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Gelasio II morì a Cluny il 29 gennaio del 1119 e il 2 febbraio venne eletto come suo successore il vescovo di Vienne, Guido, che prese il nome di Callisto II. A differenza degli ultimi quattro pontefici Guido di Vienne non era un cardinale né proveniva da un contesto di curia, come l’influente Ildebrando. Quale sarebbe stata la sua linea politica nelle questioni italiane di cui non aveva piena conoscenza? Nel suo primo anno di pontificato Callisto II si dedicò alla faticosa ricerca di un accordo con l’Impero. Rimanendo nei confini dell’attuale Francia tenne alcuni concili e avviò un’intensa attività diplomatica ad opera dei suoi legati. Dopo le fallite trattative di Mouzon e il concilio di Reims, che ribadì la scomunica contro Enrico V, il pontefice prese lentamente la via della Penisola, varcando il passo del Monginevro soltanto nel marzo del 1120153. A Roma, prima della sua “precipitosa” partenza, Gelasio II aveva lasciato alcuni membri del collegio cardinalizio e Pietro, cardinale vescovo di Porto,

153 Per ciò che concerne la figura di Callisto II si rimanda alle due principali monografie di

riferimento: B. Shilling, Guido von Vienne-Papst Calixt II., MGH, Schriften, 45, Hannover 1998 da cui sono tratte le date degli spostamenti del pontefice, cfr. Anhang VII, pp. 687-717, e M. Stroll,

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in veste di vicario. Nell’Urbe la situazione non era ancora del tutto tranquilla: Gregorio VIII/Maurizio Burdino era insediato in S. Pietro e soltanto nella primavera del 1121 sarebbe stato catturato presso Sutri dalla compagine militare condotta dal cardinale di S. Grisogono, Giovanni da Crema. Nel frattempo tra Pisa e Genova erano scoppiate le ostilità: i Gesta Triumphalia narrano che, dopo un attacco genovese a delle navi mercantili pisane, erano riprese le schermaglie navali tra le due città che culminarono, il giorno di San Sisto del 1119, con la vittoria pisana davanti Portovenere154.

Nel corso della sua discesa verso Roma, Callisto II si era fermato a Piacenza, tra il 13 e il 23 Aprile; è probabile che in questa occasione decidesse di accogliere nel suo seguito l’archidiaconus Placentinus, Attone155

. Una volta giunto a Pisa, ove soggiornò dal 7 al 16 maggio, decise di insediare sulla cattedra di Santa Maria l’arcidiacono Attone dal momento che la Sede arcivescovile era rimasta vacante dopo la morte di Pietro, avvenuta ai primi di settembre del 1119156. Il 16 maggio Callisto II consacrò un altare all’interno della cattedrale ed è probabile che nella medesima solenne occasione procedesse anche alla consacrazione del nuovo arcivescovo pisano, rinnovando quanto concesso da Gelasio II157. Sulla via per Roma, il pontefice fece tappa a Volterra e ne consacrò la cattedrale il 20 maggio. Nonstante la breve sosta i rapporti con il vescovo volterrano Ruggero sembrerebbero essere stati buoni dal momento che il 10 agosto di quell’anno, Callisto II affidò proprio a Ruggero la legazia sulla Sardegna158.

154Gesta Triumphalia, cit., pp. 20-27. È in questo contesto che si può collocare l’allestimento di questo

testo epico, l’opera, infatti, sarebbe stata presentata al nuovo pontefice Callisto II nel 1120, nella speranza di vedere confermate le prerogative sui vescovi corsi, M. Ronzani, A proposito della nuova

edizione dei «Gesta Triuphalia per Pisanos facta», in «Archivio storico italiano» CLXIX (2011), pp.

373-387. Degli scontri fra Genova e Pisa danno notizia anche l’annalista Caffaro, Annali genovesi di

Caffaro e de’suoi continuatori dal MXCIX al MCCXCIII, a cura di L. T. Belgrano, I, Roma 1890, pp.

17-18.

155

C. Violante, Cronotassi dei vescovi e degli arcivescovi di Pisa dalle origini all’inizio del XIII

secolo, in Miscellanea Gilles Gérard Meersseman, 1, Padova 1970, pp. 3-56, pp. 37-38 in particolare

cfr. nota 6 p. 37.

156 Ceccarelli-Garzella, Optimus antistes, cit., p. 96. 157

IP, III, n. *13, p. 322; cfr. Schilling, Guido von Vienne, cit., p. 705.

158 Per Ruggero il riferimento bibliografico fondamentale è M. L. Ceccarelli Lemut, Ruggero vescovo

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Il pontefice giunse a Roma il 3 giugno 1120 e sfilò a capo di uno sfarzoso corteo per la Via Sacra, fino al Laterano. Tuttavia, come detto, S. Pietro era ancora nella mani dell’«antipapa», anche se non ci sarebbe voluto molto tempo prima che Callisto II ne rientrasse in possesso.

Il 16 giugno del 1120, dunque soltanto 13 giorni dopo l’arrivo del pontefice a Roma, nella chiesa dei SS. Cosma e Damiano due legati Genovesi, Barisone e Caffaro - l’autore degli Annales Ianuenses- si accordarono con alcuni rappresentanti di Callisto II affinché, dietro esborso di una forte somma di danaro, il pontefice revocasse i diritti metropolitici sulla Corsica alla Chiesa pisana159. A fare le veci del pontefice furono alcuni esponenti di curia ed alcuni laici: Pietro, cardinale vescovo di Porto, che fin dal settembre del 1118 era stato vicario del pontefice a Roma; Azzo, vescovo di Aqui, persona molto vicina a Callisto II; Giovanni da Crema cardinale di S. Grisogono, portavoce del pontefice in più di un’occasione; Pietro Pierleoni cardinale di S. Maria in Trastevere; Pietro di Leone, il padre del predetto cardinale Pierleoni, Ottaviano, il fratello del prefetto Pietro, e Nicola “de Ancilla Dei”. Alla stipula dell’accordo erano tuttavia presenti anche alcuni membri dell’élite urbana, recentemente definita da Wickham «nuova aristocrazia»: il prefetto Pietro, Stefano Normanno, Leone, figlio di Pietro di Leone e Cencio Frangipane160. Caffaro specifica l’ammontare dei versamenti effettuati: 1.700 marche d’argento sarebbero andate al pontefice, 300 ai cardinali, ai vescovi e ad altri laici, 50 once d’oro al clero romano. Inoltre, ad alcuni personaggi -che Wickham giustamente definisce «intermediari particolarmente importanti»- venivano fatti singoli donativi: 303 once d’oro al cardinale vescovo Pietro di Porto, 100 lire ad Azzo di Aqui, 155 marche e dei gioielli a Pietro di Leone e figli, 100 marche al prefetto Pietro, 40 a Leone Frangipane e 25 a Stefano Normanno161. La tempistica con cui venne stipulato questo

la legazia in Sardegna cfr. Turtas, L’arcivescovo di Pisa, cit., p. 201-202, Ceccarelli, Ruggero, cit., p. 61, PL. 102, coll. 1082-1083.

159 C. Imperiale di Sant’Angelo, Codice diplomatico della Repubblica di Genova, I, in «Fonti per la

Storia d’Italia», Roma 1936, pp. 38-40, n. 31, Annali Genovesi, cit., pp. 20-21.

160 Wickham, Roma medievale, cit., pp. 266-300. 161

La dettagliata lista è nel documento del 16 giugno 1120; Wickham, Roma medievale, cit., p. 460. Secondo Stroll la data dell’accordo potrebbe essere spostata al 1121, Calixtus II (1119-1124), cit., pp. 304-305; tuttavia la sua argomentazione non convince pienamente: il documento è datato al secondo

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accordo, tredici giorni dopo l’ingresso del pontefice nell’Urbe e soltanto un mese dopo la conferma del privilegio di Gelasio II alla Sede pisana, induce a sospettare che già prima dell’arrivo di Callisto II fossero state intavolate trattative fra la curia e Genova. La forte somma che venne donata all’ex vicario Pietro di Porto lascerebbe ipotizzare che proprio il cardinale sia stato uno dei principali attori di questa operazione; si potrebbe, perciò, immaginare che con lui i genovesi avessero preso accordi nei mesi precedenti, dal momento che fino a pochi giorni prima Callisto II non aveva neppure messo piede in città. Anche la ricompensa devoluta ad Azzo di Aqui, vescovo che ricopriva allora un ruolo chiave nei rapporti tra il pontefice e la corte imperiale162, fanno, ancora una volta, intravedere il ruolo di alcuni singoli personaggi nella gestione della politica pontificia. La forte somma di danaro che veniva offerta al pontefice doveva, tuttavia, essere estremamente gradita. Come ha recentemente affermato Wickham, durante il suo pontificato Callisto II fu in grado di stabilire «un equilibrio di poteri entro le mura. Egli distribuì pecunia in città, e molti

equites e pedites fecero a lui fidelitas, come affermano gli Annales Romani: una

generosità generalizzata, pagata dall’ugualmente generalizzata accumulazione da parte di Callisto di doni di tutti i tipi da litiganti e supplici»163. Che questa fosse la politica del pontefice borgognone lo si può ben vedere anche nel caso delle

benedictiones (grossi donativi in oro, argento e preziosi) che l’arcivescovo di

Compostela, Diego Gelmirez, devolvette al pontefice164. Per controllare Roma Callisto II, che allora per la prima volta si dovette confrontare con gli equilibri politici cittadini, aveva bisogno di danaro, molto danaro165.

anno di pontificato di Callisto II (eletto il 2 febbraio del 1119 e consacrato il 9), perciò, sarebbe arduo spostarlo fino al giugno del 1121.

162

Sul ruolo svolto da Azzo di Aqui nelle trattative con l’Impero cfr. Schilling, Guido von Vienne, cit., pp. 429-431 e p. 500. Inoltre, Azzo compare nel seguito pontificio a Crotone nel gennaio 1122, Schilling, Guido von Vienne, cit., p. 712.

163 Wickham, Roma medievale, cit., p. 489. 164

R.A.Fletcher, Saint James’s Catapult: the Life and Times of Diego Gelmìrez of Santiago de

Compostela, Oxford 1984, pp. 192-222; Wickham, Roma medievale, cit., p. 212.

165

Una posizione simile è già stata espressa da M. Ronzani, «La nuova Roma»: Pisa, Papato e Impero

al tempo di San Bernardo, in Momenti di storia mediovale pisana. Discorsi per il giorno di S. Sisto,

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Soltanto un mese dopo essere giunto nella città eterna il pontefice ripartì alla volta del Mezzogiorno, e lì rimase finchè la basilica di s. Pietro non fu sua. Secondo gli

Annales Romani Pietro di Leone riuscì a corrompere le guardie poste da Gregorio

VIII a difesa della basilica166 e intorno al 15 dicembre del 1120 Callisto II entrò nella chiesa. La notizia della liberazione avvenuta ad opera dei suoi fideles viene confermata anche da una lettera inviata dal pontefice all’arcivescovo di Compostela il 31 dicembre del 1120167. Il sospetto, che tale dovrà rimanere, che i soldi genovesi avessero parzialmente finanziato la riacquisizione di san Pietro sorge spontaneo. Dunque, dopo la sconfitta nelle acque di Portovenere, il 6 agosto del 1119, i genovesi cercarono un’altra strada per impedire a Pisa di esercitare una pesante influenza sulla Corsica e seppero cogliere certamente il momento opportuno per fare la loro offerta. La revoca delle prerogative giunse il 3 gennaio 1121 in una lettera indirizzata ai vescovi còrsi, informandoli che i diritti metropolitici sulla loro isola sarebbero rientrati sotto la potestà pontificia.

Non è nota la reazione che tale provvedimento suscitò a Pisa e se il presule Attone replicasse in qualche misura alla decisione del pontefice. Dalla documentazione pisana emerge che, durante il suo breve governo (maggio 1120-agosto 1121/marzo 1122168), l’arcivescovo Attone si impegnò in un’azione di consolidamento dei possessi vescovili, facendo rientrare progressivamente sotto il suo controllo quei beni che erano stati acquisiti dall’Opera di S. Maria (le curtes di Livorno e, forse, di Pappiana e le quote dei castelli di Bellora e Bovecchio in Valdera). Inoltre, in questa prospettiva va anche considerata la ricognizione dei canoni di locazione della curtis marchionale di Bientina, ceduta nel 1116 dal marchese di Tuscia Rabodo. Ad Attone, infine, si deve riconoscere «l’avvio della penetrazione in Valdera»: tale sarebbe il

166

Annales Romani, a cura di L. Duchesne, in Duchesne-Vogel, Le Liber Pontificalis, II, cit., p. 347:

«Illi vero, non fideles sed infideles eius et inperatoris, non diu perseveraverunt in sacramenta

fidelitatis et securitatis dicte besilice sancti Petri quod eis fecerunt, sed accepta pecunia tradiderunt eam Petro Leonis qui fideli erat Calixti pape cum omnibus eius munitionibus».

167

Historia Compostellana, a cura di E. Falque Rey, Corpus Christianorum, Cont. Med., 70, 1988, p. 270: «Ab urbem postea prospere redeuntes, beati Petri ecclesiam, quam fideles nostri de inimicorum

manibus liberaverant, visitavimus».

168 M. L. Ceccarelli Lemut-S. Sodi, I vescovi di Pisa dall'età carolingia all'inizio del XIII secolo, in

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senso del tentativo di assicurarsi il possesso, a discapito del vescovo di Lucca, del castello di Ricavo169. L’energico arcivescovo morì in una data non meglio precisabile fra il 29 agosto del 1121 e il 24 marzo del 1122. Il suo successore sulla cattedra di S. Maria, il già vescovo di Volterra Ruggero, è attestato per la prima volta come presule pisano durante il concilio lateranense nel marzo del 1123170. Anche in questo caso, purtroppo, non è possibile valutare il coinvolgimento del pontefice nella scelta del nuovo arcivescovo pisano. Tuttavia come già anticipato, il 10 agosto del 1120, Callisto II aveva affidato all’allora vescovo di Volterra la legazia sulla Sardegna, perciò i rapporti fra Ruggero e il pontefice continuarono anche dopo la breve sosta del maggio 1120171. Inoltre, appare utile porre in evidenza che dal momento che, con la sua elezione alla cattedra pisana, Ruggero cumulò due vescovadi è assai probabile che Callisto II si fosse personalmente interessato della nomina arcivescovile. Certamente la prassi non era consueta.

La prima menzione di Ruggero come presule pisano rimanda direttamente alla vexata

quaestio dei diritti metropolitici sulla Corsica. Nei giorni del I Concilio Lateranense

(18-28 marzo 1123) Callisto II affidò il compito di vagliare una possibile risoluzione della controversia ad una commissione composta da alti prelati 172. La commissione, per bocca del suo portavoce Gualtiero arcivescovo di Ravenna, avrebbe consigliato al pontefice di revocare all’arcivescovo di Pisa il diritto di consacrazione dei vescovi corsi173. Callisto II, dopo aver sottoposto il verdetto a tutti i memebri del concilio ed aver ricevuto il triplice placet, aggiunse: «et ego, ex parte Dei et beati Petri et mea,

laudo et confirmo; et mane, pleno consilio, cum omnibus vobis iterum laudabo et

169

Il governo di Attone è stato solo recentemente analizzato da Ronzani, L’affermazione, cit., pp. 31- 34. I riferimenti ai negozi giuridici citati sono: CAAP, 2, n. 55, pp. 106-108, per Livorno; n. 56, pp. 108-110, per la ricognizione dei redditi relativi alla curtis di Bientina; nn. 58, 62 e 63, pp. 114-116 e 123-127, per Bellora e Bovecchio; nn. 59-60, pp. 116-121 per Ricavo.

170

Ceccarelli Lemut, Ruggero, cit., p. 62.

171 Turtas, L’arcivescovo di Pisa, cit., pp. 201-203. 172

I membri di tale commissione sono elencati della bolla del 6 aprile 1123: il patriarca di Venezia, gli arcivescovi di Vienne, Ravenna, Capua, Salerno, Narbona, Siponto, Palermo, Bari, Napoli, Tarragona, Sens e Bordeaux, i vescovi di Viviers, Troia, Montpellier e Asti ed altri che non vengono specificati.

173«[…] et ibi Gualterius Ravennensis archiepiscopus sententiam, consilio ceterorum, taliter dixit:

domine, domine, nos non sumus ausi dare sententiam coram te, sed dabimus tibi consilium obtinens vim sententiae. Consilium meum et sotiorum tale est: ut archiepiscopus Pisanus deinceps Corsicanas consecrationes dimittat, et ulterius de illis non se intromittat». Annali genovesi, cit., p. 19.

78 confirmabo». L’indignata reazione di Ruggero alla lettura della revoca è resa celebre

anche dalla vivace descrizione offerta da Caffaro: il presule pisano avrebbe scagliato la mitra e l’anello ai piedi del pontefice e a lui si sarebbe rivolto dicendo: «Ulterius

archiepiscopus et episcopus tuus non ero» e Callisto II, dopo aver allontanato con il

piede l’anello e la mitra, avrebbe replicato: «Frater, male fecisti et te inde penitere

procul dubio faciam»174. Così effettivamente fu.

La conferma di questo provvedimento è del 6 aprile 1123, si tratta della celebre bolla

Quot mutationes175. Il testo di questo documento è assai articolato ed è sottoscritto dalla quasi totalità dei membri del collegio cardinalizio, come a fornire un’ulteriore convalida di quanto stabilito. Sia la lettera del 3 gennaio 1121 ai vescovi corsi che la revoca del 6 aprile del 1123 sono sottoscritte da un numero estremamante elevato di cardinali: 28 nel primo caso, 34, nel secondo. In quest’ultimo caso si tratta di un vero e proprio primato a confronto con le bolle pontificie di quel periodo. Tuttavia, come si vedrà più avanti, un membro del Collegio assai attivo in quel momento non sottoscrisse entrambi i provvedimenti: Pietro di S. Susanna, il cardinale pisano che tanto si era speso a favore della concessione dei diritti metropolitici sotto Gelasio II. Dall’analisi del documento emergono alcuni aspetti interessanti. In primis Callisto II fornisce le motivazioni che hanno portato i suoi predecessori a concedere, o non concedere, il privilegio alla Chiesa pisana: Urbano II sarebbe stato spinto dalla necessità della situazione (necessitate quadam compulsus), facendo riferimento all’abbandono di Roma ancora insicura per la presenza di Clemente III. Pasquale II, invece, nonostante le multas et gravissimas[…] necessitates non avrebbe ceduto alle preghiere dei pisani. Al contrario, Gelasio II maiori et graviori necessitate Romam

exire coactus […] privilegium […] renovavit, forse l’accenno qui è all’attentato dei

Frangipane nei confronti del pontefice. Poche righe più avanti segue il richiamo al rinnovo del 1120 per mano dello stesso Callisto II, che si dice eiusdem populi

precibus ac devotione devicti176. Nel riassumere rapidamente le decisioni dei suoi

174

Annali Genovesi, cit., p. 19.

175 JL. 7056, Imperiale di Sant’Angelo, Codice diplomatico, cit., pp. 45-50, n. 36. 176

Tali motivazioni non si discostavano molto da quelle fornite nella revoca del 3 gennaio del 1121:

cum ad Pisanam ecclesiam venissemus, devotionem cleri et populi attendentes, et eorum petitioni clemetius annuentes, id ipsum favoris nostri assertione firmavimus.

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predecessori è evidente la scelta del climax ascendente che connota le difficoltà dei pontefici precedenti. L’utilizzo del termine necessitas parrebbe richiamarsi all’auctoritas innocenziana: Ergo quod necessitas pro remedio reperit, cessante

necessitate, debet utique cessare pariter quod urgebat177. Ancora una volta le le necessità del pontefice erano cambiate: l’accordo con l’Impero era stato trovato (Worms 1122) e garantirsi il supporto di Pisa era passato decisamente in secondo piano. Più avanti nel testo Callisto II fornisce le motivazioni di tali revoche, che sembrerebbero essere sostanzialmente di duplice natura. In primo luogo, la concessione avrebbe costituito il casus belli degli scontri tra Genova e Pisa, già da tempo in crescente rivalità. Per questo motivo Urbano II al sorgere delle bellicose schermaglie avrebbe scelto di avocare nuovamente al pontefice la consacrazione dei vescovi corsi178. Anche Gelasio II sarebbe tornato sui suoi passi annullando la concessione: quod tamen postmodum eandem Pisanorum et Ianuensem

perturbationem prospiciens annullavit. Nella lettera ai vescovi corsi del 3 gennaio

1121, veniva messa in rilievo un’altra conseguenza della discordia sorta tra Genova e Pisa: la diminuzione del controllo delle coste tirreniche che avrebbe offerto l’occasione per nuove scorrerie saracene179

. La revoca attuale, invece, sarebbe stata dettata anche dai disordini insorti a Roma all’indomani del privilegio favorevole a Pisa, perché avrebbe costituito una diminutio della dignità della Chiesa romana stessa180. Nel testo del ’21 avevano trovato maggior spazio sia queste argomentazioni che le proteste dei vescovi corsi, riluttanti per la sottomissione alla Chiesa pisana181.

177

Cfr. G.M. Cantarella, Sondaggio sulla dispensatio (sec. XI-XII), in Chiesa, diritto e ordinamento

della ‘societas Christiana’ nei secoli XI e XII, (Atti della nona Settimana internazionale di studio),

Milano 1986, pp. 461-485.

178 «[…] qui [Urbano II] tamen postmodum et Romane Ecclesie scandalum pertimescens et gravem

inter Pisanos et Ianuenses oriri discordiam videns, concessionem ipsam mutavit et antecessores vestros sicut moris fuerat, suis minibus consecravit».

179

«[…]unde tanta inter Pisanos et Ianuenses crevit discordia, ut depredationes et bella et multa

sanguinis effusio facta sint. Huius quoque occasione discordie, tanta Sarracenis accessit audatia, ut Italie fines totius invadentes […]».

180 «Cum vero ad urbem per Dei gratiam venissemus de facto nostro non modicam cleri et populi

perturbationem invenimus, eo quod in concessione illa que extra urbem cum paucis facta fuerat, Romana Ecclesia diminutionem patiebatur et totius discordie ut dictum est ministrare fomitem videbatur».

181 «[…] in ipsa etiam urbe Romana tam cleri quam populi turbatio facta est, adeo ut ante ipsum beati

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Nella Quot Mutationes viene poi descritto l’iter scelto dal pontefice di affidare la risoluzione della disputa alla commissione di ecclesiastici e sottoporre il loro giudizio al concilio.

Dopo che il cardinale diacono Gregorio di S. Angelo, il futuro Innocenzo II, ebbe dato pubblica lettura di quanto stabilito, l’arcivescovo Ruggero e i Pisani lasciarono

sine licentia il concilio, ancor prima del suo termine.

I legami tra Pisa e la Sede Apostolica si interruppero bruscamente, almeno fino alla morte di Callisto II e all’elezione del nuovo pontefice. A quel punto i giochi si riaprirono.