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La concezione realista L’Interesse Pubblico non esiste

Capitolo 3. Concetto e concezioni di Interesse Pubblico

3.9. La concezione realista L’Interesse Pubblico non esiste

Come si è spiegato nel par. 3.5, in letteratura regna una notevole confusione tra le ultime due concezioni di Interesse Pubblico, quella aggregativa e quella realista, le quali vengono impropriamente sovrapposte, a discapito delle profonde differenze teoretiche che le caratterizzano.

Per motivi di chiarezza espositiva risulta forse preferibile concentrarsi prima sulla concezione realista, riservando l’analisi della concezione aggregativa al prossimo paragrafo.

205 Sulla democrazia deliberativa vedi in particolare i volumi a cura di Bohman e Rehg del 1997 e di Bosetti e

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La concezione realista dell’Interesse Pubblico rifiuta alla radice l’approccio etico-normativo sotteso al concetto stesso, preferendo adottare l’ottica descrittiva (e non prescrittiva) dell’analisi scientifica. Secondo tale concezione l’Interesse Pubblico, in quanto standard normativo, sostanzialmente non esiste, poiché in alcun modo esso è giustificabile razionalmente o operazionalizzabile empiricamente: per questo essa preferisce studiare la realtà (da ciò il nome) dell’arena socio-politica, vista come terreno di scontro tra gruppi di interesse, gruppi in nessun caso associabili tutti all’insegna di un unico interesse. La concezione realista si colloca al grado più basso della linea della normatività, laddove il contenuto etico è nullo, pari a zero. A rigore, è solo in quel punto del continuum che trovano posto le diverse teorie riconducibili alla concezione realista.

Piuttosto disincantate e scettiche, allora, sono le analisi di diversi autori, quali Schubert, Leiserson o gli esponenti della group theory: si è già detto della posizione di Schubert, il quale riconosce che una teoria dell’Interesse Pubblico nella scienza politica avrebbe senso solo qualora possa essere resa pienamente operativa, ma che esclude decisamente una tale possibilità, concludendo che “there is no public-interest theory worthy of the name” e che “political scientists might better spend their time” (Schubert 1962, 175 e 176).

Simile alla posizione di Schubert è quella di Frank J. Sorauf (entrambi vengono inclusi da Leys nella categoria degli emotivists, cioè quelli per cui l’Interesse Pubblico è solo un’etichetta emozionale di carattere intuizionista206). L’Interesse Pubblico, infatti, immetterebbe, secondo Sorauf, “the ‘x’ factor, the imponderable and unknown, in the political equation” (1957, 617).

Tra le riflessioni elaborate nell’ambito della concezione realista è possibile scorgere una

pars destruens, dedita a dimostrare l’insostenibilità – da un punto di vista scientifico – del

concetto etico di Interesse Pubblico, e una pars construens, nella quale si usa un approccio totalmente differente per analizzare l’Interesse Pubblico come dato politico.

Alla pars destruens possono essere ricondotte tutte le riflessioni tese a negare che possa esistere un unico interesse in grado di superare gli infiniti conflitti tra i diversi interessi sociali.

Proprio Bentley, ad esempio scrive: “we shall never find a group interest of the society as a whole. We shall always find that political interests and activities of any given group – and there are no political phenomena except group phenomena – are directed against other activities of men, who appear in other groups […]. The society itself is nothing other than the complex of the groups that compose it” (1908, 222), mentre Truman afferma stentoreamente che “we do not need to account for a totally inclusive interest, because one does not exist” (1951, 51).

Alla base di considerazioni come queste, naturalmente, riposa una ferma opposizione ad ogni visione olistica della società: la nozione del pubblico qui sposata è quella soggettiva nel senso sociale, per cui il pubblico identifica solo un certo gruppo di individui accomunati da un qualche interesse, gruppo che risulterà ad ogni modo parziale rispetto ad una supposta società considerata nel suo complesso. Inoltre, la nozione di interesse adottata è quella dell’interesse

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come preferenza soggettivamente intesa dall’individuo (benché non secondo una visione psicologica, bensì nel suo effettivo concretizzarsi come comportamento direttamente osservabile; vedi par. 1.12): al massimo sorgeranno coalizioni di individui con la finalità di meglio avanzare tali interessi particolari; in questo quadro non esiste alcun interesse che può definirsi valido universalmente o accettato da tutti. La realtà è che “differing experiences and perceptions of men not only encourage individuality but also […] inevitably result in differing attitudes and conflicting group affiliations” (Truman 1951, 50)207.

Il quadro, insomma, è quello di una società conflittuale, in cui gli individui perseguono interessi diversi e si associano per acquistare maggior forza nello scontro tra tali interessi. In tale quadro difficilmente può trovare posto il concetto di Interesse Pubblico, perché esso sarà solo l’etichetta che ciascun gruppo (o ciascun individuo) attribuisce alle proprie preferenze particolari, ovvero “whatever happens to be the speaker’s own view as to a desirable public policy” (Lindblom e Dahl 1953, 501).

“All agreed that there was no remedy: the concept was so vague, so contested, and so mired in subjectivity and partisanship as to admit of no objective and meaningful spefication” (Galston 2007, 11).

La pars construens della concezione realista, dunque, riguarda solo lo studio scientifico delle reali dinamiche di interazione e scontro tra gruppi di interesse. Il campo di studio della scienza politica non potrà che essere la società concepita “in terms of autonomous and isolated individuals and their interests. […] an arena into which individuals and groups of individuals enter in order to advance their own interests or preferences” (Cochran 1974, 328), secondo il gioco degli interessi che vede le persone unirsi in gruppi e costituire lobby al fine di influenzare gli output del processo decisionale.

È la registrazione e la misurazione di tali dinamiche e di tali rapporti di forza, insomma, l’unico obiettivo perseguibile attraverso l’ottica specifica della scienza politica, al di là di considerazioni etiche e normative. In questo senso assumono importanza le definizioni dell’Interesse Pubblico citate sopra – quelle di Leiserson e Schubert – per cui Interesse Pubblico è il nome che viene attribuito ad un particolare compromesso momentaneo tra

207 Riferendosi al caso dell’interesse nazionale, che nel contesto del discorso di Truman può facilmente essere

sovrapposto a quello di Interesse Pubblico (pur avendo noi qui rigettato tale equivalenza; vedi par. 1.8), il politologo americano riflette su quanto sia facile notare come persino in momenti in cui più di ogni altro un paese si sente unito, cioè durante una guerra internazionale, non è possibile individuare un unico interesse onnicomprensivo, perché da un interesse nazionale alla vittoria militare (?) risulterebbero comunque esclusi i pacifisti, gli obiettori di coscienza, le spie, i sovversivi, etc.. In disaccordo con tale impostazione si colloca la riflessione di Brian Barry, secondo cui i rilievi di Bentley e di Truman sarebbero superficiali. “Why for example is nobody in the United States in favor of having the Strategic Air Command take off and drop all its bombs on the United States? Obviously because nobody at all believes this would be in his interests. To point out as if it were a great discovery that all proposals which are actually put forward meet opposition is as naïve as expressing surprise at the fact that in all cases which reach the Supreme Court there is something to be said on each side” (1962, 198). Probabilmente, considerando alcuni esempi storici quali le pratiche kamikaze o il terrorismo a sfondo religioso fondamentalista, la stessa premessa di Barry potrebbe essere messa in questione, perché espressione di una concezione antropologica sostanzialmente utilitarista e razionalista piuttosto idiosincratica rispetto alle premesse proprie della concezione realista dell’Interesse Pubblico, eticamente relativiste.

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interessi differenti, oppure semplicemente al singolo interesse che risulta vincente e maggioritario in un dato momento storico.

Un’ulteriore prospettiva di studio, sempre in ottica scientifico-descrittiva, riguarda quelle funzioni del concetto a cui faceva riferimento Downs (1962; vedi par. 3.4.5), in particolare la seconda delle tre individuate dal politologo americano, cioè quella per cui il concetto viene usato nell’arena politica come “dispositivo” retorico utile per gli appelli all’unità e per l’opposizione all’affermazione di determinati interessi particolari; “invoking the public interest is merely a strategy which groups pursue in promoting their own interests” (Cochran 1974, 333).

Proprio questo è il ragionamento svolto qualche anno prima da Truman, il quale fa riferimento alle situazioni di crisi quali una guerra.

There is a political significance in assertions of a totally inclusive interest within a nation. Particularly in times of crisis, such as an international war, such claims are a tremendously useful promotional device by means of which a particularly extensive group or league of groups tries to reduce or eliminate opposing interests. […] Assertion of an inclusive “national” or “public interest” is an effective device in many less critical situations as well. In themselves, these claims are part of the data of politics.

[David B. Truman (1951, 50)].

L’Interesse Pubblico, nella scienza politica, può essere insomma considerato un dato della politica, e deve essere studiato esclusivamente o in termini di funzione svolta come argomento retorico (analizzabile attraverso gli strumenti tipici della comunicazione politica), o nei termini di reali rapporti di forza tra gruppi diversi.

Riguardo alla funzione di argomento retorico, ancora, è possibile citare le parole di Stephen K. Bailey, il quale scrive:

The phrase ‘the public interest’ is the decision maker’s anchor rationalitazion for policy- caused pain. […] There is perhaps no better example in all language of the utility of myth than the phrase ‘the public interest’. It is balm for the official conscience. It is oil on the troubled waters of public discontent. It is one of society’s most effective analgesics. [Stephen K. Bailey (1962, 97)]

Anche Brian Barry rileva come l’espressione costituisca uno strumento efficace della retorica politica, in quanto offre a politici e funzionari un “handy smoke-screen to cover their decisions” (Barry 1964, 1). Ad ogni modo, come si è già detto, non è l’espressione a interessarci qui, quanto il concetto vero e proprio di Interesse Pubblico, sebbene all’interno della concezione realista i due piani tendano praticamente a coincidere.

Occorre allora soffermarsi su un ulteriore passaggio analitico, senza il quale è facile sbagliarsi riguardo alle implicazioni latenti della concezione realista dell’Interesse Pubblico. L’implicazione latente della concezione realista, privata di qualsiasi riferimento etico- normativo, è che essa prescinde totalmente dal contesto democratico o non democratico, liberale o totalitario della società che si intende studiare. Coerentemente con l’impostazione scientifica che la caratterizza, la concezione realista è applicabile in quasiasi contesto politico,

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perché qualsiasi società, essendo concepita come insieme di gruppi di interesse, presenta gruppi “vincenti” e gruppi “perdenti”, gruppi predominanti (al limite anche uno solo contro tutti gli altri) e gruppi sottomessi208. Le uniche differenze – stando alla prospettiva della concezione realista – saranno solo in termini di rapporti di forza.

La società della concezione realista dell’Interesse Pubblico, insomma, si rivela essere una giungla, dove l’etichetta di Interesse Pubblico risulta essere solo uno scalpo esibito dal gruppo più forte al termine della battaglia.

Certamente con ‘forza’ non si deve intendere esclusivamente la forza bruta o la violenza fisica (che pure in moltissimi contesti politici, compresi ovviamente quelli democratici, è alla base della stabilità socio-politica), ma anche la forza economica del denaro o lo smart o soft power di un determinato gruppo (per usare la fortunata espressione di Joseph S. Nye Jr.). “The only final decisions are made on the basis of power in one form or another” (Gross 1953, 10)209. Il contenuto dell’Interesse Pubblico, insomma, per la concezione realista, deriva da rapporti di forza e dinamiche di potere tra gruppi di interesse in competizione.

Il grande errore che si riscontra in buona parte della letteratura, a tal proposito, è l’associazione della concezione realista con il disegno liberal-democratico delle odierne democrazie occidentali, oppure – come si è già dimostrato nel par. 3.4.3 – il contrabbando di alcuni principi normativi (e quindi non scientifici) all’interno di analisi scientifiche.

Ad esempio, Stanely I. Benn, che pure è uno dei teorizzatori della politics of interest, e che sembra sposare la concezione realista, si dimostra convinto della bontà della distinzione marxiana tra interesse oggettivo di classe e aspirazione concreta in un dato momento (nel senso di interesse soggettivamente concepito), e scrive: “the interests to be considered are not all the desires of every individual, but only those which conform to the ‘jural postulates of the society’, which are the general principles presupposed in the bulk of demands put forward. An eccentric desire which cannot be included within such general principles is […] neither a claim nor an interest but just a desire” (1959-1960, 129-130). Ciò che renderebbe un interesse tale, insomma, e non un semplice desiderio, sarebbe la sua ragionevolezza. Ma non è forse tale ragionevolezza un criterio etico-normativo? Non è un caso, infatti, che proprio la ragionevolezza, associata all’idea di ragione pubblica, è uno dei capisaldi della teoria contrattualista rawlsiana: una teoria filosofica, non scientifica210.

208 A ben vedere è lo stesso discorso che si può fare a proposito della teoria delle élite, applicabile

indifferentemente in contesti democratici o non democratici. La rassegna degli studi che hanno usato questa prospettiva (vedi, ad esempio, Sola 2000) ne è una dimostrazione.

209 Piuttosto significative e in linea rispetto alla concezione realsta, a tale riguardo, appaiono le considerazioni

che Agostino d’Ippona svolge nel De Civitate Dei, nel IV Libro, al paragrafo quarto (il cui titolo è Quam similia

sint latrociniis regna absque iustitia), a proposito del ruolo della politica slegata dalla giustizia. “Se non è

rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?” si chiede Agostino, e narra l’aneddoto dell’incontro tra Alessandro Magno e un pirata: “Il re gli chiese che idea gli era venuta in testa per infestare il mare. E quegli con franca spavalderia: ‘La stessa che a te per infestare il mondo intero; ma io sono considerato un pirata perché lo faccio con un piccolo naviglio, tu un condottiero perché lo fai con una grande flotta’”. Analoga contrapposizione si trova in Bossuet (1666).

210 Non si prestano a tali obiezioni, nonostante le apparenze, i riferimenti alle “rules of the game” di Bentley

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Lo stesso Schubert, tra gli altri, sbaglia nel concepire la concezione realista come suddivisa in tre rami filosofici: secondo Scubert, infatti, è possibile distinguere

1. i Bentleyan realists, secondo cui “the public interest has significance only as the slogan which symbolizes the compromise resulting from a particular accommodation or adjustment of group interaction” (1960, 202);

2. gli psychological realists, secondo cui i funzionari pubblici sono psicologicamente stimolati dal concetto di Interesse Pubblico al fine di prendere in considerazione il bene dei cittadini non direttamente rappresentati dai gruppi di interesse;

3. i due-process realists, secondo cui una decisione è all’insegna dell’Interesse Pubblico solo qualora la decisione stessa consenta a tutti coloro che ne saranno interessati di avere una voce nel processo decisionale.

A ben vedere, solo il primo di questi tre rami coglie lo spirito della concezione realista, vale a dire quello riferito a Bentley e ai suoi seguaci; gli altri due, infatti, in qualche modo reintroducono un qualche elemento normativo (nel secondo caso il principio per cui il decisore deve equilibrare gli interessi dei gruppi con quelli dei voiceless, ricadendo così forse nella nostra concezione aggregativa; nel terzo caso il principio per cui la decisione deve essere presa o deliberata con la partecipazione di tutti coloro che ne sono interessati, ricadendo probabilmente nell’alveo della nostra concezione procedurale-stipulativa). Sebbene Schubert ritenga, come abbiamo visto, che nessuna di queste formulazioni possa ambire al carattere della scientificità, e inviti i politologi a occuparsi d’altro, credo che la formulazione del realismo à la Bentley possa invece rappresentare perfettamente il punto di vista tipico della concezione realista dell’Interesse Pubblico, in cui il concetto è solo un’etichetta usata per coprire una reale dinamica competitiva tra gruppi di interesse diversi, che si contendono con la forza il favore delle decisioni pubbliche. E tale visione, come si diceva, prescinde totalmente dalla considerazione del regime politico (democratico o meno) in cui i gruppi di interesse operano.

In definitiva, la concezione realista dell’Interesse Pubblico esclude che il concetto possa essere fatto ricadere all’interno dell’ambito scientifico, riconoscendone il carattere inevitabilmente intuizionista: per usare le parole di Sorauf, “the term is too burdened with multiple meanings for valuable use as a tool of political analysis” (1957, 624), poiché, vista la varietà delle concezioni e degli standard normativi, il problema è “just whose standard it is to be” (1962, 184).

Solo passando dalla concezione realista a quella aggregativa sarà possibile tornare a parlare di standard normativi e di contenuti prescrittivi, abbandonando il campo della scienza e tornando in quello dell’etica e della teoria politica.

democratiche) non sono, per i due autori americani, uno standard normativo da imporre, ma semplicemente un dato di fatto da considerare nell’analisi politologica della società americana.

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3.10. La concezione aggregativa. L’Interesse Pubblico come struttura di base della

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