GLI OBBLIGHI DEL SOSTITUTO
2.13 L’azione di rimborso per ritenute indebitamente operate.
Un aspetto strettamente legato al meccanismo della riscossione, con particolare
riferimento alle ritenute e ai versamenti, è rappresentato dalla restituzione di somme
precedentemente sottoposte a tassazione al soggetto erogatore.
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Con riferimento al fenomeno della sostituzione tributaria, si riporta l’ipotesi nella
quale il sostituto d’imposta corrisponda al sostituito un trattamento retributivo al netto
delle ritenute fiscali operate e, in seguito a svariate cause successive alla
corresponsione, sorga in capo al contribuente un obbligo di restituzione a favore del
sostituto; ipotesi riscontrabile nel contenzioso del lavoro.
Dunque, si pone un problema di recupero delle ritenute precedentemente operate
qualora venga meno il relativo presupposto dato che, in simili circostanze, non è ammesso che le somme in questione restino nelle casse dell’Erario.
Dunque, è importante che le modalità di recupero delle ritenute operate dal sostituto d’imposta, messe a disposizione delle stesse parti coinvolte nell’attuazione del tributo,
siano idonee a garantire un prelievo tributario coerente con quanto previsto dal
principio costituzionale relativo alla capacità contributiva finalizzato, appunto, alla
determinazione di un concorso alle spese pubbliche da parte dei soggetti che concretamente realizzano il presupposto d’imposta e non anche soggetti diversi da
questi ultimi.
La questione relativa alla restituzione di somme precedentemente sottoposte a tassazione, con riferimento alla sostituzione d’imposta, si interseca inevitabilmente
con la tematica del rimborso tributario.
Relativamente all’istituto in questione, è riconosciuta nel diritto tributario l’operatività
del principio della ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c. il quale consente, dunque,
l’individuazione di un indebito di carattere fiscale.
Ponendo l’attenzione sugli strumenti che il Legislatore tributario fornisce ai fini
dell’ottenimento di una ripetizione dell’indebito, essi sono rappresentati dall’art.38
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l’istanza di rimborso di versamenti diretti e la domanda di restituzione; entrambi
integrati sulla base di determinati presupposti ed esperibili entro precisi determini di
decadenza.
Gli strumenti in questione sono, inoltre, finalizzati alla realizzazione di una giusta
imposizione in ossequio, appunto, del principio di capacità contributiva.
Partendo dal presupposto che, in simili circostanze, sia individuato un obbligo del
contribuente alla restituzione delle somme in questione al soggetto erogatore,
soluzioni differenti potrebbero essere individuate a seconda che sia stata operata una
ritenuta a titolo d’ imposta oppure una ritenuta a titolo d’acconto.
In effetti, il presupposto che, nell’ambito di una ritenuta propria o operata a titolo
d’imposta, l’unico rapporto che rileva ai fini del meccanismo impositivo è quello tra
sostituto d’imposta e fisco, porta a dedurre che, nella circostanza della restituzione di
somme precedentemente sottoposte a tassazione, l’unico soggetto legittimato ad agire
per il recupero delle stesse è il sostituto-erogatore.
Di conseguenza, una diversa situazione si prospetterebbe relativamente alla ritenuta operata a titolo d’acconto la quale, come in precedenza evidenziato, comporta un
coinvolgimento del sostituito-contribuente ai fini del completamento della tassazione.
Il Legislatore tributario assume una posizione favorevole al coinvolgimento del
contribuente attraverso le disposizioni sugli oneri deducibili87 poiché prevede che lo stesso contribuente che ha subito una ritenuta a titolo d’acconto debba restituire
l’importo in questione al lordo della ritenuta subita potendo, in seguito, scomputare il
medesimo ammontare dal reddito imponibile complessivo.
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Importante è stata anche la posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate la quale ha
riconosciuto l’onere di cui all’art. 10 Tuir direttamente al sostituto d’imposta sulla base
di quanto previsto dalle disposizioni relative alla determinazione del reddito di lavoro
dipendente.88
Dunque relativamente alla questione della restituzione, la soluzione sarebbe rappresentata proprio dall’art. 10 Tuir89 per effetto del quale il sostituito restituirebbe
al sostituto l’importo al lordo delle ritenute subite potendo, in un secondo momento,
beneficiare dello scomputo della medesima somma dal reddito complessivo.
L’analisi della questione prosegue ponendo l’attenzione sul rimborso che il sostituto
d’imposta potrebbe ottenere da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
Con riferimento agli strumenti finalizzati al rimborso precedentemente citati, in particolar modo al primo di essi ossia l’art. 38 D.P.R. n.602/1973, tuttavia, è possibile
notare che il termine di decadenza di “48 mesi” decorrenti dal versamento da esso
previsto, non è in grado di fornire una degna tutela al sostituto qualora si prenda in
considerazione la circostanza del contenzioso civile il quale ha sicuramente una durata
superiore ai 48 mesi e dal cui esito dipendono purtroppo anche le vicende delle
ritenute.
L’aspetto che si tende a sottolineare è relativo al fatto che un’eventuale indebito del
pagamento dovuto dal sostituto, risulterebbe solo all’esito dello stesso contenzioso
civile ossia al passaggio in giudicato della sentenza; fino a quel momento il sostituto
nulla potrebbe fare se non coltivare il contenzioso per poi ottenere la restituzione delle
somme.
88 Art. 51, comma 2, let.h) TUIR; si veda anche Risoluzione n. 71/2008, Agenzia delle Entrate
consultabile sul sito www.agenziadelleentrate.gov.it alla voce “Documentazione- Normativa e prassi”.
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Sulla base di queste riflessioni, dunque, si prospetta un vuoto di tutela per il sostituto d’imposta provocato proprio dalla disposizione in questione.
A tal proposito, è importante riportare un’ulteriore questione relativa alla norma
oggetto dell’analisi la quale rappresenta, come fin ora illustrato, la possibilità di
presentare un’istanza di rimborso di pagamenti di imposte non dovute dal contribuente
il quale è spesso indotto in errore a causa della complessità della materia tributaria
oppure a causa della continua mutazione delle relative disposizioni di legge.
La questione sorta in passato è rappresentata dalla determinazione della data di decorrenza del termine decadenziale di 48 mesi per la presentazione dell’istanza di
rimborso dei versamenti in acconto erroneamente eseguiti.
Tale tematica ha portato i Supremi Giudici ad intervenire stabilendo una diversa
decorrenza del termine di decadenza distinguendo i versamenti in acconto i quali, già all’atto della loro effettuazione, risultino parzialmente o totalmente non dovuti dalle
eccedenze degli stessi importi anticipatamente corrisposti rispetto all’ammontare del
tributo il quale risulti dovuto al momento del saldo oppure in seguito ad una successiva determinazione dell’an e del quantum dell’obbligazione fiscale.
Nel primo caso, la Suprema Corte ha stabilito che il termine in questione decorre dal giorno dei singoli versamenti in acconto poiché “in questa ipotesi l’interesse e la
possibilità di richiedere il rimborso sussistono sin da tale momento”.90
Nel secondo caso, invece, i Supremi Giudici hanno affermato che il termine di decadenza decorre dal versamento del saldo relativo all’imposta in questione.
Con particolare riferimento al caso di specie sul quale si è pronunciata la Cassazione,
trattandosi di versamenti in acconto totalmente non dovuti dal contribuente già al
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momento della loro esecuzione, per l’assenza del presupposto impositivo, la Corte ha
considerato la decorrenza dei 48 mesi per la presentazione della domanda di rimborso
stabilita nei giorni in cui sono stati effettuati quegli stessi pagamenti non dovuti.
Potendo, a questo punto, ricondurre il caso di specie ad un pagamento di acconto non
dovuto, è possibile notare come essi possano verificarsi allorquando i presupposti dell’imposizione siano, al momento del versamento, insussistenti sin dall’origine
oppure per intervenuta modificazione della causa del rapporto tributario il quale viene
meno in seguito al pagamento degli stessi acconti rendendo, di conseguenza, il relativo
saldo un indebito oggettivo ex art. 2033 c.c.91
È di facile deduzione che le due situazioni in questione divergono tra di loro
relativamente al dies a quo da cui decorrono i 48 mesi per la presentazione della
domanda di rimborso potendo individuare, nel caso di versamento non dovuto fin dall’origine, una coincidenza con la data di effettuazione del versamento mentre, nel
caso di acconti successivamente non dovuti, il termine decorre dalla data del relativo
saldo.
Sul tema si è espressa anche l’Amministrazione Finanziaria, in particolare, con la
risoluzione n. 459/E del 2 ottobre 2008, l’Agenzia delle Entrate ha riportato il principio
ormai consolidato in giurisprudenza92 secondo cui la data rilevante sarebbe quella del saldo e, a tal proposito, ha affermato che detto termine si riferirebbe “ai casi di
eccedenze di versamenti in acconto o di pagamenti aventi carattere di provvisorietà,
91 Tale norma stabilisce che “Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che
ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda”.
92 Nella stessa risoluzione sono indicate le sentenze della Corte di Cassazione: Cass. n. 8199 del 17
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cui non corrisponda successivamente la determinazione di quello stesso obbligo in via definitiva.”
Quanto all’acconto d’imposta, in tali casi, è da ritenersi “versato in forza di un titolo
ancora precario e provvisorio” con la chiara conseguenza che il contribuente potrà
avere una consapevolezza dell’esatto importo da pagare solo al momento di chiusura
del periodo d’imposta.
Qualora si trattasse, invece, di un’obbligazione tributaria inesistente sin dal momento
del versamento, il termine entro cui va proposta l’istanza di rimborso decorre dalla
data del versamento stesso.
Una conclusione alla quale è giunta la stessa Amministrazione Finanziaria è quella secondo la quale “al fine di individuare il dies a quo da cui inizia a decorrere il termine
previsto a pena di decadenza per presentare istanza di rimborso occorre stabilire se l’obbligazione tributaria esisteva o meno al momento del pagamento.”
Ne deriva che, in caso di pagamento effettuato in totale assenza di presupposto, è dalla
data dello stesso pagamento che inizia a decorrere il termine di decadenza, mentre è possibile far riferimento al momento del versamento del saldo nel caso in cui l’oggetto
della richiesta di restituzione siano le eccedenze di versamenti in acconto o di
pagamenti a carattere provvisorio cui non corrisponde, ovviamente, la determinazione
in via definitiva di quello stesso obbligo.
Sulla base dell’orientamento espresso dalla Suprema Corte nonché della posizione
espressa dal Fisco sul tema in questione, è possibile conclusivamente dedurre che entrambi sono concordi nell’individuare la decorrenza dei 48 mesi per la presentazione
dell’istanza di rimborso dei versamenti diretti effettuati ma non dovuti, per i saldi, dal
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solo in caso di pagamento non dovuto ab origine altrimenti, anche in questo caso, dal
giorno del relativo saldo.93
Procedendo con l’analisi del secondo strumento rappresentato dalla domanda di
restituzione,94 la disposizione in questione, al fine di ritrovare una forma di tutela per
il sostituto d’imposta coinvolto in simili circostanze, assume rilevanza poiché prevede
che la domanda di restituzione “non può essere presentata dopo due anni dal
pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”; dunque, fornisce un’alternativa la quale prescinde dal pagamento/
versamento delle ritenute.
Importante è anche il riferimento alla rilevanza assunta dal passaggio in giudicato della
sentenza di condanna alla restituzione delle somme indebitamente percepite, qualora non si volesse considerare applicabile l’art. 21 citato.95
Dunque, alla luce delle riflessioni riportate, l’unica soluzione prospettabile per il
sostituto d’imposta che si trovi nella circostanza di dover ottenere la restituzione, da
parte dell’erario, di somme indebitamente pagate a favore di quest’ultimo è
rappresentato proprio dall’art. 21 D. Lgs. n. 546/1992 considerato come norma in
grado di garantire il rispetto dei principi e valori costituzionali precedentemente citati.
In conclusione, volendo alternativamente individuare il dies a quo nel momento del
pagamento/versamento del tributo, si prospetterebbero due circostanze.
In primo luogo, il sostituto d’imposta sarebbe costretto, in seguito ad ogni ritenuta operata, a cautelarsi attraverso un’istanza di rimborso generando un eccessivo carico
93 Per maggiori informazioni a riguardo si veda A. BORGOGLIO, Cass., sent. n. 21528 del 9 ottobre 2009
– Istanza di rimborso e termini di decadenza in Fisco, 2009, 43 – parte 2, 7187.
94 Art. 21, comma 2, D. Lgs. n. 546/1992.
95 Si veda Circ. 4 maggio 2010 N. 23/E, Agenzia delle Entrate consultabile sul sito
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per l’Agenzia la quale sarebbe sommersa di istanze cautelative, peraltro, inammissibili
non potendo ancora individuare un indebito da ripetere.
In secondo luogo, il contribuente, nonostante, dal canto suo, abbia assunto una condotta corretta e trasparente nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria, si
ritroverebbe a subire un carico economico non dovuto. 96