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Non solo in Cina: altri esempi di interventismo statale

Nel documento La Cina nel mercato globale (pagine 87-93)

PARTE I OPEN THE DOOR: GLOBALIZZAZIONE IN ENTRATA

5. Non solo in Cina: altri esempi di interventismo statale

La crisi economica del 2008-2009 e la recessione da questa provocata hanno contribuito ad accrescere il generale scetticismo verso i meccanismi del mercato come naturalmente efficienti. Si è assistito ad un progressivo consenso verso l’interventismo dei governi negli Stati Uniti e nella EU per evitare il collasso dei mercati. Il cambiamento nell’approccio dei governi all’economia ha trovato la sua espressione nelle policy industriali dirette a influenzare la struttura della stessa industria.

Il Primo Ministro inglese Cameron nel 2012 e Shinzo Abe in Giappone sono stati fra i primi ad esprimersi a favore di un approccio proattivo del governo al funzionamento dei mercati. Così anche il Presidente Obama, che nel 2013 ha espresso il

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suo impegno a garantire al proprio Paese un fiorente settore manifatturiero e occupazione. In Europa, in particolare, molti Stati hanno avuto la necessità di ripensare la propria policy industriale per far fronte agli effetti sociali ed economici della crisi, qui particolarmente d’impatto. La Germania è forse il primo esempio in questo senso, capace di fare della sua State-led economy la chiave del proprio successo. La Commissione Europea impegna da anni parte delle proprie risorse per l’implementazione di policy industriali con un approccio all’innovazione che intende promuovere l’eccellenza in determinati settori.

Stiglitz (Lin et al., 2013) cita Solow per spiegare come il processo di crescita economica e di benessere sociale sia collegato alla conoscenza e alla capacità di generarla. Perchè un’economia possa tuttavia gestire la produzione di conoscenza e il suo utilizzo per scopi produttivi, questa non può essere lasciata in balia dei meccanismi del mercato. Conoscenza ed innovazione appartengono infatti ad un settore non perfettamente competitivo, che richiede dunque necessariamente l’intervento statale. Nelle teorie sui fallimenti del mercato si tende a dare ampio spazio al tema delle policy industriali. Nessun Paese ha perseguito il proprio sviluppo senza un efficace processo di industrializzazione: promuovere un’innovazione coordinata attraverso tutti i settori è sempre più spesso visto come dovere delle istituzioni statali, poiché uniche in grado di fornire il framework in cui l’innovazione stessa può liberarsi.

Un ruolo proattivo del governo costituisce la base del successo di numerose economie, soprattutto quando questo agisce da entrepreneurial state, creando non solo un ecosistema favorevole all’innovazione, ma giocando come “a leading agent in achieving the type of innovative breakthroughs that allow companies, and economies, to grow, not just by creating the ‘conditions’ that enable innovation. Rather the state can proactively create strategy around a new high growth area before the potential is understood by the business community (from the internet to nanotechnology), funding the most uncertain phase of the research that the private sector is too risk-averse to engage with, seeking and commissioning further developments, and often even overseeing the commercialisation process.” (Mazzucato, 2011, p. 18-19).

Il successo di molte tecnologie cutting-edge è attribuito al genio di piccole imprese private nella Silicon Valley, ma spesso non si considera come questo genio sia stato coltivato nel settore pubblico americano attraverso la National Science Foundation

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– NSF e al programma pubblico di venture capital Small Business Innovation Research - SBIR. Diventa quindi importante riconoscere il ruolo dello Stato nell’assumersi il rischio di finanziare la ricerca disruptive, percepita invece come una perdita economica dalle imprese private, al fine di innescare una reazione lungo il network istituzioni- imprese che consenta il diffondersi della conoscenza dalla sua creazione al prodotto finale. Lo Stato deve cioè essere promotore di una knowledge economy.

Esiste una generale tendenza a pensare che i progetti delle imprese private siano più produttivi di quelli gestiti a livello statale, perché nascono da un approccio dinamico ed innovativo alla produzione. Si tende a considerare il ruolo dello Stato come negativo, non considerando che per quanto riguarda le innovation policy, invece, esso è in grado di fornire investimenti per la creazione di un bene pubblico, la conoscenza, e un ambiente in cui le imprese private possono partecipare e beneficiare della ricerca. “The debate about what type of research is best conducted by the public or private sector tends to come down to a discussion of the long time horizons necessary (eg for ‘basic’ research) and the public good nature of the investment in question (making it difficult for businesses to appropriate returns), providing the rationale for public sector funding. This is the classic market failure argument. What is less understood is the fact that often public sector funding ends up doing much more than fixing market failures.” (ibidem, p. 48). Investire in ricerca di base è percepito dalle imprese private come un fallimento di mercato, poiché è solo quella di tipo applicato a poter rendere profittevole l’investimento effettuato. Proprio per questo motivo si rende necessario l’intervento dello Stato, unica istituzione in grado di sostenere i costi del finanziamento di ricerca senza immediata applicazione sul mercato. Nella storia dell’innovazione “a key reason why the concept of market failure is problematic in understanding the role of government in the innovation process is that it ignores a fundamental fact about the history of innovation. Not only has government funded the riskiest research, whether applied or basic, but it has indeed often been the source of the most radical, path- breaking types of innovation. To this extent it has actively created markets not just fixed them.” (Ibidem, p. 54).

Parlando di National Innovation System, uno degli esempi di maggiore successo di ecosistema che stimola lo sviluppo sono proprio gli Stati Uniti, dove il governo “through its various agencies and laboratories, can be nimble, using its procurement,

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commissioning and regulatory functions to shape markets and drive technological advance. In this way it acts as a catalyst for change, the spark that lights the fire, in a networked system that already has the potential to disseminate new ideas rapidly.” (Ibidem, p. 76)

Il ruolo dello Stato nell’innovazione in USA è diventato fondamentale durante la Guerra Fredda, durante la quale l’impegno del settore militare ha trainato la ricerca e ha sviluppato tecnologie per attestare il dominio intellettuale ed economico del Paese. Il governo si è impegnato per la costruzione di un network per l’innovazione attraverso la Defense Advanced Research Projects Agency – DARPA: un organismo che non si occupa solo di assegnare fondi per la ricerca di base, ma che ha anche il compito di creare nuove opportunità, finanziando la ricerca e lo sviluppo di prodotti innovativi sia nel settore pubblico che in quello privato, con un atteggiamento mission-oriented.

Contrariamente all’approccio liberale tipico degli Stati Uniti sotto l’amministrazione Reagan, il governo si è comunque impegnato nella costruzione di una solida policy industriale. Un programma pilota NSF ha costituito la base per lo Small Business Innovation Development Act, che ha sancito nel 1982 la collaborazione tra imprese e alcuni organismi governativi come Department of Defence, Department of Energy ed Environmental Protection Agency. Da ultimo, la prima amministrazione Obama si è impegnata nella creazione del un nuovo progetto ARPA-E, sviluppato con il preciso scopo di migliorare ulteriormente il sistema DARPA, al fine di portare a risultati ancora più disruptive, impossibili da ottenere nel solo mondo del business.

I precedenti sono solo alcuni esempi di interventismo statale, un fenomeno soprattutto di recente largamente rivalutato. Uno Stato in grado di compiere investimenti rischiosi, non interessanti per le imprese private, è la spesso poco considerata base del successo economico americano. In seguito alla crisi del 2008, moltissimi governi sembrano aver riconsiderato l’importanza del proprio ruolo, anche alla luce dei brillanti risultati raggiunti dall’economia cinese nonostante la generale recessione del periodo. Lo sviluppo della competitività e dell’innovazione hanno reso la Cina un modello di Developmental State il cui successo è da analizzare, ma forse anche da imitare. Il successo cinese non è infatti solo dipendente da un’economia socialista con caratteristiche cinesi, ma nasce laddove la solidità politica del Governo–Partito è in

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grado di agire in maniera sistemica su tutte le sue componenti, nella costruzione di un ambiente favorevole allo sviluppo e alla diffusione di innovazione.

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2. GLOBAL VALUE CHAINS

Nel documento La Cina nel mercato globale (pagine 87-93)