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IX. Gli anni dell’episcopato di Villano (1146-1175) 239 Pisa, lo scisma del 1159, la fedeltà a Federico I Barbarossa e il distacco dalla Sede Apostolica

IX. 3. L’insanabile frattura fra la Chiesa e la civitas

Stando alle parole del Maragone, l’arcivescovo di Pisa Villano aveva trascorso parte del 1162 con il pontefice e, successivamente, nel marzo del 1163, egli è attestato in Sardegna, dove su mandato di Alessandro III si impegnò proficuamente per risolvere una disputa fra l’arcivescovo di Cagliari e l’abate di S. Vittore di Marsiglia297

. Sempre secondo gli Annales, soltanto verso settembre Villano era rientrato a Pisa, ove il 14 settembre ricevette il giuramento dei signori di Fórnoli298. Fra il marzo e l’agosto del 1163 a Pisa è frequentemente attestato Rainaldo di Dassel, il potente cancelliere di Federico I, che risulta essere in quegli anni uno degli interlocutori privilegiati di Pisa299.

Il 20 settembre del 1163 il cancelliere imperiale partecipò ad una solenne messa nella cattedrale e nello stesso periodo tenne un parlamentum a Sarzana con i consoli delle città della Tuscia300.

Non sono chiari gli spostamenti di Villano in questo periodo. È molto probabile che il presule evitasse di giungere ad una presa di posizione aperta; tuttavia, ciò non fu più possibile nell’aprile del 1164, quando, il Sabato Santo, l’11 aprile, Villano ed i

clerici, tra cui certamente alcuni dei canonici vicini ad Alessandro III, rifiutarono di

accettare il crisma consacrato da Vittore IV301. Ormai l’aperta ostilità di Villano nei confronti del pontefice appoggiato dall’imperatore era dichiarata, ma la frattura tra il

297 Turtas, L’arcivescovo di Pisa, cit., p. 216. 298

Maragone, Annales Pisani, cit., p. 29; cfr. Ceccarelli Lemut, Un presule, cit., p. 68.

299 Sui rapporti tra Rainaldo di Dassel e Pisa rispetto alla guerra con Genova cfr. Bernweiser, cit., pp.

129-134.

300 Maragone, Annales Pisani, cit., pp. 29-30: «XII kal. Octubris, Pisas reversus est [scil. Rainaldo],

et in ecclesia Sancte Marie laudes magnas contulit Deo et imperatori Frederico, et Pisano populo de tanto honore quem ei dedit, timore Imperatoris et obtentu Pisani populi. Exinde perrexit ad Serzanam, ibique parlamentum cum Consulibus civitatum Tuscie fecit, et palam gratias magnas Pisanorum Consulibus retulit, qui cum multis sapientibus ibi presentes erant; ibique omnes Consules civitatum Tuscie ad piissimum Augustum in Longobardiam reinvitavit, et sic ad Imperatorem reversus est, et coram imperatoria maiestate laudes de Pisanis reddidit magnas».

301

Maragone, Annales Pisani, cit., p. 31: «Pisani vero adventum Imperatoris considerantes, se ad illum

recipiendum preparaverunt; qui impedimento infirmitatis venire non potuit, sed cancellarium suum cum quibusdam principibus Pisas reduxit. Pisani cum honore, tertio idus Aprilis, qui fuit sabbato sancto, receperunt. Archiepiscopus vero cum clericis, quia Sacrum crisma pape Victoris pro faciendo baptismum non recipit, baptismum eo anno in Pasca Resurrectionis non fuit celebratum».

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presule ed il suo gregge non si era ancora consumata. La situazione sarebbe degenerata soltanto nel marzo del 1167.

All’inizio del mese di aprile del 1164 Vittore IV era giunto nella vicina Lucca e lì era morto pochi giorni dopo, il 20 aprile. Rainaldo di Dassel aveva raggiunto la città del Volto Santo per caldeggiare, o imporre, una nuova elezione. Così, il 22 aprile, venne eletto il cardinale Guido da Crema, che prese il nome di Pasquale III. Quando, però, questi si recò a Pisa nel novembre di quello stesso anno Villano si rifiutò di prestargli obbedienza e si allontanò da Pisa, riparando sull’isola della Gorgona302

.

Nel frattempo la guerra tra Pisa e Genova, bloccata sul nascere da Federico I nell’agosto del 1162, era riesplosa a causa proprio di un’avventata mossa dell’imperatore. Nel 1163 Barisone di Arborea aveva cacciato da Cagliari il giudice Donnicello Pietro e questi si era rifugiato presso il suo congiunto Barisone di Torres. Quest’ultimo, radunato un esercito, nell’aprile del 1164 aveva riportato a Cagliari il giudice Donnicello, scacciando Barisone di Arborea che, dopo quanto accaduto, chiese aiuto ai genovesi. Durante la dieta imperiale di Pavia, nell’agosto dello stesso anno, i rappresentanti di Genova caldeggiarono presso Federico I, con l’offerta di una consistente somma di danaro, la nomina dello stesso Barisone di Arborea a re di Sardegna. Fu così che il 3 agosto del 1164 Barisone venne incoronato. L’episodio non mancò di suscitare la reazione degli altri giudici sardi: così scoppiò la guerra intestina alla Sardegna, in cui i Pisani presero le parti del giudice di Cagliari.

L’anno successivo, nel marzo del 1165, durante la dieta di Francoforte il Barbarossa ribaltò nuovamente la situazione, cedendo in feudo tutta l’isola della Sardegna a Pisa. Il conflitto, però, non terminò.

Nell’estate del 1165, mentre infuriava la guerra fra le due potenze marinare303

, Alessandro III riprese i contatti con la città di Genova per chiedere di essere scortato

302Maragone, Annales Pisani, cit., p. 31: «A.D. MCLXV, in mense Novembris. Christianus,

cancellarius domni imperatoris Frederici, venit Pisas pridie kal. Decembris, die Sancti Andree Apostoli; papam Pasqualem, qui ante vocabatur Guido Cremonensis, Pisas cum magno honore duxit, et Pisani eum honorifice tenuerunt usque quo iam dictus cancellarius duxit eum Viterbo. Cuius adventu Villanus Pisanorum archiepiscopus, quia nolebat ei obedire, secessit ad Gorgonam».

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Al 1165 risale infatti il prestito contratto dal console Ottaviano per finanziare la guerra contro Genova sulle coste della Provenza. Per finanziare questa operazione il comune di Pisa aveva usato con disinvoltura molti beni dell’Ecclesia archiepiscopatus. Cfr. C. Violante, Alle origini del debito

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fino a Roma. In questi mesi, quale fosse la percezione nell’ambiente alessandrino dei rapporti con Pisa emerge chiaramente dalla lettera del cardinale Oddone di S. Nicola in carcere all’arcivescovo Thomas Becket del maggio del 1165. A questi Oddone riferiva che da Genova erano giunte notizie relative a Pisa: Pasquale III, Guido da Crema, era stato accolto a Pisa, ma l’arcivescovo si era allontanato, il clero era fuggito via e quasi tutto il popolo lo considerava con disprezzo. Tuttavia, l’imperatore avrebbe fatto promesse e stretto accordi con i Pisani al fine di ottenere il riconoscimento di Pasquale III304. Il 10 settembre del 1165, da Maguelone, Alessandro III scriveva al vescovo di Reims che il 22 agosto erano stati approntati tutti i preparativi per la partenza verso Roma, ma, venuto a conoscenza dell’avvicinarsi di navi pisane, era rientrato a Maguelone con il suo seguito305

. Le difficoltà del rientro del pontefice nella penisola furono molte: soltanto nel novembre del 1165 Alessandro III sarebbe giunto a Messina, in territorio normanno, e non a Roma, come pianificato. Stando a quanto raccontato da Romualdo Salernitano, contemporaneo ai fatti, temendo le insidie dei pisani ed onde evitare la cattura di Alessandro III, il seguito dei cardinali venne imbarcato su una nave degli Ospedalieri mentre il pontefice, con pochi cardinali avrebbe affrontato la navigazione su un’imbarcazione diversa. Non appena si venne a sapere della presenza delle navi pisane Alessandro III rientrò, come già detto, a Maguelone. La nave che trasportava i membri del collegio cardinalizio venne, invece, circondata dai Pisani che, non trovando l’Apostolico, lasciarono andare l’imbarcazione. Quest’ultima giunse a Palermo e poi a Messina, mentre la nave del pontefice giunse tempo dopo a causa

pubblico nel secolo XII: l’esempio di Pisa, in Studi per Enrico Fumi, a cura di E. Carli, Pisa 1979, pp.

157-168; testimonianza di questa operazione finanziaria è rimasta in alcuni documenti dei primi anni Settanta con cui il comune restituiva all’arcivescovado i beni ceduti in pegno CAAP, 3, n. 56, pp. 96- 97, nn. 58-60, pp. 99-103, n. 63-66, pp. 107-113, n. 69, pp. 121-122.

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«Dicunt quia Guido Cremensis Pisis receptus est. Archiepiscopus recessit, clerus aufugit, populus

fere totus ipsum Guidonem contempnit. Dominus papa mandaverat Ianua pro galeis; et quidem Ianuenses ipsi fideles et devoti sunt domino pape et curie: sed quia putant et timent imperatorem cum Pisanis pro receptione Guidonis Cremensis magnas conventiones et promissiones fecisse, dubitant adhunc». A.J.Duggan, The correspondence of Thomas Becket Archibischop of Canterbury 1162-1170,

vol. I, Oxford 2000, n. 47, pp. 204-206.

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delle avverse condizioni del mare306. Alessandro III giunse verso la fine di novembre del 1165 a Roma, dove sarebbe rimasto fino al luglio del 1167.

La lettera del cardinale Oddone di S. Nicola sopra menzionata lascia intendere che a Pisa doveva sussistere una divisione all’interno della cittadinanza sulla questione del riconoscimento di Pasquale III. Purtroppo, però, anche la mancanza di informazioni che consentano di seguire gli spostamenti di Pasquale III non aiuta a capire se e quanto il pontefice federiciano rimanesse a Pisa dopo il novembre del 1164. In merito all’evoluzione dei rapporti tra Pisa e il suo arcivescovo è molto difficile esprimersi.Un documento del 18 maggio del 1165 redatto a Livorno fece ipotizzare a Rossi Sabatini che Villano si muovesse all’interno del comitatus di Pisa, spostandosi di volta in volta nelle zone a lui rimaste fedeli307. Il visdomino arcivescovile, Comes, è attestato a Pisa nel febbraio del 1165, per il resto egli operò fuori dalla civitas. Tra il novembre del 1164, quando Villano “fuggì” sull’isola della Gorgona e uscì definitivamente da Pisa, e il marzo del 1167, quando i consoli -preceptis Imperatoris

et pape Pasqualis -elessero Benincasa come nuovo arcivescovo passò molto tempo.

Per quale motivo si attese così tanto? Come si è visto, le resistenze di Villano erano note già da tempo. La tempistica potrebbe suggerire che si attese a lungo prima di porre il presule davanti ad una scelta che avrebbe, inevitabilmente, potuto sollevare il malcontento cittadino. Dalle parole di Maragone sembrerebbe che i consoli avessero agito soltanto perché spinti dall’autorità imperiale e perché Villano avrebbe strenuamente rifiutato di sottoporsi all’autorità di Pasquale III. Ad un certo punto,

306 Romulado Salernitano, Chronicon, RIS, VII, a cura di C.A. Garufi, pp. 205-206:«Interea Romani,

morte Octaviani cognita, nuncios suos ad Alexandrum in Franciam transmiserunt, affectuose rogantes, ut ad Urbem rediret, et commissum sibi Populum visitaret, quia ipsi eum cum honore, et devotione reciperent. Alexander autem credens hoc sibi, et Ecclesiae profuturum, Magalonem venit, et praeparata quadam magna navi, quae erat Hospitalis, quum eam pene omnes cardinales intrassent, et Papa cum paucis cardinalibus cum galea Narbonensium eamdem navim ascensurus veniret, galeae Pisanorum, quae illi paraverant insidias, repente apparuerunt. Quibus visis Papa cum galea sua festinus Magalonem rediit. Galeae autem Pisanorum navim, in qua erant cardinales circumdederunt, et non invento ibi Apostolico, eam in pace liberam abire permiserunt, que vento flante secundo, primo Panormum, dehinc Messanam applicuit. Non multo post Alexander Papa cum cardinalibus, qui remanserat, et Maguntino Archiepiscopo quamdam minorem navim intravit, et alto se commitens pelago, licet multis exagitatus procellis, salvus tamen cum omnibus suis Messanam, Domino ducente pervenit».

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però, forse sotto la pressione di Cristiano di Magonza o indotti dalle concessioni loro promesse, i consoli furono posti davanti ad una scelta obbligata. Non dovrà, a tal proposito, essere sottovalutato il fatto che proprio a partire dal 1167 al conflitto con Genova si aggiunse quello con Lucca, e che le due città avevano stretto alleanza contro Pisa. Il passo degli Annales è il seguente:

Preterea idem Consules papam Pasqualem pro catholico tenere, et ei tanquam catholico obedire, et omnes clericos Pisane urbis idem facere iurare, et archiepiscopum Vilianum non recipere, nisi iamdicto pape obedire voluerit, et archiepiscopum eligere XII kal. Aprelis, ac domino Pasquali consecrari venturo proximo die Iovis Sancto et Rolando, qui papa Alexander vocatur, non obedire, nec eum pro papa catholico tenere, sacrosanctis evangeliis tactis, firmiter promisere. Archiepiscopus vero Villanus voluntati Imperatoris et pape Pasqualis minime acquievit, immo penitus facere recusavit.

È noto che Maragone e suo figlio Salem, continuatore dell’opera, furono contemporanei ai fatti narrati, ed è altrettanto noto che gli Annales sovente omettono dettagli e presentano una prospettiva distorta degli eventi riportati308. Tuttavia, ciò che stupisce è la presenza della menzione di Alessandro III, che non si sarebbe dovuto considerare quale pontefice legittimo. La necessità di facere iurare obbedienza a Pasquale III offre certamente una conferma indiretta per ipotizzare che il clero, e con esso anche parte del populus, non fossero del tutto propensi al pontefice imposto dal Barbarossa. Dal passo successivo emerge che i protagonisti dell’elezione di Benincasa furono principalmente i consoli, due dei quali vengono menzionati esplicitamente: Benetto (Benetto di Vernaccio probabilmente) e Guidone Galli dei Casalei.

A.D. MCLXVIII. Pisanorum Consules, preceptis Imperatoris et pape Pasqualis obedientes, Benencasam canonicum Sancte Marie Maioris ecclesie in archiepiscopum honorifice, VIII kal. Aprilis, elegerunt: qui ad predictum antistitem cum duobus Consulibus, scilicet Benetto et Guidone Galli et sapientibus clericis et

308 Si rimanda alla già menzionata tesi di Cotza, Gli Annales Pisani, che analizza la prospettiva con

125 laicis honorifice perrexit, quem venerabilis Pasqualis cum Cancellario et cardinalibus gloriose recepit, eidemque Sabbato Sancto sacerdotii donavit, et die lune proximiori, post Pasca, in archiepiscopum consecravit: et sic Pisas cum magno honore X kal. Iunii reversus est.

Si potrebbe anche aggiungere che l’elezione di un presule per mano dei consoli non dovette propriamente sembrare una procedura consona. La nomina di un «antiarcivescovo» era cosa che a Pisa non si era ancora vista, neppure nel difficile pariodo della “guerra civile” degli anni Ottanta dell’XI secolo. Qualunque fosse la posizione della cittadinanza, pochi giorni dopo Benincasa si recò a Viterbo e lì fu consacrato arcivescovo da Pasquale III, il 10 aprile del 1167.

Tuttavia, in una lettera dell’11 maggio del 1166 Alessandro III si rivolgeva ai canonici pisani affinché allontanassero Benincasa, costui già in questa data doveva aver rivelato la sua disponibilità ad appoggiare la causa imperiale e Pasquale III309. Negli anni successivi il pontefice lanciò contro il canonico scismatico una vera e propria offensiva epistolare. I termini con cui il pontefice menziona Benincasa sono emblematici: i canonici avrebbero dovuto considerare il quondam canonicus come scismatico e membrum putridum. Successivamente Alessandro III si rivolse ancora ai canonici contro Malincasa, questo era il nome che veniva attribuito al nuovo presule, in più occasioni: il 12 giugno del 1168 o del 1169 da Benevento, ove aveva trovato riparo dopo l’arrivo del Barbarossa a Roma310

e il 27 agosto del 1168 o 1169, esortando i canonici ad impegnarsi per far rientrare Villano e cacciare lo scismatico311. Il 14 settembre (1168-1169) il pontefice scriveva ai canonici di S. Maria affinché si mobilitassero anche contro l’abate di Sesto, anch’egli scismatico. Questa era la situazione dei rapporti tra Alessandro III e la Chiesa pisana, rapporti che vennero gestiti in prima persona dal pontefice attraverso una corrispondenza serrata con i canonici, che, evidentemente in questo particolare frangente svolsero un

309 IP, III, p. 340, n. 48, PL. CC, c. 445. 310 IP, III, p. 340, n. 49, PL. CC, c. 548. 311 IP, III, p. 340, n. 50, PL. CC, c. 556.

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ruolo decisivo poiché, a differenza di Villano, erano rimasti all’interno delle mura della civitas312.

Ancora nel novembre, molto probabilmente del 1169, Alessandro III si rivolse nuovamente ai canonici per chiedere che accogliessero G. notaio della Sede Apostolica all’interno del capitolo. Plausibilmente questo personaggio potrebbe identificarsi con Graziano, il futuro cardinale dei SS. Cosma e Damiano e nipote di Eugenio III, il quale a questa altezza cronologica cominciò la sua carriera come notaio.

Dal 1169 in poi la pur cospicua corrispondenza del pontefice, indirizzata a Villano ma soprattutto ai canonici, non fa più menzione di Benincasa/Malincasa, anche se è noto che l’«antiarcivescovo» era ancora a Pisa313. La lettera di Alessandro III inviata a Villano il 31 gennaio (1168-1170), lascerebbe intendere che alla fine degli anni Sessanta il presule potrebbe essere rientrato a Pisa; tuttavia, in città a fare le veci dell’arcivescovo compare solo il suo visdomino, Comes, e gli atti redatti alla presenza di Villano compaiono tutti datati da località vicine a Pisa, come Calci e Stagno, luogo dell’importante fondazione ospedaliera voluta dal presule stesso nel 1154314.

Relativamente a questo periodo un dato estremamente interessante che emerge dagli

Annales Ianuenses di Oberto è il seguente: nell’estate del 1168 Villano insieme

all’abate di S. Gorgonio si recò a Genova per intavolare delle trattative per una pace fra Genova e Lucca, da un lato, e Pisa, dall’altro315

. Pisa aveva da poco subito una pesante sconfitta nei pressi di Asciano (15 maggio 1168), a pochi chilomentri dalla

312 Le molte lettere scritte dal pontefice ai canonici coprono un arco cronologico che va dal settembre

del 1161 al 1177. Un quadro completo è possibile ricavarlo dalla raccolta del Kehr, IP, III, pp. 340- 344, nn. 47-68.

313 L’ultimo documento in cui compare Benincasa, come fa notare Ceccarelli Lemut, Un presule, cit.,

p. 69, è del 5 maggio del 1170, CAAP, 3, n. 52, pp. 90-91.

314L’azione di Comes è documentata da CAAP, 3, n. 42, pp. 73-74, n. 45, pp. 77-78; n. 48, pp. 84-85;

n, 49, pp. 85-86; n. 53, pp. 91-92; n. 55, pp. 94-95; RP, n. 511. Villano compare a Livorno il 18 maggio 1165, RP, n. 484; in un atto di livello redatto a S.Casciano il 17 settembre 1165, CAAP, 3, n. 46, pp. 79-80; in un altro contratto di livello rogato a Calci il 7 marzo 1171, CAAP, 3, n. 54, pp. 93- 94; ancora a Calci il 18 luglio 1171, RP, n. 499, il 14 marzo 1172, RP, n. 500, il 12 maggio 1172, RP, n. 501; a Stagno il 21 maggio 1173, RP, n. 503; a san Piero a Grado il 23 ottobre 1174, RP, n. 512; a Stagno il 6 novembre 1174 e il 13 gennaio 1175, RP, n. 513 e 514.

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città e molti dei suoi migliori milites erano stati catturati e portati a Genova. Risulta arduo collocare l’intervento di Villano in questo contesto poiché emergerebbe che ad un anno dall’inizio del suo esilio il presule sarebbe stato richiamato dal Comune per mediare una pace con le due città rivali. La narrazione di Oberto ci presenta un Villano solo, senza alcuna rappresentanza dei consoli della civitas, perciò forse si potrebbe ipotizzare che quello del presule fosse stato un tentativo autonomo, tra l’altro non riportato negli Annales Pisani, di porsi come intermediario e di riguadagnare prestigio anche agli occhi della civitas che lo aveva espulso316. Le trattative, comunque, non ebbero buon esito e la guerra continuò. A far riflettere sull’assenza del presule all’interno della politica cittadina è anche la considerazione che ancora nel corso degli anni Settanta Alessandro III sembrerbbe aver privilegiato il rapporto con i canonici, piuttosto che con l’arcivescovo.

Dopo l’esito della sfortunata spedizione a Roma del 1167 il Barbarossa giunse a Pisa il 31 agosto, ove fu trionfalmente accolto. A seguito della partenza dell’imperatore e il suo successivo rientro nei domini germanici, però, i rapporti tra la civitas e Federico I si diradarono. Nel corso degli anni Settanta la situazione politica di Pisa appare dominata dallo scontro con Lucca e Genova e dall’avversa politica dell’arcicancelliere imperiale Cristiano di Magonza, subentrato a Rainaldo di Dassel nel settembre del 1165.

Con la battaglia di Motrone, 26 novembre 1170, i Pisani riportarono una decisiva vittoria su Lucca; tuttavia, con l’arrivo dell’arcicancelliere Cristiano e la dieta di San Genesio del febbraio del 1172, com’è noto, si verificò un brusco cambiamento di direzione dei rapporti fra Pisa e l’Impero. Infatti, Cristiano assunse una politica sfavorevole a Pisa: nel febbraio a San Genesio, dopo aver tentato una pacificazione tra le civitates, ed ottenuto il rifiuto dei pisani ad affidare all’arcicancelliere la piena gestione dei termini delle trattative, Cristiano reagì privando la civitas di tutti i privilegi che fino ad allora le erano derivati dall’Impero, anche se già nel maggio dello stesso anno annullò tale provvedimento. La situazione, però, si modificò nuovamente e nel tentativo di giungere ad una pacificazione, l’arcicancelliere

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convocò ancora una volta i consoli delle città della Tuscia a San Genesio, nel luglio del 1172. Stavolta, però, una duplice mossa del tutto inopinata portò allo scontro: Cristiano affidò ai lucchesi il castrum di San Miniato e prese come prigionieri alcuni dei consoli pisani. Lo scontro fu inevitabile: Firenze e Pisa, già da tempo alleate, ingaggiarono la guerra contro la compagine che sosteneva l’azione politica di Cristiano costituita da Lucca, Pistoia, Genova e i conti Guidi. Gli scontri fra questi due fronti durarono fino alla fine dell’anno.

La situazione di conflittualità, acuitasi dall’intervento dell’arcicancelliere, si risolse soltanto con l’intervento di Federico I, che nel 1175 con la pace di Rocca Nova pose i termini per la fine delle operazioni belliche tra Pisa, Lucca e Genova.

Come è stato già accennato, in questo periodo si può parlare con difficoltà dei rapporti fra la Chiesa di Pisa e la Sede Apostolica. Alessandro III risulta in contatto