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I quattro dualismi alla luce delle dottrine considerate

Capitolo 1. Un’analisi semantica del concetto di interesse

1.14. I quattro dualismi alla luce delle dottrine considerate

Ricapitoliamo, allora, i passaggi della nostra analisi, e facciamo il punto sui problemi lasciati in sospeso nella concettualizzazione dell’interesse.

Ho affermato, all’inizio del capitolo, che la storia del concetto di interesse è legata a quattro dicotomie semantiche fondamentali (e agli altrettanti dualismi che ne derivano), e che queste

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quattro dicotomie (o almeno tre di esse) sono responsabili dell’ambiguità fondamentale che connota il termine ‘interesse’. Il fatto che queste dicotomie presentino vaste aree di sovrapposizione e di interconnessione non aiuta certo a dipanare il problema; ma andiamo con ordine.

Le quattro dicotomie individuate erano: 1. danno / vantaggio;

2. interesse oggettivamente dato / soggettivamente inteso; 3. materialità / immaterialità;

4. piano individuale / collettivo.

Abbiamo visto come l’idea di interesse nasca nel contesto economico già nell’antichità, e si sviluppi – accompagnato dal primo dualismo – nel corso del Medioevo con il duplice significato di ‘danno / vantaggio’. Soprattutto dal XVI secolo, tuttavia, sopravvive solo questo secondo significato di ‘vantaggio, utilità, tornaconto’53, e pertanto almeno nei secoli successivi, sul piano terminologico, la prima dicotomia non pone particolari problemi.

Dando allora per assodato il significato di ‘interesse’ come ‘vantaggio’, si pone la seconda più difficile questione: parliamo di un vantaggio effettivo e oggettivamente definibile o di un vantaggio percepito come tale, e quindi soggettivamente inteso? Ora, entrano qui in gioco delle argomentazioni di carattere ontologico, gnoseologico e politico della massima importanza.

L’ontologo, infatti, è portato a chiedere: un interesse esiste indipendentemente dal fatto che venga percepito, e, in un certo senso, pre-esiste all’individuo portatore dell’interesse stesso, oppure no?

Lo gnoseologo, subito dopo, seguirebbe chiedendo: in che modo è dunque possibile conoscere il proprio vero interesse e non lasciarsi ingannare dalle ombre della percezione?

E il pensatore politico potrebbe chiedere a sua volta: è possibile e giusto imporre a qualcuno di seguire il suo vero interesse, anche al di là della propria (e spesso fallace) percezione immediata?

Nei brani citati nelle pagine precedenti, a ben vedere, è possibile scorgere le possibili concezioni che i diversi pensatori esibivano in merito alle questioni appena poste. Ad esempio, quando Guicciardini afferma che “la fallacia è in quegli che non conoscono bene quale sia lo interesse suo, cioè che reputano che sempre consista in qualche commodo pecuniario più che nell'onore, nel sapere mantenersi la riputazione e el buono nome”, evidentemente afferma che il vero interesse delle persone non risiede solo nei beni materiali o nella ricchezza, ma comprende anche fattori immateriali quali l’onore e la reputazione, che non sempre vengono considerati adeguatamente nel decidere la propria condotta. È quindi possibile ingannarsi a questo proposito, e perseguire un falso interesse; la risposta ai due filosofi che emerge da queste parole di Guicciardini sarebbe dunque: sì, esiste un interesse oggettivo anche al di là del fatto che venga percepito dall’individuo, e il modo per conoscerlo

53 Fatto salvo, come già detto, il primo significato di ambito tecnico-finanziario che non è mai stato messo in

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potrebbe essere quello di non guardare esclusivamente agli aspetti pecuniari o materiali, o magari di estendere il proprio sguardo al di là dell’orizzonte (o per dirla più prosaicamente, di considerare anche le conseguenze di lungo periodo, e non solo di breve).

Per rispondere al pensatore politico, invece, lo storico fiorentino direbbe probabilmente di no, che non sarebbe possibile né giusto imporre a qualcuno il proprio vero interesse, ma per argomentare avrebbe bisogno di assai più spazio di quanto non siamo qui ora disposti a prestargli54.

Non si tratta qui, infatti, di dare delle risposte alle tre domande emerse (che riaffronteremo comunque nei prossimi capitoli), quanto piuttosto di sottolineare la vastità problematica che i diversi dualismi racchiusi nel concetto di interesse sollevano.

Anche la terza dicotomia, difatti, sembra accendere, sulla scorta della seconda alla quale è in molti casi legata, importanti questioni riguardo alla natura dell’interesse. Sempre accettando il significato di vantaggio, si parla di un vantaggio materiale o immateriale? È più importante la gloria che deriva dalle nostre imprese o le ricompense e le ricchezze che ne trarremo? È preferibile seguire le orme di Achille o quelle di Agamennone? Qual è il vero interesse in questo senso?

Soprattutto l’economia e gli studi di management aziendale si sono, negli ultimi decenni, concentrati sul valore degli intangibles 55, e sul calcolo economico di aspetti immateriali quali la reputazione aziendale e le reti di relazioni, ma proprio questa concentrazione sulla misurabilità in termini economici di fattori immateriali lascia pensare che sia opinione diffusa che, quando si parla di interesse, sia l’aspetto meramente materiale in definitiva a contare (ad esempio quando si dice che “si fa qualcosa per mero interesse” oppure nell’espressione “matrimonio d’interesse”, in cui si fa riferimento precisamente all’aspetto economico- materiale della questione).

È opportuno sottolineare, comunque, che anche il dualismo materialità / immaterialità contribuisce a creare incertezze e ambiguità qualora si intenda racchiudere più precisamente il significato del termine ‘interesse’.

L’ultima dicotomia, riguardante il piano individuale o collettivo, è quella che, ai fini della nostra analisi dell’Interesse Pubblico e della prospettiva della filosofia politica, assume un’importanza fondamentale.

A seconda anche delle risposte date riguardo alle altre tre dicotomie, infatti, la collettivizzazione dell’interesse e la sua frequente ipostatizzazione producono conseguenze che sono alla base di intere dottrine politiche e teorie della legittimità.

54 Ad affrontare specificamente la questione della dicotomia interesse oggettivamente inteso / soggettivamente

percepito è Stanley I. Benn (1959-1960), il quale evidenzia come si possa parlare di veri interessi di qualcuno solo in relazione ad uno standard normativo extra-scientifico, perché ciò sarebbe altrimenti contraddittorio rispetto ai presupposti empirici su cui insisteva, ad esempio, Bentley quando affermava che l’interesse non è una qualità psicologica ma un comportamento concreto direttamente osservabile.

55 Soprattutto negli studi in merito all’Etica degli Affari e alla Corporate Social Responsibility, secondo cui,

anche al di là di motivazioni etiche, è economicamente vantaggioso adottare una prospettiva stakeholder-

oriented piuttosto che mirare ad una visione shareholder-oriented, tutta votata al profitto immediato. Vedi anche

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La domanda che si pone, quindi, è: dobbiamo considerare la categoria dell’interesse come appartenente strettamente all’individuo e alle sue ragioni (più o meno libere o insondabili), oppure come un fattore sociale che, à la Durkheim, condiziona gli stessi individui, come appartenenti a dei gruppi sociali, dall’esterno?

A seconda delle risposte che, di volta in volta, vengono date in merito alle quattro dicotomie considerate, si otterranno concezioni molto diverse di ciò che rappresenta l’interesse, e in particolare l’Interesse Pubblico. Ed è per questo che il concetto di interesse appare così sfuggente e ambiguo.

C.W. Cassinelli, ad esempio, definisce in questo modo l’interesse:

The word “interest” indicates the evaluational meaning of the standard; it refers to something we should be “interested in”, even though we may not be, and it could be replaced by “profit”, “welfare” or “benefit” (1962, 46).

Se il termine ‘evaluational’ introduce una connotazione di soggettività, la frase successiva sembra introdurre una considerazione in senso contrario, e anche gli altri termini richiamati da Cassinelli, quelli di ‘profitto’, di ‘benessere’ o ‘beneficio’ non sembrano offrire risposte univoche in merito.

In relazione a questo problema si potrebbe dire che in gioco c’è la stessa concezione filosofica dell’azione umana, e richiamare diverse trattazioni dell’antropologia filosofica, della sociologia e della prasseologia. Anche l’uso della parola ‘bene’, che spesso viene affiancata ai termini sopra richiamati, sia nel campo della filosofia morale sia in quello dell’economia, non sembra sfuggire alle obiezioni della indeterminazione e della non-irriducibilità all’individuo. Da questo punto di vista, ‘interesse’, ‘utile’, ‘bene’, ‘beneficio’, ‘benessere’, ‘tornaconto’, ‘vantaggio’ appartengono tutti allo stesso campo semantico, ed esibiscono un quid di insondabile destinato a perdersi nei meandri della soggettività e dei giudizi personali.

Ai nostri fini possiamo semplicemente riprendere la definizione di ‘interesse’ che abbiamo provato a dare nel capitolo, dando però conto anche delle possibili dicotomie insite nel concetto. Pertanto potremmo intendere l’interesse come la propensione (individuale o

collettiva) a perseguire il proprio utile, materiale o immateriale, oggettivamente definito o soggettivamente inteso.

Tale definizione, che non chiude le porte a una concezione più ampia della mera sfera economica (sulla falsariga di Guicciardini e Bentley), lascia aperta anche la questione della soggettività o oggettività di ciò che si definisce “interesse”, poiché ‘utile’ può indicare qualsiasi cosa a cui si attribuisca un qualche valore (in questo modo si comprenderebbe anche la citazione iniziale di La Rochefoucald per cui anche il disinteressato persegue un interesse

56).

Il rischio che si corre, tuttavia, se si sposa una concezione “ampia” dell’interesse (come movente che spinge verso ciò a cui si attribuisce valore) è che esso diventi il fattore causale dell’azione umana in sé, e che, quindi, spiegando qualsiasi cosa, non spieghi più alcunché.

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In effetti molti sono i legami con il problema della stessa razionalità dell’azione umana57, problema di non facile soluzione, e che sicuramente non vuole essere affrontato in questa sede.

Purtroppo il dibattito in merito sembra tutt’altro che chiuso, e sarà meglio, per non disperdersi, fare riferimento ad esso quando parleremo specificamente delle diverse concezioni dell’Interesse Pubblico.

Solo l’analisi del concetto di Interesse Pubblico, infatti, potrà chiarire più approfonditamente la portata delle dicotomie e delle questioni definitorie che qui ho cercato di discutere.

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