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Il processo e le prove La prospettiva offerta dall’art 606, co 1 lett c) c.p.p.

Tra esigenze di giustizia sostanziale, unificazione del diritto e razionalità

8. Il processo e le prove La prospettiva offerta dall’art 606, co 1 lett c) c.p.p.

La ricerca di soluzioni ermeneutiche idonee a disinnescare i pericoli con- nessi alla evidente iniquità delle situazioni patologiche rese possibili dalla pre- visione (oramai superata) del limite testuale ha reso necessario coltivare un diverso terreno di indagine che ha portato a valorizzare, all’interno del sistema processuale, alcuni profili di rilevanza (in primo luogo) della disposizione con- tenuta nell’art. 442, co. 1-bis c.p.p. e, per coglierli nella loro essenza, è apparso necessario prendere le mosse da una puntualizzazione concettuale e termino- logica.

Sebbene la norma individui il materiale utilizzabile ai fini della decisione da adottare nell’ambito del giudizio abbreviato facendo riferimento a catego- rie concettuali eterogenee – essa, difatti, richiama indistintamente i concetti di “atti”, “documentazione”, “prove” – non c’è dubbio che alla base del convinci- mento giudiziale si pongano risultanze conoscitive, ossia gli elementi di prova che le forme di documentazione variamente disciplinate dalla legge si limitano a veicolare nell’ambito dell’universo cognitivo del giudice170.

L’assonanza tra la disposizione appena richiamata, quella contenuta nell’art. 444, co. 2 c.p.p. – per la quale il giudice applica la pena richiesta dalle par- ti “sulla base degli atti”, ossia degli elementi di prova acquisiti nel corso del procedimento – e l’art. 526, co. 1 c.p.p. – il giudice del dibattimento, si legge, utilizza “prove” legittimamente “acquisite”171 – diviene immediatamente per-

cepibile e lascia emergere i profili essenziali di una funzione che tutte insieme qualificano sul versante prima di tutto assiologico, in quanto idonea ad indi- viduare, sulla base dei valori fondanti del sistema, il nucleo elementare del patrimonio conoscitivo del giudice, al di là dei confini del quale si colloca la realtà extra-processuale, ossia quell’infinità di atti e di fatti che, seppure in ipo- tesi giuridicamente rilevanti, non è per motivi diversi penetrata nel processo, rimanendo per questo processualmente inesistente.

La constatazione, ad essere sinceri, non necessiterebbe del supporto di pre- visioni normative di delimitazione dal momento che la relazione tra processo – id est: giudizio inteso come attività – e decisione – id est: giudizio inteso come risultato – implica che «la pronuncia del giudice […] deve rappresentare la con-

170 Fondamentale rimane, sull’argomento, l’indagine di uberTis, Prova (in generale), in Dig.

disc. pen., XI, 296.

171 La norma, evidenzia bargi, Il ricorso per cassazione, cit., 517, indica che il giudice non può

introdurre prove estranee al fascicolo processuale, per cui «in nessun caso, egli può derogare all’obbligo di corrispondenza tra il dato acquisito e riprodotto nel verbale di dibattimento e quello riportato nella deliberazione: ove ciò accadesse, infatti, si verificherebbe l’utilizzazione di una prova “diversa” da quella acquisita legittimamente in dibattimento».

clusione di un ragionamento logico che origina da conoscenze acquisite nel corso del procedimento»172.

La precisazione, proprio in virtù di questa riconoscibile e normativizzata funzione limitativa, tuttavia proietta la propria luce sul tema della corretta col- locazione dei vizi di motivazione – ma, dovrebbe più correttamente dirsi, delle attività di valutazione probatoria – nell’ambito delle fattispecie previste dall’art. 606 c.p.p., facendo assumere autonomo rilievo, qualunque sia stato il modulo processuale utilizzato, proprio al vizio di “travisamento della prova”.

La l. 20 febbraio 2006, n. 46, come si è già detto, è intervenuta anche sull’art. 606, co. 1 lett. e) c.p.p., e, sebbene l’innovazione depotenzi in parte il profilo pratico del tema, conserva attualità il quesito circa l’esattezza dogmatica della collocazione dell’ipotesi di travisamento della prova nell’ambito dell’art. 606, co. 1 lett. c) c.p.p.

La dottrina che distingue questo specifico vizio da quello del “travisamen- to del fatto”173 ritiene che il primo ricorra quando il contenuto effettivo di un

documento processuale non corrisponde a quello attribuito dal giudice in sen- tenza174 e, per superare i limiti connessi al principio secondo cui i vizi della

motivazione possono essere valutati esclusivamente alla stregua dell’art. 606, co. 1 lett. e) c.p.p., ha osservato come «il travisamento dell’informazione pro- batoria non è un vizio di motivazione [ma] è un vizio appunto della prova, che viene travisata [per cui] [s]olo per traslato può parlarsi di vizio di motivazione: in questo caso, infatti, il vizio di motivazione non è originario, ma è un vizio derivato da quello della prova»175.

172 sanTOriellO, Il vizio di motivazione, cit., 51.

173 V., come già detto, iacOviellO, Motivazione, cit., 750.

174 iacOviellO, Motivazione, cit., 791, secondo il quale, per rilevare il vizio di “travisamento

della prova” occorre «prendere in considerazione un documento processuale – l’atto probato- rio appunto – ed accertare se il suo contenuto corrisponde a quello richiamato in sentenza». Per aMaTO, Vaglio dei giudici di legittimità sul nuovo vizio di motivazione, in G. dir., 2006, 18,

93, il vizio così denominato è «quel vizio in forza del quale la Corte, lungi dal procedere a una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto è stato veicolato o meno, senza travisamenti, all’interno della decisione». Sul vizio di “travisamento del fatto” v., poi, bargi, Ricorso per cassazione, cit., 529.

175 V., ancora una volta, iacOviellO, Motivazione, cit., 793: «Si faccia il caso» – è l’esempio

dell’Autore – «che una sentenza di condanna per cessione di droga motivi sulla base dell’af- fermazione “la droga era mia” attribuita – per una svista logica – all’imputato, mentre tale affermazione era stata fatta in realtà dal tossicodipendente cui era stato sequestrato lo stupe- facente. Parlare di vizio di motivazione in questo caso non è più corretto che parlare di vizio di progettazione di un edificio, quando per costruirlo vengono usati materiali difettosi: se alla fine il manufatto è inaffidabile, lo si deve ai materiali e non al progetto architettonico». V., inoltre, galaTi, Le impugnazioni, cit., 509.

La costruzione teorica176, la quale non può certamente ritenersi priva di un

solido fondamento teorico, sortisce anche l’effetto di distinguere nettamente i criteri di accertamento dei due vizi, poiché sgancia il “travisamento della prova” dall’ambito riservato ai vizi della motivazione – quindi, nel sistema antecedente alla riforma, dal limite testuale imposto dall’art. 606, co. 1 lett. e) c.p.p. – per collocarlo a pieno titolo all’interno del motivo di ricorso descritto nell’art. 606, co. 1 lett. c) c.p.p.177, così finendo con il recuperare alla Suprema Corte un’effet-

tiva possibilità d’accesso agli atti processuali che, invece, era tradizionalmente esclusa in relazione al “travisamento del fatto”178.

Infatti, per verificare la sussistenza del vizio connesso all’inosservanza di norme processuali che siano perfectae «occorre compiere tre operazioni: accer- tare il fatto storico alla base del fatto processuale; interpretare la norma proces- suale; qualificare il fatto storico in base alla norma processuale interpretata»179,

dandosi così vita ad una sequenza la quale comporta la necessità di un accer- tamento complesso che caratterizza la funzione della Corte di cassazione sotto due profili, nel senso cioè che, rispetto al vizio di cui si parla, essa è giudice del

176 Rispetto alla quale si è espresso in senso critico, tra gli altri, canziO, Le due riforme, cit.,

153. Egualmente perplesso, inoltre, lOzzi, La ricorribilità, cit., 1307; id., Carenza o manifesta

illogicità della motivazione e sindacato del giudice di legittimità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 767. In giurisprudenza v., in senso critico, Cass. pen., Sez. un., 26 febbraio 1991, Bruno; Cass. pen., Sez. un., 25 ottobre 1994, De Lorenzo.

177 In dottrina, già zuccOni galli FOnseca, Le nuove norme sul giudizio penale di cassazione e

la crisi della Corte Suprema, in Cass. pen., 1990, 526, obiettava: «L’affermazione fatta nella relazione al progetto preliminare, secondo cui il vizio di motivazione è stato regolato in modo che esso, con i suoi limiti, risulti direttamente e non attraverso il riferimento ai casi di nullità della sentenza, non è dunque interamente attendibile». La soluzione interpretativa è stata più volte enunciata in giurisprudenza. V., in particolare, Cass. pen., Sez. IV, 19 aprile 2005, Bianco; Cass. pen., Sez. VI, 9 giugno 2004, Cricchi; Cass. pen., Sez. I, 3 dicembre 2003, Polito. Successivamente alla riforma dei vizi di motivazione, attuata con la l. 20 febbraio 2006, n. 46, l’impostazione è stata seguita da Cass. pen., Sez. V, 17 gennaio 2007, Pisanelli; Cass. pen., Sez. V, 9 novembre 2006, Gatti.

178 La previsione del “limite testuale” è stata aspramente criticata da cOrderO, Procedura

penale, cit., 1148: «Dove le motivazioni siano vagliate solo ab intra, essendo interdetto alla Corte l’accesso agli atti, diventa possibile ogni travisamento: non importa cos’abbiano narrato i testimoni e nemmeno se esistano, purché il motivante li nomini, attribuendo a ciascuno un detto; idem quando tiri in ballo ricognizioni mai eseguite; ecco ridotto il terzo grado a una fantasmagoria dove valgono anche pseudo-fatti processuali, mai accaduti, se l’estensore ne parla». Secondo iacOviellO, Il controllo, cit., 1243, il limite del controllo testuale «comporta una

potenziale frattura tra testo e processo in tutti quei casi in cui il testo non sia fedele ai risul- tati del processo». Dello stesso tenore i rilievi mossi da Ferrua, Il sindacato, cit., 965, il quale,

nell’auspicare una rimozione del limite, rileva come senza il supporto degli atti «il controllo sulla motivazione, più che ad individuare errori di giudizio, serve a misurare la sagacia dell’e- stensore». In senso critico rispetto alla presa di posizione da ultimo esposta, invece, laTTanzi,

Controllo, cit., 818.

“fatto processuale”180 e, al fine di potere effettuare un accertamento compiuto

di esso, ha pieno accesso al fascicolo processuale181.

La situazione normativa centrale dello schema interpretativo è composta come già detto dalle norme di cui agli artt. 442, co. 1-bis, 444, co. 2 e 526, co. 1 c.p.p. – ma si potrebbe richiamare anche l’art. 459, co. 2 e 3 c.p.p., il quale, nel prevedere un obbligo di trasmissione (e restituzione) degli atti a corredo di una richiesta di emissione del decreto penale di condanna, implica l’attribuzione di una chiara fisionomia al compendio probatorio utilizzabile dal giudice ai fini della decisione182 – ed ha il significativo ruolo di enunciare un principio cardine

dell’ordinamento processuale poiché collega la decisione di merito all’utilizza- zione delle sole risultanze probatorie acquisite nel corso del processo183, sicché

«non può dirsi legittimamente acquisita un’informazione che – in quanto frutto di travisamento – nessun mezzo di prova ha fornito»184.

Il processo, infatti, «è l’indispensabile strumento mediante il quale il giudice acquisisce […] i dati necessari per la decisione, garantendo il carattere cogni- tivo di quest’ultima [per cui] senza processo la sentenza non potrebbe trovare fondamento che nel pensiero individuale ed incontrovertibile del giudice ed in alcun modo se ne potrebbe mettere in discussione la fondatezza, posto che non sarebbero individuati i parametri in base ai quali valutarne la correttezza»185.

In effetti, la similitudine tra l’ipotesi di “travisamento della prova” e quella dell’impiego, a fini decisori, di una prova invalida ovvero mai assunta è indi- scutibile e «se si pone a base della motivazione una prova invalida o una mai assunta, nessuno dubita che, ai sensi degli artt. 526 e 606, comma 1 lett. c ed

e si ottiene l’annullamento della prova e – derivatamente (se decisiva) – della

sentenza su di essa fondata [per cui] [n]on c’è motivo per non procedere allo stesso modo nel caso di travisamento della prova»186.

Infatti, come non si è mancato di obiettare, «ai fini di un processo ispirato alla verità, la prova inventata si pone sullo stesso piano di un mezzo di prova inventato: se in sentenza erroneamente si afferma che Tizio ha effettuato una ricognizione con esito positivo di Caio, che differenza fa – ai fini della logica del

180 V., tra tutte, Cass. pen., Sez. un., 31 ottobre 2001, Policastro.

181 Così, da ultimo, Cass. pen., Sez. un., 16 luglio 2009, Di Iorio; Cass. pen., Sez. feriale,

sentenza 30 agosto 2006 n. 29448. Ma v., già prima, Cass. pen., Sez. un., 23 novembre 2004, Esposito.

182 L’approfondimento della tematica, in giurisprudenza effettuato da Cass. pen., Sez. IV, 9

giugno 2004, Bonazzi, è definito “intelligente da laTTanzi, Una legge improvvida, cit., 497.

183 D’altra parte, evidenzia sanTOriellO, Il vizio di motivazione, cit., 33, «la pronuncia giurisdi-

zionale ha – deve avere – sempre un nesso di collegamento con l’attività processuale che l’ha preceduta». Ma v., ancora una volta, bargi, Il ricorso per cassazione, cit., 517: ove il giudice

introducesse prove estranee al fascicolo processuale, «si verificherebbe l’utilizzazione di una prova “diversa” da quella acquisita legittimamente».

184 iacOviellO, Motivazione, cit., 792.

185 sanTOriellO, Il vizio di motivazione, cit., 35. 186 iacOviellO, Motivazione, cit., 793.

giudizio – se la ricognizione non è mai avvenuta o se la stessa ha avuto mani- festamente un esito negativo?»187.

In dottrina vi è chi colloca l’ipotesi di utilizzo della prova mai assunta nell’am- bito del vizio di cui all’art. 606, co. 1 lett. c) c.p.p. valorizzando il rapporto inter- corrente tra le norme racchiuse negli artt. 526 e 191 c.p.p.188, per poi escludere

che il medesimo schema possa operare in relazione al travisamento in quanto esso «presuppone una prova legittimamente acquisita ma a cui è stata data una valutazione così macroscopicamente erronea da travisarne completamente il significato. Non pare, quindi, possibile individuare, ove sussista un travisamen- to delle risultanze, un’inutilizzabilità della prova, con la conseguenza che un siffatto travisamento, se non risulti dal testo del provvedimento impugnato, non consente un ricorso per cassazione»189.

La tesi non appare convincente perché finisce con il peccare sia per eccesso che per difetto: per eccesso perché fa leva sul carattere di illegittimità di una acquisizione che, a dire il vero, è più semplicemente inesistente poiché mai avvenuta (non può essere illegittimo un qualcosa che non esiste); per difetto in ragione del fatto che essa trascura di considerare che l’oggetto dell’utilizza- zione processuale, la quale presuppone la conclusione della sequenza proba- toria190, è l’elemento di prova e, se si accetta questa premessa concettuale, non

può negarsi che, nei casi di travisamento della prova, il giudice impiega ai fini decisori una elemento inesistente, assolutamente sganciato dai mezzi di prova attivati nel processo e, quindi, processualmente mai acquisito: per questo moti-

187 iacOviellO, Il controllo, cit., 1245, il quale non manca di rilevare come un travisamento che

affiori dal solo testo della sentenza è inimmaginabile. «L’unica ipotesi teoricamente prospetta- bile» – continua – «è quella di una sentenza che nella parte espositiva riproduca testualmente il contenuto di un atto probatorio e che poi nella parte propriamente argomentativa stravolga tale contenuto. In questo caso il travisamento emerge dal testo perché il testo riproduce l’atto di prova. Ma allora c’è da chiedersi: perché questo raffronto con l’atto probatorio non può essere fatto anche quando l’atto non è riportato nel testo?». L’impostazione è seguita, sia pure con qualche precisazione e premettendo che si tratta di una «acrobazia esegetica», da Ferrua,

Il sindacato, cit., 965.

188 lOzzi, La ricorribilità, cit., 1307, per il quale «[u]na prova di cui non vi sia traccia negli atti

processuali non può, ovviamente, ritenersi legittimamente acquisita agli atti processuali e, pertanto, è inutilizzabile». La tesi della riconducibilità dell’ipotesi di prova “inventata” nella sfera del vizio di cui all’art. 606, co. 1 lett. e) c.p.p. è generalmente condivisa in dottrina. Cfr., tra gli altri, Ferrua, Il sindacato, cit., 965; scella, L’inutilizzabilità della prova nel sistema del pro-

cesso penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 217; carcanO, Contrasti giurisprudenziali in tema di

sindacato sulla motivazione, in Cass. pen., 1994, 1201. Secondo aMOdiO, Motivazione, cit., 211,

«[n]el contrasto tra sentenza e verbale è a quest’ultimo che deve darsi la prevalenza, sino a considerare come non esistenti per il processo i fatti probatori menzionati nella motivazione, ma ignorati dal verbale».

189 lOzzi, La ricorribilità, cit., 1307.

190 Così, in dottrina, TrevissOn lupacchini, Il procedimento probatorio nel linguaggio del vigente

codice di procedura penale, in Giust. pen., 1992, 549, secondo la quale la valutazione «cade fuori dal procedimento probatorio, del quale costituisce un posterius: oggetto di valutazione è la prova già formata».

vo, quindi, estraneo alla sfera dei dati cognitivi delineati in funzione utilizzativa dalla situazione normativa prima richiamata.

Non persuade, inoltre, la critica fondata sul carattere di “decisività” che il vi- zio deve assumere rispetto all’articolarsi del ragionamento giudiziale, carattere che, si afferma, «contraddice […] la premessa teorica dell’estraneità del vizio all’area della struttura argomentativa della motivazione»191.

Come ha ribadito, anche recentemente, la Corte di cassazione in relazione alla pronuncia che rilevi la fondatezza del ricorso con cui si lamenti l’illegale assunzione di una prova – ma la riflessione vale, ovviamente, anche rispetto al caso di travisamento192 – la decisione della Suprema Corte non deve procedere

all’automatico annullamento della sentenza ma, invece, effettuare la c.d. “prova di resistenza” e cioè valutare se gli elementi di prova acquisiti illegittimamente abbiano avuto un peso reale sulla decisione del giudice di merito, mediante il controllo della struttura della motivazione, al fine di stabilire se la scelta di una certa soluzione sarebbe stata la stessa senza l’utilizzazione di quegli elementi, per la presenza di altre prove ritenute sufficienti193.

La decisività, infatti, costituisce un dato di relazione che serve a proiettare il vizio (“travisamento”) sulla sentenza al fine di verificare se la sequenza ar- gomentativa che sostiene il dispositivo sia in grado di conservare razionalità e coerenza sebbene subisca l’amputazione di una sua componente.

Se l’elemento di prova è frutto di travisamento, la sua ritenuta sussistenza, non potendosi trarre dagli atti processuali, non può che emergere dalla lettura della motivazione ed è da questo passaggio che si attiva la serie accertativa che, rifluendo verso il contenuto del fascicolo, si conclude con una verifica circa la capacità della motivazione stessa di resistere allo scossone costituito dall’ac- certamento dell’errore percettivo del giudice.

La motivazione, in altre parole, serve a far rilevare il travisamento ma, una volta accertato, esso assume una propria identità ed un rilievo autonomo che,

191 canziO, Le due riforme, cit., 153. Per un approccio critico rispetto al criterio valutativo della

decisività in riferimento al vizio di travisamento della prova v., in dottrina, sanTOriellO, Il vizio

di motivazione, cit., 277.

192 V., infatti, Cass. pen., Sez. VI, 24 marzo 2006, Strazzanti. Ma v., anche rispetto al rimedio

straordinario previsto dall’art. 625-bis c.p.p., Cass. pen., Sez. I, 23 ottobre 2006, Caltagiro- ne, per la quale l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’articolo 625-bis c.p.p. deve essere non solo di oggettiva immediata rilevabilità, ma anche e soprattutto “decisivo”, nel senso che il controllo degli atti processuali deve far trasparire, in modo diretto ed evidente, che la decisione è stata condizionata dall’inesatta per- cezione di un certo fatto, mentre non può parlarsi di errore di fatto decisivo qualora l’accerta- mento della sua esistenza non determini incompletezza della motivazione della sentenza per reggersi questa su altre ragioni giustificatrici autonomamente sufficienti.

193 Cass. pen., Sez. VI, 14 gennaio 2014, n. 1255. V., sul versante dell’obbligo di esporre

in sede di ricorso i dati e gli esiti della “prova di resistenza”, Cass. pen., Sez. III, 23 gennaio 2015, n. 3207. In ambito dottrinario v., sul principio di irrilevanza del vizio non decisivo, iacOviellO, Giudizio di cassazione, cit., 657.

ovviamente, avendo ad oggetto una prova, non potrà che incidere “per deriva- zione” sulla sentenza che lo impieghi.

Si può cogliere, a questo punto, la espandibile potenzialità sistematica delle disposizioni contenute negli artt. 442, co. 1-bis, 444, co. 2, 459, co. 2 e 3 c.p.p. e 526, co. 1 c.p.p., ispiratrici di un chiarimento (anche esso) sistematico la cui necessità non è per nulla scalfita dall’innovazione introdotta in prospettiva si- nallagmatica194 dalla l. 20 febbraio 2006, n. 46195 ed il cui effetto estensivo del

sistema di garanzie che assiste le parti del processo penale solo ipoteticamente è neutralizzato da una riforma che, superate sotto alcuni profili le incertezze interpretative iniziali, ha continuato comunque a scontrarsi con soluzioni erme- neutiche oltremodo restrittive.

I primi interventi giurisprudenziali che hanno conformato l’attesa innova- zione legislativa, infatti, hanno registrato un atteggiamento a dir poco contrad- dittorio della Corte di cassazione, sospeso tra spinte conservatrici e approcci moderatamente aperti, comunque sempre poco (se così si può dire) entusiasti.

Alle chiare aperture rispetto ad un innovativo metodo di accertamento del vizio di motivazione, contenute nella prevalente giurisprudenza di legittimità e, ovviamente, imposte dalla novella legislativa196 si è contrapposto un orien-

tamento essenzialmente abrogativo della riforma, sulla base del quale in sede di controllo della motivazione l’art. 606, co. 1 lett. e) c.p.p., quando esige che il vizio di motivazione risulti dal testo del provvedimento impugnato, non con- sente alla Corte di cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una