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L’ALTARE DEI SETTE SACRAMENTI

1. Considerazioni a monte

Nella sua dimensione religiosa, l’arte va intesa come testimonianza delle verità della fede che essa rende accessibili anche ai “meno dotti”. In questo senso un’opera va studiata non tanto e non solo come espressione artistica, ossia come si inserisce nel flusso dell’evoluzione stilistica, quan-to piutquan-tosquan-to la si accosterà per scoprire i contenuti di fede che essa rac-chiude.

Se la psicologia della Gestalt insegna che il tutto è più della somma delle sue parti, non è così per l’arte religiosa. Quando ci si accosta ad un’opera che comunica contenuti rapportabili al credo cristiano, occorre avere la convinzione che le sue parti costitutive hanno non solo significa-to in se stesse, ma influiscono anche sul significasignifica-to dell’opera considerata nella sua totalità.1

All’arte religiosa cristiana si può attribuire quello che S. Agostino dice a proposito dell’eloquenza: «Insegnare per istruire, piacere per attirare, commuovere per convincere».2

E lo stesso S. Agostino chiarisce cosa deve intendersi per piacere: «Si

* Maria Franca TRICARICO fma, Docente di Comunicazione visiva, Pontificia Fa-coltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”, Roma.

1 Cf MUZJ M. G., Visione e presenza. Iconografia e teofania nel pensiero di André Grabar, Milano, La Casa di Matriona 1995, 36.

2 S. AGOSTINO, De doctrina christiana IV, 12-13 = Nuova Biblioteca Agostiniana VIII, Roma, Città Nuova 1992, 233.235.

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rende piacevole (gratus) quando si chiariscono concetti che richiedono una spiegazione».3

In ordine all’opera d’arte cristiana, questo piacere è suscitato dal fa-scino delle immagini. Proprio per mezzo di questo fafa-scino la verità co-municata è resa attraente, piega gli animi e li sollecita a una con-ver-sione.4

Di per sé l’arte non definisce, non spiega le verità di fede ricorrendo a categorie astratte, ma allude, rimanda; per questo motivo sollecita a un approfondimento e a una comprensione alla luce dei testi-fonte del cri-stianesimo.

Davanti all’arte cristiana, quello che conta non è tanto constatare se e come l’artista è rimasto più o meno fedele ai testi sacri, quanto piuttosto cercare di scoprire come la sua opera li ri-dice. Questo comporta che si faccia un’esegesi dell’opera per evidenziare in che modo l’artista ha espresso la sua creatività sia in termini culturali oggettivi, sia in termini soggettivi. In effetti, immettendo in essa “segni” ulteriori rispetto a quelli biblici e/o teologici, egli rivela un’intelligenza che attualizza l’evento presentato proponendolo come “scuola di fede” per il credente e come

“scuola di conoscenza” anche per i non credenti che si accostano all’arte cristiana come espressione di cultura.

Per quanto riguarda il brano di Gv 19,25-27, si può notare che fin dai primi secoli esso ha ispirato l’arte che lo ha ri-detto in varietà di stili.

A partire dal XII-XIII sec., le opere che si rifanno a questo brano evangelico si moltiplicano anche sotto l’influsso dei maestri spirituali la cui dottrina si diffonde fra il XII e il XIV/XV sec. Tra questi vanno ricor-dati San Pier Damiani, il promotore della devozione delle cinque piaghe di Cristo; e poi ancora Johannes Eckhart;5 il mistico tedesco Heinrich Seuse (Suso), discepolo di Eckhart; il mistico fiammingo Jan Ruisbroeck;

il domenicano tedesco Johannes Tauler (Taulero); e soprattutto lo Pseudo San Bonaventura, autore delle Meditationes vitae Christi, un testo di de-vozione francescana a cui tanti artisti si sono ispirati.

Così si passa dalle rappresentazioni delle Crocifissioni con il Cristo triumphans sulla morte, a quelle con il Cristo patiens che presentano

3 Ivi IV, 25, 269. 271.

4 In questo si può facilmente sentire l’eco della formula di Cicerone: docere, de-lectare, flectere.

5 Filosofo e mistico tedesco (ca. 1260-1327), provinciale dei domenicani. Il suo pensiero, sintesi dell’intellettualismo tomista e delle istanze mistiche e neoplatoniche, influenzò la mistica tedesca dei secoli XIV e XV.

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l’uomo-Dio «nato da donna, nato sotto la legge» (Gal 4,4). Una rappre-sentazione, quindi, del Cristo crocifisso che esprime visivamente non solo le verità dogmatiche che i teologi cercano di definire, ma anche una rap-presentazione che fa appello alla pietà emotiva attraverso un discorso di-dascalico.

2. “L’Altare dei sette Sacramenti”: una scrittura visiva di Gv 19,25-27

Fra le tante opere che si ispirano a Gv 19,25-27, mi soffermo a consi-derare quella di Rogier van der Weyden.6 Si tratta del trittico noto con il nome di “Altare dei sette Sacramenti” dipinto fra il 1445 e il 1450.

A mio avviso, quest’opera è ricca di spunti significativi per l’argo-mento del Seminario “Maria educatrice di Cristo e dei cristiani”.

Questo trittico, che oggi è custodito ad Anversa nel Koninklijk Mu-seum voor Schone Kunsten, era stato commissionato a van der Weyden da Jean Chevrot, vescovo di Tournai, per l’altare della sua cappella privata, e lì dobbiamo ricollocarlo con la nostra mente e vederlo con la nostra im-maginazione visiva, perché, come vedremo, questo non è un particolare di poco conto; al contrario, consentirà di comprendere meglio la totalità del messaggio in esso contenuto.

Procediamo ora alla lettura e all’interpretazione dell’opera nell’ottica dell’approccio semiotico che considera il prodotto artistico come un testo e che vede il “lettore-interprete” coinvolto in una continua ricerca di con-nessioni e costruzioni di senso.

Innanzitutto va notato che qui ci troviamo davanti a uno spazio percet-tivo tridimensionale unitario che fa da tessuto connetpercet-tivo secondo la legge della causa-effetto ai numerosi elementi in esso contenuti.

Ancora più esattamente, ci troviamo davanti a un centro visivo costi-tuito dalla scena della Crocifissione, scena che è una sorta di “piramide visiva” – come viene definita da Erwin Panofsky nella sua opera La pro-spettiva come “forma simbolica”7 – la quale collega i singoli elementi

6 Rogier Van der Weyden, da identificarsi probabilmente con Rogelet de la Pastu-re, nacque a Tournai verso il 1400 e morì a Bruxelles nel 1464. Con Robert Campin e Jan Van Eyck è considerato uno dei fondatori della grande pittura fiamminga del Quattrocento. Sul piano dell’iconografia religiosa egli operò una selezione dei sogget-ti focalizzando l’attenzione sulla dimensione umana e drammasogget-tica delle storie sacre.

7 Cf PANOFSKY E., La prospettiva come” forma simbolica” (1927), Milano,

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che prendono significato proprio da questo centro e ad esso si riconduco-no. Uno spazio, quindi, simbolizzato e logicizzato che si propone ad una lettura e ad una comprensione che transita dall’asse in praesentia a quello in absentia.

Così, il significato totale dell’opera scaturisce – come ho accennato – dai rapporti tra gli elementi che la strutturano e che si compenetrano. Oc-corre pertanto analizzare proprio questi rapporti.

La scenografia del Trittico è una chiesa gotica a tre navate. Nella na-vata centrale, in primo piano, quasi fossimo sulla soglia dell’ingresso principale, è rappresentata la scena della morte di Cristo sul Golgota così come è descritta dall’Evangelista Giovanni: «Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Mag-dala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al disce-polo: “Ecco la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa» (Gv 19,25-27). Sullo sfondo si vede un altare davanti al quale un sacerdote sta celebrando l’Eucaristia. Precisamente van der Weyden ha fissato il momento dell’elevazione del Corpo di Cristo.

Così l’occhio è condotto a passare dalla contemplazione del momento storico del sacrificio di Cristo sulla croce,8 all’attualizzazione di questo sacrificio che continuamente si rinnova sulla mensa eucaristica.9

Ci sono ancora altri rapporti che vanno evidenziati. Nell’edicola che sovrasta l’altare si vede Maria con il Bambino in braccio: Maria è la Theotokos, è la Sedes Sapientiae. E c’è pure l’angelo dell’Annunciazione.

È quindi chiaro il rapporto tra l’Incarnazione, inizio dell’opera salvifica e l’Eucaristica, memoriale del sacrificio di Cristo con cui si compie la sua opera redentrice.

trinelli 1961, 35.

8 La croce di van der Weyden ha la forma della lettera ebraica tau, il segno che salva il popolo di Israele dallo sterminio (cf Ez 9,4). Un’espressione iconografica che dice come la croce storica è segno soteriologico nel senso che esprime l’attualità della salvezza, ed è pure segno escatologico in quanto segno-simbolo della speranza di sal-vezza. Le dimensioni di questa croce, inoltre, raggiungono in altezza e larghezza le dimensioni della navata centrale. Anche questo particolare ha un significato simboli-co, infatti, fin dagli inizi del XIV sec., la navata centrale delle chiese (aula e transetto) è a pianta cruciforme, immagine del crocifisso; in questo modo l’arte esprime l’assimilazione del tempio materiale al Corpo di Cristo.

9 Un richiamo alla perenne attualizzazione del Mistero è espressa pure dal fatto che le donne ai piedi della croce indossano gli abiti tipici dell’epoca di van der Wey-den.

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E ancora: come le donne assistono e partecipano alla morte di Cristo sulla croce, così i personaggi nella chiesa partecipano alla Santa Messa.

Ma si possono stabilire altri possibili rapporti sull’asse che va dalle donne in primo piano sulla destra della scena a colui che serve la Messa.

Precisamente, una donna ai piedi della croce volta la testa spaventata, mentre l’inserviente contempla il corpo di Cristo elevato dal sacerdote sull’altare così come l’altra donna contempla il corpo di Cristo elevato sulla croce. In Gv 19,37 si legge: «Volgeranno lo sguardo a colui che han-no trafitto». Questo sollevare lo sguardo è la contemplazione, la beatitu-dine dei credenti e il giudizio dei peccatori (cf Ap 1,7).

Per quanto riguarda più da vicino il tema del Seminario, occorre con-siderare il gruppo alla nostra sinistra, precisamente l’atteggiamento dei personaggi.

Innanzitutto va notato che Maria è posta a destra della croce. Un espe-diente iconografico per evidenziarne la dignità di Madre.10

Vediamo poi che Giovanni e una donna sostengono Maria così come si sostiene una partoriente.11 Non è una rappresentazione di maniera que-sta di van der Weyden, ma una ricca espressione simbolica di Maria, Ma-dre e typus della Chiesa, che ai piedi della croce genera altri figli.

In questo modo il pittore allude a una doppia generazione da parte di Maria: quella del Figlio di Dio al momento dell’Incarnazione, e quella dei fratelli del Figlio suo ai piedi della croce.12 Così Maria è vera Madre di Cristo e dei cristiani.

Se poi accettiamo la tradizione, presente anche nella Chiesa d’Oriente, secondo cui Giovanni, il discepolo prediletto, è un pagano convertito, Maria, ai piedi della croce, è figura della Chiesa che accoglie in sé tutti gli uomini per condurli al Cristo.

Ma non si può tralasciare di considerare anche un altro significato simbolico. Giovanni è simbolo dell’evangelizzazione.13 «Donna, ecco il

10 Nell’AT la destra indica il posto d’onore, e questo posto era riservato alla regi-na-madre (cf 1Re 2,19).

11 Questo tipo di rappresentazione si comincia ad avere a partire dal XIV sec.

12 Non è un caso che Maria sull’altare e Maria ai piedi della croce siano collocate sullo stesso asse. Inoltre il colore azzurro del suo vestito le viene attribuito dall’ico-nografia per simbolizzare la contemplazione. Il colore rosso è attribuito a Giovanni e allude all’amore.

13 Giovanni è uno dei dodici Apostoli su cui è fondata la Chiesa (cf Ef 2,20).

L’arte simboleggia questo rappresentando gli Apostoli sulle colonne delle chiese e/o apponendo sui suoi muri dodici croci.

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tuo figlio» (Gv 19,26): così Maria, sotto la croce è figura della Chiesa a cui il Cristo affida la missione di accogliere e di far conoscere il suo inse-gnamento.

Fin dal III secolo l’arte cristiana presenta Maria partecipe all’opera re-dentiva del Figlio, basti pensare all’affresco della Madonna con il Bam-bino alle cui spalle c’è il Buon Pastore nelle catacombe di Priscilla. An-che qui, nel trittico di van der Weyden, Maria è la corredentrice.

Per il suo stesso essere la “madre fisica” di Cristo, Maria si è presa cu-ra di lui ducu-rante tutta la sua vita14 e non lo ha abbandonato sotto la croce.

Per il suo essere “madre spirituale” dei credenti, in quanto figura della Chiesa educa alla fede attraverso la parola e attraverso i sacramenti, segni efficaci della grazia che accompagnano l’uomo lungo tutto l’arco della vi-ta.

Questo è il significato della rappresentazione dei sacramenti nelle na-vate laterali del trittico di Rogier van der Weyden.

Così Maria è qui rappresentata come Madre di Cristo e vera Madre ed educatrice dei cristiani. Ai piedi della Croce Maria esprime il suo ruolo materno non solo in senso fisico, ma anche in senso spirituale-educativo.

Realizza una “generatività sociale”.

Questa verità di fede espressa simbolicamente nell’opera di van der Weyden, è contemplata, custodita e insegnata continuamente dalla Chie-sa, attraverso i suoi ministri, in ogni tempo e in ogni luogo.

La continuità tra simbolizzazione e attualizzazione, la compenetrazio-ne tra chiesa rappresentata dall’arte e Chiesa reale è data dal fatto – come ho accennato – che il trittico dei “Sette Sacramenti” era collocato su un altare. Pertanto, chi celebrava l’Eucaristia e chi vi partecipava, contem-plava senza soluzione di continuità la memoria storica del mistero reden-tivo del Cristo e il rinnovarsi di questo stesso mistero nella sua Chiesa.

Così, ricollocare il trittico con la nostra mente nel suo contesto origi-nale, ci fa comprendere che ciò che si contempla nel simbolo, si continua

14 Al riguardo, sarebbe interessante uno studio esegetico dei Vangeli apocrifi, in particolare il Protovangelo di Giacomo, il più antico dei testi Apocrifi dell’infanzia di Gesù. Questi testi sono come una risposta ad un’esigenza agiografica. Seppure di ca-rattere popolare e senza il corredo di un solido apparato critico e con evidenti parti fantastiche, hanno tuttavia espresso la fede credente delle prime comunità cristiane.

Nonostante i racconti non siano del tutto verosimili, alcuni passi venivano letti in Oriente durante le funzioni monastiche. Nella Chiesa di Occidente furono proibiti nel V sec. dal decreto di Gelasio. Ad essi, tuttavia, si ricollega gran parte dell’iconografia e della pietà popolare del Medioevo e del Rinascimento.

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a contemplarlo e a crederlo nell’hic et nunc della Chiesa.

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INTERVENTI

La donna sotto la croce Io contemplavo il figlio di Dio appeso alla croce, ed ecco che io vidi che gli era stata presentata dalla forza divina una donna imponente, che era come un bagliore luminoso, saltato fuori dalla profondità del disegno eterno come una sorgente precipitosa.

È il sangue, che sgorgava dal suo fianco ferito, la inondava elevandola a sé.

Ella era stata affidata a lui dalla parola del Padre celeste per una beata comunione nuziale, ed aveva come dote preziosa la carne e il sangue del figlio.

Ed io udii come una voce dal cielo che gli diceva:

«Figlio mio, ella deve essere tua sposa per la liberazione del mio popolo.

Ella sia madre del popolo, rigenerando le anime nella salvezza per mezzo dello Spirito e dell’acqua».

Allora la figura della donna acquistò forza e bellezza, ed io vidi qualcosa come un altare di sacrifici, verso il quale la donna accedeva incessantemente, ed ammirai con atteggiamento devoto la dote della sposa che stava sull’altare, ed ella umilmente spiccava di fronte al Padre del cielo e ai suoi angeli … E una voce provenne dal cielo, che mi diceva:

«Gesù Cristo, il vero figlio di Dio, è appeso al legno della sua passione.

Però la sposa, che gli era stata assegnata nel segreto del mistero divino, è la Chiesa, la cui veste nuziale è costituita dal purpureo sangue di Dio.

Ed ecco, tutto ciò ha luogo davanti ai tuoi occhi:

ella continua a presentarsi all’altare dei sacrifici, e da lì si preleva la dote di sposa, e con amore premuroso osserva per vedere se anche i suoi figli accorrono devoti alla celebrazione di tali misteri».

ILDEGARDADI BINGEN, cit. in RAHNER H., Mater Ecclesia.

Inni di lode alla Chiesa tratti dal primo millennio della letteratura cristiana, Milano, Jaca Book 1972, 56-57.

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UN’INTERPRETAZIONE STORICO-SALVIFICA