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I rapporti fra la Sede Apostolica e il vescovo Pietro (1105-1119) durante i pontificati di Paquale II e Gelasio

Il successore di Daiberto sulla cattedra di S. Maria fu Pietro, precedentemente attestato, dal maggio 1095 al dicembre 1104, come abate del monastero di S.

113 Ronzani, L’affermazione, cit., p. 20-25. 114

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Michele in Borgo115. La prima menzione di Pietro come vescovo di Pisa compare, nove mesi dopo la morte di Daiberto, in un contratto di livello del 19 marzo 1106116. Sebbene non si disponga d’informazioni certe circa la sua origine, è assai probabile che Pietro appartenesse ad una famiglia pisana117 e la sua nomina sia stata, in una certa misura, espressione degli interessi della civitas. Il lungo periodo dell’episcopato di Pietro è stato già oggetto di un recente contributo di Maria Luisa Ceccarelli Lemut e di Gabriella Garzella. Una delicata questione, però, non ha ancora trovato spazio: si tratta di uno dei fulcri su cui, tra XI e XII secolo, si articolarono i rapporti tra Pisa e la Sede Apostolica, ovvero la concessione dei diritti metropolitici sulla Corsica, che durante il pontificato di Pasquale II non furono mai assegnati nuovamente al presule pisano. Infatti, soltanto nel 1118, con il nuovo pontefice Gelasio II, la Sede pisana nella figura di Pietro riottenne tali prerogative. Nelle seguenti pagine si cercherà di analizzare alcuni aspetti del contesto politico che caratterizzarono i pontificati di Pasquale II e Gelasio II al fine di comprendere le circostanze che originarono i diversi atteggiamenti dei due pontefici.

Non sono del tutto chiare le ragioni e il momento in cui Urbano II aveva avocato a sé il diritto di consacrare i vescovi corsi. Di tale provvedimento danno contezza due passi delle revoche formulate da Callisto II nel 1121 e nel 1123, di cui si tratterà più diffusamente in seguito. È utile comunque anticipare che entrambi questi passaggi lasciano intendere che ad indurre il pontefice a ritornare sui suoi passi furono le reazioni corse e genovesi alla concessione del privilegio del 1092118: in particolare l’insorgere del conflitto tra Genova e Pisa avrebbe originato il ripensamento di Urbano II. Tuttavia, tale versione non è confermata dal rinnovo della concessione effettuata da Onorio II nel 1126, perciò guadagna credito l’ipotesi che il motivo della sospensione decisa da Urbano II risiedesse nell’impossibilità di Daiberto, ormai divenuto Patriarca di Gerusalemme, a svolgere le sue mansioni di metropolita in

115 M.L. Ceccarelli Lemut-G.Garzella, Optimus antistes. Pietro vescovo di Pisa (1105-1119), autorità

religiosa e civile, in «BSP» 70 (2001), pp. 79-103, in particolare pp. 79-81.

116 Carte dell’Archivio Arcivescovile di Pisa, a cura di S.P. P. Scalfati, Pisa 2006 ( di seguito citate

come CAAP), 2, n. 4, pp. 7-8.

117 Ceccarelli Lemut- Garzella, Optimus antistes, cit., p. 101. 118

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Corsica e che le argomentazioni addotte nelle misure di revoca di Callisto II fossero del tutto strumentali. Una tale considerazione appare confortata dalla semplice osservazione che sebbene le schermaglie tra le due città marinare non fossero un fenomeno inconsueto, negli anni Novanta le relazioni pisano-genovesi non risultano conflittuali. Come ha fatto notare Scalia, riprendendo un’ipotesi formulata da Adolf Schaube, il Chronicon Pisanum riporta agli anni 1077 e 1078 notizie di violenti scontri navali fra Pisa e Genova che potrebbero essere poste in relazione con la concessione di Gregorio VII del vicariato sulla Corsica al vescovo pisano Landolfo119. Nel 1077 ad un’azione genovese compiuta ad fauces Arni seguì la risposta pisana che mise in fuga i liguri fino a Porto Venere e l’anno successivo dopo un attacco genovese al castello di Vada i Pisani reagirono assalendo e bruciando la fortificazione di Rapallo. Se effettivamente queste azioni belliche furono la conseguenza delle prerogative concesse da Gregorio VII si potrebbe dubitare che quando Urbano II nel 1092 elevò la Sede pisana in arcidiocesi non preventivasse uno scenario di scontri fra le due città. Al contrario il pontefice sembrerebbe essere stato estremamente abile nel bilanciare o nel contenere la conflittualità fra Pisa e Genova in quel torno d’anni. Una spia di ciò potrebbe essere la cooperazione delle due potenze marinare in occasione della spedizione contro Tortosa, avviata proprio nell’estate del 1092, quindi pochi mesi dopo l’importante concessione urbaniana. Infine, se l’esplodere della tensione fra le due città avesse davvero causato la revoca del privilegio del 1092, appare utile sottolineare che un conflitto di tale portata avrebbe, forse, dovuto trovar spazio nel Chronicon Pisanum.

Indipendentemente da una misura di revoca voluta da Urbano II, è noto che la concessione dei diritti metropolitici, in particolare la possibilità di confermare la nomina e consacrare i vescovi delle diocesi suffraganee e di convocare sinodi provinciali, era strettamente legata alla concessione del pallio da parte del pontefice al nuovo eletto. Nel caso pisano, tuttavia, non si trattò semplicemente di un mancato conferimento dell’alta insegna, piuttosto la Sede pisana ritornò ad essere vescovile. A

119

A. Schaube, Handelsgeschichte der romanischen Völker des Mittelmeergebiets bis zum Ende der

Kreuzzüge, München-Berlin 1906, p. 54 e Scalia, La consacrazione della cattedrale sullo sfondo del contrasto con Genova per i diritti metropolitani sulla Corsica, in Nel IX centenario, cit., pp. 133-134.

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parte qualche caso sporadico, infatti, Pietro viene designato nella documentazione pisana come episcopus e come tale si qualifica nei due atti che ne tramandano la sua sottoscrizione autografa120.

Sebbene nel caso di Pisa, come si è appena detto, la questione non riguardasse il conferimento del pallio, appare comunque utile osservare quale fu la politica del pontefice in materia. Uno spunto di riflessione su questi aspetti lo offre un contributo di Pietro Zerbi sulla Significasti (JL. 6570), una lettera di Pasquale II ad un non ancora identificato arcivescovo databile al 1113. In primo luogo risulta significativo che, come ha posto in evidenza Zerbi sulla base di un datato ma ancor valido lavoro di von Hacke, Pasquale II conferì l’alta insegna di frequente, ben ventidue volte121. Inoltre, dall’analisi della Significasti emergono alcuni aspetti interessanti dell’atteggiamento di Pasquale II nei confronti degli arcivescovi che richiesero il conferimento del pallio. Per coloro che non lo ricevettero personalmente, ma tramite dei legati, il pontefice pose come condizione il giuramento «pro fide, pro obedientia, pro veritate», pratica invalsa dal pontificato di Alessandro II, ma che continuava a suscitare qualche resistenza. Un secondo elemento interessante all’interno della

Significasti è costituito dall’argomentazione utilizzata dal pontefice per giustificare la

richiesta del giuramento: dovendo affidare a san Pietro la guida del suo gregge Cristo chiese più volte all’apostolo conferma del suo amore, a maggior ragione Pasquale II avrebbe dovuto dimostrare maggior zelo nel valutare coloro che non gli erano noti e di cui non conosceva appieno l’amore122

. Sebbene, come già detto, la Significasti sia databile al 1113 e, quindi, non possa essere indicativa della posizione di Pasquale II per gli anni precedenti a questa data, il cauto atteggiamento del pontefice nel caso dello sconosciuto arcivescovo potrebbe forse rivelare un modus operandi che, in

120 ASP, Diplomatico San Michele in Borgo, «5 gennaio 1116» e ASDP, Diplomatico arcivescovile,

247, 1116 febbraio 5. Cfr. per le considerazioni di carattere paleografico Rossi, Scritture e scriventi, cit., pp. 38-42.

121

C. B. Von Hacke, Die Palliumverleihungen bis 1143. Eine diplomatich-historische Untersuchung, Göttingen 1898, pp. 52-53 e 145-146; P. Zerbi, La «Significasti» di Pasquale II è diretta a un

arcivescovo di Spalato? Riflessioni ed ipotesi, ora edito in Id., «Ecclesia in hoc mundo posita». Studi di storia e storiografia madioevale, Milano 1993, pp. 75-112.

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linea di massima, si potrebbe tenere in considerazione anche per il caso del vescovo di Pisa, Pietro.

Quanto appena detto, tuttavia, non pare ancora sufficiente per comprendere la freddezza del pontefice nei confronti della Sede pisana, che risulta ancor più evidente soprattutto se posta a confronto con il ruolo che Urbano II aveva affidato a Pisa e a Daiberto negli anni precedenti. Sebbene Pasquale II riservasse attenzione in due occasioni alle fondazioni monastiche pisane, prendendo sotto la protezione della Sede Apostolica S. Salvatore di Moxi nel 1106 e San Matteo nel 1116123, dalla revoca del 3 gennaio 1121 di Callisto II emerge che per riottenere la concessione dei diritti metropolitici sulla Corsica i Pisani sepe numero eiusdem domini Pascalis papa

aures pro negocio isto pulsaverint. La riluttanza del pontefice a concedere

nuovamente tali prerogative al vescovo Pietro si dimostrò ancora una volta in occasione dell’impresa balearica degli anni 1113-1115. Narra il Liber Maiorichinus che alla vigilia della partenza del contingente pisano-genovese, i consoli ed il presule di Pisa si recarono a Roma presso Pasquale II, il quale consegnò ai primi le insegne militari e al secondo la croce124. È, perciò, assai probabile che in questo frangente i Pisani avessero avuto modo di sollecitare la benevolenza del pontefice, il quale, però, non si lasciò persuadere neppure dopo il successo dell’impresa contro gli infedeli. Infatti, quando nel 1115 Pasquale II decise di inviare un suo legato in Corsica, la scelta ricadde sul vescovo di Populonia, Rolando, attestato a Mariana il 22 dicembre 1115125. In modo non dissimile il pontefice si comportò anche in merito alla Sardegna, ove inviò come legato il cardinale presbitero di S. Grisogono e vescovo di Marsi, Berardo, in una data compresa tra il 1110 e il 1118, ma non meglio spacificabile126. La posizione di Pasquale II appare dunque assai ferma nel non

123 IP. III, p. 351, n. 1 e p. 378, n. 1. 124

Si tratta dei vv. 71-75, C. Calisse, Liber Maiolichinus de gestis Pisanorum illustribus, in Fonti per

la storia d'Italia, XXIX, Roma 1904. p. 8.

125

CACC, 2, n. 30, pp. 71-73, si predilige qui la datazione offerta da Scalfati, l’editore, rispetto a quella proposta dal Kehr, IP. III, p. 382, n. 4.

126

Per Rolando IP. X, pp. 471-472, n. 28; Turtas, L’arcivescovo di Pisa, cit., pp. 197-201; G. Garzella, La diocesi suffraganea di Populonia-Massa Marittima, in Nel IX centenario della metropoli

ecclesiastica di Pisa, cit., pp. 171-182, e Id., Cronotassi dei vescovi di Populonia-Massa Marittima dalle origini all’inizio del secolo XIII, in Pisa e la Toscana occidentale, 1, cit., pp. 14-16 e nota 61,

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concedere al vescovo di Pisa una qualche autorità al di fuori della sua diocesi, tuttavia ne rimane ancora oscura la ragione.

Un tentativo di individuare una possibile spiegazione a questo atteggiamento del pontefice si potrebbe, forse, ricercare nel mutato contesto politico. Sul volgere dei primi anni del XII secolo la situazione dei rapporti fra Papato e Impero si era sostanzialmente modificata: nel dicembre del 1104 a Ratisbona il giovane Enrico V si era ribellato a suo padre spodestandolo ed in seguito, dopo essere stato sciolto dalla scomunica da Pasquale II, si era rivelato estremamente disponibile ad un dialogo con Roma. Al fine di trovare una soluzione al conflitto con l’Impero sulla questione delle Investiture, tra il 15 e il 22 ottobre a Guastalla, nelle terre sottoposte al controllo di Matilde, venne convocato un concilio cui presero parte moltissimi esponenti del clero tedesco127. Per raggiungere la Tuscia e le terre della contessa Pasquale II optò per la via di terra e, diversamente da Urbano II, non si avvalse mai del supporto delle galee pisane per i suoi spostamenti. I contatti fra Pasquale II e Matilde erano allora principalmente affidati al cardinale Pagano di S. Maria Nuova128, fino al 1101, all’abate di Vallombrosa e legato pontificio Bernardo di S. Grisogono129, e ai vescovi di Reggio, Buosseniore, e di Piacenza, Aldo130. Il rilievo dei personaggi appena citati nella politica di Pasquale II emerge ancor più chiaramente qualora si consideri che Buosseniore di Reggio, Aldo di Piacenza e il cardinale Bernardo, divenuto in seguito vescovo di Parma, furono tra i principali protagonisti delle trattative con l’imperatore nel febbraio 1111. Quando vennero presi prigionieri da Enrico V insieme al pontefice, per otterenere la loro liberazione

L’Arcivescovo di Pisa, cit., pp. 200-201; cfr. Z. Zafarana, Berardo, in DBI, vol. 8, Roma 1966, pp.

775-776 e cfr. Ganzer, Die Entwicklung, cit., pp. 67-69, infine Hüls, cit., pp. 174 e 222.

127

Per il concilio di Guastalla cfr. U-R. Blumenthal, The early councils of pope Paschalis II (1100-

1110), Toronto 1978, pp. 32-35; Ead. Pasquale II e il concilio di Guastalla del 1106, in 1106: il concilio di Guastalla e il mondo di Pasquale II, a cura di D. Romagnoli-G. M. Cantarella,

Alessandria 2007, pp. 19-33. D’obbligo anche il riferimento al volume di G. M. Cantarella, Pasquale

II e il suo tempo, Napoli 1997.

128 F. Foggi, Il cardinale Pagano inviato di Pasquale II presso Matilde di Canossa (1099-1101), in

«BISIME» 94 (1988), pp. 315-328, cfr. Hüls, cit., pp. 234-235.

129 Su questo personaggio cfr. R. Volpini, Bernardo degli Uberti, in DBI, vol. 9, Roma 1967, pp. 292-

300 e Hüls, cit., pp. 171-172.

130 P. Golinelli, Matilde ed Enrico V, in I poteri dei Canossa, cit., pp. 453-471, in particolare pp. 459-

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Matilde intervenne personalmente inviando il suo fedele Arduino da Palù131. Dunque, rispetto agli anni precedenti alcune condizioni, non soltanto politiche, si erano modificate: Pisa non aveva più un legame diretto e forte con il pontefice e con la contessa, quale era stato incarnato dalla figura di Daiberto. Inoltre, diversamente dal suo predecessore, Pasquale II non necessitò più, almeno nel primo decennio del suo pontificato, del supporto politico e militare che la città tirrenica avrebbe potuto garantirgli.

In questo contesto, alla mancanza di rapporti con Pasquale II parrebbe contrapporsi un rinnovato legame fra la civitas di Pisa ed Enrico V. Si è già fatto riferimento all’intervento del sovrano in occasione della conclusione della guerra con Lucca, nel 1110, conflitto in cui Matilde ed il pontefice non sembrerebbero aver preso posizione132.Inoltre, come ha posto in evidenza Ronzani, a cavallo del biennio 1111- 1112, in concomitanza della favorevole pace con Lucca e del passaggio del sovrano, si può notare un rafforzamento dell’autonomia cittadina, una maggiore «visibilità del populus pisanus». Tale considerazione nasce dall’attento esame di un breve

recordationis del 1 gennaio del 1112, da cui emerge che a garantire al vescovo Pietro

il possesso di alcuni beni a lui ingiustamente sottratti intervenne direttamente l’autorità cittadina, rappresentata dai consoli e dal populus 133

. Agli anni immediatamente successivi risalgono tre documenti che risultano interessanti per comprendere il legame della civitas con l’Impero: due diplomi emessi dall’imperatore Enrico V nel maggio del 1116, sulla cui genuinità però vi sono alcuni fondati sospetti134, e soprattutto una vendita, tecnicamente un prestito con garanzia fondiaria, stipulata nell’agosto dello stesso anno fra il nuovo marchese di Tuscia Rabodo, da un lato, e il vescovo Pietro, il visdomino Graziano e l’operaio dell’Opera

131 Golinelli, Matilde ed Enrico V, cit., pp. 465-466. 132

Servatius, Paschalis II., cit., p. 104.

133 Ronzani, L’affermazione, cit., pp. 26-27; CAAP, 2, n. 20, pp. 41-42. 134

M.L. Ceccarelli Lemut, Terre pubbliche e giurisdizione signorile nel comitatus di Pisa (secoli XI-

XIII), in La signoria rurale nel medioevo italiano, Pisa 1998, ora in Id. Medioevo Pisano, Pisa 2005,

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di S. Maria, dall’altro, circa il castello e la corte di Bientina135. I diplomi imperiali furono emessi da Enrico V ad istanza di tre rappresentanti della Pisanorum civitas: il console Pietro, il visconte Pietro e il giureconsulto Tripaldo. Con il primo diploma l’imperatore prese sotto la sua protezione la Chiesa di Pisa e i suoi possessi136

, mentre con il secondo venne confermata la cessione delle due corti marchionali di Livorno e Pappiana, destinando tali beni ad utilitatem atque edificationem pisane

Ecclesie137. La cessione del castello e della corte di Bientina risulta estremamente significativa trattandosi di beni di origine marchionale, posti in una zona strategica al confine tra le diocesi/comitatus di Pisa e Lucca. Ciò avvenne in un momento in cui la tensione fra le due città era certamente ancora elevata, come dimostra il violento scontro fra il vescovo di Lucca e quello di Pisa, avvenuto pochi mesi prima -nel marzo del 1116- durante il sinodo lateranense, proprio in merito allo sconfinamento dei Pisani nell’ambito del territorio diocesano lucchese138

. A questo proposito sarà utile porre in evidenza che durante l’episcopato di Pietro si può porre l’inizio di quella fase di progressivo ampliamento della sfera d’influenza di Pisa al di fuori dei suoi confini civili ed ecclesiastici. Oltre all’acquisizione del castello di Ripafratta nel 1110, si possono anche annoverare la cessione in enfiteusi da parte dell’abate di S. Maria di Morrona di un terzo delle parti del castello di Vivaio e della corte di Aqui con le loro pertinenze, nel settembre 1114; il successivo giuramento di fedeltà prestato al vescovo e al polulus di Pisa da parte degli abitanti del castello di Vivaio139; infine il controllo sul castello Piombino, formalmente ceduto al rettore dell’Opera di S. Maria nel settembre del 1115140

. Il periodo dell’episcopato di Pietro

135

CAAP, 2, n. 49, pp. 95-97. Il documento ben noto è stato ampiamente commentato da M. L. Ceccarelli Lemut, Terre pubbliche, cit., pp. 477-478; Ceccarelli-Garzella, Optimus antistes, cit., pp. 86-87; Rossetti, Costituzione cittadina, cit., pp. 116-117; Ronzani, L’affermazione, cit., pp. 29-30.

136 Carte dell’Archivio Capitolare di Pisa, a cura di M. T. Carli, Roma 1969 (in seguito CACP), 4, n.

79, pp. 176-177.

137 Il diploma è edito da F. Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiae, Venetiis 1717, III, cc. 447-

448, K. F. Stumpf Brentano, Die Kaiserurkunden des 10., 11. und 12 Jahrhuderts, Innsbruck 1865- 1883, qui citato nell’edizione di Aalen 1964, p. 266, n. 3144; cfr. von Knonau, Heinrich IV und

Heinrich V, cit., vol. 7, p. 10.

138 Cfr. Ceccarelli-Garzella, Optimus antistes, cit., pp. 90-91. 139

CAAP, 2, n. 23, pp. 45-46 e n. 28, pp. 53-55; cfr. Rossetti, Costituzione cittadina, cit., pp. 139-140, Ceccarelli- Garzella, Optimus antistes, cit., p. 90.

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coincise con l’inizio di una prima fase di espansione del comitatus che sembrerebbe essersi sviluppata di pari passo con l’affermazione delle istituzioni comunali. Questo momento, segnato anche dalla morte della marchesa Matilde (24 luglio 1115), è caratterizzato dall’estrema complessità della struttura politica della civitas. Nota Ronzani che tale struttura si configura come un coordinamento tra vescovo, visconti e populus con i suoi consoli, il cui funzionamento risalta in particolar modo in occasione dall’allestimento e della realizzazione di un ambizioso progetto che coinvolse tutta la città: l’impresa delle Baleari141.

Davanti ad una realtà complessa come quella appena delineata non è certo possibile immaginare che il vescovo Pietro potesse avere il medesimo controllo sulla civitas, di cui era incontestabilmente il capo spirituale e la guida morale142, che aveva esercitato Daiberto. Pisa aveva, comunque, già dimostrato di saper cogliere al momento opportuno la «migliore offerta», come era avvenuto negli anni 1080-1081, e anche la presenza di un presule di provata fedeltà a Roma non dovette costituire una garanzia per il pontefice. Questa considerazione vale ancor più se si pensa che i rapporti fra Pasquale II e il vescovo pisano non furono certamente stretti, anzi paiono del tutto assenti: Pietro, è bene ricordarlo, diversamente da Landolfo e da Daiberto non pare sia stato elevato alla cattedra di Santa Maria per volontà del pontefice e con il sostegno di Matilde. Tale aspetto, dunque, potrebbe essersi rivelato determinante nell’orientare le scelte di Pasquale II. Questi, inoltre, non necessitò mai del supporto navale di Pisa anche perché scelse di non giungere mai ad uno scontro diretto con Enrico V, neppure dopo l’episodio di Sutri. Per quale motivo, dunque, avrebbe dovuto concedere un privilegio che nessuna considerazione di opportunità politica gli consigliava di elargire? Sarebbe stato, inoltre, decisamente incauto a beneficiare la Sede pisana nel momento in cui la civitas si stava sospettosamente riavvicinando all’imperatore.

Del tutto differenti, invece, saranno le condizioni in cui Gelasio II arriverà a concedere nuovamente i diritti metropolitici sulla Corsica. Per il momento Pasquale

141

Ronzani, L’affermazione, cit., pp. 29-30.

142 Sul ruolo di Pietro come capo della spedizione balearica si rimanda alle pagine 91-93 del lavoro di

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II si limitò ad instaurare con Pisa legami più mediati, nominando tra 1113 e 1117 ben tre cardinali di origine pisana: Pietro di S. Adriano (1113), Ugo di S. Nicola in carcere (attestato solo nel 1114) e il suo successore nel titolo, Grisogono (1117). Anche l’invio del cardinale Bosone di S. Anastasia nel 1114 presso il contingente pisano impegnato nell’impresa alle Baleari potrebbe rappresentare una spia di questo atteggiamento.

Come già preannunciato è con l’ascesa al soglio pontificio di Giovanni di Gaeta con il nome di Gelasio II che la situazione politica si modificò nuovamente. Nel corso dei suoi ultimi due anni di pontificato Pasquale II dovette affrontare la rivolta della