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IX. Gli anni dell’episcopato di Villano (1146-1175) 239 Pisa, lo scisma del 1159, la fedeltà a Federico I Barbarossa e il distacco dalla Sede Apostolica

IX. 2. La posizione della civitas e di Villano nei primi anni dello scisma

La posizione che Pisa assunse durante lo scisma non si delineò nell’immediato. Il 20 marzo del 1160 a Borgo San Genesio venne tenuta una dieta dal marchese di Tuscia Guelfo VI: il presule Villano risulta attestato insieme ai consoli di Pisa ed a Gherardo dei Gherardeschi. Il marchese veniva dal concilio di Pavia280, voluto da Federico I, e dove in febbraio, era stato risconosciuto come pontefice legittimo Vittore IV ed era stata lanciata la scomunica contro Alessandro III ed i suoi sostenitori.

278Maragone, Annales Pisani, cit., p. 18 :«Eodem anno, XV kal. Septembris, Consules miserunt

Pellarium Consulem cum comite Gerardo et Curtevechia, et nobilibus militibus Pisane civitatis et cum sagittariis et edificatoribus in auxilium Imperatoris Frederici, in obsidione Mediolane, qui maximam expensam et guarnimenta fecerunt; quos imperator cum toto suo exercitu cum gaudio magno recipit et tenuit; et sexto idus Septembris Mediolanenses imperatori Frederico se reddiderunt, et sic omnes nostri cum gratia et bona voluntate Imperatoris, et laude et honore, Pisas redierunt sexto kalendas Octubris».

279 CAAP, 3, n. 20, pp. 32-34.

280 G. Rossi Sabatini, Pisa e lo scisma del 1159, in «BSP» 2 (1933) fascicolo 2 , parti I e II, pp. 7-28 e

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In occasione della dieta di San Genesio il presule Villano, secondo quanto narrato dagli Annales Pisani, risulta essere molto vicino al marchese di Tuscia che lo accolse

super omnes episcopos et laicos Italie281. È probabile che in questa circostanza, come

recentemente ipotizzato282, la questione dello scisma fosse stata trattata. Tuttavia, evidentemente, erano stati lasciati ampi margini ad ulteriori trattative e la posizione della civitas, non doveva essersi nettamente delineata. Una situazione ancora “fluida”, insomma, che avrebbe consentito a tutte le parti di «prendere tempo» prima di esprimersi definitivamente. Una politica dilatoria in contesti come questo si riscontra di sovente: la lotta per il riconoscimento da parte delle civitates italiane e dei sovrani europei è uno dei punti su cui si gioca l’esito di uno scisma, così come avvenne durante lo scisma guibertino, nel 1130 e nel 1159; l’acquisizione del consenso avviene attraverso l’apertura di canali diplomatici che operano lentamente e che insistono su questioni di carattere politico piuttosto che ideologico.

Durante la dieta di San Genesio il marchese Guelfo VI richiese il giuramento di fedeltà dai consoli dalle città della Tuscia, dai signori locali e dai membri delle stirpi comitali come i Guidi, gli Alberti e gli Aldobrandeschi283. Come ha fatto notare Ronzani, il 1160 costituisce una “parentesi” negli equilibri interni alla Tuscia e all’interno della civitas pisana. Da un lato la dieta di San Genesio appare come un tentativo di «ripristinare la presenza efficace e l’autorità del marchese in Tuscia», tanto più se si considera la trionfale accoglienza che venne tributata a Guelfo VI in occasione della Pasqua. Dall’altro, i giuramenti prestati, prima, da Gionata di Toscanella all’arcivescovo Villano, ai consoli e a Pisa e, poi, da Ildebrandino VII degli Aldobrandeschi all’arcivescovo e ai Pisani, mostrano come la situazione interna alla civitas fosse rimasta immutata, ancora nell’estate del 1160. In particolare, come

281Maragone, Annales Pisani, cit., p. 19. 282 Cotza, Gli Annales Pisani, cit., p. 89. 283

Maragone, Annales Pisani, cit., p. 19 :«A.D. MCLX. In Dominica die palmarum, que fuit XIII kal.

Aprelis, Guelfus dux Spoleti, marchio Tuscie, venit apud Burgum Sancti Genesii; et ibi fuerunt Consules Pisani, cum comite Gerardo et cum archiepiscopo Villano Pisane Ecclesie S. Marie; quem dux super omnes episcopos et laicos Italie recepit, et consilio suo credidit; et fuerunt ibi Consules Pistorienses et Senenses, et comes Guido tunc puer et Comes Ildebrandinus et Consules Lucenses, Florentini, et Capitanei, et Varvassores multi, et ibi fecit magnum parlamentum, et quesivit fidelitatem omnibus civitatibus et comitibus, et omnibus illis qui aliquod de Marca detinebant».

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pone in luce Collavini, il giuramento prestato da Ildebrandino a Villano, hominium, si connota chiaramente «in termini vassallatici» e, come tale, assume un carattere spiccatamente politico. Diversamente l’atteggiamento nei confronti dei cives Pisani, con i quali il legame imposto dal giuramento si declina nei termini di un’alleanza commerciale284.

A questa altezza cronologica quale fosse la posizione di Pisa rispetto allo scisma, non è dato comprendere con chiarezza anche perché, come detto, la situazione doveva essere caratterizzata ancora da una certa “fluidità” dei rapporti.

Una situazione non definita, dunque, in cui si colloca una notizia databile al termine del 1159 e fino ad ora riportata soltanto da Rossi Sabatini. Si tratta dell’episodio dell’aggressione avvenuta a Pisa ai danni del cardinale Raimondo di S. Maria in via lata, che in quanto sostenitore di Vittore IV si stava recando al concilio di Pavia. L’informazione è contenuta negli atti del concilio di Pavia e successivamente è riporatata da Rahewino. Per il biografo del Barbarossa ad istigare le violenze nei confronti di Raimondo sarebbe stato il cardinale pisano Enrico dei SS. Nereo e Achilleo, sostenitore di Alessandro III; mentre gli atti del concilio imputano l’aggressione espressamente a certi fautores Rollandi285

. Tuttavia, l’ipotesi che l’ex canonico di S. Maria avesse dei sostenitori a Pisa assume concretezza, anche in considerazione dell’accalorata missiva inviata da Alessandro III all’arcipresbitero Leone ed ai canonici di S. Maria il 20 settembre del 1161. Questa, infatti, sembrerebbe confermare la presenza di simpatizzanti del pontefice all’interno della

civitas e certamente del Capitolo286. Dal testo della lettera emergerebbe che i canonici, che Alessandro III sapeva essere in fidelitate sua ferventes, si fossero prestati ad operare segretamente un qualche negozio a favore del pontefice; inoltre, veniva richiesto loro di svolgere da intermediari per contrarre un prestito e di consegnare il danaro a Bosone, cardinale dei SS. Cosma e Damiano. È bene

284 S. M. Collavini, «Honorabilis domus et spetiosisimus comitatus». Gli Aldobrandeschi da “conti” a

“principi territoriali” (secoli IX-XIII), Pisa 1998, p. 189.

285 I riferimenti alle fonti sono riportati alla nota 95 della scheda biografica su Enrico dei SS. Nereo e

Achilleo.

286 Anche in questo caso l’unico ad aver sufficientemente valorizzato la notizia è Rossi Sabatini, Pisa

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anticipare che alcuni orientamenti filo alessandrini emergeranno con chiarezza anche relativamente alle resistenze sorte all’interno del Capitolo dopo l’elezione dell’«antiarcivescovo» Benincasa.

Quale fosse la posizione dell’arcivescovo Villano sembrerebbe emergere con chiarezza dalle righe di una lettera del gennaio del 1160 scritta da Eberardo di Salisburgo al vescovo di Gurk, Romano. Dalla lettera, edita nella raccolta di Tengnagel, Vetera monumenta contra schismaticos, emerge che l’arcivescovo di Pisa con i suoi suffraganei aveva scomunicato Ottaviano/Vittore IV287.

Nei mesi di giugno e ottobre del 1161 si intensificarono ulteriormente i legami tra Federico I e la civitas: due legazioni di consoli pisani si recarono presso l’imperatore, che allora si trovava a Lodi, e con lui, dopo essere stati accolti honorifice, trattarono di argomenti non meglio specificati ma comunque relativi alla politica imperiale e alla città di Pisa288. L’impressione è che nel corso di quei mesi, le prospettive politiche della Chiesa di Pisa, rappresentata dai canonici e dall’arcivescovo, cominciassero a divergere dalle prospettive del Comune.

Il 6 novembre del 1161 a Càsole d’Elsa si incontrarono l’arcivescovo di Pisa, Villano, il presule di Firenze, Giulio, e Galgano vescovo di Volterra. La lapide celabrativa della consacrazione della chiesa di S. Maria reca la menzione del pontefice Alessandro III ma anche dell’imperatore Federico I. Secondo Kai-Michael Sprenger la compresenza dei due «avversari» sarebbe interpretabile come esito dalla

287 S. Tengnagel, Vetera moumenta contra schismaticos, Ingolstadii 1612, n. XXXVIII, p. 393:

«Notificamus dilectioni vestrae, quod Papa Alexander Ierosolimitani et archiepiscopum

Caesariensem et quedam Francie archiepiscopum cum duobus aliis episcopis consecraverit, a quibus omnibus et aliis multis episcopis videlicet a Gradensi Patriarcha et suis suffraganeis, a Pisano et suis suffraganeis, Octavianus excommunicatus est». Cfr. A. Ambrosioni, Alessandro III e la Chiesa ambrosiana, in Miscellanea Rolando Bandinelli, papa Alessandro III, a cura di F. Liotta, Siena 1989,

pp. 3-41, ora riedito in Id. Milano, papato e impero in età medievale, a cura di M.P. Alberzoni-A. Lucioni, Milano 2003, pp. 403-441, in particolare p. 407, nota 12.

288Maragone, Annales Pisani, cit., p. 23: «A.D. MCLXII, in mense Iunio. Pisani Consules miserunt

legatos Ildebrandum Melem Consulemet Bulgarinum Bulgarelle, et Lanbertum Cigulum imperatori Frederico, qui legatos honorifice recepit, et cum eis honorem et augmentum imperii et civitatis pisane tractavit. Alia vice, in mense Octubris, miserunt legatos Gerardum Bulgarelli Consulem, et Marzuccum, Henricum Frederici, et Opithonem iudicem imperatori Frederico, qui eos cum honore recepit, et cum eisdem legatis honorem suum et statum regni sui tractavit et composuit. Ex qua legatione honorem magnum et bonam voluntatem Imperatoris super omnes civitates Tuscie adepti sunt».

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volontà dell’autore del testo dell’epigrafe, il clericius Martino, piuttosto che come la dichiarazione di obbedienza dei tre presuli. Sprenger, inoltre, ipotizza che la datazione dell’epigrafe potrebbe essere spostata a dopo la pace di Venezia, nel 1177. Tale ipotesi, invero, sembrerebbe un po’ ardita.Tuttavia, l’idea che dietro quella insolita datatio si celi la volontà dell’autore di porsi sotto entrambe le autorità, al fine di tutelare le sue rivendicazioni sulla chiesa di S. Maria, appare invece assai plausibile289.

La posizione del presule pisano divenne ancora più chiara quando Villano, partito da Pisa su una galea armata, raggiunse Alessandro III a Terracina, ove approdò il 18 dicembre. I due trascorsero il Natale insieme e si diressero poi alla volta di Pisa, passando da Piombino, Vada e Livorno, ma quando giunsero nei pressi di Porto Pisano i consoli si rifiutarono di accogliere il pontefice, propter amorem et pavorem

imperatoris Frederici, secondo quanto tramandato dagli Annales. A questo punto il

pontefice e Villano si diressero verso Genova, ove, invece, Alessandro III venne accolto con tutti gli onori e dove soggiornò dal 21 gennaio al 25 marzo del 1162290. Il 26 gennaio da Genova, il pontefice emise un privilegio a favore di Villano, con cui veniva riconfermanto quanto concesso a Baldovino da Innocenzo II, e a Villano stesso da papa Adriano IV291.

Una notizia presente all’interno della cronaca maragoniana ma non negli Annales di Caffaro riporta che l’imperatore Federico I, venuto a conoscenza della presenza di Alessandro III a Genova, chiese ai suoi cives di trattenere o di consegnargli il pontefice insieme ad i cardinali del suo seguito292. Tuttavia, i genovesi si rifiutarono

289

Il recente lavoro di K-M. Sprenger, Zwischen den Stühlen. Studien zur Wahrnehmung des

Alexandrinischen Schismas in Reichsitalien (1159-1177), Berlin 2012, pp. 305-310, è dedicato alla

percezione dello scisma alessandrino in Italia centro settentrionale; l’ottica originale quanto efficace utilizzata dall’autore è focalizzata proprio sulla datatio della documentazione.

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L’accoglienza tributata dai genovesi ad Alessandro III narrata dagli Annales Ianuenses ricorda le manifestazioni di giubilo dei Pisani al momento dell’arrivo di Innocenzo II descritta da Arnaldo di Bonneval. Annali Genovesi, cit., pp. 63-64.

291 ASP, Atti Pubblici, 1162 gennaio 26, Genova [ATP04382]. 292

Maragone, Annales Pisani, cit., p. 24:«Proinde aplicuit Ianuam, quem Consules Ianuensium cum

universo populo et ianuensis archiepiscopus, cum omnibus clerici suis, cum processione, Alexandrum et pisanum archiepiscopum et cardinales receperunt. Hec audiens inperator Fredericus, suos legatos Ianuam direxit, qui Alexandrum cum cardinalibus sibi ex parte Imperatoris dari aut teneri captum postulavere; quod Ianuenses facere contempserunt; immo Alexandrum cum tribus galeis et duabus sagittiis,

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di consegnare il pontefice che scortarono fino a Montpellier. La notizia delle peregrinazioni di Alessandro III non tardò a giungere anche al suo avversario, Vittore IV293.

Proprio in quei giorni del marzo del 1162 fu trattata la resa di Milano. In quello stesso mese un’ambasceria pisana si era recata a Pavia, dove il Barbarossa si era stabilito temporaneamente. All’apice della sua potenza Federico I trattò con i Pisani le ampie concessioni oggetto del noto diploma del 6 aprile del 1162294. Alla base di quanto elergito alla civitas vi era l’impegno dei Pisani a garantire il loro sostegno militare per la prossima spedizione contro il sovrano normanno Guglielmo II. Il diploma, come è stato posto in rilievo, costituisce un momento significativo all’interno della storia istituzionale della civitas295

: il Barbarossa confermava a Pisa tutto ciò che essa aveva acquisito dalla Marca, ad alla civitas venne riconosciuto un ampio comitatus entro il quale esercitare la propria autorità: si parla proprio di

plenam iurisdictionem et potestatem faciendi iusticiam. L’autorità, civile e penale,

concessa dall’imperatore confermava di fatto l’esautorazione dei vicecomites, decretata nel 1153. Il diploma, inoltre, costituì anche un vero e proprio momento di definizione dei rapporti fra l’imperatore e Pisa in ambito militare e non solo civile. Federico I stabiliva quale sarebbe stata la ricompensa spettante ai Pisani per l’aiuto offerto nella spedizione contro Guglielmo II, inoltre, l’imperatore ed i suoi principes si impegnavano a non stabilire una tregua o a trattare la pace con il sovrano normanno senza informare prima i consoli pisani. Forse tale clausola era il retaggio dell’esperienza dell’assedio di Salerno del 1137? Similmente veniva disposto anche

et cum archiepiscopo Mediolanensium, qui ad eum iverat et archiepiscopo Pisano cum galea sua, cum honore et triumpho, octavo kal. Aprilis in Provinciam per mare transduxerunt: ad portum Montis Pesulani honorifice receptus est Alexander».

293

Il dato emerge da una lettera ritrovata dal Kehr ed edita in calce al suo contributo, Zur Geschichte

Victors IV., in «Neues Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde», 46 (1926) pp.

53-85: «Rollandus[...]tamquam condempnatus et ab omnibus repudiatus se maris periculo commisit,

deinde per nuncios suos Pisanos et Ianuenses ut eum reciperent suppliciter exoravit. Ipsi vero de communi consilio eum repudiaverunt, asserentes se illum nolle recipere [...]».

294 MGH, DD, X, 2, n. 356, pp. 198-203. 295

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per ciò che concerneva l’eventualità di una guerra con Genova296

: Pisa, per bocca del console Lamberto, si impegnava a non muovere guerra alla città ligure, e conseguentemente a non stabilire una tregua o a stipulare una pace con i genovesi, senza il consenso dell’imperatore e viceversa. Si trattava delle medesime clausole declinate secondo gli interessi delle due parti: per l’Impero, la spedizione contro il sovrano di Sicilia, e per Pisa, la guerra con Genova. Un patto, insomma, mutualmente valido.

Come è noto, nella calda estate del 1162 si riaccese il conflitto fra Genova e Pisa: la pace di Portovenere del 1149 non era durata più di tredici anni. La nascita del conflitto, secondo Bernweiser, dovrebbe essere collocata nel contesto della dieta di Pavia, dove gli ambasciatori genovesi e pisani si contesero i favori dell’imperatore. La guerra, tuttavia, ebbe una battuta d’arresto quasi immediata, poiché nell’agosto a Torino il Barbarossa chiese ai Pisani di porre un freno alle azioni belliche finché egli non fosse rientrato dall’incontro sulla Saona a St. Jean de Losne. Infatti, era accaduto che nel corso di questi anni l’abilità diplomatica dei cardinali alessandrini aveva ottenuto importanti risultati, guadagnando all’obbedienza di Alessandro III i sovrani Enrico II d’Inghilterra e Luigi VII di Francia. Gli equilibri sullo scacchiere europeo si stavano modificando a favore del fronte alessandrino e Federico I dovette, per così dire, correre ai ripari. L’imperatore promosse un incontro a St. Jean de Losne con Luigi VII, concordato per il 29 agosto del 1162. In quell’occasione l’imperatore aveva anche stabilito di convocare un concilio che si esprimesse sulla questione della duplice elezione; ovviamente si sarebbe trattato di un confronto che sarebbe risultato favorevole a Vittore IV. A quell’incontro avrebbe dovuto presenziare anche Alessandro III, ma questi non volle accettare e scelse di inviare due suoi legati. Le trattative sulla Saona fallirono, e questo a tutto vantaggio di Alessandro III.

296 J. Bernwieser, Honor civitatis. Kommunikation, Interaktion und Konfliktbeilegung im

hochmittelalterlichen Oberitalien, München, 2012, , p. 66 e Cotza, Gli Annales Pisani, cit., pp. 101-

102. Di Cotza è un’altra validissima osservazione: l’assenza di simili condizioni nel diploma (9 giugno 1162) di Federico I ai genovesi.

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