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I punti sin qui sviluppati fanno luce soltanto su una parte dei

nodi critici cui era opportuno fornire adeguata risposta normativa

ed ai quali, per l’appunto, si è tentato di mettere mano, da ultimo

mediante le previsioni contenute nella legge anticorruzione del

2012.

In particolar modo - e per ciò che attiene direttamente alla sfera

d’interesse della presente trattazione - s’imponeva una ponderata

riformulazione della fattispecie di corruzione che fosse in primis tale

da cancellare la discrasia instauratasi tra il modello di “tutela vigente”

incentrato ancora sul requisito dell’atto, e quello “vivente” messo a

punto dalla giurisprudenza di legittimità una volta oltrepassati

interpretativamente i rigorosi confini letterali delle norme

interessate, superando tutte quelle scomode tensioni indotte da tale

operazione con il principio di legalità;

265

in secondo luogo,

cogliendo tale occasione, la riformulazione avrebbe dovuto

indirizzarsi verso l’accoglimento d’una fattispecie tale da

fronteggiare efficacemente le correnti manifestazioni del fenomeno

corruttivo alla luce delle ormai radicate e conclamate sue note di

sistematicità.

266

della magistratura, parla di come « il concetto di induzione venga usato sovente a

fisarmonica dai pubblici ministeri, che lo dilatano e o restringono a seconda della volontà o dell’interesse processuale a contestare la concussione o la corruzione ».

265 Nella relazione inviata dall’allora Guardasigilli Severino in occasione del Congresso La nuova legge anticorruzione, in Dir. pen. e proc. n. 1/2013, cit., all’interno della sezione dedicata all’avvenuta riformulazione della fattispecie di corruzione, si legge che mediante tale operazione si prendeva « atto del processo di “smaterializzazione” dell’elemento dell’atto d’ufficio,

dando così piena legittimazione alla, sino ad oggi dominante, lettura offerta dalla giurisprudenza, nel quadro di una ridefinizione degli ambiti di applicazione delle vigenti figure di corruzione ».

266 A questo riguardo è peraltro necessario rammentare che d’ora innanzi sarà approfondita la risposta che il legislatore ha rilasciato sul

Aggiuntivamente - pur rimanendo questo un profilo investito

incidentalmente ai fini del nostro elaborato - sussisteva una

concreta ed ‘improcrastinabile’ esigenza di adottare un’actio finium

regundorum tra le fattispecie di corruzione e concussione,

267

che da

tempo, ormai, subivano un’interferenza reciproca. Un tale

intervento s’imponeva sia per l’insoddisfazione scaturita, al

riguardo, in seno all’ordinamento interno, sia - come in precedenza

accennato - alla luce delle raccomandazioni effettuate ad hoc in

sede internazionale

.268

Punti, questi, che dagli anni ‘90 in poi sono

stati resi oggetto d’attenzione in plurime occasioni di proposte e

disegni di legge, i quali propendevano alternativamente a) per

un’unificazione dei reati di corruzione e concussione, piuttosto che

b) per la previsione di una macro-fattispecie di corruzione atta a

versante penale, quindi repressivo, non potendo questo elaborato estendersi ad ulteriori considerazioni relative agli strumenti preventivi. Ciò che preme è tuttavia rammentare, una tantum, come la rimodulazione delle fattispecie penali non potesse essere l’unica risposta preventivabile ed ipotizzabile. E proprio sul punto, già con estrema chiarezza si esprimeva PADOVANI nel1999, Il confine conteso, Metamorfosi dei rapporti tra concussione e corruzione ed esigenze improcrastinabili di riforma, in Riv. it. dir. e proc. pen., pag. 1307 ss., il quale, menzionando in chiusura del proprio

contributo le varie prospettive riformatrici delle fattispecie in oggetto, rimarcava però che lo strumento del diritto penale, come sempre così anche nel frangente della corruzione, non potesse essere assurto a « strumento prioritario di controllo sociale », ma fosse opportuno guardare ad esso come ad uno strumento che nella sua veste fisiologica è un « limite

contro le esigenze, potenzialmente infinite, della politica criminale» e tale da

presentare piuttosto « la natura e la consistenza di una garanzia contro l’arbitrio

del potere punitivo».

267 L’utilizzo del termine ‘improcrastinabile’ è qui tratto da P

ADOVANI, Il confine conteso, (…), cit., cui si rimanda per una completa illustrazione della

questione in esame. Nella stessa rivista si segnala lo stesso utilizzo da parte di GROSSO, in Nodi controversi in tema di riforma dei delitti di corruzione e concussione, op. cit.

ricomprendere tutte le ipotesi previamente distinte,

269

oltre ad altre

ancora non contemplate nel codice,

270

o ancora c) per una possibile

abrogazione del delitto di concussione e contestuale suo transito

alla stregua di aggravante speciale in seno al delitto di estorsione ex

art. 629 c.p., oppure, ed infine, d) per il mantenimento della

fattispecie di concussione per costrizione e la scissione dal nucleo

concussivo dell’ipotesi induttiva, per farla confluire all’interno

dell’alveo dei reati di corruzione. Vedremo quindi, transitando per

un’indagine comparatistica atta ad agevolare nella ricognizione dei

modelli diffusi in alcuni dei Paesi UE e sui quali poteva

legittimamente posarsi lo sguardo del legislatore italiano, quale sia

stata la strada intrapresa da quest’ultimo in occasione della riforma.

269 Questa idea scaturì per la prima volta in occasione della Proposta di Cernobbio del 1994, ed è stata ripresentata con varie rimodulazioni nel corso degli anni successivi (come ad esempio nella versione elaborata dal disegno di legge di ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa del 1999, presentato il 4 dicembre 2007 alla Camera dei Deputati A.C. 3286). In particolare, la Proposta di Cernobbio (di cui si ritrova una pubblicazione nella Riv. Trim. Dir. Pen. Ec. 1994, pag. 911 ss.) si contraddistingueva per la volontà di riunificare sotto tale macro- fattispecie tutte le condotte afferenti ai reati di corruzione al tempo previste, oltre ad altre ancora non codificate al tempo, come ad esempio la corruzione per l’esercizio della funzione, il traffico di influenze illecite e, più in generale, le condotte coincidenti con una mera accettazione di doni in connessione anche occasionale con l’attività svolta (la Proposta incriminava il « pubblico agente che accetti l’utilità in relazione al compimento,

all’omissione, al ritardo di un atto del suo ufficio, ovvero ad un atto contrario ai dovei del suo ufficio, o comunque in relazione alla sua qualità, alle sue funzioni o alla sua attività »). Del resto, essa si prestava a critiche obiettivamente condivisibili

nella misura in cui contrastava con il principio di tipicità a fronte del rilievo che la grande eterogeneità delle condotte riunificate.

CAPITOLO IV

LE FATTISPECIE DI CORRUZIONE NELLA

PROSPETTIVA COMPARATISTICA