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Callisto II morì il 13 o il 14 dicembre del 1124 e l’elezione del suo successore fu decisamente controversa. Il 15 dicembre nella chiesa di S. Pancrazio il collegio cardinalizio elesse il cardinale Teobaldo di S. Anastasia, che prese il nome di Celestino II. Tuttavia, la cerimonia fu interrotta dall’irrompere di alcuni esponenti della famiglia Frangipane che aggredirono e minacciarono Teobaldo, provocandone la rinuncia al soglio pontificio. Al suo posto la potente famiglia romana impose la nomina del cardinale vescovo di Ostia, Lamberto. Sebbene il collegio cardinalizio si fosse dimostrato riluttante ad accettare un pontefice così violentemente imposto, dopo tre giorni di trattative fu costretto a ratificare l’elezione di Lamberto, che salì sul trono di Pietro con il nome di Onorio II.

Con la sua elezione i Pisani e l’arcivescovo Ruggero poterono nutrire speranze di veder concessi nuovamente i diritti metropolitici sulla Corsica. Prima di riprendere i fili di questa intricata vicenda, sarà utile soffermare l’attenzione sul primo periodo di questo pontificato, momento in cui si dovranno collocare le nomine di altri due cardinali di origine pisana. Si tratta di Guido, arcidiacono del capitolo della

populus postullassent, eo quod Romana Ecclesia detrimentum in predictorum episcopatuum amissione patiebatur, et totius scandali et guerre causa et seminarium videbatur. In eodem etiam conventu clerici et laici eiusdem insule cum litteris affueri, id ipsum a nobis suppliciter postulantes».

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cattedrale, elevato nel 1125 alla sede suburbicaria di Tivoli, e di Uberto, anch’egli canonico, nominato cardinale presbitero di S. Clemente nel 1126182. Di Guido sappiamo che già sotto Callisto II aveva avuto contatti con la curia: egli aveva viaggiato insieme al cardinale Pietro di S. Susanna nel 1120, quando si era recato a Valence per richiedere la conferma del possesso della Selva di Tombolo a nome dei canonici, ed è probabilmente identificabile con il Guido, camerarius della Sede Apostolica, che compare come datario della Quot Mutationes. Per quanto è possibile ricostruire della biografia di Uberto, non sono noti suoi contatti con la curia prima della sua nomina.Tuttavia, egli sembrerebbe aver fatto parte dell’entourage dell’arcivescovo Ruggero ed è perciò probabile che nel 1125, quando il presule pisano si recò a Roma, Uberto avesse avuto modo di farsi apprezzare. In questo contesto non andrà dimenticato il cardinale Pietro di S. Susanna - molto vicino ad Onorio II - che potrebbe aver influito, patrocinando la nomina cardinalizia dei due canonici di S. Maria.

Come emerge dal testo del privilegio del 1126, nei primi mesi del 1125 l’arcivescovo Ruggero e i consoli di Pisa giunsero al cospetto del neo eletto pontefice, al fine di invocare la restituzione delle prerogative sulla Corsica. Anche i rappresentanti del comune genovese erano giunti a Roma, ovviamente per sollecitare la conferma della revoca callistina. Onorio II, cercando di conciliare le parti, invitò i rappresentanti delle due città contendenti ad una trattativa, ma i genovesi si sottrassero poiché privi di un mandato specifico. In accordo con vescovi e cardinali il pontefice decise di inviare un suo legato, Conte di S. Maria in Aquiro, con una lettera apostolica che intimava alle due città di rimettersi al giudizio papale entro il 29 settembre del 1125. Allo scadere di questa data i rappresentanti di Genova e Pisa si sarebbero dovuti accordare, in presenza del pontefice, sui termini di una pace. Nell’autunno di quell’anno le parti si presentarono a Roma; i consoli genovesi, però, si rifiutarono di pervenire ad un accordo dal momento che, essendo vicini allo scadere del proprio mandato consolare, non potevano assumersi l’onere di sottoscriverne le condizioni. Il

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pontefice inviò una seconda e una terza volta i messi a Genova per stabilire nuovi termini.

Tuttavia, non pervenendo ambasciatori genovesi a Roma e rimanendo ferma la volontà dei Pisani di ottenere giustizia, Onorio II decise di affidare la risoluzione della questione a una commissione, composta anche da quei prelati che nel 1123 si erano espressi per la revoca delle prerogative. La commissione, dopo aver esaminato i registri di Urbano II, Gelasio II e Callisto II, decise per la conferma dei privilegi concessi dai precedenti pontefici, poiché la revoca era stata stabilita senza che la Chiesa pisana fosse responsabile di qualche mancanza, sine manifesta culpa, e senza che fosse stata seguita una procedura del tutto corretta.

Sfortunatamente non è nota l’esatta scansione temporale di queste risoluzioni; tuttavia, come ha proposto Ronzani, è possibile mettere in relazione questi provvedimenti di revisione, e la conseguente emissione del privilegio del 21 luglio, con una complessa operazione immobiliare che avrebbe portato l’arcivescovo Ruggero a disporre di una forte somma di danaro, utile a finanziare la causa pisana183. L’operazione, testimoniata da due cartulae del 17 giugno 1126 e da un

breve datato in stile pisano al 1127, previde la cooperazione dell’arcivescovo, dei

canonici e dei rappresentanti del comune. La rilevanza di questo negozio è segnalata dalla presenza di espressioni estremamente significative all’interno degli atti: i canonici agirono spinti dalla magna utilitate et inevitabili causa eiusdem ecclesie et

archiepiscopatus, Ruggero invece si adoperò [pro] inescusabili et necessaria causa maioris nostre ecclesie et pro pace et quiete communis populi pisani184. Sotto la

183 Ronzani, «La nuova Roma», cit., p. 67; M.L. Ceccarelli Lemut, La sede metropolitana e primaziale

di Pisa nei rapporti con i pontefici da Onorio II a Innocenzo II, in Nel IX centenario, cit., pp. 143-

156, in particolare p. 146; cfr. anche Garzella, Pisa com’era, cit., pp. 136-138.

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I tre documenti sono editi da I. Baldi, Le pergamene dell’Archivio Capitolare di Pisa dall’8

febbraio 1120 al 9 giugno 1156, Università di Pisa, Tesi di Laurea a.a. 1962-1963, relatore O.

Bertolini, docc. n. 19, pp. 43-45, (1126 giugno 17) cartula donationis con cui l’arcivescovo Ruggero dona ai canonici i terreni coltivabili della curtis di Pappiana; n. 20, pp. 47 (1126 giugno 17) cartula

conventionis, con cui venivano specificati i termini del prestito con garanzia fondiaria della

transazione precedente; n. 30, pp. 72-78, (1127 stile pisano) breve recordationis, che testimonia la lottizzazione e la vendita del terreno posto presso S. Viviana. La prima citazione proviene da quest’ultimo documento citato, quella che riferisce dell’operato di Ruggero è stata tratta dalla prima

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supervisione del comune un grosso terreno edificabile (oltre 13.000 m2) - posto nella cintura extramuraria nei pressi della chiesa di S. Viviana - venne lottizzato e venduto a privati cittadini; la vendita del terreno, di proprietà dei canonici, fu autorizzata dall’arcivescovo che, a sua volta “vendette” ai canonici i terreni della curtis di Pappiana per 700 lire di moneta lucchese. Le grosse somme ricavate dalla vendita dei lotti edificabili e dalla “vendita” (in realtà una cessione in pegno) dell’ex corte marchionale fornirono al presule un’ingente liquidità a poco più di un mese dall’emissione del privilegio. Al 21 luglio 1126 è datato il privilegio con cui Onorio II reintegrò la chiesa pisana nei contrastati diritti metropolitici185.

Il testo di questo documento pontificio, anche in questo caso, fornisce parecchi spunti di riflessione. La narratio si potrebbe dividere in cinque parti tematiche. Una prima in cui Onorio II rievoca i meriti e la fedeltà della città di Pisa in magna

namque et diuturna schismaticorum tempestate che le erano valsi l’onore della

concessionedel 1092, riprendendo alla lettera alcuni punti del privilegio urbaniano186. Diversamente dalla Quot Mutationes non vi sono accenni né alla revoca di Urbano II, né alla reticenza di Pasquale II né, tantomeno, al ripensamento di Gelasio II; mentre si menzionano le concessioni del 1118 e del 1120.

Nell’apologetico passo successivo si espongono le motivazioni che hanno indotto Callisto II alla revoca: il pontefice, pacis amator, sarebbe stato persuaso dai messi genovesi a ritenere il privilegio causa dell’insorgere della guerra tra le due città marinare, lasciando spazio a nuove scorrerie saracene. Il detrimentum della dignità della Chiesa romana, che tanto spazio aveva avuto nella lettera del 1121, viene qui presentato come un argomento capzioso usato dai genovesi per instillare il dubbio nel clero e nel popolo romano187. Gli ambasciatori genovesi avrebbero convinto

185 PL. 166, XLVII, coll. 1261-1265. Il privilegio è stato riedito da Ceccarelli Lemut, La sede

metropolitana, cit., pp.157-162 da cui vengono tratti i passi citati.

186 «In magna namque et diuturna scismaticorum tempestate, quam Romana tunc temporis patiebatur

ecclesia, Pisanorum civitas multis laboribus fecit obnoxiam, Corsicana vero, tam prolixitate spatiorum quam negligentia pastorum, dominorum insolentia et desuetudine legatorum sedis apostolice, a subiectione et obedientia a Romane ecclesie deferbuerat, et dissolutioni ac dissipationi dedita, ecclesiastici ordinis pene deseruerat disciplinam [...]»

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«Januenses autem honori Pisani populi invidentes, et eorum incrementum equo animo non ferentes,

huius rei sumpta occasione guerram contra Pisanos movuerunt. Unde cedes, incendia, et multe Christianorum captivitates peccatis exigentibus, contigerunt, et debachandi in Christianos Saracenis

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Callisto II che, revocato il privilegio, certamente si sarebbero verificate le condizioni per una distensione dei rapporti tra Genova e Pisa.

Nella terza parte vengono ripercorse le tappe del lungo iter che ha portato al presente privilegio: le richieste dei Pisani e dei Genovesi, i tentativi del pontefice per trovare un accordo e, infine, la decisione di affidare la risoluzione della questione ad una commissione che si esprimesse iuste canoniceque.

Una quarta parte del testo del privilegio può essere considerata quella dedicata alla conferma di quanto stabilito dalla commissione: sono nuovamente corroborate le prerogative sulle diocesi corse che Urbano II aveva concesso alla Chiesa pisana,

etiam contra voluntatem episcoporum ipsius insule. È utile notare che quest’ultimo

passo costituisce l’unico accenno alle proteste dei vescovi della Corsica. La Chiesa pisana veniva, dunque, reintegrata nella sua dignità metropolitica con il consenso di arcivescovi, vescovi, abati e cardinali. Un dato estremamante interessante è costituito dal ripetuto richiamo all’approvazione della risoluzione della commissione da parte delle élites laiche cittadine, in particolare vi è un’esplicita menzione del prefetto urbano Pietro, dei consoli e di alii Romane urbis sapientes atque nobiles188. Plausibilmente si trattava di coloro che nel giugno del 1120 avevano “beneficiato” dell’accordo con i Genovesi.

Infine, Onorio II procede con l’investitura per baculum dell’arcivescovo Ruggero e, come nel privilegio urbaniano del 1092, indica le festività in cui era consentito al presule di portare il pallio.

Il privilegio fu sottoscritto da 23 cardinali e 13 suddiaconi. Tra questi nomi spiccano le sottoscrizioni dei tre pisani: Guido cardinale vescovo di Tivoli, Pietro cardinale presbitero di S. Susanna e Uberto cardinale presbitero di S. Clemente189. Quale ruolo

multa crevit audacia. Preterea Januenses ad Urbem venientes, Romanum clerum et populum sollicitare attentius studerunt, suadentes eis magnum esse Romane Ecclesie detrimentum, nisi concessa dignitas Pisane aufererretur Ecclesie».

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«[...] in hoc etiam onoratorum virorum Petri prefecti, consulum et aliorum Romane urbis

sapientium atque nobilium convenit assensus. Nos ergo, quod ab archiepiscopis, episcopis et abbatibus collaudatum, a cardinalibus iudicatum et a baronibus approbatum fuerat [...]. Nunc itaque secundum iudicium fratrum nostrorum episcoporum et cardinalium et secundum consilium et collaudationem archiepiscoporum, episcoporum et abatum et nobilium Romanorum assensum [...] consecrationem episcoporum Corsice tibi per te Pisane ecclesie restituimus [...]».

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possano aver svolto il cardinale vescovo di Tivoli e il titolare di San Clemente è difficile a dirsi, dal momento che soltanto recentemente erano entrati all’interno del collegio cardinalizio. Tuttavia, Pietro di S. Susanna potrebbe aver avuto un ruolo maggiore in considerazione della sua vicinanza al pontefice, testimoniata già a partire dai primi difficili momenti dell’elezione di Onorio II190

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L’arcivescovo Ruggero potè, dunque, rientrare vittoriosamente a Pisa. Gli anni del suo episcopato appaiono caretterizzati da una politica di rafforzamento patrimoniale dell’ecclesia archiepiscopatus, riscontrabile già a partire dagli ultimi anni di governo del vescovo Pietro e risalente, forse, già alla metà dell’XI secolo191. A Ruggero, infatti, si devono una serie di provvedimenti e acquisizioni collocabili in tale prospettiva.Tra i primi documenti relativi alla sua attività spicca la ricognizione dei diritti signorili sul castello e la curtis di Rosignano, beni anticamente appartenenti al

publicum, che dovevano essere entrati in possesso della Chiesa pisana dopo la morte

della contessa Matilde192. In seguito il presule cercò di acquisire da alcuni esponenti dei conti Gherardeschi parte del castello di Forcoli, in Valdera, e sempre da membri della stessa stirpe comitale, ma esponenti di un altro ramo, ottenne due delle quattordici parti dei castelli di Bellora e Bovecchio, in Valdicecina 193. Le acquisizioni più significative per l’episcopato pisano furono, tuttavia, quelle dei castelli di Lari (Valdicascina), Colle (Rosignano Marittimo) e di Vicopisano194. Uno degli aspetti più interessanti dell’episcopato di Ruggero è rappresentato dal fatto che egli, sfruttando la sua duplice carica di vescovo di Volterra e arcivescovo di Pisa,

190

Cfr. scheda biografica su Pietro Pisano.

191 Ronzani, Vescovi e città, cit., pp. 123-129. 192

1125 novembre 9, CAAP, 2, n. 68, pp. 134-136.Ceccarelli Lemut, Ruggero, cit., p. 65; cfr. Ronzani,

L’affermazione, cit., pp. 31-32 e pp. 35-36 per la revisione di alcuni concetti elaborati dal Volpe sulla

prospettiva dell’allargamento del comitatus pisano, interpretata come il frutto di una politica condivisa dal titolare della cattedra di S. Maria e il Comune.

193

1126 settembre 9, Pisa, CAAP, 2, n. 69, pp. 136-138. L’intricata vicenda del castello di Forcoli, conteso fra i presuli di Pisa e Lucca è attentamente ricostruita da A. Giglioli, La Valdera tra XII e inizi

XV secolo. Dalla frammentazione signorile al ‘contado’ di Pisa: evoluzione degli assetti politici, istituzionali, sociali ed economici, Università di Pisa, Tesi di dottorato in Storia Medievale, 2010, si

rimanda alle pp. 79-82. La transazione realativa ai castelli di Bellora e Bovecchio è ricordata in un documento più tardo, CAAP, n. 107, pp. 204-205.

194

Per Colle: 1127 gennaio 2, Colle, CAAP, 2, n. 70, pp. 138-139; per Lari: 1127 gennaio 2, Colle, CAAP, 2, n. 71, pp. 140-141; per Vicopisano: 1129 settembre 1, Casole, CAAP, nn, 75 e 76, pp. 146- 149.

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consentì l’inserimento degli interessi pisani in un’area di confine tra le diocesi di Lucca e Volterra. Il 20 agosto del 1128 Ruggero in veste di vescovo di Volterra aveva fatto refuta all’abate di Morrona, Guido, dei beni che deteneva ingiustamente nella corte di Aqui. Con questo atto si poneva termine alle mire espansionistiche del vescovo di Volterra su questi beni, però si apriva anche la strada all’influenza dell’arcivescovado di Pisa. Due anni dopo, infatti, il 20 novembre del 1130 Arduino da Palù, erede della contessa Cecilia, vedova dell’ultimo dei Cadolingi, donò all’ecclesia archiepiscopatus di Pisa i beni in suo possesso nella corte e nel castello di Aqui195. Una tappa successiva dell’affermazione della presenza pisana in quest’area si vedrà nel 1135 durante l’episcopato di Uberto.

Gli ultimi anni dell’episcopato di Ruggero, purtroppo, sono caratterizzati da una scarsa documentazione che lascia difficilmente intravedere l’azione del presule. Nell’autunno del 1129, durante il conflitto che oppose Siena ed Arezzo, egli venne catturato dai Senesi, e non è noto per quanto tempo rimase in prigionia. Le ultime attestazioni della sua attività sembrerebbero essere quelle relative alla Sardegna dove, secondo Ceccarelli Lemut, egli si sarebbe recato in veste di legato negli ultimi due anni del suo governo196. La data del suo decesso, sempre secondo la storica pisana, è collocabile nell’anno comune 1132197.

Nel frattempo, però, la situazione politica era decisamente cambiata. Un nuovo scisma stava scuotendo il Papato dalle fondamenta: alla morte di Onorio II il collegio cardinalizio si era diviso e nel giro di poche ore vennero eletti due pontefici: Innocenzo II ed Anacleto II. Quest’ultimo era riuscito ad insediarsi saldamente a Roma, mentre Innocenzo II scelse di allontanarsi dall’Urbe, una strategia che risultò

195 1130 novembre 20, Montecastelli, CAAP, 2, nn. 77 e 78, pp. 150-153. Cfr. R. Pescaglini Monti, La

plebs e la curtis de Aquis nei documenti altomedioevali, in «BSP» 50 (1981), pp. 1-19, riedito ora in Id., Toscana medievale: pievi, signori, castelli, monasteri (secoli X-XIV), a cura di L. Carratori Scolaro e G. Garzella, Pisa 2012; Ceccarelli Lemut, Ruggero, cit., pp. 67-68; Giglioli, La Valdera, cit., p. 93.

196

Ceccarelli Lemut, Ruggero, cit., pp. 70-71; cfr. Turtas, L’arcivescovo di Pisa, cit., pp. 203-205, che esprime posizioni differenti rispetto a quelle di Ceccarelli Lemut.

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poi vincente. La prima tappa del suo viaggio verso la Gallia, consueto rifugio dei pontefici “in esilio”, fu Pisa, ove è attestato nel giugno del 1130198

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VIII. La Sede pisana durante gli anni dello scisma del 1130 e le relazioni degli