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LA FORZA DELLA FEDE NELLA PERSONALITÀ DI MARIA E LO SVILUPPO DELLA SUA MATERNITÀ

4. Un punto culmine del cammino di fede di Maria

Nel tentativo di penetrare la vita di Maria nel suo orientamento a Dio, si può considerare l’annunciazione, ossia la chiamata a collaborare al-l’opera di salvezza, come il punto di partenza dello specifico cammino di fede di Maria, mentre l’evento illustrato in Gv 19,25-27 può essere visto come il punto culmine o un punto d’arrivo, inizio, a sua volta, di una tap-pa ulteriore dello sviluppo definitivo della personalità religiosa di Maria.

Eccone il testo: «Quando Gesù vide sua madre e lì presente il discepolo che egli amava disse a sua madre: “Donna, ecco tuo figlio”, poi disse al

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discepolo: “Ecco tua madre”. E da quel momento il discepolo la prese con sé». Il testo considerato in situazione è di una potenza ineguagliabile e di una pregnanza di contenuto insospettata. Le parole di Gesù e il momento in cui furono pronunciate, il tutto denso di fatti storici per l’umanità e per i protagonisti, suggerisce spontaneamente alcune considerazioni: Gesù si rivolge prima alla madre per affidarle il figlio, poi invita il discepolo a ri-conoscerla, accettarla ed amarla come madre. La maternità voluta ed ac-cettata precede sempre; essa sola rende possibile la figliolanza e lo svi-luppo umano dei figli (lo comprendiamo ancora meglio considerando le conseguenze delle carenze materne, purtroppo spesso diffuse nel mondo contemporaneo). Anche qui per Maria, come nella prima proposta d’essere madre, non si tratta esclusivamente e principalmente di una pre-stazione fisica, ma di una disponibilità totale all’amore, all’assunzione personale del progetto di Dio sull’umanità, per quanto misterioso possa sembrare ad una considerazione puramente umana.

Guardando a Maria in questa brevissima ma densa scena si può scor-gere quindi il punto d’arrivo di una vita – più di trent’anni – vissuti da Lei come Madre. Una maternità che ora, alla morte del figlio, sembra aver termine, mentre non è così.

Gesù, infatti, prima di consegnare il suo spirito al Padre e suggellare così, con la morte terrena, il riscatto dell’umanità, proclama (non chiede più alcun consenso), rende manifesta la nuova maternità di Maria, che era già implicita nella prima. Dall’annunciazione Maria è cresciuta nella ma-ternità, ma sicuramente, ora dopo più di trent’anni, ne comprende con maggiore chiarezza tutte le conseguenze: lei, la Madre del Cristo Reden-tore, è anche la madre dei redenti, del “popolo eletto da Dio”, del-l’umanità intera. Al posto del Figlio morente, ucciso per mano dei propri fratelli, deve adottare altri figli: il discepolo, che rappresenta tutta l’umanità; i redenti, i cristiani, ma anche coloro che sono da redimere, persino gli uccisori del figlio, che, come Giuda, erano stati fino a poco prima vicini a loro, erano stati “di famiglia”. Ora Maria è anche in grado di comprendere meglio il compimento della profezia, fattale trent’anni prima da Simeone. Tale profezia aveva già accomunati il figlio e lei nella stessa missione e sofferenza redentiva: «Egli è qui, per la rovina e la ri-surrezione di molti in Israele, segno di contraddizione […] e anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,34-35).

L’evoluzione di Maria come credente (divenuta la “prima cristiana”) e come madre comportava quindi una maggiore penetrazione della fede, che le dischiudeva il significato profondo della maternità spirituale. Essa

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poteva realizzare una nuova comprensione del piano redentivo di Dio, in una rinnovata disponibilità e decisione d’impegno personale e di dono.

Gesù aveva assunto un corpo umano da Maria, per essere in tutto “vero uomo”, simile persino ai peccatori. Per questo stesso fatto la sua madre doveva essere la madre della nuova umanità, da lui fondata, e prendersene cura. Ora Maria può comprendere maggiormente il significato della ma-ternità e della fecondità spirituale: concepire ed assumere dentro di sé sempre nuovamente la volontà e i progetti creativi e redentivi di Dio, per impegnarsi ad espandere la pienezza della vita che Gesù era venuto a por-tare in questo mondo.

Una maternità adottiva quindi, per continuare l’opera della Redenzio-ne con Cristo morto e risorto, maternità della quale si possono studiare le implicanze: disponibilità totale, sempre rinnovata, perdono e riconcilia-zione totale, dimenticanza di sé nel rinnovamento della sua apertura a Dio, nel cogliere ed assumere la Sua volontà.

Sono considerazioni che rendono presente una storia di maternità. Una storia che precede la nascita del figlio, che evolve e matura nel tempo, di cui si possono seguire anche alcune tappe salienti e l’influsso reciproco tra madre e figlio: mentre la madre genera, nutre e si prende cura del fi-glio, lo conosce e impara da lui; impara ancora di più da lui mentre lo ac-compagna e lo assiste nella sua missione, spesso senza comprendere, ed ora è presente e partecipe alla sua morte di condannato. È chiaro che Ma-ria ora comprende qualche cosa di più che non all’inizio di questa sua mi-steriosa maternità, anzi, questo momento è, per così dire, la manifestazio-ne del compimento della sua vocaziomanifestazio-ne di Madre: quasi un nuovo parto.

Conoscere e sottolineare la prospettiva della forza spirituale e psicolo-gica che deriva dalla fede religiosa e dall’amore verso Dio, è quanto mai importante in una società efficientistica e consumistica, come la nostra, in cui il criterio principale che spesso guida la vita e le relazioni dei singoli e dei gruppi è il benessere, il piacere e pertanto non di rado la chiusura in-dividualistica ed egocentrica dei singoli in se stessi. Sappiamo quanto questo atteggiamento incida negativamente sulla vita di famiglia, sul ri-fiuto della maternità o sulla difficoltà della sua espansione positiva. Sono, infatti, spesso in crisi le relazioni familiari e pertanto l’esercizio sereno della paternità e maternità, a prescindere dai fatti estremi in cui i figli uc-cidono i genitori e la madre e il padre sopprimono i figli.

Anche la problematica dell’adozione di figli dal punto di vista psico-logico può ricevere una benefica illuminazione da Maria. Spesso l’ado-zione non riesce perché i genitori adottivi non sono preparati

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camente ad accogliere la diversità del figlio e le loro motivazioni sono in-consciamente egocentriche: bisogno di affermazione o di sublimazione di se stessi; bisogno di colmare sensi di colpa, d’inferiorità e un senso di impotenza per l’incapacità di generare un figlio, ostacoli tutti per essere totalmente aperti verso il figlio adottivo, comprenderlo, adattarsi ai suoi bisogni; aprirsi a lui con l’aiuto di un profondo atteggiamento religioso.

In conclusione si può dire che a livello educativo le considerazioni, di cui sopra, suggeriscono l’urgenza di una riflessione nella nostra socio-cultura, sui principi e metodi di una sana educazione umana e religiosa al-le relazioni familiari e, in particolare, alla maternità; in essa l’attenzione alla formazione di un autentico atteggiamento di fede dovrebbe avere un suo posto privilegiato.

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LAVORO DI CURA E MATERNITÀ