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Migranti come capitale umano e sociale

Nonostante la difficoltà trovata dagli studiosi nella ricostruzione precisa delle geo- grafie e dell’entità dei fenomeni migratori nell’agricoltura italiana, è innegabile che nel settore primario del Bel Paese la manodopera immigrata costituisce una neces- sità strutturale e determinante.

Ben più complesse e rare sono, tuttavia, le analisi di tipo qualitativo volte a com- prendere i profili dei migranti occupati in agricoltura, le loro condizioni di lavoro e di vita, le loro aspirazioni e i loro percorsi. Sarebbe, invece, utile e doveroso riflet- tere in maniera più approfondita sul contributo, reale e potenziale, degli extraco- munitari all’agricoltura italiana in termini non solo di forza lavoro “fisica”, ma anche e soprattutto, in termini di capitale umano e sociale, mettendo in luce la volontà e la capacità del sistema vigente di valorizzarne effettivamente il lavoro attraverso la concreta integrazione dei loro saperi, delle capacità, delle esperienze, delle ritualità, delle reti e via dicendo. Sarebbe auspicabile, in definitiva, analizzare il loro apporto, attuale e prospettico, alle trasformazioni socio-culturali dell’agricol- tura italiana. Una problematica, questa, che potrebbe apparire eccessivamente ambiziosa a chi conosce la realtà del lavoro degli stranieri in agricoltura frequente- mente contraddistinto da fenomeni quali stagionalità, precarietà, invisibilità, irrego- larità, quando non proprio illegalità, sfruttamento, miseria e schiavitù. Il comparto agro-alimentare italiano, che basa la propria competitività sulle produzioni di qua- lità, considerate come il frutto della cultura e della capacità di coltivare i rapporti con il territorio, nei fatti si concilia con un sistema che troppo spesso tollera l’utiliz- zo al ribasso del valore lavoro e non di rado sfocia in un vero e proprio sfruttamen- to disumano e irregolare. Ciò genera chiaramente dei fenomeni di spreco di capita-

le umano (brain wasting), oltre che di ingiustizia sociale, senza pensare che diversi migranti occupati in agricoltura provengono da un contesto rurale e sono portatori di competenze specifiche in campo agricolo che potrebbero riutilizzare nel conte- sto italiano, ma anche coloro che provengono da contesti urbani spesso sono por- tatori di altre professionalità (titoli di studio e competenze difficilmente riconosciu- te) che potrebbero giovare comunque allo sviluppo dell’agricoltura nostrana. A questa consapevolezza, tuttavia, talvolta non corrisponde però uno sforzo delle istituzioni e della politica mirante a assicurare delle condizioni di vita e di lavoro dignitose. Ciò riflette una dicotomia tra le esigenze dell’economia reale, per cui numerose aziende e comparti agricoli non riuscirebbero a sopravvivere senza la manodopera immigrata, e quelle della politica dominante e dell’opinione pubblica prevalente, che bollano ufficialmente gli immigrati come un problema sociale. Nonostante i lavoratori immigrati siano diventati indispensabili in molti distretti agricoli, come nel caso delle mele in Trentino, delle fragole nel Veronese, della frut- ta in Emilia Romagna, dell’uva in Piemonte e Toscana, del tabacco in Umbria o del pomodoro in Puglia, le istituzioni preferiscono invece non governare efficacemente e seriamente il fenomeno, adottando delle deboli misure di reclutamento che gene- ralmente considerano gli immigrati come forza lavoro provvisoria, temporanea, in transito, con l’effetto di delegarne spesso la gestione al campo dell’irregolarità, quando non illegalità. Alla marginalità economica corrisponde, pertanto, una mar- ginalità sociale e politica. Il tutto contribuisce a rafforzare la posizione di debolez- za della forza lavoro immigrata con l’effetto di renderla più economica, così come impone la concorrenza del mercato globale. Si tratta evidentemente di una questio- ne che non riguarda solo il settore agricolo, ma le politiche d’integrazione e acco- glienza più in generale. La criticità della situazione italiana in proposito è stata messa in evidenza anche dal rapporto annuale dell’ILO (Organizzazione interna- zionale del lavoro) per il 2009 sull’applicazione degli standard internazionali del lavoro, in cui si denuncia la violazione della Convenzione sulla promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti, ratificata dall’Italia nel 1981. Nel rapporto dell’Agenzia dell’ONU si legge <<è evidente e crescente l’inci- denza della discriminazione e delle violazioni dei diritti umani fondamentali nei confronti degli immigrati in Italia. Nel paese persistono razzismo e xenofobia anche verso richiedenti asilo e rifugiati, compresi i Rom>>. Il Comitato di esperti dell’ILO ha espresso una’’profonda preoccupazione’’ e ha invitato il governo italia- no a prendere <<le dovute misure affinché ci sia parità di trattamento, nelle condi- zioni di lavoro, per tutti i migranti>>, oltre che interventi per <<migliorare, nella

pubblica opinione, la conoscenza e la consapevolezza della discriminazione, facendo accettare i migranti e le loro famiglie come membri della società a tutti gli effetti>>83.

Per quel che concerne poi il settore primario, alle carenze delle politiche migrato- rie si sommano le caratteristiche di marginalità del lavoro agricolo. Richiamando la “funzione specchio dell’immigrazione”, di cui parla Sayad, è pertanto doveroso chiedersi se constatare che il fenomeno migratorio trova uno dei suoi volti più disu- mani proprio nell’agricoltura, soprattutto nel Meridione, non sia forse sintomatico delle profonde contraddizioni del settore. I rischi ambientali e sociali dell’agricoltu- ra intensiva, la carenza di manodopera sia in termini quantitativi, che qualitativi, la forbice tra costi di produzione e prezzi al consumo sono solo alcuni degli elementi che contribuiscono a far sì che la manodopera agricola assommi le caratteristiche tipiche dei lavori delle 5 P destinati agli extracomunitari: Precari, Pesanti, Pericolosi, Poco pagati, Penalizzati socialmente.

Per valorizzare il contributo dei migranti all’agricoltura italiana, anche in termini sociali e culturali, bisognerebbe pertanto agire da un lato sulle politiche di acco- glienza e di inclusione nel sistema dei diritti per gli immigranti e dall’altro interve- nire sui nodi che caratterizzano il comparto agricolo, assicurandone la giusta reddi- tività e dignità del lavoro, superando così la marginalità economica che si riflette in una marginalità sociale e culturale. Si dovrebbero, in definitiva, creare le condizio- ni per assicurare che il lavoro diventi uno strumento di emancipazione e spazio di riconoscimento sociale, superando il modello di “integrazione subalterna” (Jabbar, 1998), quando non vero e proprio sfruttamento, che considera gli immigrati come mera forza lavoro, e riconoscere la complessità delle relazioni che i migranti intes- sono con il territorio dove risiedono e il settore in cui operano, favorendo così anche la ricostruzione delle reti sociali in ambito rurale, la diffusione delle compe- tenze esistenti e la creazione di nuove. Un processo, questo, a cui potrebbe dare un contributo sostanziale una migliore e diffusa consapevolezza, a tutti i livelli, delle trasformazioni sociali e culturali in atto in agricoltura, anche riguardo ai migranti.

83 Nel rapporto si fa riferimento anche alle dichiarazioni del CERD, Comitato dell’ONU per l’Eliminazione di Ogni Forma di Discriminazione Razziale, che sempre in Italia ha rilevato <<gravi violazioni dei diritti umani verso i lavoratori migranti dell’Africa, dell’Est Europa e dell’Asia, con maltrattamenti , salari bassi e corrisposti in ritardo, orari eccessivi e situazioni di lavoro schiavistico

Bibliografia

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della risorsa immigrati, Studi emigrazione, 38(141), 2001

Biggeri in ISTAT, 2008a, atti del convegno “La presenza straniera in Italia: l’accerta-

mento e l’analisi”, Roma 15-16 dicembre 2005

Golini, in ISTAT, 2008a, atti del convegno “La presenza straniera in Italia: l’accerta-

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ISTAT, 2008b, Gli stranieri nel mercato del lavoro. I dati della rilevazione sulle forze

di lavoro in un’ottica individuale e familiare

ISTAT, 2008c, La popolazione straniera residente in Italia – Statistiche in breve, otto- bre 2008

CULTIVAR E RAZZE AUTOCTONE DELLE AREE RURALI: