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Conservazione e pianificazione territoriale nel contesto dei territori Palestinesi occupat

L’Ecomuseo del Paesaggio di Battir Pianificazione partecipata per la protezione del paesaggio e la resilienza de

1. Conservazione e pianificazione territoriale nel contesto dei territori Palestinesi occupat

Storicamente regione cosmopolita e multi-religiosa, zona di attraversamento, passaggio e connessione fra mondi geografici e culturali diversi, il territorio di Israele/Palestina, o Palestina Storica, rappresenta una ‘zona di contatto’ caratterizzata dal ricorrere nel tempo non solo di molteplici scambi, convivenze e convergenze interculturali, ma anche di radicali divergenze e di tensioni costanti, territorio di dominio e conquista e teatro, nel corso dei secoli, di innumerevoli contese e conflitti violenti (PRATT, 1992)2. La

diversità paesaggistica e culturale che caratterizza il territorio, dunque, è frutto non solo dell’accumulazione di relazioni cooperative e scambi di saperi e di esperienze, ma anche dell’intersecarsi di dinamiche antagonistiche e di dominio fra i diversi gruppi umani che lo hanno abitato o attraversato nel corso della storia.

Il ruolo del conflitto nel plasmare l’identità geografica e antropologica del luogo ha assunto una centralità totalizzante soprattutto dalla metà del secolo scorso, a causa delle dinamiche innescate dall’occupazione israeliana, sin dalle sue origini è stata caratterizzata da una forte marca territoriale che ha avuto ripercussioni violente sui paesaggi di un luogo tutto sommato minuscolo, ma denso e differenziato in termini geografici come antropologici. Le pratiche spaziali, quali agenti primari della trasformazione del territorio e della vita dei suoi abitanti, detengono un ruolo chiave nella strategia d’occupazione della Palestina, servendo con spietata efficacia piani propriamente coloniali, finalizzati alla progressiva conquista di tutti i territori palestinesi, salvo forse la concessione di autonomia per alcune enclave isolate e segregate.

Rappresentato quale una tabula rasa dall’immaginario colonizzatore – come svela il motto propagandistico ‘una terra senza popolo per un popolo senza terra’ coniato dal sionismo delle origini per esortare gli ebrei di tutto il mondo a emigrare nella ‘terra promessa’ – il territorio della Palestina è divenuto uno

2 Marie Louise Pratt (1992) definisce una zona di contatto come “[…] uno spazio di incontri coloniali, lo

spazio in cui popoli geograficamente e storicamente separati entrano in contatto uno con l’altro e stabiliscono relazioni correnti, che di solito implicano condizioni di coercizione, profonda ineguaglianza e conflittualità incontrollabile. […] L’espressione zona di contatto è un tentativo di evocare la compresenza spazio-temporale di soggetti in precedenza separati da iato geografici e storici, e le cui traiettorie ora si intersecano”.

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spazio aperto alla conquista e alla trasformazione violenta. Nei territori palestinesi le forze d’occupazione hanno usato e usano i piani urbanistici e strutturali quali veri e propri grimaldelli finalizzati alla conquista di nuovi

territori attraverso una crescente frammentazione dell’area (KIMMERLING,

1983; BENVENISTI, 1987;BENVENISTI, 2000).

Dopo le distruzioni e la significativa perdita di territori del 1948-49, le condizioni della popolazione arabo-palestinese sono state ulteriormente aggravate dalle conseguenze della guerra del 1967 e dall’occupazione militare dei propri territori, con l’istituzione di colonie israeliane al loro interno3. Da

quel momento l’occupazione israeliana ha avuto un forte impatto sull’integrità e sull’evoluzione dei paesaggi palestinesi, giustapponendoli a una nuova tipologia di paesaggio artificiale, frammentario e segregato, formato da unità contigue ma eterogenee, contrapposte e fortificate.

Il cosiddetto Oslo Peace Process, conclusosi nel 1993 con la firma degli Accordi di Oslo, ha prodotto, paradossalmente, un assetto dei territori palestinesi occupati ancora più frammentario. L’accordo ha sancito la divisione del territorio palestinese in tre zone geopolitiche, chiamate aree A, B e C, ciascuna con un diverso status amministrativo, sovrapposto e forzatamente imbricato con il sistema amministrativo palestinese4. In area A, che copre solo

il 11,7 % della Cisgiordania palestinese, i palestinesi detengono pieni poteri sul territorio, sia a livello amministrativo, sia a livello di sicurezza; in area B (26,3%) il loro controllo è limitato a questioni amministrative, mentre gli israeliani hanno il monopolio sulla sicurezza; le aree C (62%), sono sotto il completo controllo israeliano, ed includono numerosi paesaggi naturali e culturali di rilievo (MUHAWI, 2007, 63)5. I palestinesi possono circolare nelle aree C, ma

non possono disporne in alcun modo senza aver prima richiesto e ottenuto un permesso speciale dell’Amministrazione civile israeliana6.

3 Conosciuta come Guerra dei sei giorni, o anche come Terza guerra arabo-israeliana, fu combattuta da Israele

contro Egitto, Siria e Giordania fra il 5 e il 10 giugno 1967, in seguito ad un periodo di alta tensione nei rapporti con gli stati arabi confinanti. La Guerra ebbe inizio con un attacco a sorpresa di Israele, che in sei giorni riuscì a riportare una netta vittoria, acquisendo controllo sulla Striscia di Gaza e sulla Penisola del Sinai, su parte della Cisgiordania e di Gerusalemme est e sugli altopiani del Golan.

4 Il sistema amministrativo dei territori palestinesi occupati è suddiviso in cinque distretti, chiamati

governatorati e facenti capo ad un capoluogo (Nablus, Jenin, Ramallah, Betlemme, Hebron, Gerico). Ciascun governatorato è poi suddiviso in amministrazioni locali che godono di una relativa autonomia rispetto alla gestione territoriale.

5 La divisione dei territori palestinesi in diverse zone geopolitiche ha portato alla divisione della

Cisgiordania palestinese, Gerusalemme inclusa, in più di sessanta cantoni disconnessi e disomogenei, attraversati da una fitta rete di bypass roads e di colonie illegali israeliane – che non sono mai state smantellate, come avrebbero previsto gli Accordi di Oslo – con il loro corredo di infrastrutture leggere e pesanti di sicurezza (MUHAWI, 2007, 63).

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La trasformazione della Palestina in un paesaggio frammentario e artificiale ha subito un’ulteriore accelerazione dal 2000 circa, in seguito al fallimento del processo di pace e dell’esplosione della II Intifada palestinese7. Le distruzioni

inflitte dall’esercito israeliano e la costruzione della barriera di separazione comunemente nota quale ‘il muro’ e di altre infrastrutture di sicurezza e di controllo (check-points, barriere fisse e mobili, basi ed avamposti militari, bypass

roads, torri di controllo, video sorveglianza), hanno completamente trasformato

il territorio, devastandone l’integrità ambientale e socioeconomica e dividendolo in una serie di enclave separate da confini precari ed armati. Uno spazio disconnesso e ostile dove i territori palestinesi appaiono quali un arcipelago di atolli circondati da un minaccioso mare in tempesta (PETTI,

2008).

Diverse pratiche di dominazione, dunque, saturano lo spazio del territorio nelle sue articolazioni, riempiendolo, anche laddove apparentemente vuoto, di incombenti ‘presenze in assenza’ e trasformandolo in un enorme laboratorio di sorveglianza, dominio e manipolazione del conflitto. I segni dell’occupazione – le sue distruzioni come le sue infrastrutture – sono stratificati, talvolta sovrapposti e accumulati in uno stesso luogo, attraversandone tutte le dimensioni, tutti ‘i sei i lati del mondo’: dal basso all’alto, ai lati, di dietro e di fronte, il conflitto e l’occupazione avvolgono il paesaggio di Israele/Palestina in una caotica rete di segni e sintomi, memorie e rimozioni, macerie, cantieri e, soprattutto, piani e pratiche spaziali per la sua appropriazione e per il suo controllo (CANCELLOTTI,2013). 8

Il paesaggio palestinese è contrassegnato da un “ordine innaturale e malato, come una calzamaglia allungata sopra il corpo della Palestina; questo assetto imprime una trama estranea alle permanenze stratificate del territorio che il lavoro combinato della natura e degli esseri umani ha impresso nel corso dei secoli” (FONTANA ANTONELLI,2015). Da queste considerazioni è derivata la

riflessione sul Quarto paesaggio, un luogo che comunica violenza e sopruso, la sopraffazione del più forte sul più debole, come riportato dalla ricerca

commissionata dall’Ufficio UNESCO di Ramallah nel 2009:

controllata direttamente dalle forze della Difesa Israeliana è un ambiguo ente insieme civile e militare che regola secondo un codice misto lo sviluppo e la gestione delle aree definite sensibili, quali i quartieri storici di Gerusalemme est, le aree C e le città-colonia sparse in Cisgiordania.

7 La seconda Intifada palestinese, conosciuta anche come Intifada Al-Aqsa, è esplosa nel 2000 a

Gerusalemme, in reazione alla visita provocatoria Ariel Sharon, allora capo del partito nazionalista, il Likud, e di una delegazione del suo partito, scortati da mille poliziotti israeliani in tenuta antisommossa, alla Spianata delle Moschee, luogo sacro per i musulmani.

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In termini di percezione e rappresentazione delle trasformazioni e dei cambiamenti avvenuti nel paesaggio storico locale negli ultimi decenni, le comunità esprimono generalmente valutazioni e sentimenti negativi, specialmente in rapporto agli effetti devastanti dell’occupazione israeliana sull’integrità territoriale, economica e socioculturale palestinese. Uno dei principali cambiamenti prodotti dall’occupazione israeliana viene identificato nella drammatica svalutazione del settore agricolo, il quale ha prodotto l’impoverimento della popolazione, l’aumento della disoccupazione, in particolare tra le giovani generazioni, il deterioramento dei terreni agricoli produttivi o del loro uso per una crescita urbana incontrollata, la perdita di importanti conoscenze e competenze tradizionali, la rottura dei legami di solidarietà che erano alla base del tessuto socio-culturale delle comunità e altre ripercussioni a livello materiale e simbolico (CANCELLOTTI ET AL.,2009,28-29).

La situazione di frammentazione e degrado dei territori Palestinesi occupati è resa ancora più grave e drammatica dalla mancanza da parte delle autorità palestinesi, locali, come regionali e nazionali, di volontà e strumenti politici al servizio della pianificazione territoriale, come dalla scarsa coscienza ambientale e di luogo degli amministratori e dei residenti.

2. Il paesaggio naturale e culturale di Battir: caratteristiche e fattori di

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