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Tra esigenze di giustizia sostanziale, unificazione del diritto e razionalità

3. I motivi di ricorso per cassazione.

L’esigenza di delimitare in termini sufficientemente rigidi l’ambito del con- trollo della Corte di cassazione è stata avvertita fin dal momento della sua isti- tuzione nella Francia post-rivoluzionaria56 e si è proiettata sulle epoche suc-

cessive in tutti i discorsi intorno al ruolo del Supremo Collegio, catalizzando l’attenzione sia durante la fase elaborativa del nuovo codice processuale, sia in occasione di ogni successiva iniziativa riformistica.

La strutturazione dell’art. 606 c.p.p., norma che concorre a qualificare il ri- corso per cassazione come mezzo di impugnazione a critica vincolata57 e, dun-

que, «esperibile soltanto per i casi tassativamente indicati con riferimento alle sole violazioni di diritto e con esclusione delle questioni di fatto»58, unitamente

alla clausola di chiusura contenuta nell’art. 609, co. 1 c.p.p., sembrano recepire il risalente insegnamento secondo il quale l’oggetto del giudizio deve essere individuato nei vizi della pronuncia impugnata così come asseriti nei motivi di ricorso59.

Si tratta di un sistema normativo frutto di un dibattito che recepiva l’idea, di matrice illuministica, della Corte (Tribunal) di cassazione quale giudice di legittimità il cui controllo – soprattutto sulla motivazione della sentenza – non avrebbe mai dovuto travalicare limiti ben definiti posti a salvaguardia dell’in- tangibilità delle valutazioni in fatto del giudice dei precedenti gradi di giudi- zio60.

56 V., per una ricostruzione dell’originaria configurazione e della progressiva evoluzione

delle funzioni del Tribunal de cassation, iacOviellO, Giudizio di cassazione, cit., 628.

57 sanTOriellO, Il vizio di motivazione tra esame di legittimità e giudizio di fatto, Milanofiori

Assago, 2008, 3.

58 spangher, Suprema Corte di cassazione, cit., 123. «Il dato» – si ribadisce – «è formalizzato

nell’art. 606 c.p.p., nel cui ultimo comma si specifica altresì che il ricorso è “inammissibile se è proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge”». Come evidenzia Cordero, Procedura penale, Ed. VII, Milano, 2003, 1145, le figure definite dall’art. 606, co. 1 c.p.p. con- tengono «tutto il disputabile e conoscibile in cassazione».

59 In relazione al giudizio in cassazione, sottolinea Bargi, Il ricorso per cassazione, cit., 494,

la proposizione dei motivi «è volta a fissare le alternative di una decisione che mira a stabilire l’esistenza o meno degli errori affermati dal ricorrente».

60 Lo evidenzia, nell’ambito di una ampia letteratura, di chiara, Le modifiche allo spettro

della ricorribilità per cassazione, in Impugnazioni e regole di giudizio nella riforma del 2006. Dai problemi di fondo ai primi responsi costituzionali, a cura di bargis, capriOli, Torino, 2007, 185.

Durante i lavori preparatori del nuovo codice, come si è più volte ribadito, le soluzioni di carattere procedimentale finivano con l’intrecciarsi a dirimenti questioni di sistema relative al ruolo da assegnare alla Corte di cassazione, a loro volta concernenti essenzialmente «[il] modo con il quale veniva concreta- mente esercitato, da parte della Corte […], il controllo sui vizi della motivazione della sentenza impugnata. [Infatti] [s]i assisteva, ancorché con atteggiamenti di favor rei, al superamento dei limiti della propria competenza, attraverso la penetrazione nella sfera del fatto con un giudizio sul merito della causa: il più delle volte, raffrontando il discorso del giudice con le risultanze processuali, e, seppure isolatamente, addirittura scegliendo il materiale dal fascicolo»61.

Non a caso dai lavori preparatori emergevano i motivi di perplessità degli addetti ai lavori a fronte di una situazione in cui la giurisprudenza della Corte «presenta[va] frequenti e gravi oscillazioni, anche non giustificate dall’interpre- tazione evolutiva, e […] spesso si occupa[va] indirettamente anche del fatto, attraverso un non corretto esercizio dei poteri di controllo dei vizi di motiva- zione della sentenza impugnata […] tutti difetti che [avevano] cause diverse, non eliminabili solo mediante modifiche processuali, ma che andavano presi in considerazione nel momento in cui ci si accingeva a ridisegnare il ricorso per cassazione»62.

Se questa era realtà processuale, il legislatore delegato «sarebbe stato […] libero, [proprio] in mancanza di controindicazioni nella delega, di innovare an- che profondamente la disciplina del ricorso per cassazione, in particolare [in] una duplice direzione [ossia] nel senso di introdurre strumenti per deflazionare l’eccessivo uso di tale mezzo di impugnazione [e] nel senso di contrastare i fre- quenti e ormai abituali sconfinamenti della Corte di cassazione da giudice di le- gittimità a giudice di terza istanza sul fatto, attraverso un’interpretazione sem- pre meno rigorosa dei limiti del proprio controllo sul vizio di motivazione»63.

In secondo luogo, «l’interrogativo riguardava se e in quale misura la Corte di cassazione dovesse ancora svolgere il ruolo affidatole dall’art. 65 ord. giud. (assicurare “l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge”) oppu-

travagliato terreno alla ricerca di nuovi equilibri, cit., 916, per il quale il controllo sulla motiva- zione pone le premesse per un ingresso del fatto in Cassazione «poiché la motivazione non si nutre solo di diritto ma attinge anche, e soprattutto, al fatto».

61 spangher, Suprema Corte di cassazione, cit., 123. Come emerge da cOnsO, grevi, neppi MO-

dOna, Il nuovo cpp, cit., 1317, che il silenzio del legislatore delegante sul tema della Corte di

cassazione è stato interpretato dal legislatore delegato come significante l’assegnazione di un compito «di ridisegnare il ricorso in modo da eliminare i difetti attualmente riscontrati senza però mutare radicalmente i connotati dell’attuale sistema». La premessa è ritenuta incoerente rispetto alle significative innovazioni apportate alla materia da bargi, Il ricorso per cassazione,

cit., 453.

62 cOnsO, grevi, neppi MOdOna, Il nuovo cpp, cit., 1318.

63 grevi, neppi MOdOna, Introduzione al progetto preliminare del 1988, in Il nuovo cpp. Dalle

re se e in quale misura fosse ormai da considerare alla stregua di un giudice di “terza istanza”»64.

È ricorrente da sempre in ambito dottrinale, d’altra parte, l’affermazione secondo cui la dichiarazione di volontà contenuta nel ricorso per cassazione e supportata da motivi tipizzati ex lege non produce un riesame del fatto65 e tanto

meno una sua ricostruzione – il tema è riservato al giudice di merito, guidato dal principio del libero convincimento66 – ma un’indagine che ha per oggetto

solamente la sentenza impugnata, «la quale può passare in giudicato a causa del rigetto del ricorso, o può essere annullata, con effetto rescindente e con eventuale rinvio davanti ad altro giudice per il giudizio rescissorio»67.

La dicotomia legittimità-merito68 concorre a sorreggere la delimitazione

della funzione valutativa della Corte e, come è stato detto a tale proposito, «nell’opera del giudice è dato di sceverare due atteggiamenti valutativi; il primo inteso a stabilire se siano rispettate le condizioni, dalla cui osservanza dipende la regolarità del processo (che è uno strumento normativo ma, come tutti gli strumenti, ubbidisce a certe regole); il secondo si traduce nel giudizio intorno ad una situazione, il cui modello è offerto dalle norme di diritto sostanziale»69.

Pertanto, «[q]uando si dice “merito”, s’intende il tema di questa seconda indagine, [utilizzando un termine] la parola corrispondente [alla quale], nella nomenclatura giuridica tedesca, è Hauptsache»70.

64 spangher, Suprema Corte di cassazione, cit., 123. Secondo nappi, Guida al codice di procedu-

ra penale, Ed. VIII, Milano, 2001, 793, l’irrisolta ambiguità circa il ruolo della Suprema Corte costituiva l’origine della crisi dell’istituzione.

65 Se si presta attenzione, d’altra parte, alla definizione del ricorso per cassazione offerta

dalla dottrina negli anni a ridosso dell’approvazione del codice abrogato, si può notare la pressante sottolineatura della riconduzione dell’oggetto della devoluzione ad errori di diritto sostanziale o processuale, escludendosi qualsiasi giudizio su questioni di merito. V., tra gli al- tri, vannini, Elementi di diritto processuale penale italiano, Milano, 1941, 157; ranieri, Manuale

di diritto processuale penale, Padova, 1965, 390. Oltre che, ovviamente, Manzini, Istituzioni di

diritto processuale penale, Ed. XI, Padova, 1954, 277.

66 V., per un’analisi del principio ma, anche, delle sue degeneranti letture, nObili, Storie

di un’illustre formula: il “libero convincimento” negli ultimi trent’anni, in Riv. it. dir. proc. pen., 2003, 71. V., per uno studio più articolato, id., Il principio del libero convincimento del giudice,

Milano, 1974, 23. Con efficacia, id., Letture testimoniali consentite al dibattimento e libero con-

vincimento del giudice, in Riv. it. dir. proc. pen., 1971, 258, rilevava: «Nemmeno per il principio del convincimento libero esiste un significato neutrale; l’indagine storica insegna come esso – sia nella sua introduzione in un sistema giuridico, sia nei significati che poi gli sono via via attribuiti – è costantemente condizionato dal contesto delle ideologie politiche in cui si inserisce».

67 garavelli, Corte di cassazione, cit., 545.

68 Ne analizza la portata, evidenziando il carattere sfuggente di essa, capOne, “La Corte di

cassazione non giudica nel merito”, cit., 1616, il quale sottolinea come la parola “merito”, «da quando è stata impiegata per definire i limiti della Corte di cassazione ha conosciuto le più imprevedibili evoluzioni semantiche».

69 cOrderO, Merito nel processo penale, in Dig. disc. pen., VII, 665. 70 cOrderO, Merito nel processo penale, cit., 665.

È ovvio che lo schema presuppone non poche puntualizzazioni concettuali, quelle cioè che la dottrina ha più volte avuto cura di ribadire, coordinando al- tresì le medesime con ulteriori nozioni e, nel complesso, creando la premessa per la sistematizzazione concettuale dei casi di ricorso per cassazione.

Si è detto, infatti, che «per norma processuale intendiamo ogni norma che regola gli atti del processo, per norma sostanziale ogni norma che regola una fattispecie incriminatrice, per norma logica ogni norma che regola il ragiona- mento giuridico»71 e, alla luce di una siffatta premessa definitoria, si è soggiun-

to che «[è] questione di fatto ogni informazione, introdotta da mezzi di prova, che riguarda un evento storico nel processo o al di fuori di esso […], di diritto ogni questione che attiene alla individuazione e interpretazione di una norma processuale o sostanziale […], di logica ogni questione che concerne il ragio- namento probatorio e giustificativo del giudice»72.

Le due specificazioni concettuali dimostrano che la schematizzazione fat- to-diritto costituisce il prodotto mutevole di approcci diversificati, ben poten- dosi passare da una soluzione all’altra a seconda della collocazione (schemati- ca, appunto) di uno dei diversi elementi costituitivi – o, per usare una diversa terminologia, ambiti valutativi73 – nel contesto dell’uno o dell’altro dei versanti

essenziali della costruzione teorica.

Evidenziano, altresì, come qualsiasi impostazione si adatta male alle acqui- sizioni della teoria del sillogismo giudiziale, facendo ricorso alle quali si per- viene all’affermazione dell’esistenza di una rigida separazione tra quaestio facti e quaestio juris, nel senso che i momenti della individuazione della norma ap- plicabile alla fattispecie concreta (premessa maggiore) e della ricostruzione del fatto da accertare (premessa minore) sono inconfondibili e non sovrapponibili, venendo invece a sintetizzarsi soltanto al momento conclusivo dell’operazione sillogistica, ossia quando si afferma la coincidenza o la difformità tra fattispecie astratta e fatto concreto74.

Con la decisione di merito, stando invece all’impostazione maggiormente realistica, «si afferma o si nega l’esistenza della situazione giuridica, in cui ri- siede l’oggetto del processo»75 e la dissecazione dell’accertamento che ad essa

di correla – situazione giuridica si è detto, dunque accertamento del fatto e qualificazione giuridica, ossia norma applicabile – costituisce il punto su cui si

71 iacOviellO, Giudizio di cassazione, cit., 664. 72 iacOviellO, Giudizio di cassazione, cit., 664.

73 cOrderO, Merito nel processo penale, cit., 665. Ma v., anche, le notazioni di carneluTTi, Prin-

cipi del processo penale, cit., 309, per il quale «la distinzione e più ancora la separazione tra questioni di fatto e di diritto appartiene all’astrazione e perciò alla deformazione della realtà; realmente, nel formarsi della decisione, i due tipi di questioni si avvicendano e si intrecciano così che riesce sommamente difficile sceverare un tipo dall’altro».

74 V., sulla teoria del sillogismo, anche al fine di reperire significativi riferimenti bibliografi-

ci, sanTOriellO, Il vizio di motivazione tra esame di legittimità e giudizio di fatto, cit., 63.

articolano le prerogative esclusive del giudice (appunto) di merito e quelle del giudizio che si svolge dinanzi al giudice (appunto) di legittimità.

L’espressione, in apparenza semplice da svolgere e dal risultato apparente- mente a portata di mano, in realtà è difficilmente sviluppabile perché, una volta superati i risultati di una riflessione logica improntata ai canoni del ragionare sillogistico76, diventa facile avvedersi del fatto che il merito non viaggia mai su

strade separate rispetto alla legittimità così come il fatto non è (in termini as- soluti) mai altra cosa rispetto al diritto77, in quanto «nel processo c’è una corre-

lazione inscindibile tra norma e fatto: ogni fatto è giuridico perché una norma lo qualifica tale ed è rilevante perché una norma gli attribuisce tale effetto»78.

Infatti, «la scelta della formulazione normativa cui far riferimento per la con- clusione del giudizio non [può] raffigurarsi come autonoma ed indipendente rispetto alla soluzione fornita alla quaestio facti [ma] dipende anche da – e può variare in relazione a – possibili interpretazioni e valutazioni delle prove e degli indizi concernenti l’accertamento delle vicende passate e ricostruite nel giudizio»79.

Così come «la scelta della disposizione giuridica da applicare non si esau- risce nella semplice indicazione di un enunciato normativo in sé considerato, ma presuppone inevitabilmente l’adozione di una fra le diverse interpretazioni che possono darsi dell’espressione linguistica contenuta nella previsione pre- scrittiva»80.

Ed allora, ferme restando il fascino e la funzionalità delle ricostruzioni teo- riche rispetto a temi così delicati, i tratti di organicità e coerenza che caratte- rizzano il sistema – unitamente ad una insopprimibile esigenza di certezza del diritto – devono portare ad accogliere il suggerimento secondo cui «occorre ab- bandonare la strategia argomentativa diretta ad ampliare o ridurre i poteri del- la Corte ridefinendo correlativamente la sfera della legittimità e del merito»81.

76 Alla dottrina del sillogismo giudiziale rileva sanTOriellO, Il vizio di motivazione, cit., 63,

l’affermazione di una radicale separazione tra quaestio facti e quaestio juris.

77 Come rileva sanTOriellO, Il vizio di motivazione, cit., 93, «nel ragionamento giuridico qua-

estio facti e quaestio juris non possono mai essere risolte separatamente». Ma v., da ultimo, cecchi, pecchiOli, Modelli storici e prospettive del giudizio di cassazione, in Dir. pen. e proc., 2019,

125, per i quali «la decisione è necessariamente il risultato di una valutazione complessa in cui giudizio di fatto e giudizio di diritto si intersecano inscindibilmente».

78 iacOviellO, Giudizio di cassazione, cit., 664. 79 sanTOriellO, Il vizio di motivazione, cit., 70. 80 sanTOriellO, Il vizio di motivazione, cit., 71.

81 capOne, “La Corte di cassazione non giudica nel merito”, cit., 1628, il quale evidenzia anche

come il superamento di una siffatta strategia è imposto dal canone metodologico basilare per cui «non si possono interpretare le disposizioni sui motivi di ricorso alla luce dei (presupposti) poteri della Corte; si può semmai, all’inverso, tentare di ricostruire i poteri della Corte alla luce delle norme sui motivi di ricorso».

A parte l’aggiunta della categoria dell’inutilizzabilità (art. 191 c.p.p.)82,

nell’art. 606, co. 1 lett. a), b) e c) c.p.p. l’equilibrio delle funzioni della Corte, so- spese lungo un filo che scorre tra l’effettività della (funzione di) nomofilachia e l’intangibilità della (garanzia della) giustizia viene raggiunto ribadendo innan- zitutto i motivi già previsti dal codice abrogato, di talché il ricorso può essere presentato nelle seguenti ipotesi:

a. esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge ad organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri;

b. inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale; c. inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizza-

bilità, di inammissibilità o di decadenza.

Alla sostanziale riproposizione, rispetto al vecchio codice, di questo primo gruppo di motivi di ricorso il legislatore della riforma ha fatto seguire due ulteriori ipotesi «che pertanto costituiscono il novum della ricorribilità per cas- sazione»83:

In particolare, ai sensi dell’art. 606, co. 1 lett. d) c.p.p., è deducibile mediante ricorso per cassazione la mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta84 a norma dell’art. 495, co. 2 c.p.p.

Ai sensi della lett. e) del medesimo articolo85, il ricorso è, infine, proponibi-

le per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione86,

quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato87 ovvero da altri

atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame.

Sebbene abbia ampio risalto la tesi secondo la quale l’inserimento del vi- zio di motivazione tra i casi di ricorso «ha creato inevitabilmente una sorta di mutamento genetico del giudizio di legittimità rispetto alle “pure” funzioni no-

82 Determinata, sottolineano cOnsO, grevi, Introduzione al progetto preliminare del 1988, cit.,

119, dal fine di «attribuire autonoma rilevanza concettuale a questa nuova sanzione, e per evitare, nel contempo, che una violazione di natura squisitamente processuale possa esse- re fatta rientrare nella inflazionata categoria del vizio di motivazione, così da ricondurre quest’ultimo nei suoi più corretti ed esatti confini».

83 spangher, Suprema Corte di cassazione, cit., 123.

84 Anche nel corso dell’istruzione dibattimentale, precisa la norma come modificata dall’art.

8, co. 1 lett. a), l. 20 febbraio 2006, n. 46.

85 Come sostituito dall’art. 8, co. 1 lett. b), l. 20 febbraio 2006, n. 46.

86 Come sottolineato da Cass. pen., sez. II, 13 maggio 2015, n. 19712, il ricorrente che in-

tende denunciare rispetto al medesimo capo o punto della decisione i tre vizi deducibili ha l’onere, sanzionato a pena di aspecificità – e quindi di inammissibilità del ricorso – di indicare il profilo sul quale la motivazione manca, quello rispetto al quale è contraddittoria e quello in cui appare illogica. In caso contrario, aveva precisato già in precedenza Cass. pen., Sez. VI, 23 agosto 2010, n. 32227, il ricorso è inammissibile perché fondato sull’enunciazione di motivi perplessi o alternativi.

87 Secondo bargi, Il ricorso per cassazione, cit., 484, i limiti originariamente delineati dall’art.

606, co. 1 lett. e) c.p.p. erano “angusti” e ridimensionavano sensibilmente la previsione di attribuire autonoma rilevanza all’error in iudicando in facto.

mofilattiche»88, si possono cogliere nella strutturazione della norma – soprattut-

to nella versione antecedente alla riforma della disciplina delle impugnazioni realizzata con la l. 20 febbraio 2006, n. 46, quella cioè che prevedeva il limite testuale di rilevabilità del vizio – le tracce di un disegno ispirato ai tradizionali intendimenti restrittivi dei poteri di una Corte di cassazione che si voleva lonta- na dalle logiche della terza istanza.

Disegno innanzitutto finalizzato, dunque, ad impedire che l’organo di verti- ce potesse trasformarsi in giudice di merito89, con un reflusso sul piano dell’ef-

fettività delle garanzie che può facilmente essere percepito se solo si considera che «la verifica dei poteri assegnati alle parti o al giudice nella ricostruzione della vicenda processuale, quale presupposto logico-giuridico del giudizio […] è connessa in modo inscindibile al livello di “controllo” della decisione nel più generale sistema delle impugnazioni [nel cui ambito] assume un ruolo centrale il giudizio in cassazione, essendogli demandato – in modo esclusivo – la veri- fica della “legalità” della motivazione dei provvedimenti; cioè di quel requisito posto dal Costituente a garanzia degli altri principi costituzionali afferenti al processo penale»90.

Ma, come è stato efficacemente posto in rilievo, «[i]n fin dei conti, l’art. 606 c.p.p. si limita a tracciare i confini di un territorio troppo vasto. Ma la mappa di quel territorio è la Cassazione a delinearla»91.

Un auspicio di pragmatismo e adesione allo spirito della legge, quello che emerge dal rilievo appena richiamato, del quale era portatore, con molta consa- pevolezza dell’andamento della realtà, il legislatore della riforma, il quale, non a caso, proprio in relazione al nodo nevralgico costituito dai limiti normativi del sindacato sul vizio di motivazione, sottolineava che la disposizione che si anda- va introducendo «non potrà ottenere gli effetti del contenimento che persegue se la Corte di cassazione non l’applicherà secondo l’intenzione del legislatore [perché] se il vizio di motivazione risulta oggi dilatato e viene talvolta addotto per giustificare una sovrapposizione dell’apprezzamento del giudice di legitti- mità su quello del giudice di merito, ciò dipende più che dal tenore letterale della disposizione vigente dal modo in cui essa vive nell’interpretazione della corte di cassazione e che nessun mutamento potrà avvenire se non attraverso

88 V., per esempio, KOsTOris, Le impugnazioni penali, travagliato terreno alla ricerca di nuovi

equilibri, cit., 916.

89 iacOviellO, Giudizio di cassazione, cit., 711, li individua nel grado dell’illogicità (che deve

essere “manifesta”) e nel limite della testualità del vizio di motivazione, oltre che nella pre- visione dell’autonoma figura della motivazione “insufficiente”. Ma vedi, poi, bargi, Il ricorso