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Lite fra sostituto e sostituito: la giurisdizione del giudice tributario.

ASPETTI SOSTANZIALI, PROCEDURALI E PROCESSUALI DELLA SOLIDARIETA’ TRIBUTARIA.

3.5 Lite fra sostituto e sostituito: la giurisdizione del giudice tributario.

Le questioni nascenti dalla sostituzione d’imposta analizzate fin ora non esauriscono

il quadro delle vicende che coinvolgono il sostituto d’imposta e il sostituito, in

particolar modo relativamente all’aspetto processuale.

È proprio relativamente al rapporto tra sostituto e sostituito e tra costoro e l’Amministrazione Finanziaria, rapporto che entra in crisi nel momento in cui il

sostituito contesti in tutto o in parte l’applicabilità della ritenuta, che è necessario

affrontare la questione relativa all’individuazione del giudice investito del potere di

decidere le controversie coinvolgenti i soggetti in questione, tema da sempre

fortemente dibattuto in dottrina e giurisprudenza.

Il percorso giurisprudenziale relativo alla tematica in questione si presenta tortuoso e

incoerente nonché caratterizzato da pronunce tra loro contrastanti.

Al fine di semplificare la comprensione dei mutamenti che hanno caratterizzato negli anni l’orientamento della Corte di Cassazione, è opportuno individuare tre diversi

periodi temporali.

I primi due periodi sono caratterizzati da orientamenti giurisprudenziali tra loro

contrastanti, seguiti, infine, da un terzo periodo di incertezza interpretativa poiché

contempla entrambe le posizioni tra loro antitetiche generando, di conseguenza, forti

perplessità tra gli operatori del diritto.

Una prima fase è caratterizzata da un orientamento della Corte di Cassazione secondo

il quale era individuata la competenza di giudici diversi relativamente alle liti di

~ 127 ~

In termini più specifici, la Suprema Corte distingueva le liti in tema di rimborso della

ritenuta precedentemente versata, istaurate a seguito del rifiuto espresso o tacito opposto dall’Amministrazione Finanziaria al sostituto o al sostituito, riservate alle

commissioni tributarie, dalle liti sorte tra sostituto e sostituito concernenti i relativi

rapporti negoziali, aventi ad oggetto la legittimità della rivalsa esercitata dal primo e

la sua eventuale condanna alla restituzione dell’indebito, attribuite al giudice ordinario.

In effetti, se per le controversie nelle quali è parte il Fisco non è contestabile la natura di lite d’imposta con la conseguente competenza delle commissioni tributarie, nel caso

di lite fra sostituto e sostituito, priva di atti impugnabili, si tende ad attribuire alla

controversia una natura di diritto privato sottoponibile, dunque, alla giurisdizione

ordinaria.147

Infatti, è possibile notare come la prima tipologia di lite sia caratterizzata dall’Amministrazione Finanziaria come unico contraddittore, motivo per cui la

controversia era devoluta alla giurisdizione speciale delle commissioni tributarie.

Viceversa, la seconda tipologia di lite riguardava il rapporto di credito generato dalla

ritenuta operata dal sostituto sul reddito del sostituito ed era devoluta al giudice

competente a conoscere tale rapporto ossia il giudice ordinario.

Relativamente all’ultima tipologie di lite, la Cassazione a sezioni unite si è

prevalentemente espressa nel senso di riconoscere la cognizione del giudice ordinario piuttosto che tributario qualora l’azione di adempimento promossa dal sostituito nei

confronti del sostituto riguardi l’esclusiva legittimità delle ritenute operate dallo stesso

senza alcun tipo di riferimento nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria in

quanto rappresenta una lite che investe le posizioni creditorie e debitorie dei soggetti

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coinvolti piuttosto che il rapporto d’imposta, salva la facoltà dell’uno e dell’altro di

insorgere davanti alle commissioni tributarie “contestando la debenza dell’imposta avverso gli eventuali atti dell’Amministrazione Finanziaria”.148

Alla luce di tale ricostruzione è possibile evidenziare un’impostazione di fondo circa

la natura privatistica del rapporto di rivalsa tra sostituto e sostituito dal quale scaturisce

una controversia devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario in quanto oggetto

principale della causa è il credito di lavoro.

Dunque, la lite in questione non ha nulla di tributario in quanto il sostituito chiede un provvedimento di condanna all’adempimento integrale dell’obbligazione negoziale e

non introduce una controversia tributaria sull’obbligo di ritenuta. La domanda si fonda

su una ragione sostanziale rappresentata dalla lesione di un diritto soggettivo preesistente l’esecuzione della ritenuta.

La circostanza poi che nell’atto introduttivo sia richiesto l’accertamento sulla

determinazione del debito d’imposta, non determina la mutazione del petitum ossia la

prestazione contrattuale né della causa petendi, di conseguenza non generava neanche

un mutamento di giurisdizione.

Tali deduzioni potrebbero portare a ritenere le due azioni, civilistica e di rimborso,

alternative tra di loro nel senso di affermare che se il sostituito avesse agito contro il

Fisco, non avrebbe potuto agire contro il sostituto e viceversa.

In realtà non vi è alcuna base normativa sulla base della quale poter ritenere le due

azioni effettivamente alternative tra di loro, di conseguenza il sostituito potrebbe agire

tanto nei confronti del sostituto che del fisco.

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Inoltre, è importante precisare la diversa natura che caratterizza i crediti relativi ai

rapporti tra sostituto, sostituito e Fisco.

Da un lato, il credito del sostituito verso il sostituto ha natura extratributaria e si

identifica con il credito soggetto a ritenuta; dall’altro lato, il credito verso il Fisco ha

natura tributaria in quanto il sostituito ha subito una ritenuta indebita in ragione della quale ha maturato un credito verso l’Amministrazione Finanziaria.

Contrariamente a tale impostazione, si individua l’improponibilità di qualsiasi azione

diversa da quella di rimborso ex artt. 37 e 38 del D.P.R. 602/1973 poiché si afferma

che se, in un caso, qualora la ritenuta fosse stata versata al Fisco, era già intervenuto

un adempimento da parte del sostituto con la conseguenza di ritenere insensata un’azione di condanna del datore di lavoro a tale adempimento potendo, al massimo,

riconoscere un’azione di ripetizione o di rimborso ex art 38 del citato decreto, in un

altro caso, qualora la ritenuta non fosse stata versata al Fisco, il sostituito non avrebbe avuto interesse a presentare istanza di rimborso all’Amministrazione Finanziaria,

anche in caso di mancato versamento da parte del sostituto.

Una seconda fase è caratterizzata da un radicale mutamento di indirizzo della Corte di

Cassazione, in particolare manifestatosi nel 1988149 quando le Sezioni Unite hanno qualificato in termini di lite d’imposta, dunque competenti le commissioni tributarie,

non solo le controversie di rimborso promosse dal sostituto o dal sostituito nei confronti dell’Erario ma anche le controversie istaurate dal sostituito in danno del

149 Con le sentenze del 5 febbraio 1988, n.1200 in Foro It., 1989, I, 1111 e del 1° marzo 1988 n.2151 in

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sostituto al fine di ottenere il pagamento delle somme trattenute da quest’ultimo a titolo

di ritenuta alla fonte consolidando il c.d. orientamento pantributario.

La ragione di tale orientamento è da ricercarsi nella ritenuta impossibilità, da parte del

giudice ordinario, di conoscere in via incidentale la legittimità della ritenuta operata

dal sostituto poiché si riteneva che il solo giudice tributario avrebbe potuto giudicare

tale questione con una pronuncia avente efficacia di giudicato.

Sulla base della premessa della Cassazione secondo la quale “la ritenuta fiscale

d’acconto costituisce l’oggetto di un’obbligazione strumentale ed accessoria rispetto

all’eventuale e futura obbligazione d’imposta, di cui agevola la riscossione, e resta

perciò compresa nell’ampia nozione di rapporto tributario” porta ad individuare una

competenza esclusiva delle Commissioni tributarie “ anche se la relativa questione

venga dedotta in una controversia tra privati, non potendo formare oggetto di

cognizione incidenter tantum, perché deve per legge essere decisa con efficacia di giudicato e nel contraddittorio con l’Amministrazione Finanziaria”.150

In altri termini, la Cassazione ritiene che stabilire la legittimità della ritenuta operata

rappresenta una causa pregiudiziale da decidere, dunque, nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria dal giudice competente in materia ossia il giudice

tributario, piuttosto che una mera questione pregiudiziale da decidere, invece, con

effetti limitati al procedimento in corso.

Inoltre, con riferimento ad un’eventuale competenza concorrente del giudice ordinario,

si riteneva che una simile circostanza avrebbe esposto la controparte operante la ritenuta ossia il sostituto d’imposta al rischio di pagare due volte la stessa somma sulla

base di due giudicati contrastanti provenienti da due giudici tra loro diversi.

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Una simile situazione si sarebbe verificata, infatti, qualora il giudice ordinario, adito dal sostituito percipiente del reddito, avesse dichiarato l’illegittimità della ritenuta, con

obbligo del sostituto, dunque, di corrispondere all’attore l’ammontare equivalente e,

allo stesso tempo, il giudice tributario adito dal sostituto avesse dichiarato legittima la

stessa ritenuta rifiutando, dunque, il rimborso al ricorrente ossia lo stesso sostituto il

quale aveva già operato la ritenuta.

Dunque, alla luce di tale convincimento si negava la giurisdizione del giudice ordinario in favore di quella del giudice tributario in quanto la competenza di quest’ultimo non

viene messa in discussione nel caso in cui insorga una controversia tra sostituto e sostituito poiché l’incompletezza del contraddittorio non implica uno spostamento

della giurisdizione tributaria all’interno della quale è ricompresa l’integrazione del

contraddittorio ai sensi degli artt. 99-102 c.p.c.

Inoltre, alla base di tale riconoscimento era individuata la necessità di un giudicato in

contraddittorio con l’Amministrazione Finanziaria.151

Un effetto di tale mutamento è stata l’esclusione della tutela giurisdizionale del

sostituito nei confronti del sostituto poiché egli aveva la possibilità di rivolgersi alla

sola Amministrazione Finanziaria.

È possibile individuare, dunque, il carattere alquanto altalenante dell’orientamento

giurisprudenziale sviluppatosi fino a quel momento.

Tale periodo vive, infatti, un primo indirizzo volto a riconoscere la giurisdizione ordinaria nelle liti relative all’esercizio della rivalsa successiva e un secondo indirizzo

volto, invece, al riconoscimento della giurisdizione tributaria.

151 A. FANTOZZI, op. cit. p. 466, nota n.194, Cfr. I. PINI, “La giurisdizione sulla c.d. rivalsa successiva e

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Con tale riconoscimento non si esaurisce, purtroppo, il quadro dei mutamenti che hanno caratterizzato l’atteggiamento della Cassazione difronte alla tematica in

questione.

Infatti, si assiste successivamente ad un ulteriore mutamento verificatosi nel 1993

quando la suprema Corte si esprime nuovamente in favore della giurisdizione ordinaria

nelle liti tra sostituto e sostituito.

In termini più precisi, la Cassazione richiama l’ipotesi in cui il sostituto d’imposta non

presenta la domanda di rimborso delle ritenute fiscali versate ma non operate e neppure

il sostituito fa valere, come eccezione, una richiesta di restituzioni di tali somme bensì

si limita a contestare il diritto alla rivalsa del sostituto e a sostenere il proprio diritto a trattenere l’intera somma ricevuta.

A fronte di una simile situazione, la Corte non ha ritenuto l’Amministrazione

Finanziaria un litisconsorte necessario e la lite tra i due soggetti in questione

appartenente alla giurisdizione ordinaria.152

Quanto all’Amministrazione Finanziaria, sarebbe chiamata in giudizio al solo scopo

di accertamento non sussistendo nessuna pretesa nei suoi confronti in quanto non costituisce l’oggetto della domanda, tantomeno dell’eccezione, il versamento

effettuato dal sostituto al Fisco ed essendo un mero presupposto di fatto della materia

del contendere.

In altri termini, la Corte individua una distinzione tra la domanda di restituzione dell’imposta pagata, il cui legittimato passivo è l’Amministrazione Finanziaria, e la

domanda di rivalsa obbligatoria dell’imposta pagata dal sostituto la quale intercorre,

invece, tra quest’ultimo e il sostituito senza coinvolgere il Fisco.

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Ne deriva che, dato che la controversia avente ad oggetto la sola richiesta di rivalsa del

sostituto nei confronti del sostituito, il quale ha già soddisfatto il credito del Fisco, non

rappresenta un elemento caratteristico della giurisdizione tributaria, di conseguenza,

la controversia rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.

In termini ancora più semplici e diretti, nella sentenza in esame la Cassazione ha

affermato che rientra nella giurisdizione ordinaria la controversia nella quale il

sostituto, che ha operato la ritenuta ma non ha esercitato la rivalsa poiché il credito è

già stato pagato per intero, chiede di esercitare la rivalsa contro il sostituito, già soddisfatto dell’intero credito al lordo della ritenuta.

Tale orientamento fu successivamente confermato dalla stessa Cassazione anche con

riferimento alle liti sulla rivalsa IVA, proposte dal cedente nei confronti del

cessionario.153

Al contrario rientrano nella giurisdizione delle Commissioni tributarie le domande di

rimborso proposte dal sostituito che avesse subito una ritenuta indebita. Tale

convincimento si basa sulla medesima premessa espressa in passato dalla stessa Cassazione circa la natura di causa tributaria pregiudiziale propria dell’indagine sulla

legittimità della ritenuta, motivo per cui veniva individuata una giurisdizione tributaria

piuttosto che ordinaria.154

A confermare il carattere incoerente e tortuoso del percorso giurisprudenziale relativo

alla tematica in questione ha contribuito una sentenza con la quale la stessa Cassazione dimostra un’inversione di tendenza rispetto all’orientamento consolidato fino a quel

momento.

153 Cass. S.U. ,29 aprile 2003, n.6632 in Guida al Diritto, 2003, 24, 64.

154 Cass. S.U. 6 giugno 2003, n.9074 in Mass. Giur. It., 2003; Cass. S.U.(Ord.), 19 febbraio 2004, n.3343

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Infatti, con tale pronuncia la Corte afferma che le controversie tra sostituto d’imposta

e sostituito nelle quali il primo eserciti il proprio diritto di rivalsa nei confronti del

secondo, chiedendo la restituzione delle somme versate al Fisco, rientrano nella

giurisdizione esclusiva del giudice tributario. 155

Alla luce ti tale mutamento è possibile notare come fosse possibile, in precedenza,

proporre innanzi alle commissioni tributarie le sole domande con le quali il dipendente contestava la legittimità delle ritenute d’acconto già operate dal datore di lavoro in

quanto ad essere contestata era l’obbligazione tributaria in sé e l’unico destinatario

della pretesa vantata dall’attore era il Fisco, litisconsorte necessario nel processo

tributario nel quale prendeva parte anche il sostituto.

Al contrario, qualora il datore di lavoro avesse voluto rivalersi sul dipendente, avrebbe

dovuto proporre la questione innanzi alla giudice ordinario e la ragione di tale differenza di trattamento era rappresentata dall’assenza di un atto

dell’Amministrazione Finanziaria, impugnabile direttamente dal sostituto, come

presupposto necessario ai fini dell’accesso al contenzioso tributario.

Alla base di tale previsione vi era il principio secondo il quale era inammissibile un’azione di mero accertamento innanzi alle commissioni tributarie finalizzata a

verificare se il tributo fosse dovuto o meno.

Dunque si trattava di una controversia privatistica in quanto il sostituto esercitava una mera azione di adempimento nei confronti del sostituito senza coinvolgere l’Erario.

Attraverso l’ultima pronuncia riportata, la Cassazione si allontana dal convincimento

espresso facendo leva sul fatto che la natura del giudizio non muta a seconda del soggetto che adisce il giudice, di conseguenza non rileva, a tal fine, l’assenza di un

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atto dell’Amministrazione Finanziaria suscettibile di impugnazione in quanto

rappresenta una questione attinente l’accoglibilità della domanda, dunque valutabile

dal giudice avente competenza giurisdizionale sulla stessa.

La sentenza riportata ha un carattere preventivo rispetto ad un inconveniente oggetto di critica caratterizzante il precedente orientamento e rappresentato dall’ipotesi in cui

il datore di lavoro operante la ritenuta d’acconto convenisse in giudizio il dipendente

per la ripetizione di quanto versato e il giudice ordinario negasse l’esercizio del diritto

alla rivalsa nei confronti del lavoratore; in questo caso il sostituto d’imposta diveniva

unico soggetto su cui gravava il peso del tributo violando palesemente l’art.53 Cost.

Quanto appena enunciato dalla Corte, tuttavia, non trova applicazione nella circostanza

in cui oggetto della lite tra datore di lavoro e lavoratore sia rappresentata da eventuali

accordi intercorsi tra i due soggetti in questione per cui il sostituto acconsente a corrispondere al sostituito gli importi dovuti al lordo della ritenuta d’acconto.

In una simile circostanza è opportuno presentare la causa innanzi al giudice ordinario in quanto la materia del contendere non riguarda l’entità o la debenza del tributo bensì

attiene all’interpretazione ed esecuzione dell’accordo delle parti.

Dunque, la situazione ideale che verrebbe a delinearsi è rappresentata dalla circostanza nella quale il sostituto d’imposta propone all’Erario una richiesta di restituzione della

somma versata a titolo di ritenuta ponendo a fondamento di tale istanza le ragioni fatte

valere dal sostituito che pretende di sottrarsi alla stessa azione di rivalsa e, in seguito al rigetto da parte del Fisco della richiesta di restituzione, il sostituto d’imposta ha

l’onere di impugnare l’atto di diniego anche nei confronti del sostituito il quale si

configura come litisconsorte necessario nel successivo contenzioso tributario in quanto titolare dell’obbligazione tributaria.

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È possibile notare come, alla luce di tale orientamento della Corte, il sostituto d’imposta adisce la commissione tributaria e fa valere in nome proprio un diritto altrui

ossia l’obbligazione tributaria del sostituito, chiaro segnale dell’applicazione,

all’interno del processo tributario, dell’istituto della sostituzione tributaria.156

Inoltre, è possibile evidenziare come la Cassazione, attraverso la pronuncia

sopracitata, respinga il precedente indirizzo che attribuiva a giurisdizioni differenti le

liti di adempimento e le liti di rivalsa successiva, in primo luogo, perché riteneva che l’inversione delle parti in sede giurisdizionale non potesse determinare il mutamento

della natura tributaria del rapporto e, in secondo luogo, perché riteneva di affidare la

tutela dei contribuenti alla giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie comprendendo qualsiasi questione riguardante la consistenza e l’esistenza

dell’obbligazione tributaria la quale non sarebbe venuta meno a causa della carenza di

un provvedimento impugnabile essendo una questione che incide esclusivamente sul merito e sull’accoglibilità della domanda ma non anche sulla giurisdizione.

Tale orientamento giurisprudenziale da ultimo richiamato è stato oggetto di forti

critiche e osservazioni, in primo luogo, circa una differenza intercorrente tra la rivalsa

originaria e quella successiva potendo prospettare, nel primo caso, un problema di

concorrenza tra i mezzi di tutela quali l’azione civilistica di adempimento e quella

tributaria di rimborso, problema non prospettabile, invece, nel caso di rivalsa

successiva nei confronti del sostituito in ragione delle posizioni antagoniste delle due azioni, infatti, mentre l’azione di rimborso presuppone l’indebito, la rivalsa successiva

presuppone una circostanza esattamente contraria.

156 Si veda Cass. S.U. 15 novembre 2005, n.23019, nota a sentenza: “Nota sulla giurisdizione esclusiva

del giudice tributario a conoscere della domanda di rivalsa del sostituto d’imposta nei confronti del sostituito” in Giur. It., 2006,6.

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In secondo luogo, l’assunto secondo cui “la natura del rapporto non viene a mutare per

effetto dell’inversione delle parti” ha suscitato non poche opposizioni quali, ad

esempio, quella secondo la quale, nelle ipotesi di rivalsa successiva, qualora si configuri il sostituto come condebitore in solido, l’azione con la quale egli può rivalersi

nei confronti del sostituito è l’azione di regresso.

In particolar modo, a prescindere dalla qualificazione del sostituto, sono individuati, come strumenti a favore di quest’ultimo, azioni con termini come, ad esempio, la

surrogazione o, comunque, istituti civilistici aventi una funzione recuperatoria,

difficilmente distinguibili dal regresso.

Alla luce di quanto riportato, si ritiene che nelle questioni relative alla ritenuta si

apprezza una delibazione incidenter tantum da parte del giudice ordinario senza alcun

tipo di rilevanza sulla giurisdizione, tanto meno sul profilo soggettivo della lite la

quale, dunque, sarà limitata ai soggetti nei confronti dei quali si forma il giudicato

ossia i soggetti privati.

Infine, un elemento sul quale poggiano le critiche e osservazioni riportate è rappresentato dall’estraneità del Fisco alla materia del contendere che caratterizza le

liti in questione.

Infatti non è possibile evidenziare nessuna domanda proposta nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria in ragione della legittimità della ritenuta, operata e

versata dal sostituto, quale presupposto per l’azione di rivalsa promossa da quest’ultimo.

La giurisdizione tributaria sussiste, infatti, solo nelle ipotesi nelle quali una o entrambe

le parti coinvolte nella sostituzione tributaria propongano domande costitutive o di

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i casi in cui le parti chiedano l’annullamento degli avvisi di accertamento loro notificati

o il rimborso delle somme versate a titolo di ritenuta.

Dunque, mancando una contestazione all’an e al quantum dell’obbligo tributario, non

vi è motivo per riconoscere la giurisdizione delle commissioni tributarie. 157