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Comunità, individuo, società

Capitolo 2. Il pubblico: uno spazio a geometria variabile

2.4. Comunità, individuo, società

Per chiarire appieno cosa si debba intendere quando utilizziamo la parola ‘pubblico’, ed essere pienamente consapevoli delle possibili problematicità ermeneutiche del concetto, è necessario svolgere ancora tre ordini di considerazioni: la prima riguarda la distinzione sociologica tra società e comunità, la seconda il problema ontologico e gnoseologico degli universali, la terza l’idea filosofica di ragione pubblica. Dedicherò questo e i prossimi due paragrafi proprio a queste tre importanti questioni.

Nei diversi brani richiamati finora, si sono trovati spesso dei riferimenti alla società politica e alla comunità politica; si è parlato di società civile, di comunità domestica o statale. Occorre

struttura interna e permettere istituzionalmente l’esercizio della democrazia all’interno del partito o dell’associazione – sopprimere perciò ogni ostacolo alla comunicazione e al pubblico dibattito” (ibidem, di seguito).

107 Ad esempio, per una disamina delle diverse teorie massmediologiche che cercano di interpretare le relazioni

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a questo punto chiarire una volta per tutte questo problema terminologico, poiché i due termini ‘società’ e ‘comunità’ non possono essere usati intercambiabilmente.

Una importante idealtipica distinzione tra i due concetti è quella di Ferdinand Tönnies (1887), il quale fa risalire le relazioni tra gli individui a due diversi tipi di volontà psicologiche: la volontà organica (Wesenwille) e la volontà riflessa (Kurwille). La prima, di carattere “naturale” (legata cioè a fattori biologici), tende a informare le relazioni di comunità (Gemeinschaft), mentre la seconda, di carattere “artificiale”, informa le relazioni di società (Gesellschaft), fatte di calcolo e di “interessi”. La comunità, per Tönnies, sarebbe insomma formata da persone unite da legami “naturali”, che derivano principilmente da tre elementi: la comunità di sangue (famiglia, clan), la comunità di luogo (data dalla contiguità fisica, ad esempio un villaggio rurale), la comunità spirituale (fondata sull’unanimità di “sentimenti”, ad esempio gruppi religiosi108 e “nazioni”). La società, al contrario, vede il predominio delle relazioni basate su interessi individuali109 e su calcoli “razionali”: l’istituto più tipico di una società è il contratto, grazie al quale si instaura una relazione “artificiale” basata su reciproci interessi. Il sociologo tedesco, tra l’altro, interpreta la stessa storia dell’Europa come un passaggio dalla prevalenza di relazioni comunitarie (nell’antichità e nel Medioevo) a quella di relazioni societarie (tipiche dell’era industriale moderna e contemporanea).

Ora, la sociologia ha abbondantemente superato l’impostazione tönniesiana, e non è necessario entrare qui nel dettaglio della questione110: è importante, tuttavia, cogliere la rilevanza semantica della distinzione, perché presenta notevoli conseguenze, sul piano della teoria politica, nell’individuazione della portata del “pubblico” e nella opposizione che da ultimo, ma nell’alveo di una discussione plurisecolare, si instaura tra paradigma liberale individualista e paradigma comunitarista.

In breve, si può dire che il concetto di comunità si basa su una dimensione identitaria di appartenenza (praticamente involontaria, perché vi si accede per nascita, con la parziale e significativa eccezione della comunità religiosa o “di sentimento”), mentre quello di società su una dimensione volontaria (“arbitraria”) di carattere associativo strumentale. Quale dei due concetti va quindi utilizzato a proposito dell’aggregazione politica e della definizione del pubblico?

Nella storia delle dottrine politiche, sono stati usati entrambi a seconda delle diverse concezioni della politica stessa: da una parte si trovano coloro che hanno sposato visioni basate sull’idea di razza, di nazione, di civiltà religiose, e che quindi si sono basati fortemente

108 Come si intuisce l’inserimento del gruppo religioso all’interno delle relazioni comunitarie presenta notevoli

problemi di intepretazione perché alquanto differente rispetto alla definizione generale di Gemeinschaft, sebbene proprio la “comunità di spirito” venga considerata “la forma propriamente umana e più elevata di comunità” (1887, 57-58).

109 In questo caso Tönnies usa il termine ‘interesse’ nella sua accezione materiale economica.

110 Tra l’altro, come scrive Valentina Pazé, “l’originalità di Tönnies nel concepire l’antitesi tra due opposte

modalità del vivere associato, naturale e organica la prima, artificiale e meccanica la seconda, è assai relativa. Ben prima di lui era stato Hobbes a innovare radicalmente il paradigma corrente della filosofia politica, spezzando il nesso di continuità che legava da secoli la società naturale (la famiglia) allo Stato” (2002, 9).

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sul concetto di comunità111; dall’altra, invece, vi sono coloro che hanno visto la realtà politica come la realizzazione di un contratto volontario tra individui o semplicemente come il disegno più o meno razionale di un metodo di convivenza basato sull’idea di una maggiore o minore libertà individuale.

La questione tocca il problema della definizione del pubblico perché coinvolge la stessa concezione dell’aggregazione politica e dello Stato (il pubblico, quindi, in ciò che ho chiamato le sue accezioni “soggettive”, riferendomi alla collettività sociale e alle istituzioni statali).

Quando parliamo, insomma, dello Stato e dell’aggregazione politica, parliamo di una comunità o di una società?

Per fare un po’ di chiarezza e rendere il ragionamento più limpido, proverei a fare una grande distinzione tra le due diverse linee filosofiche richiamate poco fa: la prima è quella che vede lo Stato e in generale l’aggregazione politica come l’estensione “naturale” (conforme, cioè, ad un supposto “ordine naturale”112) delle primarie comunità d’appartenenza, vale a dire famiglie e tribù; secondo tale linea filosofica non v’è soluzione di continuità tra la più piccola cellula comunitaria (la famiglia) e il più grande organismo statale (composto da quelle cellule) della comunità statale. Questa è la linea filosofica che, a grandi linee, può annoverare tra le sue fila Platone113, Aristotele114, gli scolastici, fino ad arrivare a Jean Bodin115.

La faccenda si complica, infatti, solo nell’epoca moderna: Aristotele non poteva neanche concepire definitamente la dicotomia in questione perché nella realtà storica della città-stato greca la koinwn…a politik» era naturalmente una Gemeinschaft, e da questo deriva anche la sua definizione dell’uomo come “ζῷον πολιτικόν” (richiamata al paragrafo 2.3.1). Il

111 Il concetto di comunità, invero, al di là di costruzioni romantiche o ideologiche, appare piuttosto debole. A

meno di accettare pretenziose quanto labili equivalenze riguardanti identità statuali o religiose, o anche regionali o familiari, sembra evidente riconoscere nel comunitarismo (la visione filosofica edificata proprio sul concetto di comunità) una “concezione organicistica, premoderna e antimoderna della vita sociale”, dagli “effetti deformanti e falsificanti” (Bovero 2002, VII). Sul tema vedi: Pazé (2002), che fa una completa disamina della teoria comunitarista, mettendo in luce quanto in realtà non si tratti di una teoria unica e coerente, ma più che altro di un gruppo “camaleontico: tende a sfuggire, a trasformarsi, ad assumere sembianze e funzioni diverse a seconda del contesto entro cui compare” (p. 20); Sartori (2000), che si sofferma sull’aspetto concreto dell’integrazione come concepita nella sua versione liberale o nella sua versione comunitarista-multiculturale; sull’aspetto storico della definizione dell’identità (ad esempio quella nazionale) vedi invece l’illuminante The Invention of Tradition, a cura di Eric Hobsbawm e Terence Ranger (1983).

112 Sull’idea di natura vedi par. 3.7.

113 In verità Platone, nella Repubblica, traccia i lineamenti del suo Stato non a partire da singole famiglie, ma

concependo la Repubblica stessa come una grande famiglia (svezzamento ed educazione dei figli stessi sono compiti sottratti ai genitori e affidati direttamente alla Repubblica; vedi Libro V, 461d-464b).

114 “Ogni Stato è una comunità” scrive Aristotele nel I Libro della Politica, usando i termini “polij” e

“koinwn…a”; vedi par. 2.4.

115 Il quale, proprio all’inizio del suo Les six livres de la République, scrive: “République est un droit

gouvernement de plusieurs ménages, et de ce qui leur est commun, avec puissance souveraine” (1576, Premier Livre, Chapitre I), laddove per ‘ménages’ intende esattamente le “unità familiari”.

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problema poteva forse già porsi, tuttavia, per quanto riguarda la civitas romana, che nel periodo imperiale associava l’uniformità del sistema giuridico e delle istituzioni di governo centrali ad una infinita varietà di luoghi, costumi, lingue, culti diversi, anche se non sembrano esserci studi particolari a questo proposito.

La seconda linea filosofica, allora, è quella che sposa una visione della città politica e dello Stato non più fondata sull’unione di famiglie o tribù, ma sull’unione - o meglio, l’associazione – di singoli individui, che diventano cittadini della società politica, e non più membri di una comunità naturale.

Un passaggio filosofico fondamentale, in effetti, per la nascita del concetto stesso di società, è dato proprio dal concepimento dell’idea di individuo. Si è già parlato nei paragrafi precedenti del concetto di società civile; è con Thomas Hobbes che sia lo Stato che la società civile cambiano radicalmente fondazione, poiché il filosofo inglese pone per entrambi, per la prima volta, il fondamento dell’individuo, portatore nella sua singolarità di diritti naturali, costituendo tra l’altro una versione del giusnaturalismo assai diversa rispetto a quella antica e tomistica precedente.

La “naturalità”, come attributo di ciò che viene concepito come rispondente a “un ordine naturale”, si sposta dalla comunità pensata organicamente verso il piano di una legge che si applica direttamente ai singoli individui, senza alcuna mediazione. In questo senso Hobbes scrive

The right of nature, which writers commonly call jus naturale, is the liberty each man hath, to use his own power, as he will himself, for the preservation of his own nature […]. [Thomas Hobbes (1651), Leviathan, or The Matter, Forme and Power of a

Commonwealth Ecclesiasticall and Civil, chapter 14]

Each man. È questo il passaggio fondamentale. L’individuo incomincia ad essere il portatore

di diritti come singolo. Da una parte, dunque, lo Stato si dà solo in quanto unione di singoli che formano il grande Leviatano; dall’altra, lo stesso Leviatano non è più un difensor pacis come in Marsilio da Padova, ma un creator pacis, secondo un ordine esclusivamente terreno e “artificiale” (Marramao 2000).

Il fondamento individualistico sarà, d’ora in poi, un riferimento costante delle principali visioni politiche moderne di stampo liberale, da Locke a Rawls passando per Kant e Popper. Nei secoli seguenti, ad ogni modo, il termine ‘comunità’ continua ad essere impiegato per riferirsi alle più eterogenee realtà: comunità cittadina, comunità nazionale, comunità religiosa, comunità scientifica.

Quanto occorre, allora, mettere in evidenza è, da una parte, il fatto che il concetto di comunità presenta una notevole proteiformità, che rende euristicamente debole qualsiasi approccio fondato su di esso. Difatti, “è raro che l’idea di comunità compaia isolatamente, non accompagnata da un termine antitetico che getti luce sul suo significato. Si tratta, in effetti, di una nozione che è stata usata nell’età moderna con intenti prevalentemente polemici, il cui significato dipende in gran parte dall’identità dell’avversario contro il quale viene chiamata in campo” (Pazé 2002, 13-14).

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Dall’altra, è sufficiente qui constatare il fatto che la dimensione del “pubblico”, in tutte e tre le sue nozioni individuate all’inizio del capitolo, si potrà riferire, a seconda dei diversi autori, a ciò che appartiene alla realtà statale e collettiva nel loro configurarsi come espressioni societarie o comunitarie, laddove nel primo caso (società) vi sarà un’accentuazione maggiore del fondamento individuale e dell’elemento volontaristico, mentre nel secondo caso (comunità) prevarrà un’impostazione ab imis super-individuale e di natura organicista116. Il riferimento alla comunità politica, da questo punto di vista, non chiarisce il problema, perché se anche seguissimo, ad esempio, Cassinelli quando scrive che nell’espressione ‘interesse pubblico’ la parola “‘public’ means that the ethical value in teh standard of the public interest applies to every member of the political community” (Cassinelli 1962, 46), non potremmo collocare con esattezza i confini di tale political community: si tratta della popolazione di uno Stato, di cittadini, dei residenti? Che ruolo avrebbero in tale quadro, solo per fare un esempio, immigrati e non-cittadini? Sono da considerare parte della comunità politica anche le generazioni future? Da questo punto di vista, il termine ‘comunità’ non fa che creare problemi e incertezze.

Nel dibattito contemporaneo, per opporsi al contrattualismo rawlsiano e alla concezione liberale di carattere universalista della società politica, il concetto di comunità ha ripreso vigore, ripescando i fili di quella linea filosofica “comunitaria” che era stata interrotta da Hobbes. Quella stessa linea filosofica, infatti, può ora riferirsi, sebbene con sfumature e presupposti diversi rispetto ai nomi evocati prima, ai filosofi dell’approccio comunitarista quali Alasdair MacIntyre, Charles Taylor o Michael Sandel. Come scrive Nadia Urbinati, questi ultimi “hanno usato il termine ‘comunità’ in senso alternativo a quello di ‘associazione’ per denotare un mondo di valori esistente indipendentemente dalla volontà e dalla scelta razionale degli individui. Le ‘comunità’ sono corpi di tradizioni etniche, linguistiche, religiose e culturali all’interno dei quali l’individuo è situato e acquista coscienza di sé, dei propri doveri e dei fini ai quali conformare le proprie scelte. Fuori della comunità non ci sono che individui astratti, entità impersonali dello stato di diritto, fruitori dello stato sociale e operatori del mercato” (Urbinati 1990, 144).

Quella di concepire, in definitiva, lo Stato e l’aggregazione politica in termini comunitari oppure societari è una scelta concettuale e filosofica che è presa dai diversi autori in base alla propria visione della politica, del pubblico, e che produce – come vedremo – idee dell’Interesse Pubblico assai differenti.

116 In realtà, una differente interpretazione generica della dicotomia è possibile, attraverso la riduzione

soggettivistica di entrambe le categorie: è quanto fa Max Weber quando associa l’idea di comunità all’azione affettiva o tradizionale e quella di società all’azione razionale rispetto al valore o allo scopo, tutte e quattro, come è noto, intese in senso soggettivo dall’attore sociale. Tanto che la stessa relazione amorosa è concepita dal sociologo tedesco come una comunità. “Una relazione sociale deve essere definita ‘comunità’ se, e nella misura in cui la disposizione dell’agire sociale poggia – nel caso singolo o in media o nel tipo puro – su una comune appartenenza soggettivamente sentita (affettiva o tradizionale) degli individui che ad essa partecipano. Una relazione sociale deve essere definita ‘associazione’ se, e nella misura in cui la disposizione dell’agire sociale poggia su una identità di interessi, oppure su un legame di interessi motivato razionalmente (rispetto al valore o rispetto allo scopo)” (Weber 1922, 38).

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