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Le contraddizioni della Corte di Cassazione dal 2009 in avanti.

ASPETTI SOSTANZIALI, PROCEDURALI E PROCESSUALI DELLA SOLIDARIETA’ TRIBUTARIA.

3.6 Le contraddizioni della Corte di Cassazione dal 2009 in avanti.

La terza ed ultima fase comprende il periodo attuale caratterizzato da una rilevante

incertezza interpretativa dovuta al contraddittorio atteggiamento della Cassazione la

quale ha espresso entrambi gli orientamenti sopracitati, antitetici tra loro.

Le due decisioni della Suprema Corte risalgono al 2009, due arresti deliberati in giorni

diversi ma depositati lo stesso giorno e sotto la stessa presidenza con la particolarità di

aver risolto la stessa questione della giurisdizione in materia di liti tra sostituto e

sostituito con soluzioni radicalmente opposte.

In particolare, con la sentenza n. 15031, deliberata in data 28 aprile 2009, la Corte di

Cassazione a sezioni unite, ispirandosi all’orientamento giurisprudenziale degli anni’80, riconosce la giurisdizione ordinaria in materia di controversie tra sostituto e

sostituito relativa all’esercizio del diritto di rivalsa delle ritenute operate dal sostituto,

volontariamente o coattivamente, in quanto l’oggetto della causa rientra nell’ambito

di un rapporto privatistico, dunque oggetto di conoscenza e giudizio da parte del giudice ordinario potendo quest’ultimo definire incidenter tantum la questione relativa

alla legittimità della ritenuta.

Nel caso di specie viene eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario adito

in quanto considerato incompetente a decidere la questione relativa alla legittimità della ritenuta operata dal sostituto d’imposta.

La Corte riconosce la legittimità della stessa considerando che, secondo quanto

disposto dalle norme sulla sostituzione, non è possibile identificare il sostituto d’imposta come tale esclusivamente sulla base della sussistenza o meno di un rapporto

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giuridicamente qualificabile con il sostituito potendo, invece, considerare tale colui

che eroga somme oggetto di imposizione, dunque oggetto di ritenuta.

La Suprema Corte evidenzia come, in tali ipotesi, qualora la controversia in questione

fosse erroneamente devoluta alla giurisdizione del giudice tributario, questi si limiterebbe a prendere atto della inammissibilità dell’azione per carenza dell’atto

impugnabile negando, dunque, la tutela giudiziaria richiesta.

Inoltre, in caso di contemporanea pendenza del processo tra sostituto e sostituito,

dinanzi al giudice ordinario, e tra il sostituito e il Fisco, dinanzi al giudice tributario,

relativamente ad un provvedimento rilevante nei rapporti tra privati, la Corte ha

ritenuto che la questione della legittimità della ritenuta possa essere definita incidenter

tantum dal giudice ordinario, salvo che questi disponga la sospensione del processo ex

art 295 c.p.c.160

In particolare, nella sentenza in questione la Corte enuncia due principi sulla base dei

quali riconosce la giurisdizione ordinaria piuttosto che tributaria.

In primo luogo, le sezioni unite attribuiscono natura privatistica al diritto di rivalsa

osservando che il fatto che tale diritto sia previsto da una norma tributaria non

determina il mutamento del rapporto tra i soggetti in questione, dunque tra soggetti privati, in un rapporto di tipo pubblicistico in quanto l’interesse che muove l’azione

del sostituto o sostituito che agisce in rivalsa ha ad oggetto un’obbligazione pecuniaria,

dunque un interesse di carattere privato connesso all’esercizio del diritto di rivalsa, al contrario di un rapporto pubblicistico il quale, invece, implica l’esercizio di una pretesa

impositiva.

160 Ai sensi dell’art. 295 c.p.c. il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli o

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Infatti, è solo in presenza di un “contrasto rispetto ad una concreta e autoritativa pretesa

impositiva” che si configura una lite di carattere fiscale.

In altri termini, nel caso di specie la Corte riconosce la giurisdizione ordinaria in

quanto considera la lite fra sostituto e sostituito una causa avente ad oggetto l’adempimento di un’obbligazione tra privati con la peculiarità che, attraverso

l’interpretazione e applicazione di una norma di contenuto fiscale, sarà valutata la

legittimità dell’an e del quantum del petitum.

Questo perché oggetto della lite è il corretto esercizio del diritto di rivalsa nell’ambito

di un rapporto privatistico, dunque di competenza del giudice ordinario piuttosto che

tributario.

In secondo luogo, la Suprema Corte ritiene che nelle liti tra sostituto e sostituito manchino i presupposti per l’accesso alla giurisdizione del giudice tributario poiché

nella controversia in questione “manca l’atto impositivo, manca una domanda

giudiziaria rivolta nei confronti di un ente dotato di sovranità fiscale, manca, infine, la contestazione di un atto che sia espressione di tale potestas”.

Da ultimo, dunque, la Suprema Corte ha ritenuto impossibile il superamento della

struttura impugnatoria del processo considerando che la mancanza di un atto che sia espressione dell’esercizio del potere impositivo esercitato nei confronti dei

contribuenti lascia spazio alla giurisdizione del giudice ordinario.

Nel caso contrario si assisterebbe ad una trasformazione del giudice tributario, in

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impositivi, in un giudice dei tributi a competenza generalizzata per materia violando,

dunque, il dettato costituzionale.161

Dunque, sulla base dei principi enunciati e le conclusioni elaborate, resta ferma la

giurisdizione del giudice ordinario.

Quanto fin ora detto non ha trovato conferma in quella che è stata la seconda sentenza emanata dalla stessa Cassazione a distanza di pochi giorni dall’emanazione della

sentenza fino ad ora analizzata.

Infatti, con la sentenza n. 15047 deliberata il 12 maggio 2009, la Corte di Cassazione

si è pronunciata sulla questione attinente alla giurisdizione nel caso di rivalsa

successiva esercitata dal sostituto il quale erroneamente non aveva operato la ritenuta.

Conformemente ai precedenti caratterizzanti il periodo sopra analizzato, la Suprema

Corte ha nuovamente affermato il principio di diritto secondo cui “l’indagine sulla

legittimità della ritenuta non integra una mera questione pregiudiziale, suscettibile di

essere delibata incidentalmente bensì una causa tributaria avente carattere

pregiudiziale, la quale deve essere definita, con effetto di giudicato sostanziale, dal

giudice cui la relativa cognizione spetta per ragioni di materia, in litisconsorzio necessario anche dell’Amministrazione Finanziaria.”

La Corte esprime tale orientamento basandosi su alcune considerazioni, di natura

giuridica ma anche riferite a ragioni di opportunità.

In primo luogo, viene evidenziato il carattere fiscale del titolo della ritenuta con la

conseguenza di qualificare la relativa controversia in termini di causa pregiudiziale da

161 Si veda nota a sentenza di P. STIZZA, “La giurisdizione nelle liti tra sostituto e sostituito nella

giurisprudenza della Corte di Cassazione” in Dir. E Prat. Trib., 2010, 4, 10683. Cfr. I. PINI, “La giurisdizione sulla c.d. rivalsa successiva e su altre liti tra sostituto e sostituito” in Rass. Trib. 2013,6, 1330.

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decidere con effetto di giudicato sostanziale tra i soggetti privati coinvolti e l’Amministrazione Finanziaria dal giudice competente per materia.

In secondo luogo, vengono evidenziate delle ragioni di opportunità finalizzate ad

evitare un rischio per il sostituto rappresentato dal pagamento della stessa somma per

due volte a causa di due diverse pronunce provenienti da giudici diversi.

Inoltre, rispetto al precedente orientamento della stessa Corte, perdono rilevanza le

obiezioni precedentemente avanzate relative all’assenza dell’Amministrazione

Finanziaria e ad un suo atto del quale viene contestata la sua legittimità.

Essi, infatti, non sono ritenuti determinanti per devolvere la controversia alla

giurisdizione del giudice ordinario; in primo luogo, in ragione del fatto che è la

controversia relativa alla legittimità della ritenuta fiscale ad integrare la lite tributaria piuttosto che il fatto che la stessa lite sia sorta in seguito o meno ad un’iniziativa

dell’Amministrazione Finanziaria; in secondo luogo, l’accesso alla giurisdizione

tributaria non è impedito dal principio di tassatività derivante dall’elencazione degli

atti oggetto dell’art.19 del d.lgs. n.546 del 1992 in quanto è proprio tale norma che

prevede la possibilità di ricorrere alle Commissioni tributarie attraverso il rifiuto

espresso o tacito della restituzione dei tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri

accessori non dovuti.

Sulla base di tali considerazioni, secondo il nuovo orientamento della Corte di

Cassazione espresso nella sentenza in esame, relativamente alla restituzione delle

somme indebitamente trattenute, così come è prevista per il sostituito la possibilità di proporre una domanda di rimborso nei confronti del sostituto e dell’Amministrazione

Finanziaria in veste di litisconsorte necessario davanti al giudice tributario, allo stesso modo è prevista la possibilità per il sostituto d’imposta, qualora non abbia effettuato

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la rivalsa nei confronti del sostituito, di ottenere la restituzione delle ritenute versate

al Fisco proponendo ricorso davanti al giudice tributario.

Dunque, la Suprema Corte ritiene di devolvere la controversia in questione alla

giurisdizione del giudice tributario al fine di evitare giudizi contrastanti tra loro

partendo dal presupposto che il thema decidemndum sia relativo alla sussistenza e

quantificazione della ritenuta fiscale.

Con riferimento alla sentenza riportata, è ritenuto condivisibile quanto statuito dalla

Corte di Cassazione qualificando, al contrario, erroneo il punto di partenza delle

ricostruzioni dottrinali e giurisprudenziali favorevoli alla devoluzione delle

controversie tra sostituto e sostituito alla giurisdizione del giudice ordinario ossia il

fatto che, se il diritto di rivalsa è fondato, non vie è ragione per rivolgersi al Fisco.

Tale deduzione deriva dalla considerazione che, presumendo la legittimità della

ritenuta versata al Fisco, il diritto di rivalsa deve essere esercitato nei confronti del

sostituto e non nei confronti del Fisco. Al contrario, in caso di rivalsa non fondata, sarà possibile recuperare l’importo presso il Fisco attraverso un’istanza di rimborso.

Tale sillogismo non è ritenuto condivisibile nella misura in cui non è dato di sapere la

correttezza insita nella fondatezza del diritto di rivalsa dal quale derivano dubbi

relativamente all’individuazione del debitore di tali somme.

In altri termini, l’esercizio del diritto di rivalsa in sede civilistica potrebbe risultare

infruttuoso nel momento in cui il giudice ordinario, contrariamente al giudice

tributario, potrebbe valutare negativamente la correttezza della ritenuta, dunque

pregiudicherebbe il diritto del sostituto ad ottenere la restituzione di quanto versato al Fisco, qualora il giudice tributario, nel successivo giudizio contro l’Amministrazione

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Dunque, una simile situazione sarebbe generata dal fatto che il giudice ordinario non

ha ritenuto imponibili le somme in questione.

Al fine di evitare tali circostanze, l’unico giudice che potrà decidere della correttezza

della rivalsa è il giudice tributario e non il giudice ordinario, con la necessità di un giudizio che si formi nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria la quale, nel caso

in cui la rivalsa fosse fondata, non dovrebbe restituire nulla ma la sentenza costituirà

titolo esecutivo per il sostituto nei confronti del sostituito; al contrario, in caso di

rivalsa infondata, sarebbe prevista per il Fisco una condanna alla restituzione delle

somme versate dal sostituto senza alcuna conseguenza per il sostituito.

Contrariamente, qualora la controversia in questione fosse devoluta al giudice

tributario, si prospetterebbe la circostanza nella quale il sostituto potrebbe ricevere due

volte la somma oggetto di ritenuta, dal sostituito nel giudizio ordinario e dal Fisco attraverso l’istanza di rimborso ex art. 38 del d.p.r. n.602 del 1973.

Una conseguenza è rappresentata dalla possibilità per il sostituito di intervenire ad

excludendum nel giudizio tributario in veste di unico soggetto destinatario del

rimborso della ritenuta e l’eventualità che il giudizio tributario termini prima del

giudizio ordinario rappresenta per il sostituto la possibilità di munirsi di un titolo per

ricevere dal Fisco la somma versata sul presupposto che la ritenuta non andava

effettuata e, nel giudizio ordinario, dal sostituito sul presupposto che la ritenuta andava

effettuata.

Dunque, a seconda delle circostanze il sostituto d’imposta si configurerebbe come il

soggetto su cui ricadrebbe illegittimamente per due volte l’onere tributario della

ritenuta e il diritto alla relativa restituzione per due volte da parte di due soggetti

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Tale circostanza porterebbe alla sospensione del giudizio ordinario in attesa di quello

tributario senza tralasciare il fatto che la sussistenza di giudicati tra loro contrastanti

non è ritenuta un problema dirimente ai fini della determinazione della giurisdizione.

Questo perché, anche in caso di infondatezza della rivalsa, sarebbe comunque

necessario che il sostituito fosse litisconsorte necessario nel giudizio tributario e,

qualora la ritenuta fosse fondata, il sostituto avrebbe un titolo esecutivo per agire nei

confronti del sostituito.

Inoltre, quanto alla sentenza con la quale la Corte di cassazione si è espressa in termini

favorevoli alla giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie relative alle ritenute, un’obbiezione attiene all’inciso secondo cui “Quanto al rischio di giudicati

logicamente contraddittori, si tratta di un inconveniente che può sempre verificarsi e

non di una ragione dirimente” nella parte in cui essa qualifica il carico tributario

ricadente sul sostituto, a causa di giudicati tra loro contrastanti e attraverso il gioco

delle rivalse e del regresso, in termini di semplice inconveniente.

Allo stesso tempo si evidenzia come un problema di c.d. sentenza ingiusta potrebbe derivare anche dalla stessa giurisdizione tributaria e dall’impossibilità di valutare

diversamente la stessa questione.

In altri termini, potrebbe verificarsi la situazione nella quale il giudice tributario

erroneamente individui delle somme che hanno natura reddituale e, di conseguenza,

imponga al sostituito il pagamento delle relative imposte unitamente alle ritenute che

devono essere operate dal sostituto.

Tuttavia, in simili circostanze si ritiene preferibile il rischio di una sentenza ingiusta

piuttosto che la possibilità di un soggetto tenuto a pagare per una capacità contributiva

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soggetto cui è effettivamente imputabile in quanto si ritiene che la riflessione sul problema della sentenza ingiusta culmini nell’inconsistenza dello stesso in ragione del

fatto che l’unico mezzo per poter stabilire se una sentenza sia giusta o meno altro non

è che una nuova sentenza avente ad oggetto la stessa lite.

Infine si ritiene opportuno preferire, in sede di studio e interpretazione di un dato normativo che risulti carente, un’interpretazione che rafforzi il riferimento al principio

di capacità contributiva al fine di evitare imbarazzanti pronunce come quella in esame

posto che, in ambito tributario, una c.d. legge giusta implica la conformità dello stesso

sistema tributario al principio di capacità contributiva. 162

Alla luce di quanto riportato fin ora, è possibile confermare il carattere tortuoso e incoerente caratterizzante il percorso compiuto dalla Corte di Cassazione nell’arco

temporale relativo agli anni 1988-2009; percorso culminato in una forte incertezza

interpretativa, come precedentemente affermato.

Facendo riferimento al periodo posteriore le due pronunce da ultimo analizzate,

purtroppo non è possibile individuare un atteggiamento chiaro e definito da parte della

stessa Cassazione la quale ha nuovamente affrontato la questione della giurisdizione

delle liti fra sostituto e sostituito accogliendo alternativamente i principi in precedenza

riportati e, ovviamente, contrastanti tra di loro.

Alla luce di tali circostanze, la questione relativa alla giurisdizione viene considerata

un problema ancora irrisolto, dunque una questione ancora aperta con forti dubbi circa l’eventualità che l’orientamento giurisprudenziale da ultimo riportato trovi conferma

nella successiva giurisprudenza o se, al contrario, si assisterà a nuovi e ulteriori

162 Per ulteriori approfondimenti si veda la nota a sentenza di P. STIZZA, “La giurisdizione nelle liti tra

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mutamenti con conseguenti effetti negativi sul concetto di certezza del diritto nonché

sul ruolo e sulla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione. 163