tra i contadini medi e la borghesia, elaborò una politica volta a «neutralizzare» questo strato della popolazione rurale, garantendogli delle concessioni di ordine materiale e psicologico. Ma se, nonostante tutto, i contadini avessero optato per il campo della borghesia, Lenin e gli altri leader bolscevichi non escludevano la possibilità di ricorrere alla coercizione532. I socialisti rivoluzionari di sinistra, pur alleati dei bolscevichi, erano contrari alla

divisione in classi della popolazione contadina: per loro, i contadini ricchi e quelli poveri non giocavano alcun ruolo di rilievo all'interno della società contadina, dominata, a loro avviso, dai contadini medi, che lavoravano la terra senza sfruttare il lavoro altrui.

Essi, a differenza dei bolscevichi, vedevano proprio nei contadini la base della popolazione lavoratrice del paese e la forza sociale in grado di rinnovare la società, e nei soviet gli organismi capaci di realizzare il loro programma di riforma agraria nelle campagne.

Non godendo di un appoggio di massa nelle zone rurali, i bolscevichi furono costretti, in una prima fase, ad agire con cautela nei confronti dei loro alleati, e a sopportare con pazienza le loro idee533.

Riguardo la politica da adottare verso i contadini ricchi, i kulaki, le prime leggi sovietiche si limitarono infatti ad ostacolare le loro velleità di sfruttamento nei confronti degli altri contadini, istituendo una qualche forma di controllo sulle loro attività e sottomettendoli alle leggi dello stato

529 Andrea Graziosi, Stato e contadini nelle Repubbliche sovietiche attraverso i rapporti della polizia politica, 1918-1922, Rivista storica italiana, CX, 2, 1998, pag. 479

530 Jonathan Adelman, The development of Soviet party apparat in the civil war: center, localities, and nationality areas, Russian history, IX, 1, 1982, pag. 94

531 Figes, Peasant Russia, civil war , pagg. 70-71 532 Osipova, cit., pag. 61

proletario. L'obbiettivo, in sostanza, era di impedire che i kulaki potessero influenzare l'opinione dei loro conterranei e organizzare una rivolta generale contro il potere sovietico nelle campagne534.

Ma, in pratica, le politiche adottate dai bolscevichi determinarono ben presto un deterioramento del benessere materiale degli agricoltori più agiati, che, vedendo minacciati non solo i propri diritti di proprietà, ma anche i loro diritti civili, si trasformarono subito in acerrimi nemici del nuovo regime. Già nella primavera del 1918, infatti, nelle campagne russe i bolscevichi avevano creato tutte le condizioni che portarono poi allo scoppio di una lunga e violenta guerra contadina.

All'attacco contro i kulaki seguì la difesa del monopolio sui cereali da parte dello Stato, già introdotto dal Governo Provvisorio, e i tentativi, sempre da parte del governo bolscevico, di regolare la produzione e la ridistribuzione dei prodotti agricoli.

Per imporre concretamente nelle campagne il proprio potere, bolscevichi e socialisti rivoluzionari di sinistra dovettero contendere il controllo degli organismi di autogoverno rurali ai social-

rivoluzionari di destra, contrari ad un governo sovietico rappresentante dei soli lavoratori e favorevoli, invece, alla convocazione dell'Assemblea Costituente, ente che doveva rappresentare tutte le classi della società russa. Ma, dato che il Decreto sulla terra dei bolscevichi era già di fatto in vigore, molti contadini cessarono di riconoscere l'autorità della Costituente, pretendendo da essa il riconoscimento dei decreti emessi dal Sovnarkom. Se così non fosse stato, come si dichiarava in molte risoluzioni contadine, l'Assemblea andava senz'altro sciolta535.

La maggioranza dei contadini dimostrò di voler sostenere il governo sovietico, ma una minoranza venne influenzata dai socialisti rivoluzionari di destra, che mantennero un'esile rappresentanza in alcuni organi amministrativi locali. Essi, non potendo rassegnarsi di fronte alla chiusura della Costituente, tentarono di far sollevare i contadini contro i bolscevichi, ma il loro seguito, nelle campagne, non era molto vasto. Entro l'aprile del 1918, i soviet, diventati ufficialmente organi di governo a livello locale, sostituirono o inglobarono gli zemstva nell'87,4% dei volost' della Russia europea536. Sebbene il governo suggerisse di dare maggior risalto alla componente povera della

popolazione rurale, i primi soviet eletti nelle campagne, al contrario, erano organi rappresentativi di tutta la popolazione contadina, compresi i kulaki, con la sola esclusione dei latifondisti: molti degli

zemstva a livello di volost', infatti, furono semplicemente rinominati soviet, o rieletti subendo soltanto piccoli cambiamenti nel personale537. Questo fatto, tuttavia, non rientrava in un tentativo da

parte dei kulaki di sabotare il lavoro dei soviet, ma derivava semplicemente della cronica scarsità di personale qualificato nelle campagne e dalla necessità di avvalersi dei rappresentanti

dell'intelligencija rurale che ancora si trovava nei villaggi538.

Nei primi soviet, i bolscevichi e i social-rivoluzionari di sinistra erano rappresentanti da una piccola quota di deputati ( in un campione di 1077 volost' della Russia centrale, nella primavera del 1918, i bolscevichi erano presenti nel 9,7% dei volost' analizzati, gli esery nel 2,2%).

La maggior parte dei rappresentanti si definiva senza partito, o, tutt'al più, simpatizzante del potere sovietico, a dimostrazione della scarsa coscienza politica degli abitanti delle campagne.

Nei soviet, i bolscevichi erano rappresentati soprattutto da soldati, operai e contadini poveri, mentre a favore dei social-rivoluzionari di sinistra si schieravano soprattutto, oltre ai soldati, i piccoli e medi proprietari contadini e, talvolta, ex dipendenti degli zemstva. La maggioranza dei kulaki, invece, si dichiarava senza partito539. Un po' ovunque, con il ritorno a casa dei soldati, e l'afflusso

nelle campagne di rifugiati urbani in fuga dalla fame e dalla disoccupazione, si formavano cellule bolsceviche, il cui lavoro era coadiuvato da emissari ed agitatori provenienti da Mosca, Pietrogrado, o dalle città capoluogo di governatorato. I soldati-contadini di ritorno ai loro villaggi finirono così per assumere, con la loro conoscenza del mondo esterno e dell'ideologia ufficiale, un ruolo di primo piano nei villaggi, guidando il processo di espropriazione dei terreni privati e di creazione dei

534 Osipova, ivi, pag. 63 535 Osipova, ivi, pag. 66 536 Osipova, ivi, pag. 67 537 Figes, cit., pag. 64 538 Figes, ivi, pag. 66 539 Osipova, cit., pag. 69

soviet. Essi dominarono, nel ruolo di funzionari governativi, i primi soviet e le cellule di partito nelle campagne, entrando in conflitto con i tradizionali capi anziani delle comunità contadine, la cui autorità era messa in discussione da questa nuova élite di giovani rivoluzionari, pronti a ricorrere alla forza per difendere il potere sovietico540. Inizialmente, bolscevichi e socialisti rivoluzionari di

sinistra lavorarono insieme, al fine di distruggere le tradizionali relazioni socio-economiche delle campagne e liquidare ogni forma di proprietà privata sulla terra. I proprietari terrieri e gli agricoltori benestanti si videro confiscare le terre, senza che il governo centrale avesse dato chiare indicazioni riguardo alle dimensioni degli appezzamenti da espropriare e alle norme con cui attuare

l'operazione. Le decisioni riguardanti gli espropri, infatti, venivano prese durante le sedute dei soviet, e potevano variare grandemente, anche all'interno di uno stesso uezd541.

Con la Legge fondamentale sulla socializzazione delle terre, preparata dai social-rivoluzionari di sinistra nel febbraio 1918, vennero poste le basi delle nuove relazioni agricole nel paese.

La terra, innanzitutto, diventava un bene di tutto il popolo, e si stabiliva dovesse essere messa a disposizione di tutti in modo egualitario, dando la prevalenza al principio, caro anche ai bolscevichi, dell'utilizzo comunitario dei terreni, rispetto a quello privato.

Il diritto di coltivare la terra veniva riconosciuto a tutti coloro che la lavoravano di persona, mentre coloro che impiegavano manodopera salariata, avevano venduto o subaffittato la loro porzione di terreno comunale, avrebbero subito la confisca dei loro appezzamenti542.

Le ridistribuzioni dei lotti di terreno realizzate dai soviet e dalle comuni, tuttavia, avvennero per lo più pacificamente, e il ruolo della «lotta di classe» durante queste operazioni fu pressocchè

irrilevante. Generalmente parlando, infatti, i vari sottogruppi della popolazione contadina

riconoscevano tutti l'autorità della comune agricola, e i conflitti avvennero in gran parte non tanto all'interno di una stessa comune, ma tra comuni confinanti per il possesso di particolari terreni543.

I terreni venivano divisi secondo i metodi tradizionali, misurando a passi o a stimando ad occhio la dimensione degli appezzamenti, mentre, per quel che riguarda l'assegnazione degli stessi alle varie famiglie, i criteri utilizzati facevano anch'essi capo alle antiche norme egualitarie delle campagne: le distribuzioni avvenivano sulla base del numero di bocche da sfamare o del numero di maschi adulti abili al lavoro presenti in ogni nucleo familiare. L'utilizzo di metodi tanto incerti poteva portare a liti, e talvolta anche allo scontro fisico, ma, nel complesso, le comunità contadine, durante le ridistribuzioni, diedero prova della loro unità. Persino molti ex proprietari terrieri accettarono di «trasformarsi in contadini», rinunciando ai loro privilegi di classe ed entrando a far parte a tutti gli effetti della comunità di villaggio544. Il problema riguardava però i contadini poveri, che, alla fine

del processo, ricevettero anch'essi la terra, ma, essendo privi degli strumenti, delle sementi e delle bestie da soma per poterle lavorare, non furono in grado di coltivarla in modo proficuo.

Per lo Stato, quindi, la contabilità dei raccolti e la ridistribuzione del grano divenne il problema principale, avendo ora milioni di contadini poveri a proprio carico.

Per coprire le spese, il governo sovietico si vide costretto ad introdurre forme di tassazione, la cui realizzazione pratica venne affidata ai soviet locali, che nell'imporre le imposte alla popolazione si orientarono, il più delle volte, sul tradizionale principio egualitario, che, fissando una quota valida per tutti, andava contro gli interessi dei contadini poveri, che, avendo meno mezzi a disposizione per pagare le quote previste, erano quelli che venivano colpiti più duramente da questo tipo di imposta545. Il governo sovietico impedì il libero commercio dei prodotti agricoli e impose un prezzo

fisso per la loro compravendita, ma le sue direttive vennero regolarmente violate dai contadini, che usarono il grano come mezzo per influenzare il governo e spingerlo ad abbandonare le sue politiche più radicali. Lo stato non era in grado né di imporre le sue leggi nelle campagne, né di rifornire la popolazione di generi alimentari: i contadini non erano interessati a vendere i loro prodotti al

540 Figes, Peasant Russia, civil war, pagg. 145-146 541 Osipova, cit., pag. 70

542 Figes, cit., pag. 114 543 Figes, ivi, pagg. 123-124

544 Figes, La tragedia di un popolo, pagg. 639-640 545 Oispova, cit., pagg. 73-74

governo, preferendo di gran lunga commerciarlo con speculatori privati provenienti dalle città, che acquistavano il loro grano a prezzi di mercato. Si tentò quindi di ottenere grano in cambio di merci, essendo questo l'unico modo per spingere i contadini ad abbandonare il mercato nero ed evitare un inasprimento della situazione. I soviet, tuttavia, si rivelarono incapaci di organizzare un efficiente sistema di scambi, e molte merci, destinate alle regioni agricole più produttive, finirono in realtà nelle mani degli oppositori del regime sovietico, che in quelle zone erano più numerosi e meglio organizzati546. Nessuna misura sembrava in grado di spingere i proprietari delle riserve di cereali a

cedere i loro prodotti al governo, dato che sul mercato la loro vendita rendeva molto di più.

I possidenti non permettevano alle apposite commissioni di avvicinarsi ai loro granai per controllare la quantità di grano posseduta, scioglievano i soviet che tentavano di contabilizzare le loro

eccedenze, e si opponevano in armi ai tentativi di sottrarre loro il grano con la forza547.

I bolscevichi tentarono di affidare la realizzazione del monopolio sul grano agli organismi di potere locali, ma essi non sempre si dimostrarono affidabili, cedendo spesso alle richieste dei contadini, al punto di concedere loro di vendere liberamente i loro prodotti sul mercato.

In effetti, durante la crisi alimentare della primavera del 1918, molti soviet di volost' optarono per politiche favorevoli al libero commercio, vedendo in esse il modo migliore per soddisfare i bisogni della popolazione. Anche quando le confische venivano realizzate, esse venivano realizzate dalle autorità locali in base a principi volontaristici ed egualitari, e non come una tassa punitiva contro i più ricchi. Per quanto i soviet si sforzassero di venire incontro ai bisogno dei contadini più poveri, infatti, essi si mostrarono sempre riluttanti a requisire il grano agli altri contadini548.

La visione localistica che stava alla base delle politiche dei soviet di villaggio e di volost', inoltre, fece sì che, spesso, le autorità contadine tentassero di bloccare l'esportazione di grano e altri alimenti dai loro villaggi, allestendo posti di blocco ai confini, sorvegliati da guardie armate549.

Approfittando dell'incapacità dei bolscevichi di sfamare la popolazione, i socialisti rivoluzionari di destra, con il sostegno dei contadini più agiati, tentarono di minare la base di sostegno del potere sovietico nelle campagne, in nome del libero commercio e dell'Assemblea Costituente.

In molti governatorati, gli edifici che ospitavano il soviet locale vennero devastati dai rivoltosi, e i funzionari massacrati, ma, per la maggior parte, queste rivolte furono dettate non dall'ostilità dei contadini verso il regime, ma dalla sua incapacità di porre freno alla carestia.

I leader sovietici, a cominciare da Lenin, furono tuttavia propensi a vedere nella rivolte la mano dei controrivoluzionari. I social-rivoluzionari di sinistra, dal canto loro, pur alleati dei bolscevichi, erano contrari alle requisizioni forzate e alla lotta ai mešočniki550, gli speculatori privati che

facevano la spola tra la campagna e le città per rifornirsi di generi alimentari, contro i quali i bolscevichi avevano allestito degli appositi distaccamenti per la lotta agli speculatori.

Tuttavia, sebbene le elezioni di primavera per i soviet avessero visto una generale svolta verso destra della popolazione rurale, le forze antibolsceviche non riuscirono a raccogliere dietro di sé la protesta dei contadini e a trasformarla in un'insurrezione generale contro il governo centrale. La popolazione, pur scontenta, rimaneva fedele al modello sovietico, ma la situazione restava comunque precaria. Lenin vide un'unica possibilità con cui reagire alla crisi che aveva colpito i bolscevichi nelle campagne: la lotta di classe andava portata all'interno delle zone rurali, organizzando la parte povera della popolazione contadina contro i coltivatori medi e i kulaki, costringendo questi ultimi alla resa551. I contadini poveri dovevano diventare l'avanguardia del

proletariato nelle campagne, e abbattere il dominio degli agricoltori piccolo borghesi e

controrivoluzionari. La situazione imponeva infatti rimedi drastici: tra la primavera e l'estate del

546 Osipova, ivi, pag. 81 547 Osipova, ivi, pag. 83

548 Figes, Peasant Russia, civil war, pag. 99 549 Figes, ivi, pag. 91

550 I mešočniki, ossia «uomini con il sacco», erano in genere abitanti delle città che, a causa del collasso del sistema monetario e dei rifornimenti di viveri destinati ai centri urbani, si recavano nelle campagne per acquistare cibo per sé stessi o per poche persone in cambio di beni materiali, spesso di loro produzione. Considerati speculatori dalle autorità sovietiche, furono perseguitati dalla Čeka.

1918 in mano alle forze antibolsceviche si trovavano i territori più fertili dell'ex impero russo, nei quali cresceva l'85% del grano commerciabile. Dei trenta governatorati ancora in mano ai rossi, soltanto cinque o sei erano zone con una notevole produzione agricola.

Lenin propose allora di lottare contro i contadini che non cedevano le loro eccedenze, dichiarati nemici del popolo, per mezzo di una spietata lotta terroristica552.

Venne proposto di creare dei distaccamenti di requisizione, dei quali dovevano far parte operai urbani e contadini poveri provenienti dalle regioni in preda alla fame, da inviare contro i kulaki, ritenuti personalmente responsabili della buona riuscita o meno delle requisizioni.

Entro la fine dell'anno, furono più di 70.000 gli operai delle città industriali della Russia centro- settentrionale che presero parte alle azioni delle brigate di requisizione (prodotrjady), nate

ufficialmente nel maggio del 1918. Il segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista, Jakov Sverdlov, pose come obbiettivo lo scatenamento della guerra civile nelle campagne: la popolazione contadina sarebbe stata divisa in due forze contrapposte e ostili tra loro, i poveri e i proprietari. Ai soviet venne indicato di illustrare ai contadini la divergenza di interessi tra la parte povera della popolazione e i kulaki, e di armare i poveri contro gli sfruttatori553.

L'11 giugno 1918, con un decreto del Comitato Esecutivo Centrale Panrusso, vennero istituiti i comitati dei contadini poveri, o kombedy ( komitety derevenskoj bednoty).

Con la loro creazione, come affermò lo stesso Lenin, veniva meno la fase «borghese-democratica» della rivoluzione agricola, durante la quale i contadini, agendo come una classe unita, avevano preso possesso delle terre nobiliari e avevano democraticamente eletto i soviet di villaggio, e iniziava la fase «socialista», che avrebbe portato all'espropriazione della borghesia rurale per mezzo della «dittatura alimentare» imposta dai bolscevichi e i loro alleati, i contadini poveri554.

La costituzione della RSFSR, approvata pochi giorni dopo, ribadì l'inferiorità dei contadini possidenti anche dal punto di vista politico e giuridico: essi, ora, erano privati dei diritti civili, e diventarono, per statuto, oggetto di persecuzione da parte dello stato555.

Trockij, a proposito delle nuove misure, ebbe a dire: va da sé che il potere sovietico altro non è che

la guerra civile organizzata contro latifondisti, borghesi e kulaki556.

Egli riteneva non fosse possibile privare i contadini dei loro prodotti se non per mezzo della violenza, e per questo chiamò la popolazione ad una guerra «spietata e sterminatrice» contro i kulaki, accusati di voler far cadere il governo sovietico per mezzo della fame.

Trockij aggiunse: la fame e la controrivoluzione vanno a braccetto, aiutandosi l'un l'altra557.

Tra gli oppositori di queste politiche vi furono anche i socialisti rivoluzionari di sinistra, che, contrari all'introduzione della lotta di classe nelle campagne, vedevano nella dittatura degli

approvvigionamenti voluta dai bolscevichi e nell'utilizzo di spedizioni punitive di operai nelle aree rurali, dei segnali di diffidenza e paura, da parte dei loro alleati, verso la popolazione contadina, di cui essi si ergevano a protettori. La loro opposizione ai bolscevichi sfociò nella fallita insurrezione del luglio 1918, durante la quale, pretendendo di parlare a nome della maggioranza dei contadini, i social-rivoluzionari di sinistra accusarono i loro alleati di aver tradito la popolazione rurale, vittima delle loro violenze, esercitate in nome dell'affermazione di un partito fatto di persone innamorate

delle loro stesse teorie. Secondo la portavoce dei socialisti rivoluzionari di sinistra, Marija Spiridonova, i bolscevichi avevano allontanato, con le loro scelte disastrose, le masse contadine dalla rivoluzione sociale, e stavano trasformando i contadini nelle cavie dei loro esperimenti politico-economici558. Il tentativo, da parte dei social-rivoluzionari di sinistra, di prendere il potere,

fallì, ma, nelle campagne, per non rischiare di inasprire una situazione già critica e inimicarsi ancor di più i contadini, i bolscevichi decisero di permettere agli appartenenti al partito che avessero

552 Osipova, ivi, pagg. 101-102 553 Osipova, ivi, pag. 104 554 Figes, cit., pag. 6 555 Osipova, cit., pag. 106

556 Cit. in Osipova, Rossijskoe krest'janstvo v revoljucii i graždanskoj vojne, pag. 107 557 Cit. in Osipova, Rossijskoe krest'janstvo v revoljucii i graždanskoj vojne, ibid. 558 Osipova, ivi, pagg. 145-146

dimostrato di essere devoti alla rivoluzione, e che avessero condannato le azioni del loro Comitato Centrale, di mantenere le loro posizioni negli organi amministrativi sovietici.

Essendo venuta meno, per i social-rivoluzionari di sinistra, la possibilità di opporsi legalmente alle politiche dei bolscevichi all'interno dei soviet, entro il mese di settembre il partito si dissolse, ma