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UN’INTERPRETAZIONE STORICO-SALVIFICA DI ALCUNE PERICOPI GIOVANNEE

Antonio ESCUDERO sdb*

Lo studio del vangelo di Giovanni offerto da Bartolomé invita ad as-sumere un atteggiamento indispensabile nella lettura e comprensione del testo biblico: la necessaria sottomissione alla Parola, per adoperare l’espressione più forte. L’esegeta è interpellato proprio per compiere un lavoro interpretativo, che ci mette davanti alla realtà del testo evangelico.

Nella premessa del lavoro di Bartolomé si deve intravedere la precauzio-ne del biblista, che cerca di evitare qualsiasi manipolazioprecauzio-ne del testo. Il testo è dato, e noi non possiamo usarlo a nostro piacimento, anche con ot-time intenzioni. Possiamo andare a leggere il testo biblico portando con noi delle buone domande, ma non è detto che ogni domanda, pure legit-tima, trovi lì delle risposte già pronte. Siamo impegnati in una ricerca che vuole essere realizzata con correttezza epistemologica per dare dei contbuti validi, e ora possiamo osservare che si presentano i passi di una ri-flessione molto efficace, ma non pensiamo che il testo biblico – in parti-colare il passo giovanneo che è ora al centro del nostro interesse – debba contenere ogni sviluppo interpretativo sul ruolo di Maria nell’educazione di Gesù Cristo e del cristiano. Non si può dunque che condividere la posi-zione mantenuta da Bartolomé: il testo biblico non deve essere soggetto ad una lettura finalizzata che gonfi i suoi significati.

Mi sembra ugualmente opportuna la distinzione – da tener sempre presente – tra la realtà storica del vissuto mariano e il testo biblico, che di quella realtà dà l’interpretazione. Addirittura si tratta di un’interpre-tazione condotta alla luce della fede pasquale nella visione teologica

ca-* Antonio ESCUDERO sdb, Docente di Mariologia, Università Pontificia Salesiana, Roma.

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ratteristica del quarto vangelo, ma ciò non dovrebbe aprire una spaccatura tale da rendere completamente slegati l’esperienza storica e il racconto evangelico. A mio avviso, fatta quella distinzione, si deve ricordare che il racconto evangelico riceve consistenza dall’evento storico. Bisognerebbe aggiungere che per noi l’unico modo di accedere alla realtà storica passa attraverso il testo biblico. Per noi non è possibile un’altra via, anche se è vero che non possiamo avere una sequenza particolareggiata dei fatti, e neppure possiamo tracciare una completa descrizione psicologica del vis-suto mariano. È anche vero che l’interpretazione della relazione tra Gesù e sua madre è stata realizzata a partire dalla fede pasquale, tuttavia non si dovrà vedere come una distorsione, oppure come qualcosa di inaffidabile:

la comprensione pasquale non altera il vissuto storico, ma indaga il signi-ficato dei fatti sull’orizzonte della missione del Figlio, inviato dal Padre.

Per ultimo vorrei aggiungere un’indicazione sull’esegesi del passo giovanneo della presenza di Maria accanto al Figlio morente sulla croce (cf Gv 19,25-27), centro d’interesse del nostro incontro di studio. Ritengo che si debba considerare con maggiore attenzione la prospettiva del-l’incontro escatologico, che ha relazione con la finalità della morte di Ge-sù, come viene indicata dal vangelo di Giovanni, e costituisce un dato non indifferente per la nostra riflessione, che vuole approfondire la realtà del rapporto costruttivo tra le persone, mentre procedono verso una pienezza di vita. Proprio perché il testo giovanneo della madre di Gesù presso la croce del Figlio deve essere interpretato nell’orizzonte teologico del quar-to vangelo, dobbiamo menzionare il momenquar-to della decisione di uccidere Gesù, quando il vangelo di Giovanni ricorda il motivo della morte di Ge-sù, alla fine dell’undecimo capitolo dopo la resurrezione di Lazzaro. Al-lora c’è quella riunione del Sinedrio, nella quale Caifa prende la parola e dice: «Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera» (Gv 11,49-50), su cui l’evangelista fa un commento chiarificatore: «E non per la na-zione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano di-spersi» (Gv 11,52). Il motivo della morte di Gesù nel quarto vangelo è provocare la riunione dei figli di Dio che erano dispersi, confermato poi dalle sue parole: «Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me» (Gv 12,32; cf Gv 3,14; 8,28). Dunque il progetto pasquale di Gesù è avviare una riunione universale e definitiva, non per la morte ma per la vita. In-nalzato sulla croce, Gesù, prima di giungere al compimento totale (cf Gv 19,28), sollecita la madre e il discepolo amato, che già si trovavano vici-ni, a rinsaldare il loro vincolo reciproco: ognuno dei due non potrà essere

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indifferente all’altro, come non sono stati lontani dal Figlio, il quale ha potuto verificare con la loro vicinanza l’adempimento iniziale del suo proposito. La riunione dei figli di Dio che erano dispersi sta incomincian-do dalla croce a partire dalla Madre e dal discepolo amato.

Se torniamo allora sul segno di Cana (cf Gv 2,1-12), dovremmo guar-dare il v. 12 («Dopo questo fatto, discese a Cafàrnao insieme con sua ma-dre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono colà solo pochi giorni») non come una semplice annotazione di passaggio, ma nel senso dello sbocco coerente con il segno operato e con la fede: si costituisce la comunità di fede. Tuttavia tale comunità è provvisoria, perché non è ancora giunta l’“ora” di Gesù. La riunione definitiva nasce dal dono pasquale del Figlio, e quindi il discepolo è invitato ad andare e vedere segni sempre più gran-di, per giungere all’ultimo segno della consegna del Figlio nelle mani del Padre.

Maria, madre di Gesù, obbedisce al Figlio, ma Lui apprende da lei che il motivo per cui è stato mandato dal Padre si realizza alla perfezione, nel-la condivisione e comunione di vita fondate sulnel-la fede.

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NOTE ESEGETICHE INTEGRATIVE