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Parte I – Quadro teorico di riferimento 8

CAPITOLO 1 La Corporate Social Responsability 8

1.5 Mercati globali, dinamiche competitive e Corporate Social Responsibility 45

1.5.2   Contesto competitivo e creazione di valore 48

Fenomeni quali la globalizzazione e l’intensificazione della pressione concorrenziale internazionale hanno contribuito a modificare la condotta aziendale e a far sorgere la necessità di una selezione più attenta delle leve di marketing, essenziali ai fini della creazione di valore (Grant, 1991; Guatri, 1991; Guatri and Massari, 1992; Valdani, 1992; Nahapiet and Ghoshal, 1997).

L’acquisizione di un concreto vantaggio competitivo presuppone non solo che le aziende implementino strategie migliori rispetto alla concorrenza, ma che abbiano anche una buona conoscenza del “contesto competitivo”, ovvero dell’ambiente socio- economico in cui operano. I fattori ambientali influenzano, infatti, direttamente e indirettamente sia la condotta aziendale, che quella delle istituzioni e delle comunità che vi partecipano. Per comprendere meglio l’influenza che il contesto competitivo esercita a livello aziendale è utile analizzare le quattro aree che lo compongono, ovvero: 1) quantità e qualità degli input e risorse umane disponibili (es. infrastrutture); 2) regole e incentivi alla base della competizione (es. normativa a tutela della proprietà intellettuale, della trasparenza, contro la corruzione ecc.); 3) dimensioni e caratteristiche della domanda locale, spesso influenzata da elementi quali gli standard a tutela della qualità e sicurezza dei prodotti, i diritti dei consumatori, le scelte fatte dai governi in termini di legalità e giustizia; 4) supporto istituzionale garantito al settore di riferimento (es. servizi ai produttori e ai fornitori ecc.).

La forte tensione competitiva che caratterizza i mercati internazionali ha determinato un deciso ripensamento delle tradizionali strategie aziendali e ha reso necessaria una migliore combinazione delle risorse interne ed esterne, nonché del “capitale relazionale”21, che influenza lo sviluppo aziendale in ragione del numero e della

“forza” delle relazioni instaurate con gli stakeholder (Cravera, 2001; Costabile, 2001;

competitivo” elaborato da questo autore, infatti, si basa sull’identificazione di tre possibili strategie competitive, ovvero: 1) Leadership di costo, in base alla quale un’impresa riesce a operare nel settore scelto, a incrementare i propri profitti e/o ad accrescere la propria quota di mercato sostenendo costi molto contenuti e ottenendo la massima redditività possibile, pur mantenendo i prezzi dei propri prodotti/servizi identici e/o inferiori a quelli dei propri concorrenti. 2) Strategia di differenziazione, che si basa sulla “differenziazione” dell’offerta aziendale rispetto alla concorrenza, cosicchè essa sia percepita dai clienti come caratterizzata da un valore superiore poiché capace di soddisfare al meglio i loro stessi bisogni. Ciò accade nonostante l’attuazione di questa strategia spesso comporti l’onere di un prezzo più elevato, ovvero di un premium price, ritenuto accettabile dai clienti in quanto indice del valore superiore che caratterizza il prodotto/servizio scelto; 3) Strategia di focalizzazione, che spinge una determinata azienda a individuare e occupare una specifica nicchia di mercato, all’interno della quale i potenziali clienti sono “focalizzati” sulla necessità di assolvere a bisogni particolari, cui le strategie aziendali devono offrire soluzioni mirate e, spesso, personalizzate.

21 I mutamenti tecnologici e competitivi hanno influenzato radicalmente i processi aziendali, determinando anche la crescita d’importanza delle relazioni con gli stakeholder. Si parla di “capitale relazionale” per indicare “la fiducia, la fedeltà e la lealtà che l’impresa deve accumulare per poter accrescere la sua capacità competitiva e il suo valore di mercato nel tempo” (Costabile, 2001, p. 261).

D’Egidio; 2001; Orlandi, 2012). L’elevato grado di concorrenza dei moderni mercati globali sembra essere dovuto anche alla complessità del loro stesso sistema di relazioni, che si manifesta in tre diverse condizioni competitive: scarsità d’offerta (D>O); equilibrio dinamico (D ≈ O) ed eccesso di offerta (D<O) (Brondoni, 2004). Le aziende sono chiamate, infatti, ad adottare strategie competitive market driven22,

orientate, cioè, al mercato e finalizzate a soddisfare prima e meglio dei concorrenti gruppi indefiniti e instabili di clienti (Lambin, 2008).

Secondo alcuni autori, il processo di creazione di valore (value creation) scaturisce dalla combinazione e dallo scambio consapevole di risorse tradizionali e non (Moran and Ghoshal, 1996). Questo processo è stato analizzato ricorrendo al modello della “catena di valore” (value chain), basato sulla rappresentazione grafica delle funzioni d’impresa, la cui rappresentazione più accreditata è stata fornita da Porter, il quale afferma che “La catena del valore definisce il contributo delle singole attività aziendali alla definizione e allo sviluppo di un sistema di offerta in grado di creare valore per il mercato grazie anche al supporto della tecnologia impiegata.” (1985, p. 48)23.

Sulla base degli studi condotti da Schumpeter (1934), altri accademici hanno, più recentemente, sostenuto la tesi secondo cui è possibile generare nuove fonti di valore attraverso l’implementazione di altrettanto nuove risorse e cioè sfruttando forme innovative di scambio e di combinazione delle risorse tradizionali e non (Moran and Ghoshal, 1996; Nahapiet and Ghoshal, 1997). In letteratura, gli studi sull’innovazione organizzativa hanno spinto alcuni ricercatori ad analizzare il processo di creazione di valore alla luce dell’influenza che su di esso esercita l’innovazione, poiché essa “è divenuta un elemento quanto mai importante ai fini della creazione di valore” (Hitt et

al., 1996, p. 1085) fondandosi sull’acquisizione di nuove risorse da utilizzare in fase di

input (Kanter, 1988) e su combinazioni innovative delle risorse tradizionali (Kogut and Zander, 1992). Per quanto riguarda la responsabilità sociale, invece, alcune organizzazioni ritengono che la propensione a tali attività dipenda non solo dal posizionamento competitivo, ma anche dall’influenza esercitata dalle politiche etico- sociali e dal “capitale sociale” sul processo di creazione di valore (Tsai and Ghoshal, 1998). Il concetto di “capitale sociale”24 è stato oggetto d’attenzione da parte di

numerosi studiosi, i quali lo hanno definito come un insieme di risorse insite nelle

22 Il market-driven management (MDM), affermatosi alla fine degli anni ’80, è considerato una filosofia gestionale (Lambin, 2000, 2009; Brondoni and Lambin, 2001; Webster, 2002; Brondoni, 2007; Sciarelli, 2008) orientata allo studio dei processi che interessano le imprese globali, caratterizzati da politiche concorrenziali basate sull’innovazione continua, che consente di rispondere in maniera efficiente ai frequenti cambiamenti dei mercati moderni. Le “imprese market- driven” (Sciarelli, 2008; Lambin, 2009) sono caratterizzate dalla capacità di comprendere, interagire, rafforzare e conservare il rapporto con clienti di “elevato profilo economico” (Day, 1999; Sciarelli, 2008). Queste imprese, generalmente, presentano un forte orientamento alla comunicazione (Brondoni, 2007), così come un atteggiamento proattivo, fondato sull’anticipazione delle attese e dei bisogni dei consumatori.

23 Secondo Porter il concetto di “catena del valore” si riferisce a “le attività necessarie per progettare, produrre, vendere e consegnare un prodotto, nonché per porre in essere adeguate forme di assistenza post vendita. Ogni catena del valore si differenzia dalle altre per la storia e la strategia messa in atto da ciascuna azienda.” (Pencarelli, 1996, p. 174).

24 Il termine “capitale sociale”, in origine, è stato utilizzato per descrivere le risorse relazionali su cui si fondano i legami personali trasversali su cui si basa lo sviluppo degli individui all’interno di comunità e/o organizzazioni sociali (Jacobs, 1961; Loury, 1977). Più recentemente, questo concetto è stato applicato a un’ampia gamma di fenomeni sociali, tra cui le relazioni intra ed extra familiari (Coleman, 1988) o intra ed extra aziendali (Burt, 1992), le interfacce organizzative utilizzate sia per i mercati (Baker, 1990), che per la vita pubblica (Putnam, 1993, 1995).

relazioni di matrice sociale (Loury, 1977; Burt, 1992) o come l’insieme delle relazioni sociali, delle norme e dei valori ad esse associati (Coleman, 1990; Portes and Sensenbrenner, 1993; Putnam, 1993, 1995). A tal proposito, Coleman ha evidenziato come alcuni valori collettivi tipici di una specifica società possano fungere, anche in assenza di legami tra i singoli membri, da capitale sociale a beneficio della società nel suo complesso (1990, p. 303). Studi recenti hanno, inoltre, evidenziato che sempre più spesso il capitale umano e, dunque, il capitale sociale rappresenta un’importante risorsa produttiva, in grado di facilitare attività molto spesso diverse come la realizzazione professionale individuale (Lin et al., 1981; Lin and Dumin, 1986; Marsden and Hurlbert, 1988) o lo sviluppo delle attività commerciali di un’impresa (Baker, 1990; Coleman, 1990; Burt, 1992). A livello accademico, il capitale sociale, è stato suddiviso in tre dimensioni (interazione sociale, affidabilità e visione condivisa), che influenzano, direttamente e indirettamente, lo scambio e la combinazione delle risorse socio- economiche. Il capitale sociale, inteso come interazione sociale, affidabilità e visione condivisa, sembra essere in linea con i presupposti di sostenibilità, trasparenza, condivisione e rispetto alla base del rapporto azienda- stakeholder e azienda- comunità civile su cui si fondano le principali politiche di Corporate Social Responsibility. È chiaro, quindi, come anche gli investimenti sociali facilitino l’acquisizione di un concreto vantaggio competitivo, concorrendo alla creazione di valore grazie allo sviluppo, alla valorizzazione e alla conservazione di relazioni sociali informali e di accordi sociali taciti, capaci di favorire lo scambio e la combinazione delle risorse produttive (Tsai and Ghoshal, 1998, p. 473).

1.5.4 L’influenza della CSR sui processi di creazione di valore condiviso (value