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La Sede pisana durante gli anni dello scisma del 1130 e le relazioni degli arcivescovi Uberto (1133-1138) e Baldovino (1138-1145) con Innocenzo

Indipendentemente dai tentativi effetuati dei diversi pontefici per trovare una pacificazione e indipendentemente dalle concessioni e dalla revoca delle prerogative sulla Corsica, a partire dal 1120, cioè quando il conflitto scoppiò apertamente, gli scontri fra Pisa e Genova si susseguirono ininterrottamente199. Gli Annales Ianuenses di Caffaro costituiscono l’unica fonte che attesti con una certa continuità gli scontri - si trattò più di una guerra di corsa -fra le due pontenze marinare.

Giunto a Pisa nell’estate del 1130, ad Innocenzo II si presentò l’urgenza di porre un termine alla guerra fra le due città, onde disporre del sostegno navale e militare di entrambe. Come narrano sia la Vita Innocentii II di Bosone sia Caffaro, il pontefice impose un accordo di pace temporaneo200. La questione, però, si sarebbe ben presto riaperta; per consentire lo sviluppo dei progetti del pontefice, al posto di un’effimera tregua, sarebbe stata necessaria una pace più duratura.

Dopo aver raggiunto St. Gilles nel settembre del 1130 Innocenzo II cominciò un lungo viaggio attraverso la Gallia, la Borgogna, l’Alvernia e le terre sottoposte al

198JL. 7413, cfr. anche Duchesne-Vogel, Le Liber Pontificalis, cit., p. 381: «Ascendit ergo in duabus

galeis cum omnibus fratribus qui secum staterant, preter Corradum Sabinensem episcopum quem vicarium in Urbe reliquit, et faucium Tyberis difficultate transcensa, ad civitatem Pisanam cum prosperitate Domino auctore pervenit. Ibique aliquamdiu moram faciens, de gravi guerra que inter Pisanos et Ianuenses agitabatur firmam treguam Domino cooperante composuit».

199

Annali Genovesi, cit., pp. 16-24; cfr. F. Schweppenstette, Die Politik der Erinnerung. Studien zur

Stadtgeschichtsschreibung Genuas im 12. Jahrhundert, Frankfurt am Main, 2003, pp. 131-139, in

particolare p. 132 nota 90. Le vicende della lunga lotta tra Genova e Pisa per il predominio in Corsica sono ripercorse anche da V. Polonio, Istituzioni ecclesiastiche della Ligura medievale, Roma 2002, si rimanda soprattutto al paragrafo Dalla diocesi all’arcidiocesi, pp. 33-72 e in particolare alle pp. 49- 55.

200

Il testo del Liber Pontificalis è citato alla nota 199; Annali Genovesi, cit., pp. 25-26: «Eo tempore

papaInnocentius fecit tregam inter Ianuenses et Pisanos, per multa sacramenta ab utroque latere facta, donec a Frantia papa rediret».

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dominio di Luigi VI. Nel corso di circa un anno e mezzo, tanto durò la sua permanenza oltralpe, il pontefice riuscì a consolidare i suoi legami con il sovrano francese, che gli assicurò il suo sostegno fin dalla prima ora201, con Enrico I d’Inghilterra e con il sovrano germanico ed aspirante imperatore Lotario di Supplimburgo (eletto nel marzo del 1125 dopo la morte di Enrico V). Con quest’ultimo l’incontro avenne nei domini imperiali, a Liegi, il 22 marzo del 1131: Lotario andò incontro ad Innocenzo II prestandogli l’omaggio dell’officium

stratoris202. In questa occasione il pontefice conseguì un importante risultato politico, ottenendo che Lotario si impegnasse, insieme ad altri nobili del regno, ad organizzare una spedizione italiana che reinsediasse Innocenzo II sul soglio di Pietro. Il suo avversario, Anacleto II, oltre ad occupare saldamente Roma aveva anche stretto legami con la potenza normanna, riconoscendo il titolo di re di Sicilia a Ruggero II, incoronato sovrano nel Natale del 1130 a Palermo. Dunque, per una spedizione contro l’«antipapa» e il suo potente alleato sarebbe servito il supporto navale delle due città marinare, Genova e Pisa.

Dopo aver tenuto un importante concilio a Reims, nell’ottobre del 1131, che sancì il riconoscimento di Innocenzo II da parte di molti dei sovrani europei, il pontefice intraprese lentamente la via della Penisola, ove giunse nell’aprile del 1132.

Al seguito del pontefice allora vi erano tre cardinali di origine pisana: Uberto di S. Clemente, Guido vescovo di Tivoli e Guido dei SS. Cosma e Damiano, nominato nell’aprile del 1132 e molto probabilmente nipote ex fratre del suddetto Uberto. Pietro Pisano di S. Susanna, invece, si era schierato con Anacleto II.

201

Comunemente si fa risalire la scelta di campo del sovrano francese al concilio di Ètampes dell’ottobre del 1130, quando Bernardo di Chiaravalle avrebbe perorato efficacemente la causa innocenziana; tuttavia opinioni espresse nel corso dell’ultimo trentennio da A. Graboїs, Le schisme de

1130 et la France, in «Revue d’Histoire ecclésiastique» 76 (3-4) (1981), pp. 593-612, e A.

Ambrosioni, Bernardo e il Papato, in Bernardo cistercense, Spoleto 1990, pp. 59-79; e il ritrovamento di una nuova fonte ad opera di T. Reuter, Zur Anerkennung Papst Innocenz'II., eine neue

Quelle, in «Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters» 39(1983), pp. 395-416, restituiscono

un’immagine decisamente differente: Luigi VI avrebbe avuto già intenzione di riconoscere Innocenzo II come pontefice legittimo già prima del suddetto concilio.

202 Sul viaggio di Innocenzo II cfr. P. F. Palumbo, Lo scisma del MCXXX. I precedenti, la vicenda

romana e le ripercussioni europee della lotta tra Anacleto e Innocenzo II, Miscellanea della regia

deputazione romana di storia patria. Roma 1942, pp. 370-414; sull’incontro a Liegi cfr. W. Bernhardi,

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Innocenzo II incontrò a Roncaglia nel novembre del 1132 Lotario, sceso con un esercito per condurre il pontefice a Roma e cingere la corona imperiale. Negli ultimi giorni del 1132 Innocenzo II giunse a Pisa e decise di insediare sulla cattedra di S. Maria, rimasta vacante, il cardinale presbitero Uberto. La scelta del pontefice non poteva essere più adeguata: Uberto era stato per più di vent’anni canonico della cattedrale, la sua partecipazione all’impresa balearica è immortalata nei versi del

Liber Maiorichinus, che lo ricordano come flos levitarum. Esponente di una famiglia

di ceto elevato radicata nel comitatus pisano, Uberto, anche dopo la sua assunzione al cardinalato, aveva fatto ritorno a Pisa, per donare tutti i suoi beni alla Chiesa pisana. Canonico vicino al presule Ruggero, Uberto dovette godere di una certa stima, ma soprattutto dovette avere una profonda conoscenza delle dinamiche politiche interne alla civitas e, a mio avviso, solidi legami con esponenti di spicco del governo cittadino203. Questa considerazione può essere supportata dallo sviluppo degli eventi e dalle scelte politiche prese durante il suo episcopato. Egli, appena insediato, dovette impegnarsi insieme al pontefice per le trattative che portarono alla pace di Grosseto del marzo del 1133. Come detto, il supporto navale delle due città doveva risultare fondamentale per la buona riuscita della discesa a Roma del pontefice e di Lotario. Secondo il biografo Bosone, Innocenzo II avrebbe convocato a Pisa dei rappresentanti della città di Genova che, sotto giuramento, s’impegnarono, insieme ai Pisani, a rispettare le regole della pace che sarebbe stata stabilita.

Nella prima metà del mese di marzo vi fu il secondo incontro in Italia fra il pontefice e Lotario. I due si incontrarono a Calcinaia, a pochi chilometri da Pisa, probabilmente per concordare le tappe della discesa verso Roma. Di lì a poco, il 20 marzo del 1133, a Grosseto il pontefice dettò le regole del trattato di pace: ingiunse ai Genovesi e ai Pisani di nominare entro la Pentecoste (14 maggio) una commissione composta da quattro esponenti - sapientes et discreti viri - di ciascuna

203 Un indizio di quanto appena enunciato può essere scorto osservando attentatemente il seguito

dell’arcivescovo Uberto: tra i rogati testes dei documenti emessi durante il suo governo compaiono molto spesso i consoli, cosa che si era verificata già durante l’episcopato di Ruggero, ma anche coloro che non erano consoli in carica e che avevano rivestito questo ruolo in anni precedenti. Inoltre, come ha fatto notare Ronzani, è al periodo del suo episcopato che si dovrà attribuire in rientro in città dei Conti di Porto. Cfr. scheda biografica di Uberto, testo corrispondente alle note 71-77.

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delle due città per dirimere tutte le controversie che sarebbero potute sorgere nei successivi due mesi. Inoltre, Innocenzo II impose ai Pisani di restituire ai Genovesi tutto ciò che era stato loro sottratto entro la festività di S. Michele dell’anno a venire, cioè il 29 settembre 1134204. Il nucleo politico della pace del 1133 era, però, la questione dei diritti metropolitici sulla Corsica. Nella stessa occasione Innocenzo II elevò la Chiesa di Genova ad arcidiocesi e vi sottopose le sedi suffraganee di Bobbio e Brugnato, quest’ultima appena costituita, ma soprattutto tre diocesi corse: Mariana, Nebbio e Accia, anche questa appena eretta; infine, affidò metà dell’isola in feudo ai Genovesi, dietro pagamento di una libbra d’oro all’anno205. La conferma di quanto sancito con questo privilegio per l’arcivescovo di Genova giunse pochi giorni dopo la scadenza del termine per la risoluzione delle liti fra Pisani e Genovesi. Infatti, il 25 maggio dal Laterano, Innocenzo II emise una seconda bolla per il presule genovese con cui veniva confermato quanto concesso il 20 marzo, estendendo inoltre le prerogative su S. Venerio del Tino ai futuri presuli genovesi206. Per raggiungere questo obbiettivo l’arcivescovo Uberto dovette restituire al pontefice le prerogative sulle diocesi corse. La rinuncia della Chiesa pisana fu davvero consistente: perdeva la supremazia sull’isola tirrenica. Ci sarebbe da chiedersi quale presule pisano avrebbe potuto consentirsi questa mossa senza suscitare un immediato malcontento cittadino. Sebbene apparisse evidente che nel progetto politico alla base del trattato di pace l’isola sarebbe stata divisa salomonicamente in due (tre vescovadi venivano affidati a Genova: Mariana, Nebbio e Accia e tre sarebbero stati concessi a Pisa: Aleria, Ajaccio e Sagona) non fu emesso alcun privilegio per Pisa. Il Kehr ne ipotizzò l’esistenza, ma ormai da tempo si è certi che il pontefice, in quell’occasione, diede alla Chiesa pisana soltanto delle garanzie verbali, seppur espresse in qualche occasione solenne207. Innocenzo II, però, sottomise all’arcivescovo pisano la diocesi

204 Il testo del trattato di pace è giunto soltanto nella copia genovese fatta giurare dai Pisani: Imperiale

di Sant’Angelo, Codice Diplomatico, cit., n. 64, pp. 75-77.

205 Imperiale di Sant’Angelo, Codice Diplomatico, cit., n. 65, pp. 77-80. 206

Pflugk-Harttung, Acta, II, n. 313, pp. 273-274. Polonio, Istituzioni ecclesiastiche, cit., p. 71.

207 IP, III, n. *23, p. 324. L’ipotesi del Kehr è stata in un primo tempo accolta da R. Volpini,

Additiones Kehriane, II, in «Rivista di Storia della Chiesa in Italia» 23 (1969), pp. 313-360, in

particolare p. 340 nota 95; successivamente Ronzani, «La nuova Roma», cit., p. 69, ha suggerito che Innocenzo II «solo verbalmente, sia pure in una qualche occasione pubblica d’una certa solennità,

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di Populonia-Massa e affidò lui la legazia sulla Sardegna208. Nulla di formale venne sancito per la Corsica, sebbene la questione dovette essere stata ampiamente trattata e l’istituzione del sesto vescovato dell’isola (Accia) risultasse funzionale ad una perfetta divisione fra le due potenze marinare. Comunque sia, il riconoscimento di questa suddivisione sarebbe giunto formalmente soltanto nel 1138, con il privilegio per il nuovo arcivescovo Baldovino. Il pontefice molto probabilmente fornì sufficienti rassicurazioni ai Pisani riguardo al riconoscimento della loro parte dell’isola, ma anche il presule Uberto in quella occasione dovette svolgere un ruolo fondamentale nel garantire alla civitas il rispetto di questo patto.

Già Pietro Zerbi notò come la pace di Grosseto possa essere considerata come «un compromesso elaborato e studiato»209 e ipotizzò che alla sua realizzazione possa aver contribuito l’abilità strategica del cancelliere Aimerico. Zerbi scartò, invece, l’ipotesi di un determinante apporto che altri studiosi avevano attribuito a Bernardo di Chiaravalle. Simili considerazioni sono state espresse da Valeria Polonio, in un fondamentale contributo: «la costruzione della pace è calibrata con puntigliosa e raffinata abilità. Questo capolavoro di politica ecclesiastica e di diplomazia porta l’impronta di sperimentate personalità curiali. Il biografo papale l’attribuisce a Innocenzo; e non è da escludere l’apporto di abili consiglieri, come il cancelliere Aimerico. Ed è anche probabile che le città interessate non siano del tutto estranee a ciò che viene eleborato: alcuni particolari denunciano una minuta conoscenza di problemi locali; è difficile pensare che esse vengano poste bruscamente davanti al fatto compiuto»210. Certamente l’opinione dei due illustri studiosi non può che essere condivisibile ma, più che l’abilità diplomatica del cancelliere borgognone, è più

dovette anticipare le concessioni parallele all’arcivescovo pisano, riparatrici della sottrazione di mezza Corsica [...]». L’ipotesi avanzata da Ronzani è stata poi accolta da Ceccarelli Lemut, La sede

metropolitana e primaziale di Pisa, cit., pp. 150-151, e da Valeria Polonio, San Bernardo, Genova e Pisa, in San Bernardo e l’Italia, a cura di P. Zerbi, Milano 1993, pp. 69-99; p. 84 e nota 30.

208

Cfr. Ceccarelli Lemut, La sede metropolitana e primaziale di Pisa, cit., pp. 151-152; si rimanda anche alla scheda biografica sul cardinale Uberto al testo corrispondente alle note 43-46.

209

P. Zerbi, I rapporti di S. Bernardo di Chiaravalle con i vescovi e le diocesi d’Italia, in Vescovi e

diocesi in Italia nel Medioevo (sec. IX-XIII), Padova 1964, pp. 219-314, in particolare p. 237 ora

riedito in Id. Tra Milano e Cluny. Momenti di vita e cultura ecclesiastica nel secolo XII, Roma 1978, pp. 3-109.

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probabile intravedere in questo “capolavoro di politica ecclesiastica” l’intervento di quei cardinali di origine pisana che ben conoscevano il contesto cittadino delle due potenze marinare. In particolare, la figura del presule Uberto sembrerebbe corrispondere perfettamente al quadro tracciato dalla Polonio. L’ex cardinale di S. Clemente era tanto vicino alla civitas quanto al pontefice, ma suprattutto convinse i Pisani a rinunciare di buon grado all’egemonia sulla Corsica e garantì un accordo non “formalizzato”.

Inoltre, la stipula del trattato di pace avvenne in un momento assai delicato: quando Innocenzo II era già lontano da Pisa e si trovava a Grosseto, in procinto di deviare verso l’interno, in direzione di Viterbo, ove si sarebbe incontrato con Lotario per entrare a Roma. L’esito della spedizione non era prevedibile e la stipula della pace avvenne in un «clima d’attesa, di speranze non ancora divenute certezze, e perciò di promesse più o meno grandi e vaghe»211. Un contingente pisano e genovese appoggiò l’azione dell’aspirante imperatore, prendendo Civitavecchia e, risalendo il Tevere, acquistando infine il possesso della zona del Testaccio212. Dunque, non solo ai Pisani non era giunta alcuna garanzia in forma di privilegio delle loro aspirazioni su metà della Corsica, ma venne richiesto loro anche il supporto navale per la prima discesa di Lotario a Roma. In questo contesto non sembra azzardato ipotizzare che l’influenza del presule pisano dovette svolgere un ruolo determinante. Al fine di convincere i Genovesi a sostenere l’azione militare, invece, il pontefice aveva inviato loro l’eloquente abate di Clairvaux, Bernardo213.

211

Ronzani, «La nuova Roma», cit., p. 69.

212 Duchesne-Vogel, Le Liber pontificalis, II, cit., p. 382: «Tunc Pisani et Ianuenses in auxilum pape

Innocentii cum navali exercitu Romam venientes, Civitatem Veterem, turrim de Pulverio et totam Marmoratam eidem pontifici subiugarunt». Annali Genovesi, cit., p. 27: «[...] adhuc in predicto consolatu Ianuenses cum octo galeis Romam tenderunt, in servitio domini Lotariiregis et pape Innocentii; et ceperunt terres plures, et bella multa fecerunt, donec Romani poserunt se in mercedem regis et pape».

213 Le parole del santo claravallense nell’epistola n. 129 OSB VI/1, pp. 606-611, potrebbero essere

ben lette in questa ottica. Più che inviato allo scopo di convincere i Genovesi ad accettare il trattato di pace di Grosseto, come ipotizza Gastaldelli, l’abate ricorda di una necessitas dell’Ecclesia cui Genova sarebbe andata incontro, spinta dall’eloquenza bernardiana: «Quod adventus noster ad vos anno

praeterito non fuerit otiosus, Ecclesia paulo post in sua necessitate probavit, a qua et missi fueramus». Cfr. Polonio, San Bernardo, Genova e Pisa, cit., p. 89.

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Entrato nell’Urbe, il 4 giugno in Laterano Innocenzo II incoronò imperatore Lotario, mentre Anacleto II si teneva saldamente insediato in Castel Sant’Angelo e manteneva sotto il suo controllo S. Pietro. Le forze del neo imperatore, però, non furono sufficienti per debellare l’«antipapa» e insediare Innocenzo II: prima Lotario II, in luglio, e poi il pontefice, sul finire di agosto, lasciarono Roma. Il tentativo di prendere possesso della città eterna si era rivelato effimero: per sconfiggere la resistenza di Anacleto II sarebbe stato necessario organizzare una spedizione di ben maggiore portata. Pisa fu la meta di Innocenzo II, il porto sicuro in cui avrebbe trovato tutto l’appoggio necessario, offerto dal fedele arcivescovo Uberto, per preparare una nuova discesa a Roma.

Innocenzo II si stabilì nella città tirrenica per tre anni e mezzo, dal settembre del 1133 al marzo del 1137. Prima di allora, raramente un pontefice aveva soggiornato così a lungo in una città: anche durante gli anni di lontananza forzata da Roma la tendenza dei pontefici, quali Urbano II, Pasquale II, Gelasio II e Callisto II, era stata quella di spostarsi di volta in volta, rimanendo poco più di qualche mese nella medesima località214.

Come ha fatto notare Ronzani, è al 1133 che si dovrebbe datare la descrizione dell’arrivo del pontefice e del suo seguito presso Porto Pisano fatta da Arnaldo di Bonneval, uno dei biografi di San Bernardo215. I consoli e tutta la città di Pisa si

214 Ci si rende agevolmente conto di questa consuetidine sfogliando anche rapidamente le pagine dei

Regesta Pontificum Romanorum. Per trovare esempi di soste così lunghe bisogna guardare gli anni

difficili del pontificato di Alessandro III, egli si trattenne per più di un anno ad Anagni (novembre 1159-aprile 1161), a Sens (ottobre 1163-aprile 1165), a Benevento (agosto 1167-febbraio 1170) e a Tuscolo (ottobre 1170-gennaio 1173).

215

Ronzani, «La nuova Roma», cit., p. 71. L’ipotesi di Ronzani risulta ancor più probabile qualora si consideri che Arnaldo scrisse la Vita prima negli ultimi anni del suo abbaziato, tra il 1153 e il 1156, circa vent’anni dopo i fatti narrati. Arnaldo Bonaevallis Abbate, Vita Prima Sancti Bernardi, Liber II, a cura di Pauli Verdeyen SJ, Turnhout 2011, Corpus Christianorum, Continuatio Mediaevalis, 79 B, pp. 91-92: «Et procuratis clam navigiis, de ore Leonis[Anacleto II, ovvero Pietro Pierleoni] et de

manu bestiae per Tiberim in Tyrrhenum mare elapsi, prosperis ventis carbasa impellentibus cito in portu Pisano feliciter appulerunt. Audito tantorum virorum adventu et cognita causa propter quam de Urbe exierant, gratulata est Pisa quod se Romani nominis gloria transferretur et illis perpetuae sibi infamiae insculpentibus notam, sibi nominis aeterni et perennis famae inscriptio pararetur. Occurunt igitur honorati viri et consules, et domini papae pedibus advoluti gratais agunt quod eos tanto dignos iudicasset honore, ut eorum eligeret urbem quam propria dignaretur illustrare praesentia. “Tua est, inquiunt, civitas, nos populus tuus; nostris stipendiis famulabimur tibi; immo in usus tuos res publica quicquid apud se repositum habet, gratenter exponet. [...] Nos, Poenis subactis et Balearibus insulis

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rallegrarono dell’arrivo del pontefice e gli andarono incontro, si trattò, come detto, non di una breve sosta ma di una scelta di lungo periodo, e ciò dovette essere ben chiaro ai Pisani. Scrive Arnaldo che la gloria del nome di Roma si sarebbe trasferita a Pisa, poiché la città tirrenica aveva accolto il legittimo pontefice. Arnaldo fa pronunciare ai consoli e rappresentanti della civitas un discorso accalorato e imbevuto di quei temi classici della retorica cittadina pisana, tutta incentrata sulla glorificazione delle imprese antisaracene. La città sarebbe stata ornata per l’occasione di tutti i trofei e di tutte le spoglie belliche di queste imprese. Uno degli aspetti più interessanti, però, è anche l’accenno alle enormi spese necessarie per la lunga permanenza del pontefice con il suo seguito, che la civitas avrebbe affrontato di buon grado. La presenza di Innocenzo II, non va sottovalutato, doveva costituire in qualche misura la garanzia del rispetto degli accordi di marzo. Pisa e il suo arcivescovo sarebbero stati disposti a pagare questo prezzo ed anche ad allestire altre due spedizioni, stavolta contro Ruggero II, nel 1135 e nel 1137. Soltanto un presule accorto e stimato, come un tempo sì era rivelato Daiberto, poteva avere un’influenza sulla civitas tale da far sì che quest’ultima offrisse al pontefice un supporto incondizionato per più di tre anni.

Il paragone con Roma, presente nella narrazione di Arnaldo, costituisce un’eco della più celebre epistola di Bernardo di Clairvaux ai Pisani. La lettera, ben nota, rappresenta uno dei tanti saggi della retorica dell’abate. Il claravallense scrive, infatti, che «Pisa è elevata al posto di Roma, e fra tutte le città della terra è scelta come il seggio supremo della Sede Apostolica. E ciò non accade a caso o per un intento terreno, ma per la Provvidenza celeste, per la benevola grazia di Dio [...]»216.