Parte I – Quadro teorico di riferimento 8
CAPITOLO 3 – La comunicazione di CSR 76
4.3 Il web 2.0 e i social media: un universo comunicativo non regolamentato
causa della fumosità della legislazione esistente e dell’evidente difficoltà di applicazione che caratterizza norme e regole spesso frammentarie e parziali, proprio perché espressione di culture e governi la cui giurisdizione è strettamente nazionale. Questo stato di cose ha generato e continua a generare una certa diffidenza tra le imprese, che necessitano, al contrario, di regole certe attraverso le quali tutelare e far rispettare diritti- doveri come la privacy, il diritto all’informazione, la veridicità delle informazioni pubblicate, il diritto d’autore e molto altro ancora. Nonostante le indubbie difficoltà, la comunicazione digitale presenta anche alcuni vantaggi, generalmente, legati alla natura stessa dei canali utilizzati e cioè: l’obbligo di conservazione dei dati, possibile in virtù del fatto che tutte le comunicazioni digitali sono automaticamente registrate. Da quanto affermato, emerge come il dibattito sulla regolamentazione del web sia tutt’altro che sopito, giacché continuano ad alternarsi le opinioni secondo cui sarebbe auspicabile che Internet restasse uno spazio completamente deregolamentato e libero e quelle che lo vorrebbero soggetto a una normativa specifica al pari di qualunque altro aspetto della vita quotidiana. I social media, così come l’insieme delle piattaforme digitali, sembrano essere difficilmente regolabili attraverso gli ormai “semplici” meccanismi di controllo applicati alla sicurezza informatica aziendale (es. firewall, black list, content filtering ecc.). Ciò è, in primo luogo, dovuto alla pervasività di questi canali e alla problematiche legate al rispetto della privacy che essi suscitano, a causa della grande concentrazione d’informazioni liberamente fruibili e delle applicazioni orientate alla libera interazione, utilizzo e condivisione di risorse, informazioni e applicazioni alla base dei principali social media (es. Facebook, Youtube, Twitter). I principali abusi derivanti dall’uso improprio dei social media sono:
• Il furto d’identità, uno dei reati più comuni, favorito anche dalla poca attenzione attribuita alla custodia delle credenziali di accesso (Id e password) a siti e piattaforme online;
• La diffamazione o l’adescamento, legata alla diffusione d’informazioni e notizie mendaci, nonché l’adescamento di minori e non;
• La violazione della privacy, legata al furto delle credenziali d’accesso o alla diffusione, senza il previo consenso del diretto interessato, di notizie, informazioni, immagini o filmati che lo riguardano;
• La violazione del diritto d’autore, reato molto comune legato all’appropriazione, alla diffusione, allo scambio e/o alla vendita di materiale sottoposto alla normativa che regola il diritto d’autore.
Da quanto affermato in precedenza si comprende come il d.lgs. 196/2003 (T.U. Privacy)55 sia molto importante anche nell’ambito delle reti sociali, nonostante il
principio su cui si basano queste piattaforme è quello secondo cui qualsiasi informazione si decida di condividere sia di fatto pubblica. Ciò è dovuto al fatto che, in fase d’iscrizione all’una o all’altra piattaforma, l’utente è tenuto a manifestare il proprio consenso preventivo alla diffusione e alla libera fruizione da parte degli utenti della rete delle informazioni e del materiale pubblicato, fatte salve alcune restrizioni previste dall’amministratore, come nel caso dei recenti cambiamenti introdotti, su base restrittiva, da Facebook in termini di privacy e di accessibilità delle risorse pubblicate. A fronte di quanto affermato, è chiaro che il consenso preventivo funge da limite intrinseco alle potenziali recriminazioni degli utenti alla libera circolazione e diffusione delle risorse pubblicate da ciascun utente.
Il rispetto della privacy e l’uso dei social media pone non solo problematiche di ordine puramente legislativo, ma anche questioni di “buon senso”, poiché un uso più accorto del mezzo eviterebbe di incorrere in potenziali abusi, come nel caso della diffusione d’immagini di minori, che possono essere liberamente visualizzate e riutilizzate, rischiando di diventare oggetto di siti a contenuti pedopornografico. Altra problematica particolarmente importante nell’ambito della Social Media Communication è data dalla tutela della libertà di espressione, così come indicato nell’art. 21 della Costituzione italiana, che rappresenta non solo uno dei capisaldi della comunicazione offline e online, ma anche uno di quelli che conta maggiori violazioni (Camillini, 2012). Queste violazioni sono, generalmente, legate al rispetto della reputazione altrui, poiché spesso gli utenti sembrano non tenere in debita considerazione il fatto che esprimere giudizi eccessivi, possa sfociare nel reato di diffamazione. In sintesi, la libertà d’espressione è regolamentata sia offline, che online dalla sentenza del 1986 della Suprema Corte, conosciuta anche come “decalogo del giornalista”, che definisce i capisaldi in materia d’informazione, libera espressione e
55 Il D.Lgs 196/2003 “Codice in materia di protezione dei dati personali” o il Testo Unico sulla Privacy richiede a chiunque debba trattare dati personali di adottare delle misure minime di sicurezza e di redigere ogni anno entro il 31 di marzo il “DPS: documento programmatico sulla sicurezza”, secondo le indicazioni riportate nell’All. B al D.lgs 196/2003. I dati oggetto del D.lgs 196/2003 sono: i dati personali (qualunque informazione riferita a persona fisica, giuridica, ente o associazione, identificati o identificabili anche indirettamente) e i dati sensibili (ogni informazione su origine razziale, convinzioni religiose, filosofiche, politiche, adesioni a partiti, sindacati o gruppi di qualunque genere, stato di salute, vita sessuale).
circolazione dell’informazione: verità della notizia, continenza nell’esposizione, interesse del pubblico alla notizia. Da quanto affermato in precedenza si deduce che la maggior parte degli utenti considera ancora il web e i social media una sorta di “far west” privo di leggi e regolamenti, nonostante sempre più spesso gli organi competenti siano chiamati a far rispettare le leggi nazionali e internazionali vigenti, cosa che permettere di comprendere come anche il “mondo” virtuale presenti incognite e rischi non solo per gli utenti, ma anche per le aziende, esposte a due categorie principali di rischi: 1) Rischi derivanti dall’uso inconsapevole che le aziende fanno dei social media, rispetto ai quali non hanno individuato linee guida e processi di coordinamento condivisi e utilizzati dal management e/o dai singoli operatori aziendali; 2) Rischi derivanti dalla mancata gestione e controllo dei social media da parte dell’azienda, che si espone così alle minacce e/o agli attacchi di soggetti terzi più o meno pericolosi, che vanno dai semplici utenti interessati alla diffamazione dell’azienda e del personale, fino ad azioni più o meno significative di hackeraggio. Recentemente, si è affermato un modello di Social Media Security Governance, fondato su:
• L’individuazione degli obiettivi e delle finalità aziendali, possibile definendo strategie e volte anche all’individuazione dei profili di rischio derivanti da un uso improprio di questi strumenti.
• La gestione della sicurezza delle informazioni basata su misure restrittive, di protezione e verifica periodica dell’efficacia.
• La definizione delle responsabilità interne per il coordinamento della presenza aziendale sui social media e la gestione dei flussi comunicativi e decisionali interni, finalizzati ad un approccio coerente con gli obiettivi fase strategici. • La tutela dell’immagine aziendale, possibile grazie al monitoraggio della
percezione e/o del “sentiment” generato online dall’azienda (Social Media Reputation).
• La definizione e la diffusione di policy che rimandano a un uso consapevole e responsabile di questi strumenti, diffuse anche grazie a processi di formazione e informazione interna.
Dopo aver trattato in linea generale le problematiche etico- legali che caratterizzano il mondo dei social media, non possono essere tralasciate le implicazioni che legano la Pubblica Amministrazione al mondo delle reti sociali. Sebbene il sistema normativo vigente non preveda alcun obbligo in merito, il Ministero della Pubblica Amministrazione e dell’Innovazione ha, spesso, auspicato la loro apertura all’uso dei social media per migliorare e semplificare la comunicazione al cittadino. Il rapporto Pubblica Amministrazione- social media non è al momento regolamentato in maniera precisa e circostanziata, ma a tal proposito si fa riferimento alle leggi applicate al Web 2.0, ovvero: Legge 633/1941 (tutela del copyright); Legge 150/2000 (regolamentazione della comunicazione da parte della PA); D. Lgs. 196/2003 o legge sulla privacy; Legge
4/2004 o Legge Stanca (incentivo all’uso di strumenti informatici da parte di soggetti
disabili); D. Lgs. 82/2005 o codice dell’Amministrazione Digitale; D. Lgs. 163/2006 (regolamentazione dei contratti pubblici in materia di servizi e forniture).