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Osservazioni sulle distinzioni analizzate

Capitolo 3. Concetto e concezioni di Interesse Pubblico

3.4. Le concezioni individuate fino ad oggi e la letteratura sul concetto

3.4.5. Osservazioni sulle distinzioni analizzate

I modi in cui gli autori qui considerati hanno distinto concezioni diverse dell’Interesse Pubblico, come è possibile constatare, sono differenti. Si tratta – è bene ribadirlo – di distinzioni tra concezioni possibili che tali autori hanno individuato per distinguere dei significati profondamente diversi usati, nella storia della teoria politica, per descrivere che cosa sia l’Interesse Pubblico. Siamo, insomma, ad un livello terzo (come grado) di analisi rispetto alla questione: ad un primo livello si collocano, infatti, i diversi autori, filosofofi, studiosi, che dall’antichità fino ad oggi hanno in qualche modo trattato dell’idea di Interesse Pubblico (magari anche prima che tale idea avesse propriamente questo nome, anche solo implicitamente); ad un secondo livello di analisi si collocano gli studiosi che (come si è detto, più o meno negli ultimi settanta anni) hanno cercato di dare conto delle diverse interpretazioni del concetto stesso, distinguendo vere e proprie concezioni differenti del concetto, e cercando di costruire dei modelli (approssimativamente classificatori o tipologici) di tali concezioni; ad un terzo livello si collocano invece coloro che cercano, come fa Box (2007) o come si sta

174 Box identifica la prima prospettiva con la visione repubblicana comunitaria, la seconda con la visione

repubblicana liberale, mentre la terza si baserebbe sull’idea di cittadini informati che riescono a raggiungere dei compromessi. Sebbene sembri dimostrare una preferenza per questa terza prospettiva, lo studioso americano mette anche in evidenza notevoli problemi, quali il fatto che i cittadini possano essere effettivamente informati, che ci possano essere dei cambiamenti delle preferenze nel tempo, nonché il fatto che cittadini più potenti o influenti possano comunque condizionare il processo di decision-making stesso.

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facendo in questo paragrafo, di analizzare e criticare i modelli costruiti per distinguere le diverse concezioni.

Continuando allora il discorso, si può affermare che le distinzioni analizzate presentano determinate ricorrenze così come ampie divergenze tra loro Le ricorrenze consistono nell’individuazione di alcune polarità costanti tra le diverse concezioni: in primis è ovunque (negli autori considerati) presente una concezione “forte” dell’Interesse Pubblico, caratterizzata da un elevato grado di idealismo e di contenuto etico al suo interno, più o meno sul modello repubblicano platonico. Tale appare essere il riferimento del platonismo amministrativo di Schubert, la normative conception of public order di Leys e Perry, l’Interesse Superiore di saggezza rispetto agli interessi contrastanti di Sorauf, la concezione platonico-aristotelica di Niemeyer, la concezione normativa di Cochran o la prospettiva sostantiva di Box.

Altrettanto presente, anche se con articolazioni differenti, è una concezione pluralista, di stampo liberale, per cui o si nega del tutto la validità del concetto di Interesse Pubblico oppure si dice che esso sia fondato sull’aggregazione degli interessi particolari: tali sono il realismo amministrativo di Schubert, la concezione utilitarista o aggregazionista di Leys e Perry, l’equilibrio di interessi di Sorauf, la concezione liberale di Niemeyer, la concezione abolizionista di Cochran e quella aggregativa di Box.

Questi due particolari tipi di concezioni (potremmo chiamarle per il momento sostantiva e aggregativa) sono individuate insomma dalla totalità degli autori considerati.

Alcuni hanno poi delineato un’altra concezione, anch’essa ricorrente anche se in misura minore rispetto alle due appena considerate: si tratta di una concezione di processo, o procedurale, per cui l’Interesse Pubblico non sarebbe né un’idea sostantiva della “buona società” né il risultato dell’aggregazione di interessi particolari, ma il processo stesso attraverso cui gli interessi particolari si aggregano, ovvero le forme del processo decisionale più che le decisioni che da esso derivano.

A una concezione di questo tipo fanno riferimento Leys e Perry quando descrivono la concezione delle proper procedures, e Cochran e Box quando parlano di concezione di processo.

Ora, si è già detto che, nonostante molti degli autori qui trattati abbiano usato, per distinguere le varie concezioni, i termini ‘tipologia’ o ‘classificazione’, non è possibile metodologicamente avallare l’uso di tali termini nei casi in questione, perché in nessun caso vengono forniti né un singolo criterio in grado di costruire classi differenziate, né tantomeno una serie di criteri combinati che giustifichino e spieghino le differenze tra tipi diversi di concezioni (vedi Marradi 1993).

Oltre a quest’osservazione di natura onomastica, nessuna delle distinzioni analizzate sembra essere pienamente convincente, per tre ordini di ragioni.

La prima ragione è che in alcuni casi (ad esempio nell’analisi di Leys e Perry, o in quella di Cochran) si possono scorgere vaste e indefinite aree di sovrapposizione tra concezioni che vengono considerate differenti. Non si comprende, infatti, in che modo Leys e Perry riescano a distinguere il significato 1.B (formal meaning, pluralistic conception) dal significato 2.B.ii (substantive meaning, proper procedures, pluralistic conceptions), oppure come Sorauf distingua la categoria dell’Interesse Pubblico come Interesse Superiore di saggezza rispetto

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agli interessi contrastanti da quella dell’Interesse Pubblico come Imperativo Morale, oppure come Cochran separi la sua concezione abolizionista da quella consensualista. Il problema sarebbe, insomma, quello dell’esclusività delle categorie (il fatto cioè che una certa dottrina politica debba ricadere in una e una sola delle categorie, ed essere esclusa da tutte le altre). La seconda ragione è che in altri casi il problema non è la sovrapposizione tra concezioni differenti, ma la mancata copertura concettuale di alcune concezioni possibili all’interno dei modelli elaborati. In questo caso si tratta della non esaustività delle distinzioni proposte (vale a dire che, in linea almeno di principio, sia possibile collocare ogni eventuale dottrina politica all’interno di una delle categorie, e che nessuna di esse ne rimanga esclusa). Tale è, per esempio, il problema dello schema di Sorauf, che non prevede alcuna concezione “formalista” (per cui Interesse Pubblico sarebbe per definizione qualsiasi azione messa in atto dal sovrano, secondo quanto già rilevato dalla prima concezione di Leys e Perry)175; stesso difetto si può trovare negli schemi di Niemeyer o di Box.

La terza ragione non è di carattere metodologico come le due precedenti, ed ha una natura filosofica maggiormente complessa. Si tratta dell’inadeguata comprensione teoretica delle due concezioni secondo cui l’Interesse Pubblico non esiste oppure consiste nell’aggregazione degli interessi particolari. Queste due concezioni sono state spesso trattate come equivalenti, secondo il ragionamento per cui l’Interesse Pubblico è un concetto etico-normativo, che fa riferimento a ciò che è bene per l’intera società / comunità: “the public interest would consist of those government actions that most benefited the whole society” scrive Anthony Downs (1962, 2). Perciò, adottando un percorso analitico dicotomico del tipo fondazionismo / antifondazionismo176 (o anche semplicemente olismo / individualismo, di cui si è già detto nel capitolo precedente), si conclude che l’unica alternativa praticabile al fondazionismo intrinsecamente presupposto dal concetto di Interesse Pubblico sia quella della negazione della validità del concetto, e quindi, sul piano della teoria politica, della valorizzazione liberale degli interessi particolari.

Questo è il filo teoretico che lega molti dei contributi a cui si è accennato finora, soprattutto quelli dei teorici liberali e democratici, preoccupati dal pericolo antidemocratico che è possibile scorgere sotto il mantello dell’Interesse Pubblico nella sua veste sostantiva.

Tuttavia, come si potrà comprendere meglio nei prossimi paragrafi, tale ragionamento non appare convincente, e questo costituisce la terza ragione in base alla quale le distinzioni elaborate finora non appaiono condivisibili.

Dire che l’Interesse Pubblico non esiste ha implicazioni assai diverse rispetto al dire che esso è costituito dall’aggregazione degli interessi particolari; vanno dunque distinte qui due diverse concezioni: una realista, secondo cui l’Interesse Pubblico non esiste o è un concetto insensato, e una aggregativa, secondo la quale l’Interesse Pubblico consiste, appunto, nell’aggregazione degli interessi particolari (prestando ulteriore attenzione, fra l’altro, al

175 Sebbene Sorauf usi forse l’espediente di una categoria residuale, a dire il vero difficilmente sostenibile, cioè

quella dell’Interesse Pubblico come concetto indefinito (“a political je ne sais quoi”; vedi Sorauf 1957, 623). Qualcosa di simile fa anche Cochran con la sua concezione consensualista.

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modo in cui si svolge tale aggregazione). Se la concezione realista è definibile in termini netti e semplici, e tra l’altro sembra presentare il vantaggio di poter sfruttare un approccio avaloriale e scientifico (secondo le Wertfreiheit weberiana) dedito alla sola analisi descrittiva della realtà (fiore all’occhiello di tutti i politologi della “politics of interests” di cui parla Benn), lo stesso non può dirsi per la concezione aggregativa. Infatti, la concezione aggregativa, al di là dei semplicismi dicotomici di cui si è detto, ha molto più in comune con la concezione “sostantiva” o “forte” dell’Interesse Pubblico di quanto non appaia ad uno sguardo disattento. Approfondirò questo aspetto nel paragrafo seguente.

Prima di proseguire, vale la pena di rilevare un ultimo punto: oltre all’individuazione di diverse concezioni, è possibile secondo alcuni fare riferimento a diverse funzioni svolte dal concetto di Interesse Pubblico. Tale è l’indicazione fornita da Downs (1962), ripresa anche da Box (2007, 586), per cui il concetto, al di là di una problematica ed evidente ambiguità e plurivocità semantica, continuerebbe ad essere così presente nel lessico politico in quanto rispondente a diverse funzioni, allo stesso modo di altri concetti (“love, justice”, etc...) importanti nella vita sociale anche se altrettanto difficilmente definibili (Downs 1962, 2). Tali funzioni, per Downs, sono:

First, it serves as a device by which individual citizens can judge government actions and communicate their judgements to one another.

Second, since the concept implies that there is one common good for all members of society, transcending the good of any one member, appeals to the public interest can be used to coopt or to placate persons who are required by government policy to act against their own immediate interests.

Third, the concept serves as a guide to and a check on public officials who are faced with decisions regarding public policy but have no unequivocal instructions from the electorate or their superiors regarding what actions to take.

[Anthony Downs (1962), The Public Interest: Its Meaning in a Democracy, p. 4]

Sicuramente una prospettiva che meriterebbe di essere ulteriormente approfondita, ovviamente in altra sede, potrebbe essere proprio quella offerta da uno studio empirico dell’uso dell’espressione ‘Interesse Pubblico’ nell’arena politica, attraverso l’analisi dei tòpoi retorici che la vedono protagonista o delle situazioni in cui viene usata, approfondendo appunto l’aspetto funzionale riportato da Downs.

Tuttavia, quanto qui ci interessa in via principale, come premesso, non è l’analisi retorica o funzionale, quanto invece l’analisi filosofico-teoretica; per questo, una volta passata in rassegna la letteratura specifica sul concetto, possiamo tentare nei prossimi paragrafi di dare qualche risposta alle innumerevoli perplessità e alle importanti questioni emerse fino ad ora.

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