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Scenari di ricerca, innovazione, pianificazione, valorizzazione del patrimonio culturale, produttivo e identitario nella Majella

2. Il paesaggio geologico ambientale

Il versante orientale della catena della Majella si estende da quote che variano dai 700 metri per risalire fino ai circa 3000 metri del Monte Amaro. La struttura geologica è costituita dal fianco settentrionale di un’ampia clinoforme, dove affiorano le formazioni carbonatiche cenomesozoiche con facies prossimali e distali di piattaforma e rampa carbonatica. Il versante è inciso da profondi valloni e forre, tra queste la valle del fiume Orta che separa il rilievo

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dal Monte Morrone, dove affiorano le formazioni terrigene (argille, marne e areanarie) torbiditiche del Miocene superiore e Pliocene inferiore. Alla sommità della successione carbonatica è presente con significativi affioramenti la formazione evaporitica (gessoso solfifera) il cui acquifero alimenta sia le sorgenti di Caramanico Terme sia le emergenze in alveo del fiume Lavino. Sul versante orientale affiorano anche unità quaternarie costituite da conglomerati, brecce calcaree e coltri detritiche tutte geneticamente legate a processi morfoclimatici, che hanno agito in differenti condizioni di biostasia o di resistasia. Ai piedi dei canaloni gli abbondanti detriti si dispongono in coni o falde continue; alcuni dei canaloni sono anche corridoi di valanga o di debris

flow, che in anni recenti si manifestano con eventi ripetuti e sicuramente da

porre in relazione a ‘manifestazioni meteoreologiche estreme’ indotte dagli effetti dei climate changes (AGOSTINI, 2010).

Le diverse morfologie che scolpiscono il versante sono in relazione all’elevata variabilità altimetrica ed all’energia di rilievo. Infatti, i tre settori, il montano, il pedemontano posto a ridosso dei rilievi e la zona di collina prossimale risultano giustapposti in un breve spazio che determina una elevata acclività dei versanti che spesso si risolve con un solo imponente balzo o un insieme a gradinata di pareti verticali. I fattori geomorfologici e di esposizione del versante determinano una particolare complessità di quelli climatici che non si possono ricondurre alla sola e univoca correlazione con l’altimetria. L’area rientra nella fascia appenninica caratterizzata da elevata sismicità. Inoltre, alcuni insediamenti risultano ubicati in contesti geologici che inducono, anche per terremoti con epicentro non locale ubicato a distanze di 100-150 km, discreti effetti di sito. Il sistema insediativo storico si mostra e deriva dagli abitati medievali accentrati, spesso posti su costoni o in posizione elevata, sul substrato roccioso. Ad esso si affianca in maniera spesso caotica e poco significativa o avulsa per gli aspetti dell’architettura e dei materiali impiegati, una espansione giustapposta o sparsa di chiara origine turistica (seconde case). Il sistema agronomico, componente della tradizionale e storica economia agro- silvo-colturale e pastorale, è costituito da residui piccoli fondi cerealicoli e di colture promiscue, che disegnano una geometria di appoderamento, fortemente connessa all’ormai storico libero pascolo e uso civico dei boschi. Rimangono, se pur residui, a costituire una testimonianza della potenziale biodiversità dei prodotti, le numerose isole di frutteti, dei seminativi asciutti, dei cereali e dei legumi, di recente riscoperte come espressione di cultivar di identità e per la bioagricoltura. Il patrimonio boschivo di grande qualità ha perno in una differenziata e abbondante vegetazione spontanea, costituita soprattutto da faggete e cerrete. Particolare valore hanno avuto i lapidei locali,

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calcari terziari noti come ‘pietra tenera o gentile d’Abruzzo’. Sono stati utilizzati fin dal XII secolo nell’edilizia religiosa e pubblica per realizzare paramenti, elementi architettonici e decorazioni. I litotipi pur appartenenti alle stesse formazioni geologiche presentano un’ampia variabilità della fabric, del colore, screziature, presenza di fossili ben evidenti. Tutti sono caratterizzati da ottima lavorabilità. La risorsa naturale per eccellenza è l’acqua con importanti e strategiche sorgenti basali e in quota. Alcune sorgenti sono mineralizzate con elevato chimismo a solfati, derivati dalla circolazione di tipo carsico sia epidermica che profonda attraverso le rocce costituite dai gessi del Messiniano.

Gli adunamenti di interesse minerario, ovverosia le rocce asfaltifere e bituminose, oggetto di coltivazione ed estrazione sin dalla preistoria (neolitico) e poi in età romana, medievale e per tutto il periodo a cavallo tra la rivoluzione industriale e il secondo conflitto mondiale, costituiscono oggi con la loro ormai più che decennale dismissione, una grande e potenziale risorsa turistico- culturale sia per gli ancora conservati impianti di interesse archeologico industriale sia per le numerose e interessanti miniere a sviluppo ipogeo o a cielo aperto. Questo particolare patrimonio per i suoi aspetti storici, etnografici, archivistici, documentali e sociali costituisce nel suo insieme un possibile e strategico ecomuseo. Meno importanti e più labili sono invece le tracce, i segni e i luoghi di escavazione della bauxite, roccia che in Italia fino agli anni ‘60 del secolo scorso era ancora alla base dell’industria dell’alluminio, prima che questo metallo fosse estratto dall’Alunite e la sua estrazione e produzione siano poi entrate in crisi per motivi internazionali di cartello. Molte delle miniere di asfalto sono oggi passate al Demanio dello Stato e per questo transiteranno a quello di competenza dei Beni Culturali. Oggi comunque la risorsa economica e sociale più importante del territorio, sia ai fini occupazionali (soprattutto per le nuove generazioni) sia per l’indotto differenziato che è capace di attivare e sollecitare, è costituita dal ‘capitale naturale’.

Questa è modulata dalla presenza ed essenza stessa del Parco Nazionale della Majella, che perseguendo una corretta politica di conservazione dell’ambiente, ha determinato la spinta e una ricaduta nel territorio tuttora completamente da esplorare e realizzare appieno. Attorno a questa realtà si sono e si stanno sviluppando nuovi presidi della nuova agricoltura e della bioagricoltura, quelli zootecnici di qualità e dei loro prodotti derivati, si è progressivamente affermata l’accoglienza turistica anche diffusa con strutture accoglienti e identitarie, che hanno sedi che sono in armonia con l’edificato storico. Si sono avviate e c’è domanda crescente per un insieme di professionalità rivolte all'escursionismo, ai percorsi in bici, a cavallo, allo sci

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escursionistico e con le ‘ciaspole’, al torrentismo. Spiccano oltre ai sentieri natura quelli dello spirito e di pace: percorsi che conducono e collegano gli eremi rupestri celestiniani. Un insieme di proposte quindi che valorizzano il territorio in tutte le stagioni dell'anno. Alla luce di tutto questo suscita perplessità l’attuale decorso della proposta di revisione della legge 394/1991 sulle aree protette, laddove oltre il 10% del capitale naturale del territorio italiano rischia di essere non più gestito da esperti della conservazione, ma da espressioni locali della politica. Riaffiorano, infatti, come strategiche per lo sviluppo, proposte di valorizzazione anacronistiche, che perseguono interventi invasivi (nuovi impianti o strutture per lo sci, consumo di suolo, espansione dell’edilizia nuova e non di restauro e recupero rivolta alla seconda casa senza che sussista una reale domanda). Queste proposte delineano interventi di fatto non compatibili con la conservazione ma anche con le funzioni e il tessuto connettivo sociale e produttivo locale già esistente che è espressione di una imprenditoria sapiente, coraggiosa e rispettosa delle tradizioni, che ha trovato per protagoniste le nuove generazioni rimaste o ritornate nel proprio territorio. In questa visione un ruolo strategico deve essere e sarà assunto dalle risposte concrete, tutte ancora da studiare, analizzare e avviare, connesse ad ogni settore coinvolto, e probabilmente lo saranno tutti, agli effetti diretti e indiretti determinati dai cambiamenti climatici, ad esempio sulle produzioni e sull’assetto delle sicurezze e dei presidi territoriali.

3. Paesaggi culturali della Majella settentrionale: dallo studio alla

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