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Condizione lavorativa

3. Integrazione di chi?

3.2. I migranti in Marocco

3.2.3. Condizione lavorativa

Con l’obiettivo di giungere, alla fine del presente lavoro, alla comprensione dell’impatto e dell’eco avuti dalla prima campagna di regolarizzazione e dei programmi rivolti all’integrazione economica dei migranti, si ritiene opportuno analizzare le condizioni lavorative dei migranti negli anni che precedono questa iniziativa. La disamina sarà utile a far luce sugli effetti dei principali provvedimenti presi dallo stato in materia migratoria e delle azioni implementate dalle organizzazioni non governative. Affinché la campagna non venga interpretata come una “distribuzione” di documenti a persone precedentemente residenti in maniera irregolare in Marocco fine a se stessa, si vuole tracciare un quadro che porti in evidenza elementi capaci di trasmettere se vi è stato un cambiamento correlato al passaggio della persona da una situazione illegale a quella regolare.

Sebbene il Marocco avesse ratificato la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, è chiaro che molte persone non godessero delle tutele previste e che, in virtù della legge 02-03, la condizione di esclusione fosse acuita per gli irregolari. Tale legge impedisce infatti alle persone sprovviste di visto o delle carte di soggiorno di accedere al mercato del lavoro in Marocco, relegandole così a svolgere delle attività nel settore informale per sopravvivere. Nel 2008 uno studio aveva messo in evidenza che solo il 2,3% dei migranti sub sahariani aveva trovato un lavoro regolare e che ben il 59% non disponeva, al contrario, di alcuna fonte di reddito210. Tra i fattori diversamente correlati al tema del lavoro si trovano la mancanza di rispetto delle norme atte a proteggere i diritti degli stranieri, un clima criminalizzante nei confronti degli immigrati clandestini e le difficili condizioni abitative. Nella presente trattazione è stata messa in luce la situazione abitativa relativa alla capitale, ma si ricorda

210 Association marocaine d’etudes et de recherche en migrations, L’immigration subsaharienne au Maroc, analyse socio – économique, AMERM, Rabat, 2008, p. 76.

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che nella regione settentrionale le condizioni di vita risultano essere ancora più precarie e disumane211. Questo il panorama in cui si vede il prolungamento del soggiorno in territorio marocchino da parte di stranieri i quali, per sopravvivere, devono trovare dei mezzi di sussistenza.

Si è detto che i migranti in genere abitano in quartieri popolari della capitale, nei quali i suq sono un immancabile elemento. È proprio in questi mercati di quartiere che spesso i migranti trovano l’opportunità di svolgere delle attività. Si tratta di scaricare camion di frutta e verdura nelle prime ore del giorno e, in base al numero di casse spostate, il salario può arrivare a 5 dh (0,35 €) all’ora. Altri aiutano nella vendita di frutta e verdura alle bancarelle, per circa 20 dh al giorno. Non sono coinvolti nei soli mercati di quartiere che hanno luogo nelle vie, ma anche in piccole attività commerciali appartenenti a marocchini. Possono essere dei locali in cui si vendono vestiti o altri generi alimentari in cui i sub sahariani svolgono diverse mansioni. A volte accolgono solo i clienti, altre dispongono la merce e, nei casi più fortunati, si occupano della contabilità. Il lavoratore in genere è attivo sei o sette giorni su sette dalle 8.30 del mattino fino all’orario di chiusura, verso le 21.00212.

I migranti sub sahariani in alcuni casi sono impiegati da datori di lavoro marocchini, i quali apprezzano la loro dedizione al lavoro e la loro serietà, anche in altri settori. È il caso di un

hammam della capitale in cui alcuni si occupano dell’approvvigionamento della caldaia e uno

lavora alla cassa, per 50 dh al giorno. Nella zona industriale vicino a Douar Hajja vi è una fabbrica di marmo che nel 2011 vedeva impiegati una sessantina di dipendenti di cui solo cinque di essi erano marocchini. Anche in questo caso sono riportate la diligenza, la serietà dei lavoratori sub sahariani e la puntualità sul posto di lavoro. Si ricorda anche che spesso gli stranieri si espongono in maniera minore per chiedere tutele lavorative rispetto ai lavoratori nazionali, e sono gli stessi datori di lavoro a confermare quanto sia apprezzato il fatto che i sub sahariani tendenzialmente non si lamentino del salario, degli orari di lavoro e nemmeno per le condizioni di lavoro. Questo è strettamente legato al vantaggio che viene tratto dal datore dalla condizione di vulnerabilità del lavoratore, spesso irregolare e non capace di pretendere che i propri diritti siano rispettati. Le condizioni infatti sono molto dure: il lavoro inizia alle 7.30 del mattino e termina alle 18.00, con un’ora di pausa, e dalle 19.00 alle 6.00 del mattino vi è un secondo gruppo di persone che continua il lavoro nelle ore notturne. Non sono solo i turni ad essere sfidanti, ma anche le condizioni lavorative: spesso delle schegge di marmo feriscono gli operai, i quali generalmente lavorano senza utilizzare dei guanti di protezione. D’inverno, in alcuni punti della fabbrica l’acqua freddissima

211 A tal proposito si veda il rapporto Medecins sans frontieres, Violences, vulnérabilité et migration: Bloqués aux portes de l’Europe, un rapport sur les migrants subsahariens en situation irrégulière au Maroc, MSF, 2013.

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arriva fino alle ginocchia dei lavoratori, che sono costretti a rimanervi immersi per diverse ore in modo tale da poter svolgere le proprie mansioni. Sulla base di un’inchiesta sul campo svolta da alcuni ricercatori, si rileva che lo stipendio è di circa 70 dh al giorno. Queste condizioni non sono rappresentative del lavoro svolto esclusivamente degli stranieri, ma sono condivise anche dai lavoratori marocchini che eseguano la stessa mansione. Poco lontano vi è un’altra fabbrica di mattoni che impiega lavoratori sub sahariani. Anche qui la situazione lavorativa sembra non essere migliore. Tra le attività vi è quella di rimuovere dai forni i mattoni e disporli al sole. Questo passaggio viene svolto a catena, attraverso il passaggio di mano in mano dei mattoni ancora caldi, in mezzo al calore emanato dai forni stessi e sotto il vigile controllo di un supervisore incaricato di controllare che il lavoro prosegua. Anche in questo caso lo stipendio è molto basso, di circa 50 dh al giorno213.

Oltre al lavoro in fabbrica, gli immigrati sub sahariani spesso si sono trovati a svolgere delle attività che i nazionali avevano progressivamente abbandonato, come il calzolaio o alcuni lavori domestici, come l’autista, il giardiniere, il guardiano o il domestico. Dalla fine del 1900 si è sviluppato sempre di più un flusso di lavoratori domestici, principalmente donne, che dal Senegal si recava in Marocco attraverso un’ampia gamma di intermediari e con un sistema di reclutamento sia in Senegal sia in Marocco, che ha gradualmente sostituito una parte di lavoratori marocchini che svolgevano le suddette mansioni. Questi lavori spesso sono poco rispettati e, di conseguenza, portano a situazioni di sfruttamento e di inferiorità dei domestici e delle domestiche in particolare, sottoposti ad orari interminabili di lavoro e, in alcuni casi, a violenze. Oltre ai cittadini senegalesi vi sono anche molte donne originarie delle Filippine, della Costa d’Avorio e della Repubblica Democratica del Congo. I casi di violenza, di sfruttamento, di confisca dei documenti o di non elargizione dello stipendio sono diffusi e riportati sia dalle ONG sia dalla stampa marocchina214. Sia nel settore dell’industria sia in quello relativo alle mansioni domestiche, sono numerosi i casi in cui non vengono rispettate le norme relative al massimo delle ore lavorative previste in una settimana e allo stipendio minimo, a cui si aggiungono il non rispetto dei pagamenti o altre pratiche discriminanti. Lo sfruttamento delle lavoratrici domestiche riguarda anche le marocchine stesse, in particolare le minori di origine rurale.

Un settore che vede l’ampio impiego di migranti sub sahariani è quello dei bâtiment et travaux publics (BTP) che, già nel 2008, vedeva coinvolto il 20% delle persone provenienti dall’Africa sub

213 Ivi, pp. 45 – 46.

214 Cfr. GADEM, Rapport sur l’application au Maroc de la Convention internationale sur la protection des droits de tous les travailleurs migrants et des membres de leur famille, Rabat, 2015, p. 39.

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sahariana215. Una così elevata percentuale si spiega con la quantità di progetti immobiliari avviati nel regno, spesso destinati ai turisti. Un esempio è l’apertura, proprio nel 2007, a El Jadida del cantiere balneare Mazagran, della Golden Bay e del complesso Souria. A causa della scarsa organizzazione delle piccole imprese di costruzione marocchine, l’avvio di questi progetti, accanto a quelli di sviluppo delle periferie delle città, ha visto la progressiva necessità di assumere giornalmente della manodopera competente e disponibile, in molti casi sub sahariana appunto. Il reclutamento di questi lavoratori può avvenire in maniere differenti. A volte sono loro stessi a recarsi nel cantiere e a chiedere se vi sia bisogno di altra manodopera, lasciando il numero di telefono al capo cantiere che provvederà a contattarli qualora vi fosse necessità. Un'altra modalità vede la trasposizione nell’ambiente urbano delle modalità diffuse nel Marocco rurale. Nelle campagne, infatti, esistono i cosiddetti mouquéf, postazioni, tendenzialmente all’angolo di due strade o in un piazzale, in cui i lavoratori e le lavoratrici attendono dei datori di lavoro al fine di essere impiegati per un giorno nello svolgere una qualsiasi mansione216. Lo stesso principio si rivede nelle “bourses du travail” emerse nella capitale, dove degli imprenditori si recano per reclutare manodopera, generalmente proveniente dall’Africa sub sahariana, elemento evocato anche dal nome di una di queste postazioni, “place Tchad”. I lavori che possono essere ottenuti con questo metodo sono in genere giardiniere o manovale nei cantieri e lo stipendio varia dai 70 ai 100 dh al giorno. Non essendoci alcun contratto, il compenso varia in base al livello di esperienza dell’impiegato ma, soprattutto, è sottoposto alla discrezionalità del datore di lavoro217.

Se i migranti in situazione precaria in genere si rivolgono al settore informale per trovare un impiego, non si debbono trascurare i molti casi in cui ricorrono alla mendicità per racimolare il denaro sufficiente a mangiare. Nel 2008 quasi il 20% del campione intervistato aveva dichiarato di ricorrere a questo espediente per vivere218. La pratica risulta essere maggiormente diffusa tra le donne, che spesso si appostano nelle stazioni ferroviarie o degli autobus delle città, lungo le strade principali o vicino a cimiteri e moschee con i figli piccoli. Si segnala che i marocchini sono, tendenzialmente, più abituati al fenomeno della carità e più disponibili a compiere questo gesto di beneficienza rispetto a cittadini europei, anche sulla base dei precetti religiosi. Si riporta, infine, che

215 Association marocaine d’etudes et de recherche en migrations, L’immigration subsaharienne au Maroc, analyse socio – économique, AMERM, Rabat, 2008, p. 78.

216

L. Bossenbroek, Behind the veil of agricultural modernization: gendered dynamics of rural change in the Saïss, Morocco, PhD tesi, Wageningen University, Wageningen (NL), 2016, p. 93.

217 M. Peraldi, D’une Afrique à l’autre, Migrations subsahariennes au Maroc, Éditions Karthala, Parigi, 2011, p. 46. 218 Association marocaine d’etudes et de recherche en migrations, L’immigration subsaharienne au Maroc, analyse socio –

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alcuni migranti sub sahariani sono reclutati da commercianti di droga219, che li assumono per la distribuzione nei quartieri periferici delle città, e che alcune donne, spesso molto giovani, si prostituiscono sempre nei quartieri popolari220.

Accanto ai migranti che svolgono lavori occasionali e nel settore informale, vi sono molti studenti, spesso ancora frequentanti le lezioni, e diplomati che lavorano nel settore delle telecomunicazioni e della stampa in lingua francese. Agli inizi degli anni Duemila sono apparsi in Marocco i primi call center che hanno visto un rapidissimo sviluppo tanto da impiegare già nel 2009 almeno 4.000 persone. Questa espansione si spiega con il progressivo spostamento dei centri nel territorio marocchino da parte di imprese estere e multinazionali, che qui riuscivano ad abbattere i prezzi degli operatori. Lo stipendio varia infatti tra i 250 e i 400 € al mese, in media tre volte meno rispetto agli stipendi erogati in Europa. Le città di Rabat e Casablanca da sole ospitano l’87% dei

call center presenti in Marocco che, nel 2011 davano lavoro a circa 25.000 persone, per un giro di

affari di 4 milioni di dirham annui. Il requisito principale che viene ricercato nei lavoratori è un’eccellente padronanza della lingua francese, possibilmente senza accenti. Per quanto riguarda gli orari in linea teorica non dovrebbero superare le sette o le otto ore giornaliere e vi dovrebbe essere la possibilità di svolgere un part – time, in modo da agevolare gli studenti. L’assunzione di operatori sub sahariani è stata immediata e la loro presenza nel settore è incisiva, tanto che sono state pensate delle agevolazioni per impiegare nel settore dei cittadini senegalesi221. Si ricorda che non sono solamente i laureati o diplomati sub sahariani a lavorare nei call center per un elevato numero di ore e spesso senza contratto, ma anche i laureati e i diplomati marocchini, che non trovando, al pari degli stranieri, un lavoro che corrisponda alle loro competenze, si accontentano di fare gli operatori, con la speranza di trovare un lavoro più adatto al loro percorso di studi. Un altro settore in cui la lingua francese è l’elemento sine qua non per l’assunzione è rappresentato dalla stampa francese. In Marocco, oltre ai giornali in lingua araba, circolano quotidiani, settimanali e riviste in francese e, da quanto emerge dalle dichiarazioni di impiegati e di dirigenti di alcuni quotidiani, in questo ambito i sub sahariani hanno delle possibilità di crescita più rapide rispetto ai marocchini. Va notato che in Marocco la lingua francese non è ben integrata nel sistema scolastico pubblico, nelle cui scuole le lezioni si tengono in darija, perciò la padronanza della lingua scritta non è così diffusa. I lavoratori sub sahariani nel settore giornalistico lavorano come free lance, o a contratto o svolgono degli stage

219ʿAbd al-wahāb Bāreʿ, Muhājirūn afāriqa mutawarriṭun fī tijāra al-kūkāyyin wa-al-khumūr al-muharraba bil-Maghreb,

Akhbar al-youm, 2016, http://www.alyaoum24.com/659839.html, [20/07/2017].

220 Association marocaine d’etudes et de recherche en migrations, L’immigration subsaharienne au Maroc, analyse socio – économique, AMERM, Rabat, 2008, p. 78.

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con la speranza di essere assunti alla fine del loro percorso di studi222. Quello che doveva rappresentare un settore capace di offrire allettanti opportunità di lavoro, si è con la prassi trasformato in un dispositivo atto a beneficiare delle capacità e delle speranze dei giovani stagisti, senza poi però assumere le persone. Spesso infatti i migranti sub sahariani devono aspettare molti anni e cambiare più giornali prima di vedersi assunti in maniera regolare ed iniziare a pensare ad avviare la propria carriera.

I dati relativi alla presenza di sub sahariani in Marocco e ai lavori svolti dipingono un quadro che fa luce sulle difficoltà quotidiane ritrovate dagli stranieri in diversi ambiti: nel caso in cui la persona debba raggiungere il posto di lavoro vi sono le insidie descritte relative agli spostamenti; per i migranti che non parlano né francese né darija (segnatamente gli anglofoni) le difficoltà nel trovare lavoro sono maggiori e, infine, negli anni precedenti il 2014, anche la normativa non aiutava di certo l’inserimento di queste persone. Da un lato la legge 02-03 impediva ai migranti irregolari di trovare un posto di lavoro regolare, incoraggiandoli dunque a rivolgersi al settore informale per trovare dei mezzi di sussistenza. Dall’altro la procedura prevista per l’assunzione di lavoratori stranieri, scoraggiava i datori di lavoro a procedere in questo senso. Infatti il rilascio del permesso di lavoro da parte del Ministero dell’impiego avveniva solo in seguito all’avviso emesso dall’Agence nationale de promotion de l’emploi et des compétences (ANAPEC) e, anche se tale procedura non risulta essere chiaramente specificata nella legge, viene generalmente seguita223. L’ANAPEC svolge da tramite tra le offerte di lavoro, che vengono pubblicate in due annunci annui stampati in arabo e in francese, e le richieste di lavoro, che vengono selezionate dall’agenzia stessa. Si ritengono necessarie due precisazioni per chiarire questo procedimento. La prima riguarda la necessità da parte dell’ANAPEC di assicurarsi che non vi siano dei cittadini marocchini capaci di ricoprire il ruolo in corso di affidamento ad uno straniero, in base alla cosiddetta “preferenza nazionale”. In secondo luogo, l’autorizzazione di lavoro viene fornita per occupare un posto preciso e legato ad un contratto di lavoro corrispondente. Da ciò ne deriva che la perdita del lavoro per il quale si ha un contratto comporta la perdita dell’autorizzazione di lavoro e dunque il diritto di esercitare un’altra attività. Inoltre il permesso di lavoro è strettamente legato al diritto di soggiorno: alla luce di questo legame il lavoratore sarà sempre in una situazione di svantaggio e di vulnerabilità. Infatti, considerando che i contratti a tempo determinato hanno durata massima un anno, se il datore di lavoro decide di non rinnovare il contratto, il lavoratore non avrà più l’autorizzazione di lavoro e, di conseguenza, perderà il diritto di soggiorno. Si ricorda infine che la

222 Ivi, 61 – 67.

223 GADEM, Rapport sur l’application au Maroc de la Convention internationale sur la protection des droits de tous les travailleurs migrants et des membres de leur famille, Rabat, 2015, p. 125.

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pubblicazione delle offerte di lavoro nei giornali non viene sempre rispettata, soprattutto quando si tratta di lavori della durata di alcuni mesi224. Sono evidenti i molti ostacoli che hanno sicuramente contribuito all’assunzione senza contratto di cittadini stranieri. Si precisa che nonostante vi sia un’ammenda di 5.000 dh per l’assunzione di stranieri senza autorizzazione, il suo ammontare massimo è minore rispetto ai costi previsti dalla procedura di pubblicazione di annunci attraverso l’ANAPEC225.

Al di là di questo quadro al quanto sconfortante, si ricorda che vi sono delle eccezioni, rappresentate dalla classe medio – alta sub sahariana che ha deciso di vivere e di investire nel Marocco metropolitano, ad esempio con l’apertura di locali e ristoranti226.

3.3.Conclusioni

Prendendo in considerazione la limitata mole di dati ad oggi fruibile, si può affermare che i destinatari dei processi d’integrazione presenti in Marocco sono per lo più giovani aventi un’età compresa tra i 15 e i 34 anni (rappresentano circa l’80% del totale) e più di due terzi sono uomini. La maggioranza è francofona ma la percentuale anglofona non è trascurabile. Sebbene più della metà abbia lavorato nel paese d’origine, circa il 65% dichiara di essere partito per migliorare le proprie condizioni di vita, e il 61% afferma che risiederebbe in Marocco nel caso trovasse un lavoro. Nonostante vivano in abitazioni precarie e in condizioni insalubri, il periodo di permanenza di circa il 40% dei migranti è superiore ai due anni227. Circa l’80% dichiara di essere stato vittima di episodi di razzismo o di discriminazione nella città di Rabat228. Infine, la maggioranza lavora nel settore informale, nei suq, nei cantieri e nei call center, dove i contratti sono per lo più verbali e le garanzie sociali e sanitarie inesistenti.

224 M. Peraldi, D’une Afrique à l’autre, Migrations subsahariennes au Maroc, Éditions Karthala, Parigi, 2011, p. 76 nota n.

3.

225 GADEM, Rapport sur l’application au Maroc de la Convention internationale sur la protection des droits de tous les travailleurs migrants et des membres de leur famille, Rabat, 2015, pp. 120 – 127.

226

Cfr. F. Infantino, Barbès à Casa? Lieux cosmopolites d’Afrique dans la métropole marocaine, in M. Peraldi, D’une

Afrique à l’autre, Migrations subsahariennes au Maroc, Éditions Karthala, Parigi, 2011, pp. 73 – 99.

227 Questi dati fanno riferimento al quadro rilevato dall’inchiesta condotta dal centro Konrad Adenauer Stiftung nel 2016. 228 Dato emerso dall’inchiesta condotta da CEFA nel 2016 e non ancora pubblicata, di cui si è in possesso delle evidenze

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