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Pietro Pisano cardinale diacono di S Adriano (1113-1116) e cardinale presbitero di S Susanna (1117-1144)

P., et tu Const., et ex omnibus quae ad praefecturam pertinent ad curiae commodum in testimonio

III. Quis nescit Petrum Pisanum?

Nella notte del 13 febbraio del 1130 il pontefice spirò e nelle ore successive si consumò quella frattura all’interno del collegio cardinalizio che portò ad otto lunghi anni di scisma. Il cardinale di S. Susanna è uno dei principali protagonisti di questa intricata vicenda, fin dal suo inizio: egli fu tra i membri del collegio elettivo che si spaccò alla vigilia della dipartita del pontefice, ma soprattutto la sua figura colpì particolarmente l’immaginario dei suoi contemporanei, Pietro pisano, celebre per la sua fama di esperto di diritto e di canonista, rappresenta uno dei più celebri sostenitori di Anacleto II. A partire dal febbraio del 1130 a causa della distruzione della maggior parte della documentazione della cancelleria anacletiana non si dispone di molte attestazioni del cardinale pisano; tuttavia la figura di Pietro emerge con particolare risalto dalle fonti letterarie coeve che ne esaltano le doti e ne ricordano la sfortunata vicenda.

Dalle fonti che ci raccontano i giorni precedenti lo scisma emerge il ruolo, non irrilevante, svolto dal cardinale di S. Susanna. É noto che il 12 febbraio del 1130, all’aggravarsi delle condizioni di salute di Onorio II, in una riunione del collegio cardinalizio venne presa la decisione di derogare al decreto elettivo del 1059 per affidare la prossima elezione ad un collegio composto da soli otto cardinali e in questo ristretto comitato vi era anche il cardinale di S. Susanna48. Il giorno

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10 aprile 1129 in Laterano (Pflugk-Harttung, Acta, III, pp.30-31, nr. 36).

48Convenientibus cardinalibus in ecclesia sancti Andreae apostoli, statutum est ab eis: octo personis -

duobus episcopis G(uillelemo) Praenestino et C(onrado) Sabinenesi, tribus cardinalibus presbiteris P(etro) Pisano, P. Rufo et Petro Leonis, tribus cardinalibus diaconibus Gregorio Sancti Angeli, Ionathae, Aimerico cancellario- electionem pontificis committi; ita ut, si committeret domnum papam Honorium, qui tunc in articulo mortis positus erat, ab hac vita transire, persona, quae ab eis communiter eligeretur vel a parte sanioris consilii, ab omnibus pro domino et Romano pontifice susciperetur.P. Jaffè, Biblioteca Rerum Germanicarum, V, Monumenta Bambergensia, Codex Udalrici, Berlino 1869, p. 425, n. 246 (E 346).

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successivo, il 13 febbraio, Pietro, insieme ad alcuni membri del comitato elettivo, dovette raggiungere il capezzale del pontefice nel monastero di S. Gregorio in Clivo

Scauri, e lì molto probabilmente rimase per l’intera giornata. Quando il pontefice

morì durante la notte tra il 13 e 14 febbraio Pietro era presente. Una fonte che costituisce un vero e proprio manifesto del partito anacletiano, la lettera del clero e del popolo romano all’arcivescovo di Compostela Diego Gelmirez, ci narra che durante la notte, senza ancora aver tributato le dovute esequie al pontefice, alcuni cardinali ed il cancelliere Aimerico vollero procedere con la nuova elezione senza avvisare i restanti membri del comitato elettivo. A questo punto il cardinale di S. Susanna protestò contro le irregolrità dell’elezione49

e, molto probabilmente, uscì dal monastero. Tale versione è indirettamente confermata dagli scritti di parte innocenziana che non menzionano Pietro tra gli elettori di Gregorio di S. Angelo50. Secondo Mary Stroll, Pietro raggiunse il resto del collegio cardinalizio che attendeva notizie sulle condizioni del pontefice morente e mise a parte i confratelli dell’accaduto, poche ore dopo, nel pomeriggio del 14 febbraio, Pietro Pierleoni venne eletto nella chiesa di S. Marco con il nome di Anacleto II51.

Come già accennato a causa della perdita dei documenti emessi dalla cancelleria di Anacleto II, non è possibile delineare con esattezza l’attività di Pietro in curia negli anni tra il 1130 e il 1138. Le poche attestazioni superstiti lo segnalano nell’aprile del 1130 a Roma e nel novembre dello stesso anno tra i sottoscrittori del decreto elettivo

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Sicque non cooperto corpore, contempto ipsorum eorumdem iuramento et anathemate, Aymirici quondam cancellarii dolis et astuciis debriati, cum nimia festinantia sicut inter se condixerant, fraudolenter conveniunt, non convocatis neque interrogatis fratribus, contradicente cardinali sancte Susane P. Pisano, qui tunc aderat, seorsum sicut scriptum est, colligentes se ad altare aliud in tenebris et maledictionis titulum eligere volentes, diaconum sancti Angeli sibi in simulacrum et in idolum zeli ausu temerario fabricarunt. Historia Compostellana, cit., pp. 455-458.

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«[…]de octo personis ad electionem electis Prenestinus, Sabinensis, P. Rufus, A(imericus)

cancellarius, quintum Gregorium cardinalem diaconum sancti Angeli, invitum et omnibus modis renitentem, cum religiosis viris episcopis cardinalibus presbiteris diaconibus et subdiaconibus in summum pontificem elegerunt; cum Petro Leonis, qui erat octavo, P(etro) Pisano sexto et Ionatha septimo remanentibus». Jaffè, Codex Udalrici, cit., p. 426.

51 M. Stroll, The jewish Pope. Ideology and Politics in the Papal Schism of 1130, Leiden-New York-

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di Anacleto II52, successivamente il cardinale di S. Susanna accompagnò il pontefice nel suo viaggio nei territori normanni: il 28 novembre e il 5 dicembre sottoscrisse a Benevento53 e il 10 dicembre a Capua54. A questi anni secondo quanto ipotizzato da alcuni studiosi dovrebbe risalire l’impegno del cardinale pisano nel portare a termine i lavori nella basilica superire di S. Clemente. All’origine di questa ipotesi vi è il ritrovamento del 1889 di due frammenti di una lapide sepolcrale: un’epigrafe commemorativa di un tale Petrus, che su richiesta di Anastasio completò i lavori in S. Clemente55. Gatti che per primo ne pubblicò il testo identificò l’Anastasio della ritrovata epigrafe con Anastasio cardinale presbitero di S. Clemente, morto dopo il maggio del 1125, e Petrus con il cardinale Pietro di S. Susanna. Sulla prima identificazione non possono sorgere dubbi: il cardinale Anastasio è ricordato nella sua epigrafe funeraria, purtroppo andata perduta, e nell’incisione sul dossale del trono nell’abside come il commitente dei lavori di rinnovamento della sua chiesa titolare. Molto più arduo appare dimostrare l’esattezza dell’intuizione del Gatti relativa a Pietro pisano, tanto più che l’ipotesi dello studioso si articolava su argomentazioni poco solide56. In tempi più recenti Francesco Gandolfo sulla base di nuovi dati ha riproposto questa suggestiva ipotesi, proponendo, inoltre, di spostare il completamento dei lavori in S. Clemente agli anni dello scisma; in seguito

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A. Chroust, Das Wahldekret Anaklets II., in «Mitteilungen des Instituts für österreichische Geschichtsforschung» 28 (1907), pp. 348-354; 24 aprile 1130, San Pietro, Pflugk-Harttung, Acta, II, p. 330, nr. 371.

53Pflugk-Harttung, Acta, II, p. 331, nr. 372; cfr. anche Chronicon Sanctae Sophiae, cit., p. 649. 54

Pflugk-Harttung, Acta, II, p. 332, nr. 373; cfr. Chronicon Sanctae Sophiae, cit., p. 651.

55 G. Gatti, Di un nuovo monumento epigrafico relativo alla basilica di S. Clemente, in «Bullettino

della commissione archeologica comunale di Roma», serie III, XVII (1889), pp. 467-474; il testo dell’epigrafe, ritrovata tra via Arenula e piazza Cenci e oggi conservata presso i Musei Capitolini, è stato riportato e reintegrato da Gatti: HOC PETRUS TUM(ULO CLA)UDITUR IN D(OMI)NO/CEPIT ANASTASI(US QUE CE)RNIS TE(M)PLA CLEM(ENTIS)/ET MORIENS CURA(M DETULI)D HUIC OPERIS/QUE QUIA FINIVIT P(OST VITE F)UNERA VIVIT/CUI DUM VIVEBA(T SUBDIT)US ORBIS ERAT/ POST MORTEM CA(RNIS DABIT)UR TIBI GL(ORI)A CARNIS/SANCTIS IUDICIO V(IVIFICA)NTE DEO.

56 Citando un passo di Giovanni di Salisbury che a breve verrà commentato (Quis nescit Egidium

Tusculanum? Quis Petrum Pisanum, cui nullus aut vix similis alter erat in curia?), il Gatti scrisse:

«Egli è adunque assai verisimile che il Petrus – cui dum vivebat subditus orbis erat – sia precisamente quel medesimo, cui nullus aut vix similis alter erat in curia; posciachè nel periodo storico, al quale dobbiamo riferirci, nessun altro dignitario ecclesiastico sia noto, al quale possano applicarsi siffatte lodi di grandezza e di dottrina, all’infuori di Pietro da Pisa». Gatti, cit., p. 474.

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l’interpretazione di Gandolfo è stata accolta positivamente da Mary Stroll, la quale ha ritenuto probabile attribuire a Pietro pisano anche i mosaici di S. Clemente, considerandoli espressione dell’ideologia anacletiana57

. Ad oggi, però, a questa proposta di identificazione manca più di un riscontro definitivo: gli unici elementi emersi sono che un personaggio di nome Pietro, di cui non è sicuro che fosse un cardinale, attivo nel secondo e terzo decennio del XII secolo e la cui influenza dovette essere certo notevole per meritare la lode nell’epitaffio - cui dum vivebat

subditus orbis erat - portò a termine i lavori in S. Clemente58.

57

Il primo a riprendere la proposta di Gatti fu Edward Garrison, Studies in the History of Medieval

Italian Painting, I, Firenze 1953-1954, pp. 6-7. F. Gandolfo, Reimpiego di sculture antiche nei troni papali del XII secolo, in «Atti della pontificia Accademia romana di Archeologia. Rendiconti» serie

III, 47 (1974-1975), pp. 203-218, ha ipotizzato che i lavori nella basilica di S. Clemente, che ormai è noto non essere stata consacrata il 26 maggio del 1128 (L. E. Boyle, The date of consecration of the

basilica of San Clemente, Rome, in «San Clemente Miscellany, 2, Art and Archaeology »Roma 1978,

pp. 1-12), siano stati portati a termine durante gli anni dello scisma. L’argomentazione dell’autore si basa sull’analisi di due troni pontificali, quello di S. Lorenzo in Lucina e quello di S. Clemente, questi sarebbero da attribuirsi al pontificato di Anacleto II e successivamente sarebbero stati alterati e «camuffati» per volere di Innocenzo II al fine di cancellare ogni traccia del Pierleoni. Per ciò che concerne l’identificazione tra Pietro pisano e il Pietro menzionato nell’epigrafe sepolcrale, Gandolfo, sebbene ammetta la difficoltà di provarla, ritiene che se il continuatore dei lavori fu uno dei quattro cardinali di nome Pietro attivi in curia sotto Anacleto II, sarebbe possibile individuarlo soltanto con Pietro pisano, l’unico che al termine dello scisma vantasse ancora una posizione di rilievo tale da essere ricordato con la frase dell’epitaffio: cui dum vivebat subditus orbis erat. M. Stroll, Symbols as

Power. The Papacy Following the Investiture Contest, Leiden-New York-Kobenhaven-Köln, 1991,

pp. 106-109, a p. 118: «I suggest that the same Peter, who completed the remodeling of San Clemente – in all probability Peter of Pisa – also created the mosaic, and that like the papal throne, it reflects Anaclet’s conception of the church»; sull’attribuzione del mosaico al pontificato di Anacleto II, cfr. pp. 127-131. Indipendentemente dalle proposte di datazione dei decori musivi di S. Clemente, questione lungamente dibattuta tra gli storici dell’arte e che non compete trattare in questa sede, va posto in evidenza che pur volendo identificare il Petrus dell’epigrafe con un cardinale, cosa sulla quale non sussiste alcun margine di verifica, non si dovrebbero escludere gli altri cinque (e non quattro come ritiene Gandolfo, cit., p. 210) cardinali anacletiani di nome Pietro, tra i quali molto più del pisano spicca il cardinale vescovo di Porto, che consacrò Anacleto II. Inoltre sarà utile esplicitare che il cardinale Pietro di S. Susanna, diversamente da quanto ritenuto da Stroll (Symbols as Power, cit, p. 128), non è mai menzionato come teologo, ma come esperto di diritto, in canonum scientia nulli

secundo. Infine, a mio avviso, la frase elogiativa dell’epitaffio, che ricopre un ruolo determinante nel

tentativo di identificare l’anonimo Petrus, non sembrerebbe ben adattarsi al pisano che dal 1139 fu allontanato dalla curia per circa quattro anni e che, comunque, è difficile immaginare vantasse una tale preminenza in una Roma post scisma; una frase del genere che, sarà bene sottolineralo, si richiama ad un evidente topos letterario, potrebbe ricordare, piuttosto, il padre di Anacleto II, Pietro di Leone, morto negli anni tra il 1124 e il 1130.

58 Una posizione simile a quella appena espressa su l’identificazione con Pietro pisano si trova in un

recente contributo di Stefano Riccioni, Il mosaico absidale di S. Clemente a Roma. Exemplum della

Chiesa riformata, Spoleto 2006, p. 5, il quale sposta decisamente la fase di allestimento dei mosaici di

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Pietro pisano fu uno dei cardinali più in vista tra i sostenitori di Anacleto II tanto da meritarsi una speciale menzione, insime ad Egidio di Tuscolo, nelle pagine del libro ottavo del Policraticus di Giovanni di Salisbury: Quis nescit Egidium Tusculanum?

Quis Petrum Pisanum, cui nullus aut vix similis alter erat in curia?59 Queste parole, scritte almeno un ventennio dopo l’insorgere dello scisma, possono ben mostrare quanto la figura di Pietro avesse colpito l’immaginario dei suoi contemporanei; soprattutto egli dovette parte della sua fama al noto episodio della disputa che tra novembre e dicembre del 1137 lo vide impegnato in un duello dialettico con Bernardo di Chiaravalle. L’occasione fu offerta dal più strenuo alleato di Anacleto II, Ruggero II, che con un’accorta mossa dilatoria propose un pubblico dibattimento, in cui si sarebbero confrontati i rappresentanti del partito innocenziano e quelli del partito anacletiano, al fine di superare lo scisma60. Il partito di Innocenzo II fu rappresentato da Bernardo di Chiaravalle, dal cancelliere Aimerico, da Gerardo di S. Croce e da Guido di S. Maria in via Lata, mentre quello di Anacleto II da Pietro Pisano, dal cancelliere Matteo, e dal cardinale Gregorio61. Per più di una settimana il sovrano in veste di arbitro ascoltò attentamente prima le ragioni dei fautori di Innocenzo II e poi quelle dei sostenitori di Anacleto II, infine, la disputa conclusiva previde il pubblico confronto fra i campioni dei due partiti: Pietro pisano e Bernardo di Chiaravalle. L’episodio è narrato in due versioni da due biografi del claravallense, Arnaldo di Bonneval e Goffredo di Auxerre62. Nella versione di Ernaldo, Ruggero II avrebbe scelto come oratore il cardinale pisano, confidando che la sua erudizione in campo canonistico potesse mettere in difficoltà la retorica del claravallense: [...] sed

audierat [Ruggero II] Petrum Pisanum eloquentissimum esse et in legum et in canonum scientia nulli secundo. Putabatque si eloquentiae eius in publico

59

Iohannes Saresberiensis, Policraticus sive de nugis curialium et vestigis philosophorum, a cura di F. Liebermann-R. Pauli, MGH. SS. XXVII, Stuttgart 1963, pp. 49-50.

60

Falcone di Benevento, Chronicon, cit., pp. 202-204; cfr. Palumbo, Lo scisma, cit., pp. 578-585; E. Caspar, Ruggero II e la fondazione della monarchia normanna di Sicilia, Bari 1999, pp. 199-203.

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Non è possibile identificare il cardinale in questione, poiché, come già notava il Palumbo, all’epoca vi erano ben quattro cardinali con questo nome tra le fila anacletiane. Palumbo, Lo scisma, cit., p. 581.

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Si fa qui riferimento alla più recente edizione dei testi curata da Pauli Verdeyen Sj, Vita Prima

sancti Bernardi claraevallis abbatis, e da Christine Vande Veire, Fragmenta Gaufridi, editi

154 consistorio audientia praeberetur, declamationibus rhetoricis simplicitatem abbatis posse obrui et silentium ei vi verborum et pondere rationum imponi 63. Per primo prese la parola Pietro le cui argomentazioni furono tese a dimostrare la maggiore validità dell’elezione anacletiana, prior Petrus electionem domini sui cononicam

asserit et verba sua multis canonum assertionibus munit. Ernaldo scrive che

Bernardo rispose evitando lo scivoloso terreno canonistico in cui era estremamente versato il suo avversario, e sviò il discorso sulla gravità della divisione interna alla Cristianità latina provocata dallo scisma: Una est fides, unus Dominus, unum

baptisma. Nos neque duos dominos, nec geminam fidem, nec duo baptismata novimus. Poi l’abate claravallense proseguì: Noè fabbricò un’unica arca che

sopravvisse al diluvio e posto che l’arca raffigurasse la Chiesa, Anacleto ne aveva costruita una seconda; una delle due sarebbe stata sommersa. Sarebbe dunque dovuta affondare quella di Innocenzo II con tutto il seguito di ordini religiosi che parteggiavano per lui? Sopravvivendo l’arca di Innocenzo si sarebbe salvata la Chiesa universale, mentre invece sull’arca di Anacleto avrebbero trovato scampo soltanto lui e il re Ruggero64. Bernardo al termine della sua allocuzione si avvicinò a Pietro, gli prese la mano e rivolgendosi a lui disse: Tuitiorem,si michi credas,

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Verdeyen, Vita Prima, cit., p. 120.

64«At vero Vir Dei non in sermone sed in virtute regnum Dei esse intelligens: «Scio», inquit,« Petre, te

virum sapientem et litteratum esse, et utinam sanior pars et honestiora te occupassent negotia! Utinam te patronum causa felicior obtineret! Et sine dubio rationabilia allegantem nulla posset impedire facundia. Et nos quidem agrestes et questuarii saepius ligonibus quam pragmaticis advocationibus assueti, si causa fidei non esset, institutum silentium teneremus. Nunc autem cogit nos caritas eloqui, quia tunicam Domini, quam in tempore passionis nec ethnicus praesumpsit scindere, nec Judaeus, fautore hoc domino Petro Leonis lacerat et dirumpit. Una est fides, unus Dominus, unum Baptisma. Nos neque duos dominos, nec geminam fidem, nec duo baptismata novimus. Ut ab antiquis ordiar, una arca tempore diluvii fuit. In hac octo animae, ceteris omnibus pereuntibus, evaserunt. Et quotquot extra arcam inventi sunt perierunt. Arcam hanc typum habere ecclesiae, nemo est qui ambigat. Arca alia nuper fabricata est, et cum duae sint, alteram necesse estesse adulteram et in profundum demergi. Arca quam regit Petrus, si ex Deo est, necesse est ut arca quam regit Innocentius obruatur. Peribit ergo orientalis Ecclesia, peribit Occidens totus, peribit Francia, peribit Germania, Hiberi et Angli, et barbara regna in profundum pelagi demergentur. Religio Camaldrensis et Carthusiensis, et Cluniacensis, et Cisterciensis, et Praemonstratensis, aliaque innumerabilia servorum et ancillarum Dei collegia, necesse est ut sub uno turbine corruant in abyssum. Episcopos et abbates et reliquos ecclesiae principes, collopraecipiti mola asinaria alligata, pelagus vorax excipiet. Solus ex principibus mundi arcam Petri intravit iste Rogerius et, caeteris omnibus enecatis, solus ipse salvabitur! Absit ut totius mundi religio pereat et ambitio Petri, cuius vita palam est quae exstiterit, regnum coelorum obtineat».Verdeyen, Vita Prima, cit., pp. 121-122.

155 intrabimus archam65. Secondo quanto tramandato da Ernaldo e Goffredo con questo plateale gesto si sarebbe sancito il passaggio di Pietro all’obbedienza innocenziana. In effetti, anche prescindendo dal valore con cui i due ageografi intesero presentare il contributo offerto da Bernardo nella risoluzione dello scisma, la riconciliazione del cardinale pisano con Innocenzo II è attestata dalle sottoscrizioni che Pietro appose in calce alle bolle innocenziane a partire dal 13 gennaio 1138, e quindi poco dopo l’episodio di Salerno66

. Da una successiva lettera di Bernardo emerge che l’abate ottenne dal pontefice la rassicurazione che Pietro, così come gli altri cardinali che sclesero di abbandonare Anacleto II, sarebbe stato reintegrato in suo ordine et

honore67. Infatti, in un primo tempo il rientro di Pietro in curia é testimoniato da un discreto numero di sottoscrizioni, tra cui anche quella apposta in calce al privilegio per la Chiesa pisana del 22 aprile del 1138. Tuttavia, dopo il Concilio Laterano del 1139, Innocenzo II cambiò atteggiamento nei confonti dei cardinali che avevano

65 Il discorso pronunciato da Bernardo e riportato da Goffredo di Auxerre si discosta in alcuni punti da

quella di Arnaldo ma il ragionamento rimane sostanzialmente invariato. Al termine dell’orazione bernardiana Goffredo presenta un Pietro inizialmente basito e un Ruggero irato davanti all’impossibilità di controbattere alla superiore retorica del claravallense: «Tum vero tyranno

frendente dentibus et tabescente, Petro autem confuso et respondente nihil, acclamat universa moltitudo ut certum erat Leonem illum hominem passimum perditissimumque fuisse. At Bernardus apprehensa manu Petri surgens eduxit hominem a concilio dicens quia “si mihi creditis, securiorem eligimus arcam”». Vande Veire, Fragmenta Gaufridi, cit. p. 294. Goffredo narra, inoltre, una visione

avuta dall’abate claravallense preconizzatrice della morte di Anacleto II: durante una solenne assise tra i due pontefici che si fronteggiavano sarebbe apparsa la Madonna che avrebbe posato il suo sguardo terribile su Pietro pisano, il quale avrebbe chiesto tremando: «Quid est Domina, quod

indigneris mihi? Numquid quia reliqui Petrum Leonis, offensa es?» ed ella avrebbe risposto: «Non quia eum reliquisti, sed quia cum eo fuisti» replicando il pisano si rivolse alla Vergine: «Ergone adeo tibi displicet ille?» e lei avrebbe aggiunto: «Ego tibi ostendam quantum mihi ille displiceat». Et intorquens iaculum quod tenebat gutturi Petri Leonis inflixit, et corruit miser in ipsa hora». Vande

Veire, Fragmenta Gaufridi, cit., p. 295.

6613 gennaio 1138, Roma, (PL. 179, cc. 343-344); 10 marzo 1138, Laterano, (Papsturkunden in

England, III n. 31, p. 153); 23 marzo 1138, Laterano (PL. 179, cc. 351-352); 9 aprile 1138, Laterano,

(PL. 179, cc. 355-357); 22 aprile 1138, Trastevere (Pflugk-Harttung, Acta, II, pp. 294-295, nr. 332); 1 maggio 1138 Laterano, (PL. 179, cc. 361-363); 11 giugno 1138, Laterano, (PL. 179, cc. 367-368); 21 giugno 1138, Laterano (Pflugk-Harttung, Acta, II, pp.295-296, nr. 333); 3 novembre 1138, Laterano. (Pflugk-Harttung, Acta, II, pp.297-298, nr. 335, JL 7911); 25 gennaio 1139, Laterano. (Pflugk- Harttung, Acta, II, pp.300-301 nr. 339); 18 marzo 1139, Laterano (J. Trouillat, Monuments de

l’histoire de l’ancien évêché de Bâle, I, Porrentruy 1852, n. 181, pp. 272-274);29 marzo 1139,

Laterano, (R. Hiestand, Papsturkunden für Templer und Johanniter, Göttingen, 1972, n. 3, pp. 204- 210); 11 aprile 1139 Laterano, (PL. 179 p. 425, JL 7972 e Papsturkunden in Italien, II, pp. 344-346, n. 15).

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parteggiato per Anacleto II, decidendo di allontanarli dalla curia e destituendoli dai loro incarichi. Anche Pietro subì questa sorte e nonostante le veementi proteste di