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Cosa sono i diritti di proprietà intellettuale e come sono declinati nel TRIPS

Nel documento La Cina nel mercato globale (pagine 124-130)

Jacopo Cricchio

2. Cosa sono i diritti di proprietà intellettuale e come sono declinati nel TRIPS

intellettuale in Cina a partire dagli albori della Repubblica Popolare Cinese - RPC fino ai giorni nostri. Verificherò dunque da un lato in che modo la Cina e il WTO abbiano interagito tra di loro nel tempo e dall’altro se la Cina ad oggi segua effettivamente lo standard imposto dal TRIPS. L’analisi dell’efficacia del sistema cinese di IPR sarà quindi approfondita per cercare di passare infine alla questione relativa allo standard internazionale del 5G per verificare se la Cina sia effettivamente passata dall’essere un’inseguitrice in materia di IPR a leader globale. Procederò infine a trarre le dovute conclusioni e a ragionare sui possibili scenari futuri.

2. Cosa sono i diritti di proprietà intellettuale e come sono declinati nel TRIPS

I diritti di proprietà intellettuale, come definiti dall’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale - WIPO58, sono il mezzo attraverso il quale viene regolata e scambiata l’attività intellettuale in campo industriale, scientifico, letterario e artistico. Nel grande ombrello di IPR rientrano diverse sottocategorie come i brevetti, i segreti industriali, i diritti d’autore, i marchi, le indicazioni geografiche protette e gli standard tecnici (WIPO, 2004).

I diritti di proprietà intellettuale sono sempre stati oggetto di grandi controversie. Essi rappresentano oggi una delle maggiori aree di disaccordo nelle relazioni commerciali internazionali. Non è difficile capirne il motivo. Gli IPR sono stati creati

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per proteggere le attività creative degli individui. Tradizionalmente, un diritto di proprietà è legato a qualcosa che è scarso in natura e quindi escludibile e rivale nell’uso. Il suo scopo è quello di dare al proprietario il diritto di utilizzare il bene, di ottenerne un reddito e poter trasferire il bene ad altri (Gabusi, 2009). Applicare questo concetto alle idee, alle informazioni e alla conoscenza, come fanno gli IPR, non è così immediato. Esse hanno infatti le caratteristiche di un bene pubblico: non vi è rivalità nel consumo (il consumo di un bene pubblico da parte di un individuo non implica l’impossibilità per un altro individuo di consumarlo allo stesso tempo) e non vi è escludibilità nel consumo (una volta che il bene pubblico è prodotto, è difficile o impossibile impedirne la fruizione ai soggetti che non hanno pagato per averlo). Di conseguenza, i beni pubblici potrebbero essere scambiati a un prezzo molto basso o addirittura nullo. Allora perché creare e imporre un diritto di proprietà su qualcosa che non è formalmente scarso? D’altro canto, un sostenitore della teoria mainstream degli IPR chiederebbe a sua volta: perché qualcuno dovrebbe cercare di creare qualcosa di nuovo e innovativo se non può poi sfruttare economicamente i risultati delle sue attività intellettuali? Questo approccio deriva principalmente dalla prospettiva legata al concetto dei “diritti naturali”. Secondo questa teoria, basata sulla filosofia di John Locke (1632 - 1704), lo Stato non può negare ad ogni essere umano i suoi tre diritti naturali: la vita, la libertà e il patrimonio (Locke, 1988 [1690]). Un innovatore avrebbe dunque il diritto di possedere tutto ciò che crea o guadagna attraverso il dono o il commercio. Negargli tale prerogativa equivarrebbe a rubare i risultati del suo duro lavoro. Essendo questa filosofia nata in Europa, è tipica del mondo occidentale (Maskus, 2000).

In contrapposizione, vi sono coloro che fanno capo alla teoria dei “diritti pubblici”. Riconoscendo alle idee le caratteristiche del bene pubblico già citate, essi ritengono che il libero accesso alla conoscenza sia alla base della coesione sociale e soprattutto alla base dell’apprendimento. Dunque, imporre un diritto di proprietà su di essa non sarebbe giusto e soprattutto non sarebbe efficace. Infatti, senza questo libero flusso e scambio di informazioni, le società non si svilupperebbero, quindi è fondamentale che la conoscenza rimanga di dominio pubblico (Ibidem). Tradizionalmente, questo modo di affrontare la questione è tipico dei sistemi socialisti. Non sorprende che la Cina abbia seguito (e probabilmente per certi versi lo fa ancora)

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questo concetto per un lungo periodo di tempo, ma rimandiamo ai paragrafi successivi per i dovuti approfondimenti.

Ciò che l’odierna teoria internazionale dei diritti di proprietà intellettuale ha cercato di fare è trovare un equilibrio tra questi due approcci diametralmente opposti. La cosiddetta “visione utilitaristica” cerca di armonizzare da un lato la necessità di avere incentivi per l’inventore e dall’altro il beneficio pubblico che una nuova creazione dovrebbe portare alla società grazie alla sua diffusione e alla sua facilità di accesso. Entrambe le dinamiche sono importanti per promuovere l’innovazione. Da un lato, la grande diffusione di un bene innovativo grazie ai bassi costi marginali è un’efficienza “statica”. Dall’altro, l’efficienza cosiddetta “dinamica” richiede incentivi per investire in Ricerca e Sviluppo - R&D al fine di ripagare i costi di sviluppo di un bene (Ibidem). Gli IPR, in particolare i brevetti, si basano proprio su questo compromesso. Il titolare di un brevetto ha infatti il temporaneo diritto monopolistico di sfruttare la sua invenzione in cambio della sua rivelazione (Fariselli, 2014, p. 225). Questo sistema può essere spiegato meglio grazie alla Fig. 3.1.

Fig. 3.1 - Trade-off tra consumatori e produttori in seguito all’introduzione di un brevetto (monopolio)

Fonte: Adattato da Maskus, 2000, pag.30

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La figura rappresenta una curva lineare della domanda (AD) e i ricavi marginali (MR) per un prodotto che è stato inventato e che può essere fornito al mercato a costi marginali costanti (MC). Una volta che il prodotto è disponibile, il prezzo ottimale dovrebbe essere identificato nel punto C, equivalente in questo caso al costo marginale di produzione, generando così benefici per il consumatore corrispondenti all’area APcC.

Tuttavia, la soluzione al prezzo C farebbe emergere un mercato competitivo in cui tutte le imprese avrebbero la facoltà di imitare il prodotto senza incorrere nei suoi costi di ricerca e sviluppo iniziali. Questa soluzione non generebbe ricavi sufficienti per lo sviluppatore iniziale, che avrebbe quindi da solo sostenuto tutti i costi di R&D e distribuito i successivi ricavi all’intero mercato. Inoltre, nessuno avrebbe più alcun incentivo per continuare ad investire per il miglioramento del bene o servizio in questione, intaccando così l’intera area di beneficio del consumatore. La soluzione a questo problema viene identificata nella creazione di un monopolio di fatto attraverso la concessione di un IPR, nello specifico un brevetto, all’impresa innovatrice. Così facendo, le si consente la possibilità di vendere il bene o il servizio al prezzo M, che è superiore ai costi di produzione. Il ricavo monopolistico generato da questa operazione è rappresentato nell’area PmPcBM, che raffigura un trasferimento di surplus dai

consumatori (che rimangono solo con il surplus rappresentato dall’ APmM) ai

produttori. Questo ricavo rappresenta il ritorno dell’investimento iniziale in R&D. Bisogna anche tuttavia notare che vi è la formazione di una perdita secca pari all’area MBC. Infatti, non solo il prezzo per avere accesso al nuovo prodotto è superiore al costo marginale, ma c’è anche una riduzione della quantità prodotta. Anche se si tratta di un equilibrio non ottimale, rimane, secondo la teoria mainstream, la soluzione migliore per fornire innovazione alla società (Maskus, 2000). L’imposizione di un limite temporale alla durata degli IPR è in linea teorica lo strumento utilizzato per cercare di rafforzare maggiormente l’equilibrio tra gli interessi privati e quelli collettivi. Una volta scaduto il brevetto, permettendo quindi l’imitazione e la diffusione del bene a prezzi di mercato, il vantaggio collettivo prevarrà su quello privato, contrariamente a quanto accade quando un brevetto viene concesso inizialmente (Fariselli, 2014).

Comprendere appieno i vantaggi e gli svantaggi di questo sistema non è sempre semplice e immediato. D’altronde, trovare un giusto bilanciamento tra il beneficio

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privato a favore dell’innovatore e quello pubblico a favore della società è alquanto complesso. Seppur la teoria utilitaristica faccia del suo meglio per trovare l’equilibrio, bisogna far emergere le sue criticità, soprattutto per comprendere meglio il punto di vista cinese che verrà poi approfondito. Partendo proprio dal concetto chiave, se da un lato avere una forte protezione degli IPR aiuta in linea teorica a stimolare l’innovazione permettendo di ripagare i costi di R&D, dall’altro i prezzi non di mercato che ne scaturiscono potrebbero incidere sulla diffusione dell’innovazione, che potrebbe risultare molto bassa. Una scarsa commercializzazione del bene o servizio che la incorpora potrebbe significare l’impossibilità di ripagare i costi di R&D per l’imprenditore, senza contare che mantenere attivo un brevetto ha di per sé dei costi elevati. Inoltre, una diffusione su scala ridotta implica che la società non sta affatto traendo vantaggio dall’innovazione in questione, che rimane sostanzialmente inutilizzata. L’esempio più calzante è quello del settore farmaceutico. In questo campo, la necessità di una commercializzazione a prezzi moderati, e quindi di una grande diffusione e utilizzo dell’innovazione, dovrebbe per ragioni soprattutto morali essere altamente necessaria (Stiglitz, 2007). Per alcuni (May, 2015) non è dimostrata l’ipotesi che una forte protezione degli IPR sia essenziale per stimolare l’innovazione, poiché nel corso della storia il progresso scientifico è avvenuto anche in assenza di tale sistema, che ricordiamo ha iniziato a diffondersi nella sua versione embrionale intorno alla fine del 1400 (Per approfondimenti relativi alla storia degli IPR vedere Dent, 2009; Guan, 2014; May, 2007, 2010, 2015; Mossof et al., 2001).

Un secondo argomento è quello che sostiene che i brevetti sono necessari per espandere lo stock pubblico di conoscenze tecniche, il che porterebbe ai cosiddetti spill- over effect: da una innovazione si sviluppa una seconda innovazione, poi una terza e così via. Nel lungo termine si sviluppa così un mercato concorrenziale che quindi produce vantaggi per i consumatori (May, 2015). In altre parole, le informazioni contenute in un brevetto, che benché non siano riproducibili sono comunque di pubblico dominio, portano ad una riduzione dell’asimmetria informativa tra i concorrenti. Da un lato, questo potrebbe aiutare a produrre nuove sinergie utili per innovare ancora di più. D’altro canto, i concorrenti potrebbero trarre vantaggio dalle informazioni divulgate per ampliare le loro risorse di conoscenza e rendere, ad esempio, i prodotti complementari a quello brevettato molto più competitivi e innovativi. Tuttavia, alcune imprese non sono

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così propense a lasciare che la concorrenza si allarghi. Non a caso molte imprese depositano brevetti che coprono un ampio portafoglio di prodotti e soluzioni fortemente o anche solo leggermente connesse all’innovazione principale, in modo da bloccare le attività dei concorrenti. Questo fenomeno spiega anche il cosiddetto “paradosso dei brevetti”, che si riferisce da un lato al grande aumento dei brevetti concessi in tutto il mondo e dall’altro ad una maggiore diffidenza nel considerarli lo strumento adeguato per proteggere e stimolare l’innovazione (Fariselli, 2014).

Un ultimo ragionamento si può fare relativamente al concetto di follow-on innovation. Un brevetto ad ampio spettro porterebbe al suo possessore o ai titolari delle relative licenze a sviluppare le innovazioni correlate, evitando inutili duplicazioni di ricerca e sviluppo (Maskus, 2000). Questo argomento va innanzitutto contro quello già analizzato che sostiene che i brevetti aiutano a creare concorrenza. Ma anche la realtà dei fatti va nella direzione opposta, mostrando come attività di ricerca e sviluppo simili da parte di imprese diverse siano spesso la norma. Le numerose guerre di brevetti (controversie legali per determinare chi ha creato per primo un’innovazione, quindi chi dovrebbe effettivamente possedere un brevetto) lo dimostrano. Nel settore degli smartphone le grandi cause legali tra Apple e Samsung sono un buon esempio.

Le criticità della teoria di IPR si fanno ancora più evidenti se analizzate sotto una prospettiva internazionale. Quando un Paese trae davvero vantaggio da una stringente protezione degli IPR? Lo standard voluto dall’accordo TRIPS, a fortissima trazione statunitense ed europea, segue rigidamente i principi della teoria utilitaristica (Drahos, 2002). Seguendo il modo in cui l’accordo è stato stipulato, è abbastanza evidente come i Paesi in via di sviluppo (quindi anche la Cina, seppure ex-post) siano i perdenti di questa trattativa. Tuttavia, è bene ricordare che il TRIPS è stato discusso insieme agli altri accordi costitutivi del WTO, come ad esempio quello sugli scambi di merci (GATT59) e quello sui servizi (GATS60). Per far sì che il WTO nascesse, era necessario che tutti i Paesi accettassero tutti gli accordi costitutivi all’unanimità. Quindi, sebbene gli svantaggi del TRIPS per i Paesi in via di sviluppo fossero evidenti, la possibilità di aver accesso ai mercati più sviluppati ha fatto da contrappeso (Drahos, 2002; Winham, 2011).

59Dall’acronimo inglese “General Agreement on Tariffs and Trade”.

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Lo scetticismo dei Paesi in via di sviluppo deriva principalmente dal fatto che, secondo loro, l’equivalenza propagandata dalla teoria mainstream secondo cui una forte protezione degli IPR equivale a grandi benefici economici non è in realtà comprovato. Piuttosto, quantomeno nel breve periodo, è vero il contrario. Una stringente protezione degli IPR diviene vantaggiosa solo dopo il raggiungimento di un certo livello di sviluppo economico o, più specificamente, di un’infrastruttura tecnologica. Con questo si intende una forza lavoro ben istruita, una capacità industriale di base, buona capacità imprenditoriale e una discreta mobilità dei capitali (Brenner-Beck, 1992).

L’affaire Cina, come vedremo a partire dai paragrafi successivi, incarna praticamente tutte le problematiche snocciolate fino ad adesso ed è proprio per questo che rappresenta il puzzle ideale quando si vuole ragionare sugli IPR. Osservando come il sistema cinese di protezione della proprietà intellettuale si è evoluto nel corso del tempo e analizzando le scelte politico-economiche del partito-stato, metteremo a posto tutti i vari tasselli per offrire una visione il più completa possibile della situazione.

3. La scalata cinese verso lo standard internazionale di protezione degli

Nel documento La Cina nel mercato globale (pagine 124-130)