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Il fronte ucraino, la guerra con la Polonia e il ritiro degli alleati

3. LE GRANDI BATTAGLIE (1919 – 1920)

3.2 Il fronte ucraino, la guerra con la Polonia e il ritiro degli alleati

Il 5 febbraio 1919 i bolscevichi entrarono a Kiev per la seconda volta, dopo esserne stati esplusi quasi un anno prima dalle truppe dell'impero germanico, il cui intervento era stato invocato dalla Rada. Ma né i socialisti della Rada, né i conservatori guidati dall'atamano Skoropadskij, né i nazionalisti ucraini del Direttorio di Simon Petljura, erano riusciti ad imporre il proprio dominio sul paese. I bolscevichi, dal canto loro, vedevano nell'Ucraina un territorio di importanza fondamentale, che, oltre a trovarsi in posizione strategica, tra la Polonia da poco indipendente e la roccaforte bianca del Caucaso del nord, avrebbe potuto dare loro gli ingenti quantitativi di viveri, rifornimenti industriali e reclute per l'esercito, di cui avevano disperato bisogno.

I bolscevichi, che persino nelle grandi città erano privi di un consistente sostegno popolare, instaurarono in Ucraina un regime di occupazione militare, inviando alcuni tra i loro uomini più fedeli ad amministrare la regione. Essi però, di nazionalità russa e designati dal centro, si mostrarono insensibili alle istanze locali e al sentimento nazionale ucraino.

Convinti che le campagne ucraine, la cui economia era più sviluppata di quella delle campagne russe, fossero «mature» per essere oggetto di politiche socialiste radicali, tra le quali l'edificazione di grandi fattorie collettive statali, i sovchoz, essi diedero il via ad una serie di esperimenti socio- economici che alienarono loro gran parte della popolazione rurale222.

Soltanto nel mese di aprile del 1919 i bolscevichi registrarono in Ucraina novantatre rivolte armate contro il potere sovietico223. I ribelli attaccavano i distaccamenti della Čeka e le squadre di

requisizione bolsceviche, distruggendo ogni attributo esteriore del governo sovietico nelle

campagne. In molte zone venne abbattuta ogni forma di autorità, e i bolscevichi si guardavano bene dall'avventurarsi in quelle terre, dominate da partigiani e banditi.

Il terrore rosso venne utilizzato per sottomettere la popolazione: Džeržinskij fece in modo che, nell'Ucraina tradizionalmente antisemita, quasi l'80% dei čekisti fossero ebrei224.

Sotto il comando del generale Nikifor Grigor'ev, un comandante infido, incline a cambiare campo con facilità e a combattere per sé stesso e la sua vanagloria, le truppe rosse partirono alla conquista dei porti ucraini sul Mar Nero, il più importante dei quali era Odessa.

Nella città, in quel periodo, era di stanza una guarnigione francese, comandata dal generale Franchet d'Espèrey. Questi, sprezzante nei confronti dei russi, compresi i bianchi, con i quali avrebbe dovuto collaborare, si rese protagonista di una serie di contrasti sempre più accesi con i comandi controrivoluzionari russi. Nel momento in cui i bolscevichi di Grigor'ev avanzarono verso Odessa, Franchet d'Espèrey, con grande indignazione di Denikin, escluse i bianchi dai preparativi in corso per difendere la città225, che cadde facilmente nelle mani dei rossi: i francesi, riluttanti all'idea

di impegnarsi in uno scontro aperto, e poco convinti riguardo l'utilità dell'impresa, evacuarono in gran fretta Odessa all'inizio di aprile, senza neanche consultare Denikin, mentre migliaia di civili e militari cercavano di prendere posto sulle loro navi.

Ma, nonostante i successi di Grigor'ev, i bolscevichi dovettero fare i conti con l'esercito di Denikin e i nazionalisti ucraini di Petljura, che, rispettivamente dal Donbass e dalla Galizia, conversero verso

221 Kenez, cit., pag. 255 222 Mawdsley, cit., pag. 120 223 Brovkin, cit., pag. 112 224 Lincoln, cit., pag. 277 225 Lincoln, ivi, pagg. 277-278

Kiev, che venne nuovamente persa dai bolscevichi alla fine di agosto.

Gli abitanti della città, dopo mesi di terrore rosso, accolsero con gioia le truppe di Petljura, che però, dopo poche ore, dovettero scontrarsi nelle vie del centro con i volontari di Maj-Majevskij, che nel frattempo avevano fatto a loro volta ingresso in città. Gli scontri cessarono presto, ma i bianchi non avrebbero mai potuto trovare un accordo con i nazionalisti di Petljura, visti come traditori dell'unità nazionale russa. Il movimento nazionalista ucraino, privo di supporto e osteggiato dai bianchi, cominciò a disgregarsi: Petljura, entro la fine dell'anno, si vide quindi costretto a venire a patti con i polacchi. I bianchi, nel frattempo, instaurarono in Ucraina un regime impopolare, basato sul rifiuto di ogni concessione al sentimento nazionale ucraino e sull'odio verso gli ebrei, vittime, nel corso del 1919, di una imponente e brutale ondata di pogrom, i più devastanti e feroci mai visti in quelle terre fin dal XVII secolo. La lotta al nazionalismo ucraino e le violenze contro gli ebrei andavano intanto ad incrementare l'ingovernabilità delle campagne ucraine, che negli anni della guerra civile furono percorse da un movimento anarchico di ispirazione contadina, refrattario ad ogni forma di autorità ed ostile ad ogni cosa rappresentasse il mondo urbano, russofono ed ebraico, sempre pronto a rapinare le aree rurali senza mai dare nulla in cambio, se non caos e violenza226.

Il massimo rappresentante del movimento anarchico ucraino fu Nestor Machno, ex bracciante agricolo e operaio, nativo della cittadina di Guliaj Pole, nel sud-ovest del paese.

Condannato all'ergastolo dalle autorità zariste all'età di diciotto anni per aver ucciso un poliziotto, Machno acquisì in carcere alcune basilari nozioni di storia, filosofia ed economia politica,

assorbendo i rudimenti della teoria anarchica. Liberato nel marzo 1917 in seguito all'amnistia proclamata dal Governo Provvisorio, tornò nelle sue terre, deciso a diffondere le sue idee,

improntate alla lotta contro ogni forma di autorità imposta dall'alto e all'instaurazione di un modello sociale fondato sulla giustizia e sulla fratellanza di tutto il popolo227.

Convinto che i contadini fossero per natura portati all'anarchia, Machno fondò a Guliaj Pole un'Unione Contadina, che, grazie all'instabilità delle strutture statali nelle campagne, si diffuse in tutta l'Ucraina. I suoi seguaci, che ricordavano gli antichi cosacchi secenteschi, lottarono per l'espropriazione della borghesia nelle terre da loro controllate, rifiutando però ogni legame con qualsivoglia governo o partito: Machno, il cui esercito arrivò a contare fino a 30.000 uomini, combattè contro tutte le forze di occupazione presenti in Ucraina, dalle truppe degli imperi centrali alle forze di Skoropadskij e Petljura, e naturalmente contro i bianchi.

Il rapporto con i bolscevichi fu più travagliato, e vide momentanee alleanze alternarsi a periodi di conflitto. La disponibilità degli anarchici di Machno a venire a patti con i rossi era dovuta al fatto che entrambi ritenevano i bianchi il pericolo maggiore: Denikin, facendo presagire la restaurazione del vecchio ordine economico-sociale, e bollando il nazionalismo ucraino come nient'altro che un espediente propagandistico creato ad arte dai tedeschi per indebolire la Russia228, spinse Machno ad

appoggiare momentaneamente i bolscevichi contro il comune nemico.

I bolscevichi, nonostante tutto, erano comunque dei rivoluzionari, e Machno decise quindi di mettere le sue forze a disposizione dell'alto comando sovietico, che in cambio gli permise di

comandare autonomamente i suoi uomini. Le azioni dei partigiani di Machno nelle retrovie bianche furono, in effetti, una delle principali cause della sconfitta di Denikin durante la sua marcia su Mosca. Gli anarchici, nell'ottobre 1919, durante la fase più delicata dell'offensiva, occuparono i porti sul Mar d'Azov dai quali i bianchi facevano arrivare i loro rifornimenti.

Machno e i suoi uomini conquistarono una città dopo l'altra, ma non fecero alcun serio tentativo di creare una loro struttura amministrativa nei territori da loro occupati, che arrivarono a comprendere città come Krivoj Rog, Melitopol', Mariupol' ed Ekaterinoslav229.

Armi, munizioni e viveri destinati ai bianchi andavano ad ingrossare il bottino di guerra dei soldati di Machno, mentre Denikin, per arginare i danni, si vide costretto a ritirare uomini e mezzi dal

226 Lincoln, ivi, pag. 285 227 Lincoln, ivi, pag. 286 228 Lincoln, ivi, pag. 287 229 Kenez, cit., pag. 165

fronte per combattere i partigiani proprio nel momento in cui lo sforzo per conquistare Mosca era al suo massimo. Le scorribande di Machno aiutarono i rossi a sconfiggere Denikin e a riprendere l'Ucraina, ma, ora che Machno non serviva più, e che le sue idee e le sue tattiche di guerriglia potevano arrecare più danni che benefici, i bolscevichi si rivolsero contro gli anarchici, dichiarando fuori legge il movimento di Machno a metà gennaio del 1920.

Il controllo esercitato dai bolscevichi sulle formazioni partigiane contadine era in effetti per lo più un controllo nominale: leader popolari come Machno, che predicavano l'opposizione contadina ad ogni forma di stato e tenevano più di ogni altra cosa alla propria indipendenza, non avrebbero mai accetato un pieno accorpamento nei ranghi dell'Armata Rossa, e nemmeno le nozioni di governo sovietico e dittatura del proletariato così come venivano proposte dai bolscevichi230.

I concetti di libertà popolare e di autogoverno elettivo erano del tutto incompatibili con il totalitarismo accentratore voluto da Mosca: di conseguenza, l'alleanza tra anarchici contadini e bolscevichi poteva essere solo temporanea, e rivolta contro un comune nemico.

Gli anarchici di Machno, per finire, erano dei soldati poco affidabili, e tendevano a fuggire di fronte a forze nemiche superiori. Fu in particolare Trockij ad opporsi a Machno e ai suoi metodi di guerra partigiani: il leader degli anarchici ucraini venne dichiarato da Trockij «controrivoluzionario», e molti dei suoi uomini furono passati per le armi. Lo scompiglio causato da Machno con le sue scorribande nelle retrovie, avrebbe contribuito, secondo Trockij, all'iniziale avanzata dei bianchi. Per il commissario alla guerra, queste accuse servivano inoltre ad attaccare indirettamente il suo rivale Stalin e gli altri fautori della guerra partigiana, opposta alla sua convinzione di doversi avvalere di un esercito tradizionale con una catena di comando centralizzata231.

Ironia della sorte, proprio la guerra dichiarata dai bolscevichi a Machno, con gli attacchi che egli lanciò contro i reparti dell'Armata Rossa, consentirono ai bianchi, guidati ora da Vrangel', di lanciare la loro ultima offensiva, uscendo per breve tempo dal loro rifugio crimeano e tornando a minacciare l'Ucraina meridionale.

Gli alleati, nel frattempo, tentavano invano di compattare il fronte antibolscevico. A fine novembre 1918, dopo la sconfitta tedesca e la fine della Grande Guerra, si riunì a Jassy ( l'attuale Iași, in Romania), una conferenza cui parteciparono ventun delegati in rappresentanza delle varie forze politiche controrivoluzionarie della Russia meridionale.

Promossa dagli alleati, preoccupati dalle discordie che dividevano tra loro i bianchi, la conferenza di Jassy si concluse con un nulla di fatto: gli interessi personali e di gruppo dei vari leader politici impedirono il raggiungimento di un accordo, e il campo bianco rimase diviso232.

Un ulteriore tentativo venne fatto nel gennaio 1919, quando gli alleati invitarono i vari governi russi ad incontrarsi sull'isola di Prinkipo, vicino Istanbul. I bolscevichi, interessati alle proposte di pace avanzate dagli alleati, accettarono l'invito, ma i loro avversari si rifiutarono di discutere con loro233.

Pur dubbiosi fin da subito riguardo l'intervento, gli alleati avevano comunque inviato le loro truppe, a volte con contingenti numerosi, ma più spesso con delegazioni rappresentative, nei vari teatri della guerra civile russa, in particolare nell'estremo oriente e nel nord della Russia europea.

Il loro sostegno, che fu in buona parte economico e materiale, accrebbe in particolare dopo la sconfitta tedesca nella Grande Guerra, e cominciò a pesare in maniera rilevante soltanto nel corso del 1919. Occorre notare che, già prima dell'arrivo di questi aiuti, i bianchi avevano creato da diversi mesi le loro basi operative nel sud e nell'est, utilizzando le poche risorse a loro disposizione. Se gli ultimi americani lasciarono Vladivostok nell'aprile 1920, i giapponesi furono molto più restii a ritirare le proprie truppe, molto numerose, presenti nell'oriente russo, abbandonando le loro mire espansionistiche su quei territori soltanto nell'autunno del 1922.

Nei due anni precedenti, invece, affrontarono i bolscevichi insieme alle ultime forze bianche

230 Brovkin, cit., pag. 108 231 Figes, cit., pag. 795 232 Lincoln, cit., pag. 185 233 Mawdsley, cit., pagg. 127-128

rimaste, tra cui quelle dell'atamano Semënov, fornendo loro aiuti sostanziosi ancora alla fine del 1921234. Nell'ottobre del 1922, molto tempo dopo che la guerra civile nella Russia europea era finita,

e con i bolscevichi ormai sul punto di occupare ogni angolo del paese, anche i giapponesi decisero di rinunciare definitivamente ai loro obbiettivi.

Più complessa fu l'evacuazione delle truppe alleate, in particolare britanniche, presenti ad

Archangel'sk e Murmansk, dove la loro presenza politica era molto rilevante, e le loro forze vennero effettivamente impiegate in scontri armati contro i bolscevichi. In sostituzione dell'avventato generale Poole, Londra nominò come comandante delle truppe alleate sul fronte settentrionale il generale Ironside. A differenza del suo predecessore, Ironside non progettò alcuna offensiva su vasta scala, avventata e contraria alle disposizioni ufficiali, ma si occupò essenzialmente del

benessere e della sicurezza dei suoi soldati. Egli ritirò le truppe schierate nel profondo entroterra da Poole, appostandole in posizione difensiva nei pressi di Archangel'sk, consapevole che nessuna offensiva da parte sua avrebbe portato a risultati importanti. Con l'andare del tempo, il morale delle truppe alleate finì comunque per peggiorare: l'impossibilità di collegarsi con le forze di Kolčak a oriente, la mancanza di indicazioni chiare da parte dei loro governi e di obbiettivi precisi, resero i soldati insofferenti. A pesare sul loro morale erano anche il freddo polare, le difficoltà negli approvvigionamenti, la noia e le malattie235. La situazione peggiorò con la fine della Prima guerra

mondiale, che portò molti uomini a chiedere di essere rimpatriati il prima possibile236.

Alla fine, nel febbraio 1919, alcune unità inglesi e francesi si ribellarono ai loro comandanti. Con il disgelo primaverile, i porti artici tornarono ad essere agibili, e gli alleati resero nota la loro decisione di evacuare i propri militari. Tra le personalità alleate che più si opposero al disimpegno in Russia vi fu il ministro della guerra britannico Winston Churchill, che, da fervente interventista, esortò il suo governo a continuare a sostenere i bianchi contro i bolscevichi237.

L'esistenza stessa della controrivoluzione bianca nel nord della Russia era dovuta in gran parte agli sbarchi alleati ad Archangel'sk, iniziati il 2 agosto 1918: la popolazione locale diede loro il

benvenuto, e li aiutò ad allontanare i bolscevichi dalla città e dalla regione, ripristinando gli organi di autogoverno locale che i rossi avevano abolito238.

Grazie alla protezione alleata, il potere passò alla Suprema Amministrazione della regione del nord, un governo formato da sei social-rivoluzionari e due cadetti, quasi tutti ex deputati alla Costituente, guidati dal socialista Čajkovskij. Contrari alle politiche liberali e di stampo socialista del governo, alcuni militari, guidati dal generale Čaplin, comandante delle forze armate bianche del nord, tentarono un colpo di stato, nel corso del quale i ministri del governo di Čajkovskij furono arrestati e imprigionati nel monastero delle lontane isole Solovki.

La popolazione locale era però contraria al colpo di stato, e gli alleati costrinsero Čaplin a dimettersi. Venne creato un nuovo Governo Provvisorio della regione del nord, formato in maggioranza da cadetti e nel quale i socialisti rivoluzionari non contavano neanche un

rappresentante, anche se alla sua testa venne richiamato Čajkovskij. Nell'aprile 1919, il governo si sottomise all'autorità di Kolčak239, Capo Supremo dei russi bianchi, ma una serie di sommosse

filobolsceviche nell'esercito mise in difficoltà il Governo Provvisorio, e spinse gli inglesi a decidere per l'evacuazione, che venne portata a termine nel mese di ottobre.

Con il loro ritiro, la situazione nella regione del nord si fece sempre più difficile: il 19 ottobre Kolčak sciolse il governo, ritenuto inaffidabile, nominando il generale Miller governatore generale con poteri dittatoriali, che egli utilizzò per schiacciare l'opposizione socialista.

L'esercito di Miller, tuttavia, pur arrivando a contare le 50.000 unità, una cifra notevole per un

234 Lincoln, cit., pag. 235

235 Tra le quali il tifo, il colera, e l'influenza spagnola, che causò numerose vittime. 236 Lincoln, ivi, pagg. 244-245

237 Lincoln, ivi, pag. 247

238 Ljudmila Novikova, La «controrivoluzione» in provincia: movimento bianco e guerra civile nella Russia del nord, 1917-1920, Viella, Roma 2015, pagg. 278-279

239 A ulteriore dimostrazione delle difficoltà quasi insormontabili che i bianchi di Archangel'sk e della Siberia avrebbero dovuto affrontare nel tentativo di congiungere i loro fronti, ad Omsk, la notizia del riconoscimento di Kolčak come Capo Supremo da parte di Archangel'sk giunse soltanto dopo due mesi e mezzo.

territorio remoto e poco popoloso, non fu in grado di reggere l'urto dell'Armata Rossa, ormai vittoriosa su tutti i fronti: il 20 febbraio 1920 i bolscevichi entrarono ad Archangel'sk, mentre ciò che rimaneva del governo e dell'esercito bianco del nord furono evacuati in Norvegia.

Già nel novembre 1919, il primo ministro britannico Lloyd George aveva suggerito agli alleati l'idea di sostituire alla politica di intervento quella della quarantena, normalizzando i rapporti con la Russia sovietica, ma isolandola al di là di un cordone sanitario di stati, tra i quali la Polonia240.

L'opinione pubblica e le alte sfere militari premevano, dopo anni di guerra, per la smobilitazione generale, e nei paesi europei del dopoguerra, che ancora portavano i segni delle devastazioni subite, c'era un gran bisogno delle materie prime russe, da utilizzare nel processo di ricostruzione.

Vista la vittoria, ormai ineluttabile, dei bolscevichi, era quindi necessario accettare il fatto

compiuto, inglobando i sovietici nell'arena politico-economica internazionale con mezzi pacifici e scoraggiando gli stati confinanti con la Russia dall'intraprendere azioni militari offensive contro i bolscevichi. Dopo la sospensione, a metà gennaio del 1920, del blocco economico contro i bolscevichi, questi ultimi poterono avviare le trattative per la stipulazione di una serie di trattati e accordi economici con i paesi occidentali, a cominciare dal trattato commerciale anglo-sovietico del marzo 1921241.

Nel novembre 1918, dopo secoli di dominazione straniera, tra cui quella russa, la Polonia riconquistò l'indipendenza. Il maresciallo Józef Piłsudski assunse il comando della ricostituita repubblica polacca, facendosi portavoce di un nazionalismo che si richiamava all'antica

Confederazione polacco-lituana del XVII secolo: il sogno di Piłsudski era di ricreare, approfittando della debolezza della Russia rivoluzionaria, quella grande unione di popoli, inglobando nella nuova Polonia le terre lituane, rutene e ucraine, e collegando il Mar Baltico al Mar Nero.

Fin da subito, i territori occidentali dell'ex impero zarista furono teatro di una serie di brevi scontri intermittenti di piccola entità tra le forze polacche e quelle bolsceviche.

Ma, nel luglio 1919, i polacchi diedero il via ad un'offensiva che costrinse i bolscevichi,

contemporaneamente impegnati ad est e a sud contro Kolčak e Denikin, ad abbandonare alcune importanti città, tra cui Minsk e Leopoli. Piłsudski non aveva però risorse sufficienti per continuare ad avanzare in territorio russo: temendo che gli alleati potessero assegnare ai bianchi, nel caso questi fossero riusciti ad occupare Mosca, i territori recentemente occupati dalle sue truppe, Piłsudski tentò di scendere a patti coi bolscevichi, per preservare le nuove frontiere polacche242.

La Polonia e la Russia sovietica giunsero ad un armistizio, che permise ai polacchi di mantenere i territori occupati, mentre i rossi, dal canto loro, evitarono una possibile alleanza tra Piłsudski e Denikin che li avrebbe messi senz'altro in grave difficoltà.

Nonostante il cessate il fuoco, la Polonia non ridusse il quantitativo di truppe schierate nei territori di nuova acquisizione. Le difese orientali dovevano rimanere forti ed integre, poiché l'esistenza alle sue frontiere di un forte stato russo, bianco o rosso che fosse, avrebbe costituito un pericolo per le Polonia e per i suoi progetti espansionistici. I polacchi potevano solo sperare che la guerra civile indebolisse entrambe le parti, in modo tale da poter approfittare appieno della debolezza dello stato russo che sarebbe sorto alla fine del conflitto243. A metà dicembre, sostenendo che il cessate il fuoco

altro non fosse che un accordo temporaneo, i polacchi sospesero i negoziati di pace.

Piłsudski si mosse alla ricerca di alleati da contrapporre all'Armata Rossa, e che lo aiutassero a mantenere il controllo dei territori orientali, trovando un sostegno nel nazionalista ucraino Petljura, rifugiatosi in Polonia con i suoi fedelissimi dopo la conquista bolscevica dell'Ucraina.

Nell'aprile del 1920, il governo polacco strinse quindi una serie di accordi con Petljura, riconosciuto capo di stato in esilio di una repubblica ucraina indipendente, che avrebbe però dovuto sottoporre la