Capitolo 3. Concetto e concezioni di Interesse Pubblico
3.7. La concezione sostantiva L’Interesse Pubblico come sostanza
Il mistico indiano Shri Ramakrishna scrisse una volta: “La conoscenza conduce all'unità come l'ignoranza conduce alla diversità”. Sebbene egli si riferisse allo spirito religioso, una visione di questo stesso tipo anima, sul piano della filosofia politica, la concezione sostantiva dell’Interesse Pubblico. Nel concepire l’Interesse Pubblico come massima realizzazione morale del bene dell’intera società, infatti, essa pensa alla società come un tutt’uno organico, sposando così – almeno nel suo tipo puro – una visione organicista e olista della società stessa189.
A differenza delle altre quattro concezioni, la concezione sostantiva dell’Interesse Pubblico individua il fine ultimo della società intera, identificandolo con la substantia dell’Interesse Pubblico stesso (per questo è detta sostantiva). Come si è già detto, nonostante anche le altre concezioni (ad eccezione di quella realista) siano anch’esse fondamentalmente sostantive, perché basate su una scelta normativa di fondo (una substantia etica è sempre presente), la concezione sostantiva può continuare ad essere definita tale (sulla falsariga di Leys o Box) perché è quella che ha le pretese più alte in termini di conoscenza della realtà e in termini di determinazioni dei fini.
Spiegamoci meglio.
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La giustificazione alla base di ogni concezione sostantiva si basa su un elemento epistemico che intende stabilire criteri certi di conoscenza assoluta. Da tale elemento epistemico viene fatto derivare generalmente un sistema etico che pretendere di essere il migliore interprete della Verità (conoscenza), e quindi del Bene (morale).
Per questo essa si colloca nel punto più alto lungo la linea della normatività, considerando che il contenuto etico-politico delle dottrine che storicamente si identificano con questo tipo di concezione è massimo, in quanto prevede non solo un disegno costituzionale di base o dei principi fondamentali di organizzazione della società, ma declina gli stessi fini individuali in funzione della visione generale. Si può dire che essa abbia una natura monistica, perché prevede un disegno unitario preciso, radicato su un unico fondamento teoretico ed epistemico: la Verità.
In questo la frase di Ramakrishna è particolarmente calzante e assai significativa sul piano paradigmatico, perché evidenzia due elementi centrali della concezione sostantiva: essi sono l’unità, nella sua opposizione alla diversità e al conflitto, e la conoscenza, intesa come raggiungimento della Verità. L’unità tramite la Verità può essere considerata il vessillo di ogni concezione sostantiva. Il possesso della conoscenza (e quindi della Verità), infatti, si traduce naturalmente, secondo la concezione sostantiva, in una sintesi totale nella quale non c’è posto né per la diversità, né per gli individui, né per interessi di parte. La parte stessa assume un senso solo all’interno di un disegno generale della società nel suo insieme, secondo la teoria organicista classica, per cui sarebbe innaturale e insensato voler separare parti del corpo dal corpo stesso, come le braccia e lo stomaco dell’apologo di Menenio Agrippa.
Riguardo ai significati da attribuire ai due concetti di interesse e di pubblico esplorati nei primi due capitoli, la concezione sostantiva si fonda su una visione dell’interesse nel suo senso oggettivamente inteso e collettivamente concepito, e su una visione olistica del pubblico190, in cui la società, come si è detto, è un unico corpo, e in cui qualcuno è legittimato a governare e a comandare su tutti, proprio in virtù del criterio epistemico di cui sopra.
Volendo, la concezione sostantiva anima le differenti risposte che, nella storia della teoria politica, sono state pensate alla domanda posta da Platone (nella Repubblica e nel Politico) su chi debba comandare191.
Se è possibile, infatti, concepire essenzialisticamente e conoscere oggettivamente la sostanza dell’Interesse Pubblico, allora è anche coerente che tale sostanza non sia necessariamente compresa da tutti gli uomini, ma che solo alcuni (secondo i diversi criteri individuati dai vari autori) riusciranno a coglierla conquistando così un ruolo privilegiato nella definizione del disegno da dare alla società / comunità politica (nella concezione sostantiva i due termini si equivalgono, come in Aristotele); se, insomma, si abbandona la connotazione soggettivistica della definizione opposta dell’interesse (“ciò a cui si attribuisce un qualche valore”), ne
190 Tale visione del pubblico assorbe in sé tutte e tre le nozioni possibili individuate nel secondo capitolo
(soggettivo-statuale, soggettivo-sociale e oggettivo come proprietà di generalità e astrattezza): il corpo sociale e politico è un tutt’uno indissolubile.
191 Domanda indicata da Karl R. Popper come causa di tanti guai (cfr. Popper 1945), e che, tra le altre cose, ha
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consegue che l’interesse esista anche al di là della consapevolezza dell’individuo, che anzi potrà sbagliarsi sull’identità dei suoi veri interessi. È questo il senso che si cela, anche nel linguaggio comune, quando si dice di conoscere i “veri interessi di qualcuno” (vedi par. 1.14). Questo primo elemento epistemico determina allora il significato politico del pubblico, poiché la stessa società politica, lungi dall’essere composta da individui singoli che assumono il ruolo di cittadini liberi ed eguali (come invece sarà nella concezione procedurale-stipulativa e in quella aggregativa), assume l’immagine di un unico corpo, il quale può essere studiato scientificamente proprio come farebbe il fisiologo (o un patologo, a seconda delle circostanze), e che, nel proprio indirizzo politico, fa svolgere funzioni differenti alle sue diverse parti, in maniera naturale, con alcuni destinati a guidare (il cervello) e altri a seguire (il resto del corpo, volendo mantenere la metafora organicista).
Capostipite della concezione sostantiva può essere considerato proprio il fondatore dell’Accademia192, poiché, una volta individuato un criterio epistemico (ovvero la conoscenza del Bene e della Verità, basata sull’επιστήμη e non sulla δόξα), egli ne fa derivare la conseguenza che solo chi incarna quel criterio e possiede, quindi, la vera conoscenza (vale a dire, per lui, i filosofi) sarà in grado di governare al meglio la società, al di là delle ombre della caverna a cui la maggioranza rimane ancora incatenata (Repubblica, Libro VII, 514a- 518b)193.
È la conoscenza, insomma, un fattore oggettivo, che rende certi uomini i governanti migliori (cioè coloro che governano nell’Interesse Pubblico). Per Platone tale fattore oggettivo è proprio la conoscenza dell’idea (iperuranica) del Bene.
Non è un caso, a tal proposito, che Schubert usi l’espressione “platonismo amministrativo” per indicare la sua categoria equivalente alla nostra concezione sostantiva dell’Interesse Pubblico.
In seguito furono Aristotele e la scuola stoica, in modi diversi, ad individuare un altro criterio epistemico, il quale troverà grande fortuna nei secoli successivi e il cui influsso perdura in molte delle dottrine riconducibili alla concezione sostantiva: si tratta dell’idea di natura e di legge naturale come fonte superiore di eticità.
Gli Stoici predicavano di vivere seguendo l’ordine razionale del mondo (il “vivere secondo natura” di Cleante di Asso, e forse ancora prima di Zenone di Cizio), poiché solo esso si trova a coincidere con la ragione divina, legge naturale della comunità umana che esprime la vera giustizia (e – in termini politici – il vero Interesse Pubblico).
Scrive Cicerone: “Vi è certo una vera legge, la retta ragione conforme a natura, diffusa fra
tutti, costante, eterna, che con il suo comando invita al dovere e con il suo divieto distoglie
dalla frode. Essa non sarà diversa a Roma o ad Atene o dall'oggi al domani, ma come unica,
192 Sebbene lo stesso Platone si evolverà nella sua posizione politica rispetto a quanto scritto nella Repubblica,
opera alla quale qui ci riferiamo, modificando in parte le sue posizioni nel Politico e soprattutto nelle Leggi.
193 “Mai sarebbero cessate le sciagure delle generazioni umane, se prima al potere politico non fossero pervenuti
uomini veramente e schiettamente filosofi, o i capi politici delle città non fossero divenuti, per qualche sorte divina, veri filosofi” (Lettera VII, 326b).
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eterna, immutabile legge governerà tutti i popoli e in ogni tempo”194 (De Republica, Libro III, 22, corsivo mio): sono l’immutabilità e l’eternità di tale legge che la ergono al di là delle opinioni e delle norme positive195. Nella teoria politica, insomma, avevano fatto il loro ingresso l’idea del diritto naturale e il giusnaturalismo.
Adottata in seguito da Agostino d’Ippona (De libero arbitrio, Libro I, cap. 6, par. 15) e da Tommaso d’Aquino (Summa Theologiae, Libro II, Argomento 91, art. 1), l’idea del diritto naturale si affermò facilmente nel medioevo per arrivare, con diverse elaborazioni, all’epoca moderna, quando venne fatta propria da diversi filosofi quali Johannes Althaus (Althusius), Thomas Hobbes, Huig de Groot (Hugo Grotius), John Locke e Jean-Jacques Rousseau. Sarebbe probabilmente sbagliato, tuttavia, compiere un’equivalenza completa tra giusnaturalismo e concezione sostantiva, in quanto anche la stessa idea di diritto naturale è stata declinata in modi molto differenti, sia sul piano teorico che su quello delle conseguenze, dai diversi autori citati e ancor più nelle rielaborazioni successive196.
Ciò che accomuna fondamentalmente le teorie riconducibili nell’alveo della concezione sostantiva, ad ogni modo, è “a relatively stable substantive vision of the good society. It would be agreed upon by most, if not all citizens, people who are well informed about the current situation and alternatives for the future and are capable of rationally choosing the ‘best’ alternative” (Box 2007, 586). Che l’elemento epistemico della Verità sia riferito a una particolare dottrina filosofica, religiosa, scientifica o di qualsiasi altro tipo, ciò che caratterizza la concezione sostantiva dell’Interesse Pubblico è l’assolutizzazione di tale elemento epistemico, il suo tradursi in un programma etico-politico di determinazione dei fini sociali o il suo tradursi nel diritto di un soggetto particolare a comandare. È proprio in quest’ultimo caso che potrebbe prodursi un balzo dalla concezione sostantiva alla concezione formalista, come si accennava in precedenza, perché se si suppone che qualcuno sia naturalmente in possesso di un criterio epistemico che consente di conoscere perfettamente la sostanza dell’Interesse Pubblico e che lo stesso soggetto sia quindi legittimato a governare secondo quel criterio, un facile esito è proprio quello che si ritenga che l’Interesse Pubblico sia rappresentato da qualsiasi decisione venga presa da quel soggetto.
194 Il passo completo è: “Est quidem vera lex; recta ratio, naturae congruens, diffusa in omnes, constans,
sempiterna, quae vocet ad officium iubendo, vetando a fraude deterreat, quae tamen neque probos frustra iubet fas est, neque derogari ex hac aliquid licet necque tota abrogari potest nec vero aut per senatum aut per populum solvi hace lege possumus, neque est quaerendus explanator aut interpres eius alius; ne erit alia lex Romae, alia Athenis, alia nunc, alia posthac, sed omnes gentes et omni temporer una lex et sempiterna et immutabilis continebit, unusque erit communis quasi magister et imperator omnium deus, ille legis huius inventor, deceptator, lator, cui qui non parebit ipse se fugiet ac naturam hominis aspernatus, hoc ipso luet maximas poenas, etiam cetera supplicia, quae putantur, effugerit”.
195 Magistrale a tal proposito rimane il dialogo nell’Antigone di Sofocle tra Antigone e Creonte a proposito dello
scontro tra diritto naturale e diritto positivo, caso trattato anche da Hegel nel terzo volume delle Vorlesungen für
Aestetik (1835-1838).
196 Molte delle odierne dottrine dei diritti umani presentano un fondamento giusnaturalistico, solo per fare un
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Ora, vi sono una serie di obiezioni, di carattere teoretico, logico e antropologico, che possono essere mosse alla concezione sostantiva qui in discussione, a partire da alcune teorie esiziali per essa197.
Potremmo citare:
la legge di Hume, secondo la quale non è possibile logicamente passare dal piano descrittivo della scienza al piano prescrittivo dell’etica198 (Hume 1740, 521), per cui dalle eventuali basi di conoscenza oggettiva e scientifica della realtà (l’essere) non sarà possibile far derivare logicamente alcun sistema etico o nessuna ragione pratico- normativa (il dover essere), come invece vorrebbe il giusnaturalismo, che pecca quindi della cosiddetta fallacia naturalistica199;
la fallibilità della conoscenza umana (Popper 1934), per cui la stessa conoscenza scientifica è una piattaforma mobile e in continua costruzione;
la teoria delle conseguenze inintenzionali di azioni umane intenzionali (Merton 1936), secondo cui è impossibile prevedere tutti gli esiti, considerando che ogni azione produce infinite conseguenze inintenzionali;
la teoria dell’eterogenesi dei fini (Wundt 1886, Michels 1911), che getta pesanti dubbi sulla capacità degli uomini – per quanto filosofi o illuminati – di continuare ad aderire al (presunto) Interesse Pubblico, qualora ricoprano incarichi politici;
il teorema della dispersione delle conoscenze (Hayek 1945), il quale mina molte delle possibilità di controllo “totalitario” che alcuni autori auspicano in vista del loro fine superiore;
la logica anti-olistica e anti-organicista del nominalismo, in opposizione alla ipostatizzazione di un universale quale l’Interesse Pubblico sostantivo di un’intera società concepita come un corpo unico200.
197 Dopotutto, “non è più tempo di principi superiori, di fini ultimi, di verità definitive”, per usare le parole di
Pier Aldo Rovatti (1983, 44).
198 “I cannot forbear adding to these reasonings an observation which may, perhaps, be found of some
importance. In every system of morality, which I have hitherto met with, I have always remark'd, that the author proceeds for some time in the ordinary way of reasoning, and establishes the being of a God, or makes observations concerning human affairs; when of a sudden I am surpriz'd to find, that instead of the usual copulations of propositions, is, and is not, I meet with no proposition that is not connected with an ought or an ought not. This change is imperceptible; but is, however, of the last consequence. For as this ought, or ought not, expresses some new relation or affirmation, 'tis necessary that it shou'd be observ'd and explain'd; and at the same time that a reason should be given, for what seems altogether inconceivable, how this new relation can be a deduction from others, which are entirely different from it. But as authors do not commonly use this precaution, I shall presume to recommend it to the readers; and am persuaded, that this small attention wou'd subvert all the vulgar systems of morality, and let us see, that the distinction of vice and virtue is not founded merely on the relations of objects, nor is perceiv'd by reason” (Book III, Part I, Sect. I).
199 Per una trattazione più sistematica della legge di Hume e riguardo il confronto tra cognitivisti e
noncognitivisti etici vedi D’Agostino (2007, 35-45) e Oppenheim (1990).
200 “The deepest of all the stereotypes is the human stereotype which imputes human nature to inanimate or
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Probabilmente l’elenco delle critiche alla concezione sostantiva potrebbe essere ancora lungo. Ritengo, tuttavia, che già solo la prima di esse, la legge di Hume, sia una condanna a morte per ogni concezione sostantiva, poiché incide sul collegamento vitale che essa instaura tra elemento epistemico ed elemento etico-politico, distruggendo le pretese normative di chi pure si ritenga padrone di una Verità assoluta e certa.
3.8. La concezione procedurale-stipulativa. L’Interesse Pubblico come processo di