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Tradizione e innovazione nella conservazione e nell’uso di cultivar e razze autoctocne italiane

A livello nazionale, il Decreto legislativo n. 212 del 2001 ha previsto l’istituzione di una sezione del Registro Nazionale che comprenda le “varietà da conservazio- ne” individuate «tenendo anche conto di valutazioni non ufficiali e delle conoscen-

ze acquisite con l’esperienza pratica durante la coltivazione». Il DPR n. 322 del 9

maggio 2001 si propone di regolamentare lo scambio fra agricoltori della semente di varietà da conservazione; al riguardo, l’Unione europea ha definito i parametri entro cui gli agricoltori possono legittimamente riprodurre in azienda le varietà iscritte al catalogo ufficiale e in Italia, ad esempio, il 10% delle sementi di frumen- to duro e il 30% delle sementi di frumento tenero sono riprodotte in azienda. Oggi, però, i requisiti in materia di qualità delle sementi e le norme di proprietà intellet- tuale rendono i semi sempre più dei prodotti commerciali standardizzati (Benozzo, 2004; Bocci, 2007); Velvée (1993) già da tempo sostiene che «la biodiversità non

abita più le campagne, quantomeno quelle inserite nella filiera agro-industriale» e

l’agricoltura è ormai destinata a diventare una qualsiasi altra attività economica del sistema capitalistico e in questo passaggio l’agricoltore - non più contadino ma “imprenditore agricolo” - «acquistando beni e tecnologia prodotte altrove ha perso

la capacità di saper leggere e interpretare il proprio ambiente» (Bocci, 2007). Ciò

nonostante, il mercato delle sementi certificate si attesta, attualmente, intorno al 50% del seme (dati della Federazione internazionale dell’industria cementiera), affiancato dalla presenza di sementi non iscritte al catalogo ufficiale e spesso defi- nibili come varietà locali o tradizionali; in Italia, ad esempio, il 20% delle sementi di erba medica proviene da sementi non iscritte al catalogo ufficiale (l’industria sementiera le definisce “illegali”).

In considerazione del fatto che le sementi attualmente disponibili sul mercato non soddisfano le esigenze degli agricoltori (Deléage, 2004) e al fine, anche, di indivi- duare il sistema legislativo e il regime di proprietà intellettuale più adatti per riavvi- cinare gli agricoltori alle sementi, si sono recentemente sviluppate in alcuni Paesi europei le Reti sementi contadine91. Le Reti, formate da gruppi di agricoltori in pre- valenza biologici o comunque non legati alla filiera agro-industriale, intendono

91 In Francia la Réseau Semences Paysannes (www.semencespaysannes.org), in Spagna la Red de Semillas (www.red- semillas.info) e in Italia la Rete semi rurali (www.semirurali.net).

rivendicare la centralità degli agricoltori e dei loro saperi nel conservare, coltivare e sviluppare la biodiversità agricola (Almekinders, Hardon, 2007).

Ad ogni modo, diverse Regioni italiane si sono attivate per tutelare le risorse autoc- tone animali e vegetali con apposite leggi regionali - alcune in vigore da oltre un decennio - e rappresentano, oggi, l’unico esempio operativo in Europa a livello di territorio di origine (bioterritorio). Le norme regionali tutelano la conservazione in

situ delle specie, razze, varietà, cultivar, popolazioni, ecotipi e cloni originari del

territorio regionale oppure in esso introdotti da almeno mezzo secolo e ormai inte- grati tradizionalmente nell’agricoltura e nell’allevamento di quel territorio; ma tute- lano anche le varietà locali attualmente scomparse dal territorio regionale e conser- vate ex situ nelle cosiddette “banche del germoplasma” degli orti botanici, degli allevamenti e dei centri di ricerca situati anche in altre Regioni o in altri Paesi, molto spesso per volontà della Reti semi rurali ma anche di altri soggetti di natura privatistica (RARE, AIAB, Civiltà Contadina, Slowfood).

Per le risorse genetiche autoctone vegetali le Regioni hanno operato, innanzi tutto, il censimento e la caratterizzazione varietale delle cultivar a rischio di erosione genetica o addirittura di estinzione e, a seguito del riconoscimento di un interesse generale alla loro tutela dal punto di vista economico, scientifico o culturale, le hanno inserite nei Repertori Regionali e ne hanno decretato la conservazione in

situ (tramite i c.d. “agricoltori/coltivatori custodi”) ed ex situ. In seguito, sono stati

messi in atto strumenti (programmi di miglioramento genetico, attività di moltipli- cazione tramite innesto, ecc.) per valorizzare e diffondere nuovamente sul territorio le antiche varietà e gli ecotipi locali (finalizzati all’ottenimento, ad esempio, di pro- dotti di nicchia), avviando specifici progetti in collaborazione con le agenzie regio- nali di sviluppo agricolo e gli istituti di ricerca che spesso hanno coinvolto anziani agricoltori per la ricerca sulle vecchie varietà e giovani imprenditori per il recupero produttivo di tali varietà. Ad esempio, la Comunità montana del Casentino, in Provincia di Arezzo, ha promosso la diffusione di cultivar locali da frutto tramite concessione gratuita di piantine prodotte nel vivaio Cerreta di Camaldoli: prece- dentemente erano sono state censite, caratterizzate e inserite nei Repertori Regionali ben 145 accessioni di melo (45 varietà), 70 accessioni di pero (30 varietà), 24 accessioni di ciliegio (13 varietà) e 1 accessione di pesco e tutti i dati raccolti (fenotipici, genetici, etnobotanici, fiitosanitari, ecc.) sono stati elaborati e inseriti in un data-base informatizzato (Segantini, 2008).

Specificatamente per le risorse genetiche animali, i censimenti condotti in Italia negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, hanno fornito dati utili, raccolti negli Atlanti

del consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR); tuttavia in alcuni casi i dati hanno generato confusione sulla nomenclatura, sulla diffusione e sulla numerosità dei capi, quest’ultima non sempre verificata sul campo (Fortina, 2008). Le prime misu- re di conservazione a livello internazionale prendono corpo negli anni ’90 con l’e- lenco FAO delle razze (WWL) e, nell’ambito della rete europea di informazione e osservazione ambientale, con la documentazione scientifica e tecnica nazionale messa a punto dalle strutture di ricerca del National Focal Point italiano e basata sull’analisi del rischio di base FAO (grado di rischio di estinzione). A partire dal nuovo millennio, con l’adozione di nuove misure di conservazione che originano dalle disposizione comunitarie, in particolare dai regolamenti sul sostegno allo svi- luppo rurale, dove le razze zootecniche a limitata diffusione e il loro sistema di allevamento pastorale trovano ampio spazio, la valutazione dello stato di rischio viene effettuata tenendo conto anche delle principali associazioni italiane che svol- gono - su incarico istituzionale o volontariamente92 - attività finalizzate al migliora- mento morfologico, genetico e funzionale delle razze animali allevate in Italia attraverso la gestione dei Libri Genealogici. Tuttavia, l’unica finalità definita ai fini della strategia della salvaguardia delle razze a rischio di estinzione - che trovano collocazione nei Registri Anagrafici nazionali e nella lista UE delle razze protette - è l’incremento numerico dei capi (infatti la definizione amministrativa di razza zootecnica a limitata diffusione si rifà alla consistenza della specie), senza mai prendere espressamente in considerazione il valore specifico della singola razza e il suo contributo alla diversità genetica. Le iniziative a favore del patrimonio zoo- tecnico a rischio di estinzione messe in atto negli anni, hanno spesso avuto un carattere “individualista” a beneficio di una singola razza, contribuendo all’odierna situazione di disomogeneità del livello di salvaguardia delle razze autoctone; in molti casi, inoltre, le misure adottate sono risultate inefficaci per i pochi fondi messi a disposizione o perché gli allevatori non sono stati informati o non sono stati in grado di applicare le misure di salvaguardia della razza. Ad esempio, il set- tore zootecnico legato all’allevamento caprino in territorio alpino italiano risulta in costante crescita numerica da un paio di decenni ma «questo fenomeno è legato

alla recente diffusione di realtà intensive/convenzionali che utilizzano razze selezio- nate, piuttosto che all’espansione di allevamenti pastorali più adatti a utilizzare razze caprine locali che potrebbero offrire una maggiore garanzia per un ottimale rapporto di sostenibilità verso il territorio montano» (Brambilla, 2008).

92 L’Associazione Nazionale Pastorizia (AssoNaPa), le Associazioni Provinciali Allevatori (APA), l’Associazione italia- na per la tutela, salvaguardia e valorizzazione delle razze autoctone a rischio di estinzione (RARE).

Alla luce di tutte queste considerazioni, Fortina93 ha proposto di scegliere le razze da tutelare sulla base di più parametri: non solo quello classico del grado di minac- cia (numerosità e trend della popolazione) ma anche nuovi parametri, quali il valo- re economico attuale e futuro, il valore paesaggistico, storico e culturale, il valore scientifico, le caratteristiche e le unicità genetiche e quelle di interesse locale. In tal senso Fortina (2008) sottolinea che la richiesta di progetti per il recupero delle razze minacciate, può provenire tanto dalle Università e dagli Enti di ricerca per lo studio dell’unicità genetica, quanto dai piccoli e medi allevatori, i primi intenzio- nati ad allevare la razza dei padri e dei nonni, i secondi interessati alla razza da allevare in plein air o al pascolo brado. Anche i trasformatori interessati all’otteni- mento di un prodotto fortemente tipico e gli agriturismi che intendono allevare una razza autoctona per offrire prodotti locali, possono farsi promotori di richieste per la salvaguardia delle razze locali.

Inoltre, è possibile promuovere le attività assistite con gli animali che, in un concet- to di azienda agricola multifunzionale, rientrano nell’ambito dell’agricoltura socia- le, inserita per la prima volta tra le azioni chiave dell’Asse 3 delle linee guida del Piano Strategico Nazionale (PSN) per lo sviluppo rurale per il periodo 2007-2013. Nel richiamare l’attenzione sulle razze asinine siciliane a rischio di estinzione - l’a- sino pantesco, presente in soli 80 esemplari, l’asino grigio o Ferrante di cui non esi- stono stime ufficiali ma di cui si ipotizza la presenza di circa 200 capi e l’asino ragusano in purezza, più consistente su territorio nazionale (1.800 capi) - Iannolino (2008) osserva che «il successo delle misure di conservazione della biodiversità

dipende dal ruolo “attivo” che le razze locali assumono all’interno del sistema agri- colo e sociale di un territorio»; i progetti promossi dall’Istituto Sperimentale

Zootecnico per la Sicilia sono articolati in una serie di iniziative all’insegna della rivalutazione di una animale quasi dimenticato con molte connessioni con l’agri- coltura sociale: oltre all’utilizzazione del latte per l’alimentazione umana per scopi terapeutici o per la produzione di prodotti cosmetici, i progetti prevedono: l’onotu- rismo, il recupero delle tradizioni e lo sviluppo delle aree rurali; l’onoterapia e la riabilitazione di soggetti a rischio; l’onodidattica, l’onocomunicazione e gli scopi ricreativi; la tutela del paesaggio e la promozione del territorio e dell’ambiente. Il Comune di Castelbuono, in provincia di Palermo, da diversi anni utilizza gli asini per molte di queste attività e, in particolare, per la raccolta differenziata e per la consegna della posta, offrendo un’opportunità di inserimento nel mondo del lavoro

ai soggetti svantaggiati.

Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, tenuto conto della neces- sità di coordinare le numerose iniziative “privatistiche” e istituzionali94 e con lo scopo di fornire le linee guida per preservare e valorizzare le risorse genetiche di interesse agrario, forestale e zootecnico a rischio di estinzione a tutti i soggetti che si propongono per la loro tutela, ha pubblicato, il 14 febbraio 2008, il Piano nazio- nale sulla biodiversità di interesse agricolo. Il Piano si colloca nel contesto più ampio del Piano Strategico Nazionale (PSN) per lo sviluppo rurale - e dei PSR - per il periodo 2007-2013, che ha segnato un concreto cambiamento di rotta delle poli- tiche agricole che, negli anni, «hanno privilegiato un mercato indirizzato all’omolo-

gazione dei sapori a discapito dei prodotti locali» (Iannolino, 2008) decretando, per

lunghissimo tempo, il disinteresse per il patrimonio zootecnico locale a favore delle razze cosmopolite.

Il Piano nazionale sulla biodiversità di interesse agricolo descrive alcune iniziative riconosciute prioritarie a livello nazionale: la costituzione del Comitato permanen- te per le risorse genetiche coordinato dal Ministero; l’istituzione dell’anagrafe delle varietà e razze locali e delle iniziative a essi dedicate; la fissazione di standard qua- litativi di rischio di estinzione o erosione genetica. Naturalmente, tutte le varietà locali «devono essere correttamente identificate attraverso una caratterizzazione

basata su una ricerca storico-documentale tendente a dimostrare il legame con il territorio di provenienza e le caratteristiche varietali che questo ha favorito nel tempo, e una caratterizzazione morfologica, quando possibile, anche molecolare o genetica».

Nell’ambito delle strategie di mantenimento della competitività delle risorse geneti- che locali, il Piano elenca le possibili azioni specifiche: 1) il sostegno diretto agli agricoltori/allevatori attraverso le misure dei PSR o specifiche azioni locali; 2) l’in- serimento delle popolazioni autoctone in sistemi zootecnici sostenibili, orientati a produzioni tipiche e ad alto valore aggiunto; 3) la caratterizzazione della qualità dei prodotti e loro promozione in sintonia con il bioterritorio di produzione; 4) la valorizzazione dei materiali selezionati in funzione della commercializzazione dei prodotti tipici ottenuti.

Le operazioni di conservazione delle risorse genetiche in agricoltura sovvenziona- bili dalle Regioni attraverso i PSR comprendono: a) azioni mirate volte a promuove- re la conservazione in situ ed ex situ, la caratterizzazione, la raccolta e l’utilizza-

94 Regioni, Corpo forestale dello Stato, Consiglio per la Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura, Consorzio per la Sperimentazione, Divulgazione ed Applicazione di Biotecniche innovative, Centro Nazionale Ricerche.

zione delle risorse genetiche in agricoltura, nonché la compilazione di inventari; b) azioni concertate volte a promuovere, tra gli organismi competenti degli Stati mem- bri, lo scambio di informazioni in materia di conservazione, caratterizzazione, rac- colta e utilizzazione delle risorse genetiche in agricoltura nell’UE; c) azioni di accompagnamento che consistono in azioni di informazione, diffusione e consu- lenza con la partecipazione di organizzazioni non governative e di altri soggetti interessati, corsi di formazione e preparazione di rapporti tecnici.

Nell’ambito della Misura 214 “Pagamenti agroambientali” dei PSR, le Regioni pos- sono concedere un sostegno agli agricoltori/allevatori “custodi” della biodiversità esclusivamente per: a) allevare razze animali locali originarie della zona e minac- ciate di abbandono95; b) preservare risorse genetiche vegetali che siano naturalmen- te adattate alle condizioni locali e regionali e siano minacciate di erosione geneti- ca; c) ulteriori impegni per conservare le risorse genetiche in agricoltura. Enti e agenzie pubbliche beneficiano dei contributi per la conservazione ex situ e per le altre azioni mirate, concertate e di accompagnamento, anche attraverso Progetti comprensoriali integrati poliennali.

Dall’analisi della misura 214 “Pagamenti agroambientali” dei 21 PSR condotta dalla Rete Rurale Nazionale96 per conto del Mipaaf, è emerso che 19 Regioni/Province Autonome (90% del totale) hanno previsto all’interno della misu- ra almeno un intervento relativo alla salvaguardia del patrimonio di razze animali e/o varietà vegetali autoctone minacciate di abbandono e/o di erosione genetica; mentre il sostegno per la conservazione delle risorse genetiche è stato inserito in 13 PSR (62% del totale).

L’azione relativa all’allevamento di razze animali locali originarie della zona e minacciate di abbandono è stata inserita in 17 PSR (80%), 9 dei quali prevedono due tipologie di intervento: il sostegno agli allevatori delle razze minacciate di abbandono e il sostegno alla conservazione delle risorse genetiche ex situ, i cui beneficiari sono Enti e agenzie pubbliche (quest’ultimo intervento è stato inserito da 4 Regioni in un Progetto comprensoriale integrato).

L’azione relativa alla tutela delle varietà vegetali autoctone minacciate di erosione genetica è stata inserita in 13 PSR (62%), 10 dei quali hanno previsto due tipologie di intervento: il sostegno alla coltivazione di almeno una delle varietà vegetali autoctone a rischio di erosione genetica e il sostegno per la conservazione delle risorse genetiche vegetali, i cui beneficiari sono Enti e agenzie pubbliche (anche in

95 Cfr. l’Elenco delle razze locali minacciate di estinzione redatto dal Mipaaf nell’ottobre 2007. 96 Cfr. www.reterurale.it.

questo caso, quest’ultima azione è stata inserita da 4 Regioni in un Progetto com- prensoriale integrato).

In totale i Progetti comprensoriali integrati, il cui sostegno è erogato ai beneficiari (Enti e agenzie pubbliche) sulla base di progetti poliennali, sono stati attivati in 6 PSR e hanno come obiettivi specifici la caratterizzazione, il recupero e la raccolta delle risorse genetiche animali e vegetali e, specificatamente, l’aumento e la diffu- sione delle conoscenze in materia di biodiversità.