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6 Niccolò Machiavelli: vita e opere minori

7 Il Principe: breve scritto rivoluzionario

7.8 Conclusione

Dall’analisi delle fonti medievali, umanistiche e dal confronto tra questi e il Principe vediamo come Machiavelli abbia rivoluzionato non solo questo genere letterario ma anche il pensiero politico. Se gli specula si sono manifestati quali prodotti di una cultura che crede di poter migliorare, di poter moralizzare, chi esercita la politica attraverso l’impegno educativo, il De Principatibus guarda alle qualità innovative di un principe impegnato a strutturare una realtà nuova.

Il Machiavelli dimostra come il relativismo divenga l’anima della politica e ci porta a comprendere come l’azione politica non possa assolutamente muoversi nei confini imposti dalla morale tradizionale che domina invece gli specula del passato. Nei Discorsi continuerà a subordinare chiaramente la morale e la religione alle dinamiche politiche anche se l’intento dell’autore non consiste nell’arrivare a dimostrare l’insensatezza della morale stessa infatti non vi è mai alcuna preferenza per l’agire immorale e il male che viene compiuto senza un utile motivo risulta vano.

Quello che Machiavelli vuol dirci sta nel fatto che la politica, oltre ad avere le sue leggi che prescindono dalla morale cristiana, è soggetta ai mutamenti storici per cui chi si dedica ad essa deve adeguarsi a questi e cercare le soluzioni migliori per opporsi ai rovesci della fortuna e mantenere in piedi il governo. Le azioni degli uomini rimangono sempre legate alle circostanze specifiche, le qualità non sono mai astratte ma emergono nel fronteggiare tali circostanze. Secondo De Sanctis l’uomo nella prospettiva machiavelliana non ha la faccia contemplativa tipica dell’immagine

147 medievale né quella idilliaca del Risorgimento, ha la faccia moderna ovvero l’uomo si pone degli scopi ben precisi che cerca di realizzare385.

Per quanto riguarda il genere letterario, lo speculum non termina con il Principe anzi si rinnova ponendo al centro dell’attenzione le nuove problematiche di carattere giuridico amministrativo:

“Da un’etica di governo centrata sulla persona del principe a una forza di gestione della forza umana e materiale fondata sulla realtà dello stato”386.

Nel 1516 compare un’opera con caratteristiche simili agli specula considerati, precedenti al De Principatibus: quest’opera porta il titolo di Istitutio principi christiani ed il suo autore è il filosofo umanista Erasmo da Rotterdam: la politica viene posta nuovamente sotto la guida della morale. Il fine che l’autore si propone non consiste solamente nel dare consigli su come gestire o mantenere il governo bensì educare moralmente il principe affinché possa far crescere in esso quei sentimenti e virtù necessari alla realizzazione del bene dei propri cittadini che consiste non solo nei beni mondani ma nello sviluppo e attuazione dei valori. Possiamo affermare che l’autore elabora: “Un paradigma platonico del principe, che esemplasse la sua attività politica sulle sante leggi di Dio e si ispirasse all’alta lezione etica degli antichi”387. L’animo del principe deve essere caratterizzato da una libertà interiore tale da poter promuovere e difendere la libertà degli uomini. Un compito sicuramente non semplice anche se porta in sé una nobiltà tale da conferire alla missione del principe un carattere più divino che umano. La virtù che costituisce il fondamento è identificata nella saggezza: “La saggezza insegna a comportarsi da buon principe”388 e la virtù morale trasforma la semplice politica in virtù politica determinando così la felicità dei sudditi. Quindi il principe deve porsi come obiettivo quello di migliorare le condizioni di vita anche incrementando negli uomini liberi le loro personali virtù. Due sono i pericoli che possono minacciare l’ordine sociale e la condotta personale: l’odio, che traendo origine dalla crudeltà, dalla violenza ecc., risulta assai difficile da placare e il secondo è identificato col disprezzo. Le armi migliori per impedire a questi due mali di impossessarsi del principe e di dilagare secondo Erasmo sono da ricercare nella clemenza, nella disponibilità, nella giustizia e nel senso civico che sono accolti con gran favore dal popolo. Da quanto detto sin qui risulta chiara la vicinanza di questo trattato a quelli non solo di età umanistica ma anche medievale mentre la lezione del Machiavelli viene completamente accantonata. Torna a farsi sentire il respiro di Platone il quale aveva inteso la filosofia quale forma

385 F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, in Opere a cura di N. Gallo, Ricciardi editore, Milano – Napoli 1961 p. 488

386 D. Quaglioni, Il modello del principe cristiano, Gli «specula principum» fra Medio Evo e prima Età Moderna, in Modelli nella storia del pensiero politico, a cura di V. I. Comparato, Saggi, Firenze 1987

387 G. M. Barbuto, Il pensiero politico del Rinascimento, Carocci, Roma 2008, p. 26

388Erasmo da Rotterdam, L’educazione del principe cristiano, a cura di D. Canfora, e-book, edizioni di Pagina 2009

148 di saggezza in grado di liberare l’animo umano dalle false opinioni e dai peggiori vizi389. Erasmo riconosce al popolo il diritto di scegliere la propria guida politica tuttavia risulta essere una scelta da condurre sulla base della personalità del principe e non tanto sulla base delle sue capacità politiche.

La prima cosa da valutare è il possesso delle virtù: “Un regno deve essere consegnato a chi più degli altri ha virtù regali: cioè spirito di saggezza, giustizia, senso della misura, lungimiranza e amore per il bene pubblico”390. Ritorna allora la lezione di Egidio Romano che aveva raccomandato al futuro sovrano di rifuggire, attraverso la pratica della temperanza ciò che implica un triste connubio col vizio ed entrambi i filosofi concordano nel dichiarare la lussuria uno tra i vizi più gravi in quanto minacciando l’equilibrio interiore, soffoca il senso della misura.

Come il buon principe, godendo di libertà interiore, salvaguardia e gratifica la libertà dei cittadini così il tiranno, asservito alla schiavitù del vizio, non può far altro che soggiogare altri alle proprie passioni. Da come il principe decide di vivere dipende la salvezza o la dannazione della propria anima infatti chi nega o usurpa la libertà altrui compie un grave peccato contro Cristo che al contrario ha restaurato l’essere dell’uomo. Ecco allora che il buono o cattivo governo non dipendono principalmente dalla capacità di discernere su quali mezzi siano più o meno adeguati bensì dalle capacità interiori, morali della persona scelta per comandare. Una persona per bene non è detto che sia capace di governare tuttavia chi governa è necessario che sia per bene. Erasmo è convinto che, qualora non si trovi un principe con le caratteristiche sovra esposte, solo una costituzione di carattere misto possa giovare ovvero una costituzione che fonda in sé elementi aristocratici e popolari sempre sotto la guida di un monarca.

Il frutto più bello che nasce dall’animo virtuoso del principe illuminato e sorretto dalla grazia divina è la pace interiore che si riversa necessariamente sul suo modo di governare sviluppando anche sani rapporti con i popoli confinanti. Comunque bisogna ricordare che il principe: “E’ capace di combattere in guerra ma non amante della guerra, bensì della pace, conciliatore di pace, sentinella di pace, capace di correggere i costumi del popolo”391. In un ambiente caratterizzato dalla pace trovano spazio l’uguaglianza, l’equità, l’istruzione, la giustizia che garantisce la libertà dell’individuo di fronte al giudizio: “Come il principe, così pure la legge deve essere sempre più incline a perdonare che a condannare: anzitutto perché deve essere per propria natura benigna, poi perché questo corrisponde al modo di comportarsi di Dio […]”392. Il ritratto del principe che Erasmo ci offre non corrisponde solo all’ideale del buon principe bensì a quello del principe cristiano il quale, scelto dal popolo, adempie la volontà di Dio tenendosi lontano dal peccato e, con

389 Ibid. pp. 5-6

390 Ibid. p. 13

391 Ibid. p. 181

392 Ibid. p. 243

149 l’aiuto della grazia, coltivando le virtù dell’anima, si adopera per il bene spirituale e materiale dei liberi cittadini.

Se Machiavelli ha reso autonoma la politica dall’etica tradizionale ed Erasmo al contrario ha reso la prima dipendente dalla seconda ovvero dall’etica cristiana, nel corso dell’età moderna tentativi di conciliare il realismo politico del Principe con la morale tradizionale non sono mancati: “Si faceva strada l’idea che la scienza politica potesse comporsi con la morale senza che la supremazia di questa distruggesse il valore di quella”393. Alcuni tra coloro che si son cimentati con tale impresa sono stati Botero e Zuccolo sul pensiero dei quali però non ci soffermeremo per non valicare i limiti imposti.

Concludo riportando le parole di Francesco De Sanctis in riferimento a quello che il De Principatibus ha rappresentato agli occhi della critica successiva alla morte del Segretario:

L’autore è stato giudicato da questo libro, e questo libro è stato giudicato non nel suo valore logico e scientifico, ma nel suo valore morale. E hanno trovato che questo libro è un codice della tirannia, fondato sulla turpe massima che il fine giustifica i mezzi, e il successo loda l’opera. E hanno chiamato machiavellismo questa dottrina. Molte difese sonosi fatte di questo libro ingegnosissime, attribuendosi all’autore questa o quella intenzione più o meno lodevole. Così n’è uscita una discussione limitata e un Machiavelli rimpiccinito394.

393 E. Garin, Storia della filosofia italiana, Einaudi, Torino 1966, vol. II, p. 788-789.

394 F. De Sanctis, op. cit., p. 484.

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