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III. Gli anni di Daiberto, dal 1088 al

III. 1. I privilegi del 1091 e del

Daiberto riuscì dunque a ristabilire la concordia interna e dovette anche guadagnarsi il sostegno dei cives per poterne garantire la loro fedeltà al pontefice. Fu così che la Chiesa pisana riuscì a meritare nuovamente il vicariato sulla Corsica.

Sin dalla pubblicazione nel 1963 dell’articolo di Cinzio Violante sulle concessioni pontificie relative alla Corsica a favore della Chiesa pisana la figura di Daiberto è stata interpretata come «uno dei pilastri della politica ecclesiastica di Urbano II». In tempi più recenti poi i contributi di Matzke, sulla figura di Daiberto, e di Ronzani, sulle concessioni urbaniane, hanno ulteriormente confermato la felice intuizione72. Come pose già in luce Violante, nel momento in cui il 28 giugno del 1091 Urbano II indirizzò da Benevento il privilegio con cui concesse nuovamente il vicariato al vescovo pisano le forze della marchesa Matilde avevano appena subito una bruciante sconfitta: nel marzo del 1090 Enrico IV era nuovamente sceso nella Penisola e il 10 aprile del 1091 aveva conquistato la roccaforte filocanossana di Mantova, dopo undici mesi di assedio73. Richiamare la posizione della marchesa appare utile per comprendere il contesto in cui si colloca l’azione del pontefice ma anche perché, proprio con il privilegio del 1091, il nome della charissima beati Petri filia Matilde ricompare ufficialmente in relazione alle sorti della città tirrenica. Infatti Urbano II scriveva che la marchesa aveva intercesso presso il pontefice, insieme ad altri laici della civitas ed allo stesso Daiberto, affinché la concessione di Gregorio VII venisse rinnovata. Non si trattò, però, di una conferma del privilegio del 1078, ma di una concessione ex novo, per quanto il nome di Gregorio VII fosse esplicitamente menzionato. Il privilegio, indirizzato al vescovo, si apre con il richiamo alla donazione costantiniana che faceva del pontefice il titolare, temporalmente e spiritualmente, dell’isola corsa; poi Urbano II menzionava coloro che si erano spesi a favore della causa pisana, dopo aver brevemente richiamato l’azione del suo secondo

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Violante, Le concessioni, cit., p. 54; M. Ronzani, Eredità di Gregorio VII e apporto originale di

Urbano II nel privilegio apostolico del 22 aprile 1092, in Nel IX centenario, cit., pp. 59-79, anche in

Id. Chiesa e civitas, cit., pp. 11-32; Matzke, Daiberto, cit., pp. 92-108 soprattutto per i rapporti tra Pisa, Daiberto e Urbano II.

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predecessore. Con il consiglio dei cardinali e dei chierici e dei suoi fideles -consilio

clericorum cardinalium aliorumque nostrorum fidelium - il pontefice concedeva il

vicariato sulla Corsica all’Ecclesia Pisana fintanto che eadem Pisana civitas

episcopum non invasione tyrannica sed cleri et populi electione canonica per Romani pontifici manus acceperit, così come era avvenuto per Landolfo, Gerardo, e

lo stesso Daiberto. Venivano poi enunciate altre due condizioni per fruire di questo privilegio: la città di Pisa, e non il vescovo, si badi, avrebbe dovuto continuare a prestare la fedeltà che oggi dimostrava al pontefice romano, e inoltre sarebbe stata tenuta a versare al Palazzo Lateranense la somma annua di 50 lire di moneta lucchese. Al termine del privilegio si ribadiva ulteriormente che per i cives la fedeltà alla Sede Apostolica - ut eamdem fidelitatem eamdemque devotionem Romanae

Ecclesiae semper exhibeant - sarebbe stata l’unico e imprescindibile strumento per

continuare a godere dei privilegi che sarebbero stati concessi al suo pastore. Come ha svelato Ronzani, la lettera urbaniana fu principalmente indirizzata alla civitas: il pontefice con il costante richiamo alla fedeltà faceva riferimento proprio all’adesione di Pisa al fronte imperiale avvenuta dopo il 108174.

Meno di un anno dopo Urbano II fece un’ulteriore e assai più rilevante concessione alla Chiesa pisana, elevandola ad arcidiocesi e attribuendole i diritti metropolitici sulla Corsica. Che cosa fosse avvenuto nel corso di questi mesi per giustificare un ampliamento delle prerogative è assai difficile da ricostruire. Appare comunque utile porre in luce che il privilegio del 1092 risulta significativamente differente rispetto a quello del 1091 non solo per il suo valore istituzionale e politico poiché, con l’elevazione ad arcidiocesi di Pisa, Urbano II avrebbe ridisegnato l’assetto ecclesiastico della Penisola75, ma anche per la sua più complessa eleborazione formale e teorica. Il dubbio che sorge è che un’ulteriore dimostrazione di fedeltà alla Sede Apostolica da parte di Pisa avesse spinto il pontefice a concedere qualcosa in più rispetto a dieci mesi prima. Questa, tuttavia, rimane una mera suggestione

74 Ronzani, Eredità, cit., p. 66 oppure Chiesa e civitas, cit., pp. 18-19. 75

Ronzani, Eredità,cit., p. 79 oppure Chiesa e civitas, cit., p. 31. Cfr. anche la terza parte della monumentale monografia di Alfons Becker, Papst Urban II., t. III, MGH. Schriften, 19,3, Hannover 2012, pp. 143-370.

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giacchè nulla consente di offrire maggior supporto ad un’ipotesi del genere. Matzke ha posto in evidenza l’esatta coincidenza tra la data di emissione dei privilegi per la Sede pisana e le trattative per l’organizzazione di una flotta per la riconquista di Tortosa in Spagna76. Il 1 luglio del 1091, soltanto tre giorni dopo il rilascio del privilegio per Pisa, Urbano II, emanando un altro privilegio per il vescovo Berengario di Auch lo riconobbe arcivescovo di Tarragona, una diocesi che con questo atto venne restaurata ed elevata a più alto rango. Tarragona si trovava allora in una zona assai calda compresa fra la contea di Barcellona, da cui nasceva parte della spinta propulsiva contro i mori, e le terre sottoposte all’emiro di Tortosa. Come Matzke sottolinea le fonti per questa impresa dagli esiti disastrosi sono assai scarse. Ciò che è noto è che la presa di Valenza da parte di un esercito cristiano si configurava come necessaria per la conquista e la stabilità di Tarragona. Alle potenze navali di Pisa e Genova, che parteciparono all’impresa avviata nell’estate del 1092, sarebbe spettato il compito di sostenere via mare l’assedio di Valenza, mentre le truppe del sovrano Alfonso VI avrebbero accerchiato la città via terra. Il ritardo della flotta pisano-genovese e l’insorgere di nuove difficoltà indussero l’esercito del sovrano di Castiglia a ripiegare e, non potendo condurre l’azione prestabilita, le due potenze marinare si rivolsero invano contro Tortosa. La spedizione, che non è tramandata da alcuna fonte pisana e trova soltanto un fugace accenno negli Annales di Caffaro, fu un clamoroso fallimento. In merito a questa impresa Matzke nota come essa permetta però «di verificare ancora una volta la funzione di Pisa come potenza navale al servizio del papato riformatore durante il pontificato di Daiberto77». Non è possibile stabilire se proprio questa spedizione sia stata alla base delle motivazioni del secondo privilegio per Pisa, tuttavia è probabile che la disponibiltà della civitas all’impresa abbia predisposto positivamente il pontefice.

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Matzke, Daiberto, cit., pp. 81-88.

77 Matzke, Daiberto, cit., pp. 81-86 e p. 108: «Anche se il contributo personale di Daiberto per la

spedizione contro Valenza e Tortosa non è esattamente definibile, è però indiscutibile che esso nasceva dalla stretta collaborazione tra papa Urbano II e il Comune attraverso il suo vescovo Daiberto.»

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Il privilegio del 22 aprile 1092 datato da Anagni78 si apre con un’arenga ricca di significato e con un esplicito riferimento a coloro che, officiis frequentioribus et

auxiliis amplioribus, si sarebbero meritati un maggior riconoscimento: il presule

Daiberto e la città di Pisa. Segue il richiamo ai passi biblici Honorificantes me

honorificabo (1 Samule 2,30) e Vos estis, qui permansistis mecum in tentationibus meis, et ego dispono vobis, sicut disposuit Pater meus regnum (Luca 22, 28-29).

Poichè dunque la Pisanorum gloriosa civitas era rimasta al fianco del pontefice in tale temperie scismatica e non solo si era spesa per la libertà della Santa Romana Chiesa ma era anche pronta a spendersi in futuro, Urbano II si sarebbe preoccupato di ricompensarla. La maestà divina aveva concesso a Pisa enormi onori terreni, anche grazie alle vittorie contro i Saraceni e l’aveva esaltata a confronto con le altre sedi vescovili perciò il pontefice l’avrebbe glorificata in spiritualibus quoque. In questo contesto, proprio il richiamo alle azioni contro i Saraceni, del tutto assente nel privilegio del 1091 potrebbe lasciar intrevedere una stretta connessione con l’impresa che allora si preparava contro le coste iberiche. Ancora una volta con il consiglio del collegio cardinalizio (stavolta ne venivano indicati tutti e tre gli ordini) con l’assenso dei più stretti consiglieri e dietro istanza di Matilde il pontefice promuoveva Daiberto ad arcivescovo e la Chiesa pisana a sede arcivescovile, sempre che i suoi successori, come Landolfo, Gerardo e lo stesso Daiberto, venissero in futuro eletti canonicamente. Seguiva una descrizione della desolante situazione sull’isola della Corsica, che sarebbe dovuta rientrare per opera del nuovo arcivescovo sotto l’obbedienza della Sede Apostolica restaurandovi la disciplina morale e spirituale. Urbano II concesse il pallio a Daiberto indicando i giorni del calendario liturgico in cui avrebbe potuto utilizzarlo e comprendendo tra questi il giorno di S. Sisto79. Questa giornata, il 6 agosto, è una ricorrenza assai significativa nella storia di Pisa: in questo giorno del 1005 i Pisani attaccarono e sconfissero i Saraceni di Messina, e sempe nello stesso giorno del 1087 venne dato l’assalto vittorioso a Zawīla. A San

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PL. 151, cc. 344-346.

79 Cfr. Ronzani, Eredità, cit., pp. 59-61. Alcune delle osservazioni qui esposte derivano oltre che dalla

lettura del contributo qui citato anche dalle lezioni tenute dal Professor Ronzani nell’estate del 2011 nell’ambito di un corso per i dottorandi della Scuola di Dottorato in Storia, Orientalistica e Storia delle Arti.

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Sisto, dunque, al ritorno da al-Mahdīya i Pisani dedicarono l’attuale chiesa, che ben presto sarebbe divenuta uno dei centri nevralgici della vita politica cittadina.

Nello stesso torno d’anni Daiberto ricevette anche il compito di svolgere le funzioni di legato della Sede Apostolica in Sardegna, ma della concessione dell’incarico non si conoscono, purtroppo, con precisione tempi e modi. Bisognerà comunque considerare, come ha rimarcato Turtas, che la Sardegna si configurava politicamente in modo differente dalla Corsica. Quest’ultima, come già accennato, era considerata dai pontefici iure proprietario pertinenza della Sede Apostolica mentre la Sardegna, con il suo sistema giudicale, godeva di una propria autonomia politica riconosciuta da Roma. La legazione in Sardegna, inoltre, consentiva alla città di Pisa di allargare la sua sfera di influenza anche sulla maggiore delle isole tirreniche che, molto più della Corsica, era al centro degli interessi commerciali delle élites cittadine. Della legazia in Sardegna siamo informati da due documenti: il primo, di carattere ufficiale, è il privilegio che nel 1138 Innocenzo II concesse all’arcivescovo di Pisa Baldovino, in cui si ricordava che già al tempo di Urbano II era stato concesso tale incarico all’allora titolare della cattedra di Santa Maria80

. Il secondo documento è rappresentato dalla lettera di un monaco vittorino di nome Giovanni che informa l’abate del cenobio marsigliese di San Vittore della scomunica scagliata da Urbano II contro il giudice Torchitorio di Gallura. Da tale lettera emerge che il pontefice decise di inviare in Sardegna l’arcivescovo di Pisa e che questi si risolse a convocare presso Torres una sinodo durante la quale fu reiterata la scomunica. Nel testo della missiva il nome del presule pisano è taciuto ma la dignità arcivescovile è, invece, resa esplicita e, dunque, appare certa l’identificazione con Daiberto; inoltre, dal momento che Daiberto divenne arcivescovo nell’aptile del 1092, tale riferimento costituisce un sicuro termine post quem 81 . A parere di Turtas, inoltre, nell’ambito della

80 «[...] legationem quoque Sardiniae, a predecessore nostro papa Urbano predecessoribus tuis

concessam [...]». La più recente edizione del documento è in M.L. Ceccarelli Lemut, La sede metropolitana, cit., p. 168.

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«Super omnia ista misit domnus pape legatum suum aput Sardinia, et iam archiepiscopo Pisano

viro prudentissimo venit aput Turris, vocavit archiepiscopos et episcopos Sardinie ut venirent ad sanctum sinodum [...]». Il testo della lettera è contenuto in P. Tola, Codice Diplomatico della Sardegna, rist. Sassari 1984, vol. I, pp. 162-163, la citazione è tratta dalla nuova edizione in Lettere originali del Medioevo latino (VII-XI sec.), vol.II. 1, Francia (Arles, Blois, Marseille, Montauban,

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convocazione della sinodo a Torres si dovrà collocare anche il solenne giuramento, privo di datazione, del giudice cagliaritano Costantino che si impegnò ad osservare quanto stabilito dai principi riformatori per la restaurazione della disciplina morale e religiosa sull’isola82. Secondo Matzke gli anni più probabili in cui collocare la visita del presule pisano sarebbero il 1093 oppure il 1097 con una preferenza, tuttavia, per la prima data, perché i preparativi per la crociata imminente non consentono di ipotizzare per la legazione di Daiberto l’anno 109783.