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La conservazione dei saperi e dei sapor

Nel tempo, dunque, alcune razze ad alto rendimento non autoctone, in grado di fornire prodotti uniformi, maggiormente richiesti dal mercato, si sono diffuse sul nostro territorio soppiantando le razze originarie delle aree rurali; gli esperti hanno calcolato che negli ultimi sessanta anni si sono estinte, tra gli animali da alleva- mento, 5 razze di bovini, 3 di caprini e ben 10 tra ovini e suini. Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha redatto un elenco delle razze locali minacciate di estinzione, ovvero quelle razze con un numero di femmine riprodut- trici inferiore alla soglia stabilita a livello comunitario86: si tratta di 71 razze di ovini e caprini, 26 di bovini, 23 di equini e 6 di suini.

Se collochiamo questi numeri nella dimensione più ampia del ricchissimo patrimo-

86 Cfr. Regolamento CE n. 1698/05 e art 27 del regolamento CE n. 1974/06 riguardo alle misure di conservazione delle razze e delle varietà locali a rischio di estinzione nell’ambito della programmazione per lo sviluppo rurale 2007-2013.

nio italiano di specie animali e vegetali, con oltre 57.000 specie animali (più di un terzo dell’intera fauna europea) e 9.000 specie di piante, muschi e licheni (addirit- tura la metà delle specie vegetali del continente), poiché almeno 5.000 tra animali e piante sono considerate endemiche, ovvero esclusive di un dato territorio, oltre la metà è a rischio di estinzione87.

A partire dalla metà del secolo scorso, l’utilizzo - e il consumo - del suolo per effet- to delle attività umane, hanno decretato una forte riduzione della biodiversità, soprattutto delle zone umide e dei boschi di pianura che, si calcola, si siano ridotti del 90% nell’arco di un millennio. Attualmente è presente nel nostro Paese soltanto il 16% della vegetazione “potenziale” stimata e ogni anno vengono sottratti all’am- biente naturale almeno 240.000 ettari del suolo. Confrontando i dati ISTAT relativi ai censimenti 1990 e 2000, si può constatare che in 10 anni sono andati perduti 3,1 milioni di ettari di suolo, di cui 1,8 milioni erano utilizzati a fini agricoli. La necessità di conservare la natura e mantenere la diversità biologica in specifiche aree non solo è fondamentale per l’equilibrio ecologico ma è indispensabile per la costituzione di una banca genetica irrinunciabile per il progresso agricolo, biologi- co e medico.

Tutto ciò è ancora più impellente se lo si inserisce in un contesto più ampio, conte- stualmente al delicato tema degli organismi geneticamente modificati. Con una politica frammentata tra gli Stati UE e posizioni altalenanti all’interno della stessa Commissione europea - che vanno dalla cautela della DG Ambiente al sostegno agli OGM da parte delle DG Commercio e Agricoltura - in una cornice di evidente ritrosia dei consumatori nei confronti di questi prodotti, le norme UE in materia di organismi geneticamente modificati affrontano, da un lato, i potenziali rischi per l’ambiente e la salute umana (norme per la coltivazione e l’impiego di OGM nei prodotti alimentari e nei mangimi) e, dall’altro, il diritto di scelta dei consumatori (norme sul commercio e l’etichettatura dei prodotti contenenti, costituiti o ottenuti a partire da OGM). Queste norme, tuttavia, non prendono nella dovuta considera- zione tutta una serie di implicazioni - sociali, economiche, politiche ed etiche - connesse al loro impiego e addirittura trascurano il problema di fondo, ovvero quello di accertare se l’agricoltura convenzionale e/o biologica e quella transgeni- ca possano convivere, soprattutto nelle tante regioni - come quelle italiane - i cui territori sono caratterizzati da migliaia di piccole e medie aziende con un tessuto

87 In Italia, attualmente, sono a rischio di estinzione il 68% dei vertebrati terrestri, il 66% degli uccelli, il 64% dei mammiferi, il 76% degli anfibi, il 69% dei rettili, l’88% dei pesci d’acqua dolce, il 15% della flora vascolare e il 40% delle piante inferiori, ovvero alghe, funghi, licheni, muschi e felci.

poderale estremamente polverizzato. Non è un caso che diverse Regioni e centi- naia di Comuni di diversi Stati membri, tra cui l’Italia88, abbiano scelto - pur andan- do contro alle disposizioni comunitarie - di escludere o di limitare fortemente le coltivazioni OGM sul proprio territorio, maturate proprio in seguito al rinvenimento di partite di sementi e di piante contaminate.

Dunque, alla luce di tutte queste considerazioni, che cosa si sta facendo, oggi, per la salvaguardia e la conservazione della biodiversità e, specificatamente, delle varietà e delle razze agricole locali89? Si tratta di un compito che - non solo nell’im- maginario collettivo - si è sempre identificato come esclusivo degli agricoltori. Come si è detto, infatti, le comunità contadine hanno coltivato e allevato, nel tempo, piante e animali che più si adattavano allo specifico ambiente pedo-climati- co, per soddisfare le abitudini alimentari e i bisogni dell’agricoltore e della sua famiglia ed erano, dunque, alla base non solo della loro sopravvivenza ma delle stesse economie rurali. Dunque, le comunità contadine hanno tramandando di generazione in generazione le pratiche agricole e zootecniche e gli usi e i consumi delle specificità vegetali e animali del loro territorio.

Di più: le comunità locali - agricoltori e comunità contadine - sono riconosciute titolari del patrimonio delle risorse genetiche e, pertanto, hanno diritto alla prote- zione delle conoscenze tradizionali e a partecipare in maniera equa alla ripartizio- ne dei benefici (Farmer’s Rights); lo dice chiaramente l’art. 8 della Convenzione sulla biodiversità di Rio de Janeiro90, l’impegno multilaterale adottato a livello inter- nazionale nell’ambito della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo svi- luppo (UNCED) che si è svolta nella città brasiliana nel 1992. In tale contesto, l’ONU ha potuto calibrare il percorso sulla tutela ambientale - che aveva avviato a livello internazionale un ventennio prima con la Conferenza sull’Ambiente Umano

88 La posizione italiana è quella di difendere la filiera agro-alimentare libera da OGM (“tolleranza zero”) a comincia- re dalle sementi, ancora in attesa di una regolamentazione UE. La legge 5/05 ha dettato il quadro normativo mini- mo per la coesistenza tra le colture transgeniche, convenzionali e biologiche, previa predisposizione di piani regionali che evitino la contaminazione tra le diverse colture, in ottemperanza al principio comunitario della coe- sistenza che ha lasciato agli Stati membri la discrezionalità di stabilire norme più restrittive; la Conferenza delle Regioni ha approvato nel 2007 le Linee guida per le normative regionali di coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e geneticamente modificate.

89 «In agricoltura la diversità biologica rappresenta un sottoinsieme della diversità biologica generale e si compone della diversità genetica intesa come diversità dei geni entro una specie animale, vegetale e microbica, della diver- sità di specie, riferita al numero di popolazioni vegetali, animali, in produzione zootecnica e selvatici, e di micror- ganismi e della diversità degli ecosistemi ossia della variabilità degli ecosistemi presenti sul pianeta Terra (Piano nazionale sulla biodiversità di interesse agricolo, MIPAAF, 2008)».

(Stoccolma, 1972) - su tematiche prioritarie: la salvaguardia del territorio e delle foreste, lo sviluppo sostenibile, la biodiversità, i cambiamenti climatici.

Contestualmente, l’Unione europea - che aveva modificato con l’Atto unico euro- peo del 1986 il suo Trattato istitutivo inserendo formalmente l’ambiente tra le com- petenze comunitarie - proprio nel 1992, con il Trattato di Maastricht, ha individua- to la promozione di una crescita sostenibile e rispettosa dell’ambiente quale finalità prioritaria per l’UE, riconoscendo la necessità di una maggiore integrazione tra politiche produttive e di tutela. Nell’ambito della riforma della PAC, inoltre, l’UE ha previsto un regime specifico di aiuti (Regolamento CEE n. 2078/92) finalizzato a promuovere, tra l’altro, l’estensivizzazione delle produzioni vegetali e dell’alleva- mento bovino e ovino e forme di conduzione dei terreni agricoli «compatibili con

la tutela e con il miglioramento dell’ambiente, dello spazio naturale, del paesaggio, delle risorse naturali, del suolo, nonché della diversità genetica».

Dopo aver definito gli obiettivi settoriali per il settore agricolo nella Strategia comu- nitaria per la diversità biologica (COM 1998 42 def.), l’UE concretizza, con la direttiva 98/95/CE, la necessità di perseguire interventi di salvaguardia delle specie vegetali minacciate da erosione genetica mediante sistemi di conservazione in situ che utilizzano le tecniche agronomiche della tradizione rurale. Con questo provve- dimento, l’UE ha cercato di proporre una regolamentazione per rispondere all’esi- genza di conservare la biodiversità nei campi, creando il concetto di “varietà da conservazione” - strettamente legate al bioterritorio e al mantenimento dello stesso - e di “varietà amatoriali” (delocalizzate); tale possibilità, tuttavia, non ha preso forma perché le norme attuative non sono mai state elaborate dal legislatore euro- peo e le bozze di direttive in materia sono in discussione da tempo nel Comitato Permanente Sementi della DG Agricoltura.

Da ultimo, con la rivisitazione del Piano di azione sulla biodiversità (COM 216 del 22 maggio 2006) presentato nel marzo 2001, la Commissione europea si è posta l’obiettivo di arrestare la perdita della biodiversità entro il 2010, rafforzando le misure per assicurarne la conservazione e la disponibilità per l’uso con riguardo, in particolare, ad habitat e specie selvatiche; mentre sul piano degli aiuti finanziari, il Piano Strategico Nazionale (PSN) e i Piani regionali di sviluppo rurale (PSR) per il periodo 2007-2013, promuovono la diffusione di sistemi agro-forestali ad alto valo- re naturalistico e sostengono le misure per un’agricoltura ecocompatibile che man- tenga e consolidi “attivamente” gli attuali livelli di biodiversità (Iannolino, 2008). Dunque, a ben guardare, gli impegni assunti dagli Organismi internazionali, dall’Unione europea e dai singoli Stati membri, poi tradotti negli anni seguenti in

molteplici iniziative legislative, di ricerca, di programmazione e di gestione del ter- ritorio, se non hanno eliminato le minacce alla conservazione della natura e della diversità biologica, di certo hanno decretato una razionale e sistematica presa di coscienza globale per arginare tale fenomeno.

Fondamentale è stato il Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza (che l’Italia ha firmato nel maggio 2000) perché rappresenta il primo strumento attuativo della Convenzione sulla Diversità Biologica del 1992 e si propone come strumento pro- grammatico in funzione di altri accordi internazionali come quello sui diritti di pro- prietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPs) gli elaborati dell’Organizzazione Mondiale della proprietà intellettuale (WIPO), l’Organizzazione mondiale per il commercio (WTO)e il Trattato Internazionale sulle Risorse genetiche per l’Alimentazione e l’Agricoltura della FAO.

Proprio nel Trattato sulle risorse genetiche del 2001, la FAO focalizza il tema della biodiversità agricola e ribadisce - all’art.9 - l’enorme contributo che gli agricoltori e le comunità contadine di tutto il mondo hanno dato e continuano a dare alla con- servazione e allo sviluppo delle risorse genetiche e - in epoca assai recente, ovvero nel 2007 - la FAO si è impegnata a fermare l’erosione della diversità del patrimonio zootecnico e a supportarne l’uso sostenibile, adottando il Piano d’Azione Globale per le risorse genetiche animali. In Europa sono scomparse circa la metà delle razze che esistevano all’inizio del Novecento, mentre quasi il 20% delle razze bovine, ovine, suine, equine e avicole della Terra sono attualmente a rischio d’e- stinzione: «molte razze a rischio di estinzione presentano caratteristiche uniche che

potrebbero essere utili nell’affrontare cambiamenti climatici ed epidemie del bestia- me. Senza le capacità di adattamento dei sistemi di produzione agricoli - è l’appel-

lo lanciato dalla FAO - si rischia una perdita di diversità genetica a causa dell’utiliz-

zo di un numero limitato di maschi riproduttori».

Un appello affinché venga predisposto un sistema di allarme preventivo sullo stato dei terreni per agire in tempo contro le minacce di erosione, inquinamento e perdi- ta della biodiversità, è stato recentemente lanciato dal Parlamento europeo, nella Risoluzione del 23 febbraio 2009 sulla sfida del deterioramento dei terreni agricoli nell’UE. Il Parlamento sollecita maggiori fondi per la prevenzione e la ricerca, ma anche politiche agricole nuove, adatte alle condizioni mediterranee e allo sviluppo di colture locali, in tal senso, il Parlamento riconosce il ruolo fondamentale delle risorse citogenetiche, al fine di adeguare le attività agricole ai cambiamenti delle condizioni climatiche, e invita la Commissione e gli Stati membri a presentare pro- grammi che promuovano la conservazione e lo sviluppo delle risorse citogenetiche

sia tramite gli agricoltori sia attraverso le piccole e medie aziende vivaistiche, ricor- rendo al secondo pilastro della PAC.

Tradizione e innovazione nella conservazione e nell’uso di cultivar e