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La concezione formalista L’Interesse Pubblico come forma

Capitolo 3. Concetto e concezioni di Interesse Pubblico

3.6. La concezione formalista L’Interesse Pubblico come forma

La concezione formalista, come detto pocanzi, si caratterizza per un’attenzione esclusiva alla forma, e per attribuire – per definizione – alle decisioni del decisore pubblico la qualifica di Interesse Pubblico. Il decisore pubblico è il detentore del potere legittimo, a prescindere dal regime politico in cui ci si trova e dalle caratteristiche specifiche del decisore stesso. Si tratterà, dunque, di qualsiasi organo che sia espressione del potere sovrano: di un parlamento, di un capo dell’esecutivo, di un re, così come del singolo amministratore pubblico.

Tale concezione, come si è detto, è una concezione “ingenua”, poiché nulla dice di nuovo rispetto al contenuto delle decisioni stesse, assumendo una totale identificazione tra la decisione del soggetto decidente e l’Interesse Pubblico. Massima attenzione è prestata al soggetto, più che al contenuto o all’oggetto della decisione186.

186 Ad esempio, H. George Frederickson scrive: “In an elected democratic polity the public interest is whatever

the majority in Congress or the president say it is. One version of this is principal-agent theory; another is agency-capture theory; and another is the administrative law argument that the constitution and the laws express the public interest and any significant deviation from them is a breach of the public interest” (citato da Lewis 2006, 694).

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Tale concezione anima la lettera di vari documenti costituzionali, legislativi o amministrativi (gli esempi potrebbero essere innumerevoli), i quali presuppongono che lo Stato (o i soggetti ad esso assimilabili) agisca sempre nell’Interesse Pubblico.

La concezione formalista è associabile alle due concezioni individuate rispettivamente da Leys e da Schubert, vale a dire il formal meaning dell’Interesse Pubblico (“whatever is the object of duly authorized, governmental action”; Leys 1962, 238) e il razionalismo amministrativo (Schubert 1957, 348-349).

Proprio la concezione del razionalismo amministrativo di Schubert ci consente di approfondire un punto importante, teso anche a spiegare il perché la concezione formalista (sotto la cui egida trova posto la categoria suddetta di Schubert) meriti un posto a sé tra le concezioni dell’Interesse Pubblico, nonostante la sua evidente ingenuità etica.

Gli studiosi che, prima di altri, si sono occupati del problema della specificazione dell’Interesse Pubblico, come già detto, sono stati gli amministrativisti e i teorici dell’amministrazione pubblica in generale. Il loro problema specifico consisteva nel fornire un criterio adatto a guidare l’amministratore nelle situazioni di discrezionalità a fronte dell’idea di Interesse Pubblico come standard di comportamento. Ora, la maggior parte delle riflessioni in merito, soprattutto negli anni Trenta e Quaranta del XX secolo, si concentravano su due aspetti in particolare: quello della riduzione della discrezionalità amministrativa stessa (vedi ad esempio quanto detto su Ernst Freund nel par. 3.4.2) e quello dell’implementazione dell’efficienza della macchina dell’amministrazione, sotto gli influssi – allora imperanti – delle teorie dello scientific management. Come riconosce lo stesso Schubert, tuttavia, sebbene “these scientists developed quite elaborate theories of administrative decision-making, they produced no articulate theory of the public interest” (1957, 348). Infatti, il fuoco delle riflessioni di quegli anni, più che nel ruolo etico del concetto di Interesse Pubblico, consiste nella configurazione della macchina amministrativa secondo il principio di efficienza e di massima utilità, dati i fini politici sovrastanti l’azione amministrativa. Gli obiettivi politici o etici (che più propriamente rappresentano il contenuto di qualsiasi teoria dell’Interesse Pubblico) vengono considerati un a priori già stabilito altrove indipendentemente (dal legislatore ad esempio).

Esempio di tale impostazione è quanto scrive Herbert A. Simon nel 1947:

The theory of administration is concerned with how an organization should be constructed and operated in order to accomplish its work efficiently. A fundamental principle of administration, which follows almost immediately from the rational character of “good” administration, is that among several alternatives involving the same expenditure the one should always be selected which leads to the greatest accomplishment of administrative objectives; and among several alternatives that lead to the same accomplishment the one should be selected which involves the least expenditure. Since this “principle of efficiency” is characteristic of any activity that attempts rationally to maximize the attainment of certain ends with the use of scarce means, it is as characteristic of economic theory as it is of administrative theory. […] The criterion which the administrator applies to factual problems is one of efficiency. The resources, the input, at the disposal of the administrator are strictly limited. It is not his function to establish a utopia. It is his function to maximize the attainment of the

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governmental objectives (assuming they have been agreed upon), by the efficient employment of the limited resources that are available to him. […]

Once the system of values which is to govern an administrative choice has been specified, there is one and only one “best” decision, and this decision is determined by the organizational values and situation, and not by the personal motives of the member of the organization who makes the decision. Within the area of discretion, once an individual has decided, on the basis of his personal motives, to recognize the organizational objectives, his further behavior is determined not by personal motives, but by the demands of efficiency. […]

The need for an administrative theory resides in the fact that there are practical limits to human rationality, and that these limits are not static, but depend upon the organizational environment in which the individual's decision takes place. The task of administration is so to design this environment that the individual will approach as close as practicable to rationality (judged in terms of the organization's goals) in his decisions.

[Herbert A. Simon (1947), Administrative Behavior: A Study of Decision-Making

Processes in Administrative Organization, pp. 38-38; 186-187; 204; 240-241]

Insomma, i teorici che possono essere fatti rientrare nella concezione formalista dell’Interesse Pubblico si sono occupati principalmente di definire degli standard di razionalità, efficienza e buon funzionamento della macchina pubblica, e hanno tralasciato il problema a monte del contenuto etico dei fini che tale macchina è chiamata a realizzare.

Come si accennava nei paragrafi precedenti, in questo modo il problema viene solo aggirato, perché si postula, cioè si dà per assodato, che i fini stabiliti costituiscano per definizione l’Interesse Pubblico. Proprio tale postulazione è la caratteristica centrale della concezione formalista, attenta alla forma e non al contenuto.

In un certo senso si può dire che il ragionamento formalista ha una natura regressiva, perché il problema etico della decisione slitta regressivamente da un livello (quello del singolo funzionario amministrativo pubblico, ad esempio) ad un livello superiore (scalando la gerarchia decisionale), per arrivare a un punto in cui i fini sono dettati semplicemente da una volontà formalmente superiore e sostanzialmente arbitraria (il legislatore negli stati nomocratici, il monarca negli Stati assoluti, etc.).

Clifford J. Geertz, nel 1973, racconta una storia assai popolare tra gli antropologi, quella dell’inglese a cui un indiano spiega l’architettura del cosmo, secondo cui il mondo poggerebbe su una piattaforma, retta a sua volta sulla schiena di un elefante, che si regge a sua volta su di una tartaruga; alla domanda postagli allora dall’inglese, che chiede su che cosa poggi la tartaruga, l’indiano risponde «Ah Sahib, dopo quella sono tutte tartarughe...» (Geertz 1973, 28-29). Sembra che i teorici della concezione formalista siano irretiti in una visione cosmoligica simile a quella dell’indiano, rimandando il problema del contenuto dell’Interesse Pubblico sempre un po’ più in là.

A chi obiettasse che in un regime liberal-democratico e in uno Stato di diritto qualsiasi sovrano è soggetto a dei limiti, per esempio quelli di una Costituzione, si può rispondere che è la stessa Costituzione a svolgere il ruolo di Grundnorm, per dirla con Hans Kelsen, cioè di norma fondamentale assunta come base autoritativa, identificata, appunto, con un Interesse Pubblico formalmente definito. Come spiega proprio Kelsen, tuttavia, ogni Costituzione è

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valida, in ultima analisi, solo finché la si ritenga valida, o finché essa svolga effettivamente la funzione di norma fondamentale dell’ordinamento positivo. È questo il senso della teoria pura del diritto kelseniana, per cui volendo giustificare ogni norma in termini di diritto, arriva un punto in cui il diritto fondamentale stesso (la costituzione) non è più a sua volta giuridicamente giustificabile, e si basa su dinamiche extragiuridiche187 (escluse quindi da una teoria pura del diritto), come il consenso politico o la forza bruta.

La concezione formalista si colloca allora nella parte più alta dello schema tipologico rispetto alla linea della normatività, perché l’identificazione dell’Interesse Pubblico prescinde dalla specificazione di qualsiasi contenuto, e compie un’equivalenza tra natura etica della decisione e semplice volontà formale, assumendo come criterio del massimo Bene il semplice arbitrio del decisore ultimo, che in linea di massima non ha alcun limite188.

Essa è, in definitiva, una concezione ingenua e tautologica, in quanto postula che il contenuto dell’Interesse Pubblico è stabilito da coloro i quali agiscono nell’Interesse Pubblico, non fornendo alcun criterio epistemico o filosofico sul quale confrontarsi criticamente, come invece succede (come vedremo) nelle altre quattro concezioni di Interesse Pubblico.

Tra le critiche fondamentali che si possono rivolgere alla concezione formalista, inoltre, ci sono quelle che attaccano la particolare versione formalista secondo cui non si ha a che fare con uomini, ma con lo Stato come entità razionale-legale, oppure secondo cui è la particolare funzione attribuita a certi uomini a conferire loro un miglior discernimento di quali decisioni siano effettivamente nell’Interesse Pubblico.

Ora, prendendo in considerazione quanto detto nel capitolo precedente sul problema degli universali, e sposando la soluzione individualista, si potrebbe dire che lo Stato, di per sé, non esiste: esistono invece uomini che, all’interno di determinate strutture, assumendo determinate funzioni, agiscono nel suo nome. E non è facile trovare una base giustificativa del fatto che tali uomini siano ex se illuminati su cosa sia l’Interesse Pubblico più di chiunque altro. “Every informed person is aware of the fact that, under the conditions of the actual world, this identification is without a rational basis. Government officials may misconceive the community interest, make serious and unquestionable mistakes in framing and executing public policies, and may lead the ship of state to ruin and disaster. They may also be motivated by selfish desires in exercising their responsibilities and interpret their public functions purely in terms of personal advancement or aggrandizement of power. These facts

187 Kelsen traduce in questo modo nei termini della filosofia del diritto il secondo teorema dell’incompiutezza

che Kurt Gödel aveva formulato nel 1931 a proposito dei sistemi logico-matematici, secondo cui prendendo una teoria matematica T sufficientemente espressiva da contenere l'aritmetica, se T è coerente, non è possibile provare la coerenza di T all'interno di T, vale a dire che nessun sistema coerente può essere utilizzato per dimostrare la sua stessa coerenza.

188 Anche qualora si volesse, nel contesto delle odierne democrazie costituzionali, andare oltre il legislatore

ordinario, infatti, il decisore ultimo può essere sempre individuato nel legislatore costituente, il quale non può più risalire la scala gerarchica del diritto per appoggiarsi su qualcos’altro, poiché esso pone sé stesso a fondamento dell’edificio giuridico in base a dinamiche e criteri che precedono la sfera del diritto stessa. “La funzione costituente quindi ha questa caratteristica, unica fra tutte le funzioni, di essere [...] del tutto libera nel fine, perché nessuna regola preesistente la vincola. Prima di essa c'è il caos” (Paolo Barile, Enzo Cheli, Stefano Grassi, Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, Padova 1995, p.298).

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are so well understood that no elaborate documentation or historical verification would appear to be necessary” (Bodenheimer 1962, 209). Gli studi della scuola della public choice negli anni successivi confermeranno, in vari modi, molte delle affermazioni di Bodenheimer a proposito di funzionari governativi e amministratori pubblici in generale.

I principali difetti della concezione formalista, tuttavia, non sono di natura empirica, ma eminentemente di natura teoretica.

Ricapitolando, infatti, la concezione formalista risulta sterile sul piano filosofico a causa della circolarità cognitiva e della tautologicità che essa stessa sottende. Come la maggior parte delle tautologie, essa risulta ingenua e poco rilevante euristicamente. È inoltre soggetta ad un ragionamento regressivo teso ad aggirare il problema della definizione del contenuto dell’Interesse Pubblico, piuttosto che a risolverlo. Infine, come si è visto, essa legittima un’etica fondamentalmente arbitraria, fatta risalire alla semplice volontà dei decisori, risultando in questo modo totalmente priva di criteri di giustificazione oggettivi, e basandosi unicamente sul criterio soggettivo (riferito al soggetto decidente) della forma della decisione pubblica.

Cè un unico caso in cui la concezione formalista potrebbe non essere tautologica e ingenua, vale a dire laddove si sostenga che i decisori pubblici in questione siano, in virtù magari di uno statuto epistemico particolare, diversi da tutti gli altri uomini, e conoscano, a differenza di ogni altro, la vera essenza dell’Interesse Pubblico. In realtà, però, in questo caso ci ritroveremmo già all’interno di una diversa concezione, a cui quella formalista può essere, come vedremo, in qualche modo legata, cioè la concezione sostantiva.

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