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LE COORDINATE DEL PROCESSO EDUCATIVO Maria M ARCHI fma

2. Riscoprire l’educazione

Penso che a noi non interessi «una riflessione sull’educazione astrat-tamene intesa, ma l’educazione come evento personale e interpersonale, nel quale l’esperienza di chi cresce (“prende forma”) è affiancata dalla

“cura per l’altro”»8 messa in atto da adulti significativi.

Si tratta di riesaminare e di riproporre, con gli imprescindibili agganci e argomenti nuovi emergenti dalla cultura contemporanea, «motivi antichi e pur sempre attuali (come l’educabilità dell’uomo, [la natura e] le finalità dell’educazione, ecc.), che rischiano di andare smarriti nell’eccesso di proceduralismo e di metodismo che connota tanta parte del discorso pe-dagogico del nostro tempo».9

L’unilaterale attenzione ai mezzi accompagnata dalla dimenticanza o dal misconoscimento dei fini fu energicamente segnalata da Jacques Ma-ritain fin dagli anni ’40 come uno dei sette errori fondamentali – il primo!

– da cui deve guardarsi l’educazione.10

Di quell’«evento personale e interpersonale» che è l’educazione ab-biamo già evocato il caposaldo principale: il soggetto affidato alla cura degli educatori in ordine alla scoperta e alla strutturazione integralmente umana della sua identità. Ecco la prima delle nostre “coordinate”: nessuna iniziativa educativa può prescindere dall’interrogarsi in prima istanza su:

«chi è il soggetto affidato alla cura degli educatori; [e, subito dopo, su]

«quali sono i reali margini dell’intervento educativo;

«a quali destini l’educando è chiamato;

«con quali modalità è possibile aiutarlo a provarsi come “uomo”;

«quali competenze gli educatori debbono mettere in campo per essere all’altezza del loro compito».

[Il tutto senza] «ignorare i tempi e i luoghi nei quali si compie l’azione educativa».11 Si tratta insomma di entrare nella prospettiva di una

peda-8 CHIOSSO G., Presentazione, in ID. (ed.), Elementi di pedagogia. L’evento educa-tivo tra necessità e possibilità, Brescia, La Scuola 2002, 5.

9 L. c.

10 Cf MARITAIN J., L’educazione al bivio, Brescia, La Scuola 197518, 15-16.

11 CHIOSSO, Presentazione 5.

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gogia integrale in situazione.12

In tempi e luoghi «segnati da una transizione forse epocale di menta-lità, abitudini, costumi»,13 si impone oggi la necessità di riscoprire l’edu-cazione: un’operazione tutt’altro che ovvia e scontata in un contesto culturale che rischia di abituarci ad affrontare i problemi educativi sotto la spinta di slogans e intimidazioni più o meno giustificate e giustifica-bili.14

Dopo l’intimidazione della reale o presunta “morte della pedagogia” e dell’educazione – una tematica che ha attraversato e in buona parte con-densato la riflessione pedagogica degli anni ’90 – occorre superare nuove forme di intimidazione: sono gli «imperativi apparenti»15 prodotti da una società allo stesso tempo complessa e disorientata,16 che hanno una forte ricaduta sull’educazione.

Di più: occorre «sottrarre il tema educativo [a quella vera e propria]

censura a cui è soggetto nella cultura pubblica».17 E, per non navigare a vista in questa impresa così difficile e delicata, acquisire l’habitus di af-frontare ogni intervento e problematica educativa ancorati simultanea-mente

1. alla conoscenza-comprensione del soggetto in situazione, colto nel suo contesto;

2. ad una costellazione di riferimenti etici vincolanti, senza i quali l’educazione non è più educazione e cade nella banalità;18

12 Cf SANTELLI BECCEGATO L., La “Pedagogia in situazione” e i temi della peda-gogia sociale, in Quaderni [Dipartimento di Scienze Pedagogiche e Didattiche del-l’Università degli Studi di Bari] 7(2002)3, 57-65; EAD., Pedagogia sociale. Riferi-menti di base, Brescia, La Scuola 2001, 78; EAD., Itinerari pedagogici. Per strade e per sentieri, in BORRELLI M. (a cura di), La pedagogia italiana contemporanea, II vol., Cosenza, Pellegrini 1955, 193-216.

13 CHIOSSO, Presentazione 5.

14 Da questo punto di vista risulta, oltre che interessante, addirittura “amena” la lettura del volume di KAUFFMAN J. M., Education deform: bright people sometimes say stupid things about education, Lanham-Md., Scarecrow Education 2000.

15 GIOVANNI PAOLO II, Discorso all’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO), n. 13 (Parigi, 2 giugno 1980), in http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/speeches/1980/june/documents/hf_jp-ii_spe_19800602_unesco_it.html.

16 Cf BREZINKA W., L’educazione in una società disorientata. Contributi alla pra-tica pedagogica, Roma, Armando 1989.

17 ANGELINI G., Educare si deve, ma si può?, Milano, Vita e Pensiero 2002, 225.

Cf anche ANDREOLI V., La censura sull’educazione, in Avvenire, 27 agosto 2002.

18 Cf XODO CEGOLON C., Educazione senza banalità. Studio di filosofia pratica

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3. alla continua ricerca della via più adatta, senza pretendere che da qualche parte esista un direttorio di istruzioni pronte all’uso «suscettibili d’essere subito tradotte in comportamenti effettivi».19

Ogni intervento educativo rinvia insomma a quelle che potremmo ac-cordarci di denominare una antropologia pedagogica, una teleologia pe-dagogica, una metodologia pepe-dagogica, intese ciascuna come il punto di convergenza di molteplici saperi o discipline.

Così strutturato, infatti, il discorso sull’educazione e lo stesso inter-vento nell’azione educativa diventano un appello a tutte le “scienze del-l’educazione”, intese nell’accezione peculiare – e forse unica – che a que-sto già di per sé vaque-sto “contenitore” è attribuita dalla nostra Facoltà.20

Puntando su una formazione integrale nel campo delle scienze del-l’educazione entro la visione cristiana della realtà, tutti i curricoli della Facoltà si aprono sulle diverse dimensioni della realtà educativa, acco-standola secondo un’angolatura filosofica, teologica, bio-psico-sociologi-ca, storibio-psico-sociologi-ca, giuridibio-psico-sociologi-ca, metodologica e della comunicazione.21

Ciò, ovviamente, prelude all’ulteriore approfondimento di specifiche aree disciplinari corrispondenti alle esigenze delle diversificate specializ-zazioni e/o percorsi professionalizzanti.

In tale contesto, come si vede, anche le discipline filosofiche e teolo-giche, senza nulla perdere della loro peculiarità di natura e di metodo, vengono a far parte delle scienze dell’educazione e rivestono un ruolo fondamentale (di fondazione o fondamento) per approdare ad una visione integrale dell’educazione. Sapendo che l’esigenza dell’integralità è intrin-seca alla pedagogia (al “dire l’educazione”) e trova il suo fondamento e giustificazione nella natura stessa dell’educazione (“fare l’educazione”).22 3. Educare si deve, ma si può?

Oggi, paradossalmente, occorre recuperare la certezza che “educare si deve”. È una certezza e una responsabilità molto spesso accompagnata da un interrogativo, che potrebbe a sua volta apparire paradossale, se non

dell’educazione con un saggio su Hannah Arendt, Brescia, La Scuola 1988.

19 ANGELINI, Educare si deve 229.

20 Cf MARCHI M., Le istituzioni accademiche femminili. La Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”. Un caso anomalo o paradigmatico?, in Ricer-che teologiRicer-che 13(2002)1, 233-245.

21 Cf PONTIFICIA FACOLTÀ DI SCIENZE DELL’EDUCAZIONE “AUXILIUM”, Statuti, art. 2 e 31.

22 Cf MEIRIEU P., La pédagogie entre le dire et le faire, Paris, ESF 1995.

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fosse suffragato e non emergesse da tante amare esperienze e perplessità, da quel diffuso «disagio che, subito avvertito da molti, stenta tuttavia ad esprimersi, e quindi a divenire oggetto di comunicazione reciproca»:23 educare si deve, ma si può?

La domanda, che dà titolo ad un bel volume di Giuseppe Angelini, dal quale raccolgo alcune acute suggestioni, «oggi è ben presente a tutti i ge-nitori dotati di una consapevolezza anche minima del proprio compito:

padri e madri sanno quanto sia decisiva una relazione educativa capace di consegnare ai figli un’immagine vera e buona della vita. Insieme, però, essi incontrano difficoltà tali da suscitare il dubbio sull’effettiva praticabi-lità di questa loro opera. Temono di essere senza risorse affidabili. [E non è facile trovare una via per] favorire il superamento dell’apprensione ver-so una cura fiduciosa. Perché ciò possa avvenire, occorre prendere le di-stanze dai luoghi comuni della cultura pubblica, con i suoi miti fuorvianti, e capire che cosa è veramente in gioco nel rapporto educativo, chi sono i figli, quali le loro attese più vere. Padri e madri [devono poter disporre di]

quelle risorse dell’intelligenza, [oltre che di quelle del cuore], che oggi sono così importanti nel concreto della responsabilità educativa».24

Il nascere e il crescere della forma umana – che è radicalmente forma etica – o, in altri termini, il processo di umanizzazione, passa indiscuti-bilmente attraverso quella particolare forma di rapporto interpersonale che è il rapporto tra genitori e figli. «A quel rapporto dunque occorre ri-volgersi, per capire di che cosa abbia bisogno l’educazione; prima ancora, per capire in che cosa consista l’educazione».25

Vi è un nesso radicale tra educazione e rapporto genitori/figli:

– non solo perché, come ci ricorda anche Giovanni Paolo II, nell’e-ducazione, al di là degli apporti di tutti i mezzi organizzati e delle istitu-zioni, «il più importante è sempre l’uomo, l’uomo e la sua autorità mora-le, che deriva dalla verità dei suoi principi e dalla conformità delle sue azioni con questi principi»;26non solo, dunque, perché – come sono solita affermare – fuori del rapporto interpersonale autentico non c’è educazio-ne;

– ma anche e più ancora perché il rapporto educativo – che si realizza ancor «prima d’esser deliberatamente perseguito, e anche più di quanto

23 ANGELINI, Educare si deve 225.

24 Ivi, risvolto di copertina.

25 Ivi 10.

26 GIOVANNI PAOLO II, Discorso all’UNESCO, n. 11.

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sia pensato»27 – trova il luogo per eccellenza della sua spontanea realiz-zazione proprio nel rapporto tra genitori e figli.

Al rapporto genitori/figli è naturalmente legato il nascere e il crescere della forma umana, il processo di umanizzazione dell’uomo, della per-sona, l’assunzione di quella forma squisitamente etica che trova le sue imprescindibili radici nel «primo messaggio espresso dalla madre nei confronti del figlio […], quello del carattere affidabile dell’universo»,28 quello della fiducia verso la vita, quello del «coraggio verso se stesso».29 È in gioco, ancora una volta, l’identità del figlio, il suo progressivo

«prendere forma».30

Si potrebbe forse osare di più e affermare – per ora solo affermare sin-teticamente – che il nascere e il crescere della forma umana, e anche di quella forma umana per eccellenza che è la forma cristiana, sono natu-ralmente legati all’esperienza della paternità – maternità. Per essa, infatti, in modo progressivo e differenziato nelle diverse età della vita,31 il picco-lo dell’uomo (il bambino, il fanciulpicco-lo, l’adolescente, il giovane…) si sco-pre, appunto, figlio: non «gettato nell’esistenza», non nato per caso, non orfano, senza padre, senza madre, senza attendibili modelli di riferimen-to,32 ma figlio, un io «appartenente a» qualcuno, a qualcuno che attraver-so infiniti gesti si è preattraver-so cura di lui.33

Parlare di questo nesso inscindibile tra educazione e rapporto genito-ri/figli, rinviare alla paternità-maternità come luogo primario (cioè come

«luogo per eccellenza») dell’educazione è, me ne rendo ben conto, come parlare un’altra lingua rispetto a quella corrente (almeno nel mondo

occi-27 ANGELINI, Educare si deve 10.

28 Ivi 10-11.

29 GUARDINI R., La credibilità dell’educatore, in ID., Persona e libertà. Saggi di analisi della teoria pedagogica, Brescia, La Scuola 1987, 222.

30 Cf ID., L’incontro. Saggio di analisi della struttura dell’esistenza umana, in ID., Persona e libertà 27-47.

31 Cf ID., Le età della vita. Loro significato educativo e morale, Milano, Vita e Pensiero 1986.

32 Sono estremamente significativi in proposito i dati che emergono dalle più re-centi indagini sulla condizione giovanile in Italia; cf BUZZI C. - CAVALLI A. - DE LIL

-LO A. (a cura di), Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Bologna, Il Mulino 2002; CENSIS, Giovani lasciati al presente, Mi-lano, Franco Angeli 2002.

33 Il gergo napoletano esprime pittorescamente questa indiscutibile certezza, radi-cata anche nella saggezza popolare, quando ci ricorda che «se po’ campa’ senza sape’

pecché’, ma nun se po’ campa’ senza sape’ pe chi».

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dentale). Eppure la relazione tra genitori e figli ci sospinge, ci “costringe”

a ripensare l’uomo, a ripensarlo in profondità, per scoprirlo nella sua vera natura.34

La lingua corrente, la cultura più diffusa tende (non sono in gioco ne-cessariamente le intenzioni/intenzionalità, ma “semplicemente” i trends comportamentali e valoriali: e non è poca cosa!) a rimuovere o talvolta a negare decisamente questo nesso; e ciò per tutta una serie di motivi che si connettono all’«assetto complessivo dei rapporti sociali [nella società at-tuale e, più puntualmente, alla conseguente] qualità del rapporto tra glia e società, o forse meglio al difetto di rapporti, che condanna la fami-glia alla solitudine»:35 a ridursi cioè ad una sorta di isola separata dal resto dei rapporti sociali (è il carattere privato della famiglia oggi)36 e deputata esclusivamente a un ruolo affettivo (è il carattere esclusivamente affettivo della famiglia oggi; in questo senso si parla di famiglia affettiva).37

E qui individuiamo un motivo forte per far appello alle risorse del-l’intelligenza da parte della famiglia; non tanto per stabilire l’equilibrio e la giusta proporzione tra competenze affettive, emotive, relazionali, ecc., e competenze intellettive, quanto per avvertire e salvare la posta in gioco.

La posta in gioco è il senso delle cose, il passaggio del figlio ad un mon-do più grande di quello delle relazioni primarie e affettive, pur tanto im-portanti. Ed è proprio «questo rimando dei sentimenti al senso corrispon-dente [che] stenta a realizzarsi nella famiglia affettiva. I sentimenti dei genitori minacciano [così] di apparire agli occhi dei figli appunto come

34 Cf ANGELINI G., Ripensare l’uomo a procedere dalla relazione tra genitori e figli, in AA. VV., Genitori e figli nella famiglia affettiva, Milano, Glossa 2002, 259-294.

35 ANGELINI, Educare si deve 10.

36 «La famiglia contemporanea, sistematicamente sequestrata rispetto ai sistemi di scambio sociale ai quali si affida la vita pubblica […], appare decisamente distante da quella tradizionale, la quale era invece il centro a procedere dal quale prendeva forma ogni altro rapporto sociale» (Ivi 14).

37 «Questi due tratti della figura della famiglia rendono assai arduo il compito educativo, del quale per altro è investita in forma tendenzialmente esclusiva. Una competenza privilegiata della famiglia per rapporto a quel compito è da riconoscere come carattere di sempre. Un tempo però quella competenza non era certo esclusiva;

il legame ‘organico’ tra famiglia e società rendeva proporzionalmente facile la traspo-sizione dei codici di comportamento sottesi ai rapporti familiari a tutti gli altri com-portamenti sociali. Questo oggi non accade più. Il codice familiare rimane in tal senso solo affettivo» (Ivi 14-15).

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mera espressione soggettiva».38

«Il tratto insuperabilmente soggettivo dei sentimenti è diventato oggi quasi un luogo comune dei discorsi che tutti fanno; esso riflette la distan-za, e anzi la tendenziale separazione, tra forme della coscienza e forme del rapporto sociale. Una tale distanza […] induce il soggetto individuale a riservare alla sua competenza esclusiva la determinazione del senso dei propri comportamenti».39

In questo contesto educare diventa davvero difficile. C’è da chiedersi, ancora una volta, se sia possibile. Anche perché, mentre le difficoltà sono immediatamente evidenti a ciascuno, «manca al loro riguardo una consa-pevolezza pubblica. Le forme del confronto pubblico infatti non le regi-strano, [o] non riconoscono in [queste] difficoltà un’emergenza tale da sollevare questioni radicali a proposito del destino tutto della civiltà occi-dentale».40

Non che manchi la letteratura sui minori. «Si occupa però solo [o pre-valentemente] della loro marginalità sociale, delle molte forme di devian-za, della droga, della violendevian-za, delle patologie psicologiche, del-l’adolescenza in particolare, degli abbandoni scolastici, e così via. [E in-sieme] propone diagnosi che sembrano viziate da assunti pregiudiziali che meritano di essere messi in discussione».41

È un altro appello alle risorse dell’intelligenza, al senso critico:

– anzitutto le questioni relative agli adolescenti e ai minori in genere

«sarebbero di carattere, per così dire ‘regionale’; ad esse si potrebbe dun-que dare risposta attraverso pratiche e istituzioni che li riguardino in ma-niera specialistica. La prima istituzione chiamata in causa è ovviamente la scuola. Accanto ad essa […] altre istituzioni, volte alla rieducazione, alla socializzazione dei marginali, alla clinica psichiatrica e così via»;42

– conseguentemente «l’educazione è in tal senso pregiudizialmente ri-dotta a due capitoli: la didattica e la clinica. Un’immagine dell’educa-zione […], questa, non […] soltanto dubbia, [ma decisamente] falsa».43

Dove finisce la cura per l’emergere della forma umana nel singolo soggetto e nella società? Dove finisce l’educazione?

38 Ivi 16.

39 Ivi 16-17.

40 Ivi 9.

41 L. c.

42 L. c.

43 L. c.

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I più preoccupati, giustamente, sono più spesso i genitori, poco invo-gliati e sostenuti, peraltro, dal contesto sociale, a trasformare la preoc-cupazione in ocpreoc-cupazione.44 Non per nulla tanto spesso ripiegano in at-teggiamenti di dimissione, di rinuncia rassegnata, di permissivismo, di adozione di un assurdo modello di carattere paritario, quasi contrattuale, di negoziazione…

Così finisce l’educazione. Così finisce l’umanesimo. Così finisce la cultura, quella cultura mediante la quale «l’uomo vive di una vita vera-mente umana», quella cultura il cui «compito primario ed essenziale […]

è l’educazione».45

Invito alla resa, dunque? No! Presa di coscienza di un compito assolu-tamente prioritario: restituire rilievo, evidenza, forza alla figura radicale del rapporto educativo, che abbiamo individuato nel rapporto ge-nitori/figli, vero “luogo originario” dell’educazione.

E tuttavia è risaputo che, «nelle società occidentali, la relazione tra genitori e figli appare decisamente a rischio. Lo sanno molto bene i singo-li, genitori e figsingo-li, istruiti dall’esperienza immediata. Lo sanno bene anche gli psicologi, spesso chiamati a rimediare alle difficoltà emergenti. Deci-samente scarsa invece è l’attenzione accordata al tema da saperi che pure sono più influenti al livello di opinione pubblica. Pensiamo in particolare alla pedagogia e alla stessa sociologia della famiglia».46

Proprio perché la relazione tra genitori e figli oggi appare decisamente a rischio, urge restituirle la sua forza originaria.

Come? Una via può essere l’invito alla “memoria”, alla “narrazione”:

una memoria e una narrazione nella quale i genitori siano veramente di-sposti ad “esporsi”, a mettere in gioco se stessi nella “logica” del dono.

44 Cf ivi 11.

45 GIOVANNI PAOLO II, Discorso all’UNESCO, n. 6 e 11.

46 ANGELINI G., Presentazione, in AA.VV., Genitori e figli nella famiglia affettiva 13. «Questi saperi sono, per loro natura, attenti alle difficoltà appariscenti dei processi di socializzazione dei minori, e quindi dei processi di tradizione culturale da una gene-razione all’altra. Tali fenomeni, proprio perché socialmente più visibili, diventano og-getto inevitabile di considerazione pubblica. La radice da cui procedono le stesse dif-ficoltà dei processi di socializzazione, tuttavia, è da cercare nella relazione genito-ri/figli. Più precisamente, è da cercare nelle spiccate difficoltà che impediscono a quella relazione di realizzare il compito della tradizione culturale, che pure obiettiva-mente le compete. Non le compete soltanto perché la società ne ha bisogno; le compe-te perché soltanto oggettivandosi attraverso le forme della tradizione culturale la rela-zione parentale realizza la sua verità originaria, quella d’essere per il figlio promessa del carattere affidabile del mondo tutto» (Ivi 13-14).

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Allora «la relazione educativa, e in particolare quella di essere genitori, cambia la vita. Cambia la vita personale, come ben sa ogni persona che ne sia [realmente] protagonista. Cambia insieme, e di conseguenza, il modo di vedere tutta la vita; cambia la visione del mondo. […] In tal senso, l’educazione, prima ancora d’essere un dovere da assolvere è un evento che […] strappa la vita all’iniziativa propria e costringe all’obbedienza.

Per questo essa comporta per se stessa una profonda correzione dei modi di pensare oggi più comuni».47

Si tratta di una sorta di espropriazione che si accompagna all’obbe-dienza nella resa alla verità della vita. Una conversione difficile e com-plessa, ma indispensabile perché la vita dei genitori diventi agli occhi dei figli «testimonianza […] che la loro visione del mondo, diversa da quella ossessivamente proposta dai messaggi pubblicitari, è quella vera»,48 e come tale condivisibile da tutti. E forse così i figli ritroveranno il corag-gio di diventare se stessi, di diventare adulti, di diventare a loro volta pa-dri e mapa-dri.

La legge dell’espropriazione e dell’obbedienza come condizione di una più alta donazione di vita è dunque iscritta in ogni maternità-paternità autenticamente umana. Ed è iscritta in modo ancora più forte, se ben si guarda, in quella maternità-paternità assolutamente “nuove” – più alte, più ricche, più piene – che sono la maternità-paternità cristiana. Andrebbe forse riscoperto e attualizzato questo senso-valore “nuovo” della materni-tà-paternità cristiana, così fortemente presente nel battesimo dei bambi-ni.49

47 ANGELINI, Educare si deve 232-233.

48 Ivi 234.

49 Scrive in proposito Pierluigi LIA: «Il Battesimo non è un rito magico né una sorta di contratto con il quale si entra a far parte della società di quelli ‘che non hanno più il peccato mortale’. Il Battesimo è sacramento della fede cristiana, atto della liber-tà con cui la coscienza adulta acconsente all’offerta della familiariliber-tà di Dio che riscat-ta la sua viriscat-ta dall’inesorabilità della familiarità morriscat-tale dei figli di Adamo. […]

L’adulto cristiano, il quale riconosce che la vita vera è solo quella che si rigenera nella

L’adulto cristiano, il quale riconosce che la vita vera è solo quella che si rigenera nella