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LAVORO DI CURA E MATERNITÀ NELLA “WELFARE SOCIETY”

1. Il lavoro di cura

Vanna Iori, in un lucido intervento al Convegno Nazionale di studio in occasione del X anniversario della morte di Gianna Agostinucci Cam-panili, ha affermato:

«La cura degli altri è, storicamente, un forte elemento dell’identità femminile: la cura è il legame che collega il femminile alla storia. Il farsi carico dei valori della vita e della loro centralità, rispetto ad altre “centra-lità” prodotte dalla cultura e dall’ordinamento sociale maschile (come il lavoro, il potere, il successo, la produzione, il guadagno, la politica, ecc.) si esprime attraverso l’aver cura delle persone. Il fatto che le donne tro-vino una loro identità nell’attività del prendersi cura delle persone e delle

* Enrica ROSANNA fma, Docente di Sociologia della Religione, Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”, Roma.

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cose e che questi compiti e competenze non siano riconosciute, restino spesso invisibili, significa che la cura è un valore scarsamente riconosciu-to nell’ordine gerarchico dei valori della cultura dominante maschilineare.

Il domani da costruire passa invece innanzitutto attraverso la diffusione e il consolidamento della cultura della cura. È quindi necessaria una valo-rizzazione della cultura della cura come risorsa etica, politica, professio-nale, culturale, poiché sarà dalla collaborazione tra le culture di entrambi i generi che potrà nascere una ricchezza per tutta l’umanità».1

Traggo spunto da questa citazione per proporre alcune stimolazioni.

1. Nella nostra società individualista (welfare society) ci sono molti indicatori che evidenziano la rimozione del lavoro di cura dalla coscienza politica e legislativa e dalla stessa cultura del lavoro. Pensiamo per esem-pio ai problemi del dopesem-pio lavoro delle donne, ai luoghi e agli orari di la-voro che penalizzano ed escludono spesso le donne, al carattere “maschi-le” delle strutture economiche, politiche, finanziarie, di mercato e delle stesse istituzioni ospedaliere, scolastiche, assistenziali (in cui uomini e donne sono “numeri”), alla logica competitiva nella gestione delle risor-se…

2. Di fronte a queste constatazioni si impongono alcune esigenze:

cambiare i modelli organizzativi, far riconoscere socialmente (e quindi economicamente) i valori inerenti al lavoro di cura (coltivati dalle donne nel privato lungo la storia) e introdurli nelle istituzioni. Se la cura non produce “reddito economico”, e per questo viene estromessa ovunque impera la logica del denaro al primo posto (teniamo presente che, pur non producendo reddito, è un bene economico; pensiamo per esempio al costo di una babysitter), genera però ricchezza di significati, di vita, di solida-rietà, di compassione, di umanizzazione.

3. Alcuni percorsi in questo senso sono già stati individuati nel cam-mino compiuto dalle donne:

– la cura di sé: conoscenza e valorizzazione del corpo e della dignità e bellezza di essere uomo o donna, delle proprie responsabilità, capacità e limiti; cura del proprio sviluppo fisico, intellettuale, culturale…;

– la cura dell’altro: valorizzazione della differenza come risorsa, della fecondità del conflitto, della reciprocità (che ha nella reciprocità uo-mo/donna il paradigma più significativo)…;

– la cura del bene comune: ricerca di aspirazioni e ideali comuni e

1 Cf IORI V., Costruire un futuro per donne e uomini, in Prospettiva persona (2000)33/34, XXXI.

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condivisi nei quali riconoscersi e impegnarsi; impegno per

– investire le proprie energie fisiche, affettive, intellettuali, spirituali per un bene che trascende quello individuale; tentativi di raccordare il mondo delle decisioni con quello della vita quotidiana…

4. Questo premesso, è d’obbligo porre l’accento sull’educazione come

“lavoro di cura” (la risorsa donna come educatrice, affidataria e custode dell’umanità tutta e, in quanto tale, modello di riferimento ideale per la

“caring society”) e sull’esperienza del lavoro di cura proprio delle consa-crate nella storia della società e della chiesa, con gli aspetti problematici e di risorsa che oggi essi comportano.

5. Ci si potrebbe inoltre interrogare su due questioni:

– perché le giovani sembrano “estranee” a queste riflessioni e proble-matiche, come dimostra la maggior parte delle ricerche sul campo?

Giovanni Paolo II, nominando tre donne Patrone d’Europa, valorizza – tra l’altro – la loro capacità di prendersi cura: Brigida di Svezia (si prende cura della pace e dell’unità), Caterina da Siena (si prende cura del-l’autorità), Teresa benedetta della Croce (si prende cura della verità).

Quali indicazioni si potrebbero ricavare da questo avvenimento?

2. La maternità

Giovanni Paolo II, in una Udienza generale ha pronunciato le seguenti parole:

«La figura di Maria ricorda alle donne di oggi il valore della materni-tà. Non sempre nel mondo contemporaneo si dà a tale valore l’opportuno ed equilibrato rilievo. In alcuni casi, la necessità del lavoro femminile per provvedere alle accresciute esigenze della famiglia e un erroneo concetto di libertà, che vede nella cura dei figli un ostacolo all’autonomia e alla possibilità di affermazione della donna, hanno offuscato il significato del-la maternità per lo sviluppo deldel-la personalità femminile. In altri casi, al contrario, l’aspetto della generazione biologica diventa talmente rilevante da porre in ombra le altre significative possibilità che la donna ha di esprimere la sua innata vocazione ad essere madre».2

1. Il nodo della maternità – segno caratterizzante per eccellenza la

dif-2 Cf GIOVANNI PAOLO II, Discorso all’Udienza generale, in L’Osservatore Roma-no, 7 dicembre 1995, 4.

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ferenza femminile – è una delle questioni irrisolte, anche se ampiamente discussa nella storia del femminismo. Gli altri nodi riguardano: la cultura, la storia, la sessualità, il lavoro, la politica, la teologia.3

2. Lo studio della maternità è particolarmente complesso, anche per-ché è strettamente legato ad altri temi, quali per esempio la paternità, la famiglia, l’educazione e a diversi problemi, quali per esempio la procrea-zione in vitro, la clonaprocrea-zione, l’allungamento della vita, il controllo delle nascite, la maternità a qualunque costo, il figlio a qualunque costo o il fi-glio costruito su misura (su misura o della madre, o del sistema economi-co, o del sistema sociale…), la mortalità infantile… Non solo, ma è com-plesso in se stesso perché l’esperienza della maternità è vissuta in una dimensione che comprende la sessualità e la famiglia, attraverso esperien-ze diversificate che coprono un arco che va dalla sterilità all’aborto, in strutture diverse come ospedali e consultori, in una società in rapido cambiamento che ha visto mutare in tempi rapidissimi la propria gerar-chia di valori.

3. Lo studio della maternità, in ambito femminista, ha avuto un’evo-luzione significativa e interessante. Si è passati dalla fase inquieta (L’u-tero è mio e lo gestisco io) alla fase del disincanto, cioè quella della ma-ternità come vocazione onnicomprensiva della donna (Non vogliamo es-sere definite attraverso la maternità), alla fase che valorizza l’adesione personale della donna che dà corpo alla fecondità della comunicazione con l’uomo (Diventare madre non è un dovere imposto e neppure un ruo-lo funzionale al sistema). Il punto più significativo di questo cammino ri-guarda la messa sotto accusa della maternità come destino, e di con-seguenza il suo confinamento nell’ambito privato, per rivendicare una soggettività femminile capace di esprimersi in modo autonomo e consa-pevole.

4. Di fatto, nonostante il cammino percorso, le posizioni assunte nelle diverse fasi – con le relative problematiche – persistono, anzi sorgono dif-ficoltà nuove:

– l’emarginazione, che un tempo si dirigeva verso la donna sola, steri-le o ragazza madre, oggi riguarda la donna con più figli o la donna senza figli (nei contesti in cui il figlio identifica il valore della madre);

– è sempre più difficile far convivere il diritto-dovere della maternità

3 Cf in particolare gli studi di Giulia Paola DI NICOLA e specificamente: Il lin-guaggio della madre. Aspetti sociologici e antropologici della maternità, Roma, Città Nuova 1994; Bilancio e ri-lancio, in Prospettiva persona (2000)33/34, VII-XIII.

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con il diritto-dovere del lavoro, soprattutto nei casi in cui il secondo offre prestigio e significato che sostituiscono quelli offerti dal primo;

– fa fatica ad essere messo da parte l’ideal-tipo della donna “funziona-le a” e realizzata “solo se madre” (donna e maternità sono state un bi-nomio pressoché inscindibile nella cultura), laddove la funzione materna è esasperatamente cercata;

– esiste una frattura tra lo status della donna (diritti e doveri scritti e proclamati) e il suo ruolo (diritti e doveri esercitati), quando essa è sgan-ciata dalla logica del sistema relazionale più ampio;

– è tutt’altro che risolto il problema del rapporto madri/padri e ma-dre/figlio adulto, soprattutto là dove si abdica ai ruoli adulti a favore di

“giovanilismi” o di atteggiamenti “laisser-faire”.