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6 Niccolò Machiavelli: vita e opere minori

7 Il Principe: breve scritto rivoluzionario

7.1 Introduzione

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115 infatti dalla conoscenza della natura umana ne deriva la consapevolezza di come si debba intervenire a livello politico al fine di frenarne gli eccessi.

Quanto detto ci permette di capire come sia errato considerare il 1512 l’anno in cui Machiavelli lascia la vita attiva per dedicarsi a quella contemplativa; continua, anche solo scrivendo, ad occuparsi di politica295 e se non fornisce mai nei suoi scritti una definizione precisa di cosa sia lo Stato tuttavia si può intuire che è creazione umana che permette, regolando l’ordine sociale, di soddisfare due bisogni fondamentali: bisogni biologici ed economici. Machiavelli esclude motivazione di carattere teologico: lo Stato non nasce per fronteggiare gli effetti provocati dal peccato originale. Le lotte che possono sorgere all’interno dell’ambito statale devono essere moderate altrimenti rischierebbero di innescare un processo di involuzione. Per questo motivo vengono stabilite le leggi ma non dal popolo stesso come sosteneva Marsilio poiché il popolo non risulta in grado di ordinare la sfera civile. E’ necessario che un individuo emerga e si imponga su gli altri dando organizzazione allo Stato: “[…] Sicché l’unico mezzo possibile per ricostruire lo Stato, e riportare gli uomini alla condizione di una comunità sana, è l’autorità di un uomo i cui provvedimenti politici diventano leggi”296. Se per Marsilio alla base dello Stato vi è la volontà collettiva per Niccolò vi è la forza e la virtù di un individuo e anche nei Discorsi, come avremo modo di vedere più approfonditamente nel prossimo capitolo, Machiavelli ribadisce che uno Stato nasce intorno all’attività di uno solo che si oppone costantemente alla passività della collettività.

Nella lettera inviata all’amico Vettori datata 10 dicembre 1513 dichiara di aver trovato il rimedio ai mali che in quel periodo affliggono l’Italia. Tale rimedio è contenuto in un breve trattato intitolato De Principatibus che Machiavelli sembra aver scritto in poco più di un trimestre durante il suo soggiorno/esilio a San Casciano. E’ dedicato a Lorenzo de Medici297, figlio di Piero, che per volontà di papa Leone X avrebbe dovuto guidare il governo fiorentino. Machiavelli ha chiesto probabilmente all’amico Vettori consiglio su come fare per presentare l’opera allo stesso Lorenzo;

egli risponde: “Come voi m’arete mandato quello trattato, vi dirò se mi pare vegnate a presentarlo”. Invia i capitoli un po’ alla volta senza apportare modifiche tranne per la dedica visto che in principio era stato dedicato a Giuliano de Medici. Se invia i capitoli un po’ alla volta allora viene da pensare che probabilmente l’opera non sia stata scritta di getto. Inoltre il cap. XI si conclude con una dedica a Leone X il che fa suppore come l’autore abbia scritto rapidamente solo i primi undici capitoli sulle cui tematiche è ritornato successivamente dando vita ad un notevole

295 F. Gilbert, op. cit., p. 110

296 Ibid. p. 71

297 Nipote di Lorenzo il Magnifico, vive la sua giovinezza a Roma dove la famiglia Medici ha riparato dopo la cacciata da Firenze dovuta al tremendo gesto di Piero che apre le porte della città a Carlo VIII re di Francia. Rientra a Firenze trionfante solo nel 1512 grazie all’appoggio avuto da Giulio II e dalla corona spagnola. Machiavelli è una delle vittime della restaurazione medicea. Nell’ottobre del 1516 è investito del ducato di Urbino tolto ai della Rovere che tornano all’attacco nel 1518 spodestando Lorenzo che di lì a breve muore.

116 ampliamento. Stando a questa interpretazione, i capitoli dal XII al XXVI sarebbero stati composti durante la revisione del primo nucleo dell’opera298.

Pur non conoscendo la data in cui il Principe viene presentato a Lorenzo tuttavia siamo sicuri nell’affermare che quest’opera già circola nell’estate del 1517. La lettera dedicatoria299 è stata scritta con ogni probabilità nel 1516, dopo la morte di Giuliano de' Medici ed è indirizzata ad uno tra gli esponenti più autorevoli della Signoria, dal quale lo scrittore si aspetta almeno un qualche riconoscimento o incarico politico: il testo possiede anzitutto un intento encomiastico, con lo scopo di accaparrarsi il favore dei Medici, cercando di far leva anche sulle tremende avversità subite in seguito al suo presunto coinvolgimento nella congiura del Boscoli. Machiavelli presenta il Principe come un dono al signore di Firenze e si scusa per la modestia della sua offerta, giustificandosi col dire che la sua esperienza delle cose politiche, accumulata sia con la lettura di libri antichi300 sia con il servizio alla Repubblica, ha per lui un valore inestimabile e rappresenta quanto di più prezioso possa donare a Lorenzo. “Esso (il Principe) non può che avere a prima vista un effetto spiazzante, dato che in definitiva è un manuale ad uso di un cittadino privato che, con audacia, spregiudicatezza e un po’ di fortuna voglia diventare principe cioè impadronirsi autocraticamente del potere […]”301. E’ il frutto dello studio sugli uomini finalizzato all’istruzione del principe su come comportarsi nella sua azione di governo. “[…] Non ho trovato tra la mia suppellettile cosa quale io abbia più cara o quanto esistimi quanto la cognizione delle azioni degli uomini grandi, imparata da me con una lunga esperienza delle cose moderne e con una continua delle antiche […]”302. La lettera dedicatoria rappresenta una continuazione ideale di quella a F.

Vettori del 10 dicembre 1513 in cui Machiavelli dichiara di aver composto il Principe proprio per dimostrare ai Medici la sua abilità nell'arte politica e rivendicare come gli anni trascorsi al servizio

298 Non tutti i critici sono d’accordo con questa ipotesi. Secondo Chabod il Principe è stato scritto in una sola volta: cf.

F. Chabod, Scritti su Machiavelli, Torino, Einaudi 1980

299 Lo stile che si rintraccia in tutta l’opera possiede un accentuato stile paradossale sia da un punto di vista retorico che filosofico. In questa lettera dedicatoria, l’autore dichiara che l’opera è misera e indegna in riferimento alla nobiltà del destinatario tuttavia niente nelle affermazioni successive è a conferma di quanto detto. Al cap. VII propone come modello del vero principe, Cesare Borgia il cui potere è crollato in malo modo dopo la morte di Alessandro VI. Si potrebbe affermare che così facendo, Machiavelli prova le sue teorie in riferimento ai cambiamenti della fortuna ma questo origina un nuovo paradosso fondato sul fatto che viene proposto un modello di comportamento inficiato dalla stessa fortuna. Come vedremo più aventi, il Machiavelli ne uscirà adducendo la rovina di Cesare anche alla sua personale responsabilità. I paradossi più significativi li espone XVI e XVII dove vengono trattate due virtù tradizionali, la liberalità e la pietà tuttavia gli esiti a cui conducono sono ben diversi da quelli proposti dagli specula principis. Sul piano pratico gli effetti potrebbero essere assai diversi da quello che ci si aspetta: la pietà corre il rischio di aprir la strada alla debolezza e alla crudeltà mentre agire con crudeltà alle volte, potrebbe bloccare un male dilagante e presentarsi come una forma di virtù. Cf. J. J. Marchand, Il discorso paradossale nel Principe, in Studi Machiavelliani

300 L'autore si basa essenzialmente sulla lettura dei trattati latini di storiografia (anzitutto l'opera di Tito Livio) e da altre fonti antiche per gli esempi del passato, che rivelano un approccio libresco e non sempre sorretto da una reale competenza storica

301 F. Frosini, Guerra e politica in Machiavelli, in Tempo da Ciencia, v. 20, n. 40, 2013, p. 5.

302 N. Machiavelli, Principe, in Tutte le opere a cura di M. Martelli, Sansoni, Firenze 1971, dedica a Lorenzo

117 dello Stato non li abbia "Né dormiti né giuocati", lamentando inoltre le difficili condizioni economiche in cui versa.

Lo scrittore ci tiene subito a sottolineare di non aver badato alla forma letteraria nello scrivere il trattato e di non aver ornato l'opera con "clausule ample" (elaborazioni retoriche tipiche dello scrivere del tempo), né di averla abbellita, essendo il contenuto di gran lunga più importante della sua veste letteraria; se il Principe viene concepito da Machiavelli come un manualetto in cui vengono indicate regole e consigli sul modo di mantenere lo Stato, allora non è casuale che la scelta della lingua ricada proprio sul volgare fiorentino del Cinquecento, volgare di chiara comprensione che non richiede interpretazioni.

Se nella trattatistica medievale gli scrittori usano uno schema a piramide di carattere aristotelico che parte dalle premesse generali per arrivare al particolare, nel De Principatibus si utilizza un metodo a catena che, prendendo le mosse da considerazioni particolari basate sull’osservazione diretta, porta a conclusioni più generali. Da questo punto di vista il metodo di Machiavelli, applicato alla politica quale scienza autonoma, risulta identico a quello scientifico sperimentale di Galileo applicato alla natura.

Machiavelli giustifica l'apparente immodestia di rivolgersi, lui semplice borghese, a signori come i Medici di Firenze nonché idealmente a tutti i sovrani d'Italia al fine di informare sull'arte di governo, tuttavia solo colui che appartiene al popolo può conoscere la natura dei principi e solo colui che partecipa al potere può conoscere la natura dei popoli. Proprio come i geometri che si pongono in basso per descrivere le montagne e sulle vette per delineare i territori pianeggianti: “Né voglio sia reputata presunzione se uno uomo di basso ed infimo stato ardisce discorrere e regolare e’ governi de’ principi; perché, così come coloro che disegnano e’ paesi si pongono bassi nel piano a considerare la natura de’ monti e de’ luoghi alti, e per considerare quella de’ bassi si pongono alti sopra e’ monti, similmente, a conoscere bene la natura de’ populi, bisogna essere principe, e a conoscere bene quella de’ principi, bisogna essere populare”303.

Dalla lettura delle prime pagine, si comprende come l’autore prima di mettere mano al De Principatibus, fosse intento a scrivere riguardo la repubblica e tale interruzione sembra motivata dalla convinzione che le città corrotte non potrebbero reggersi su l’ordinamento repubblicano; solo una podestà di carattere dittatoriale corregge e frena i comportamenti malvagi e corrotti. Per Machiavelli il principato si realizza come imperio sopra gli uomini, un dominio esercitato da pochi o da uno solo. Come verrà maggiormente specificato nel cap. IX, la politica può essere considerata anche come l’arte di esercitare la forza all’interno della società per garantire l’ordine e la pace.

303 Ibid

118 Una delle grandi differenze con gli specula medievali risiede nel fatto che non vengono mai affrontate questioni relative al fine e all’origine teologica dello stato: quest’ultimo non proviene da Dio, il sovrano non è ministro scelto da Dio per il bene e la santità dei sudditi. Comunque da questo punto di vista Machiavelli è anticipato da Marsilio il quale, pur non avendo mai scritto uno speculum, ritiene che lo Stato non sia un riflesso dell’autorità di Dio sul mondo bensì il frutto del consenso tra gli uomini.