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Made in China 2025: global player sulla frontiera tecnologica

Nel documento La Cina nel mercato globale (pagine 32-37)

Con il XIII Piano quinquennale 2016-2020 l’attenzione del governo si sposta verso una crescita industriale basata su settori high-tech e sul riequilibrio territoriale a favore delle regioni interne della Cina. Il programma MiC2025 (Roibu, cap. 1, Cauli, cap. 9) è emblematico di un orientamento delle policy cinesi che, pur mantenendo l’approccio alla indigenizzazione, si stacca dal ruolo di follower dei livelli di ricerca, innovazione, produzione, reddito raggiunti nei Paesi del capitalismo liberista avanzati, per concentrarsi sul ruolo di leader globale sulla frontiera tecnologica.

Per certi aspetti il programma MiC2025 può apparire volontaristico e rivela la consapevolezza di un ritardo da colmare (ad es. nei microprocessori, come vedremo oltre), ma per altri aspetti gli obiettivi di leadership sono coerenti con un background tecnologico molto evoluto e competitivo (ad es. nel settore EV). Una quota significativa dei settori target del programma riguarda le tecnologie collegate alla Internet of Things - IoT e alle sue declinazioni industriali, che in definitiva rimandano alla cosiddetta data economy, cioè ad una economia basata sui dati digitali in rete, catturati dalle piattaforme digitali, elaborati per virtualizzare produzione, servizi, lavoro, consumo. Nel libro sono analizzati due settori chiave della data economy, la cui performance colloca la Cina ai vertici della innovation ladder e ne fanno un leader nel mercato globale: eCommerce e Fintech (Shtepani, cap. 8) e Intelligenza Artificiale (Cauli, cap. 9).

eCommerce - Fintech

Nel 2019 oltre metà (54.7%) dell’eCommerce globale ha avuto luogo in Cina per un valore di circa 2 trilioni di dollari, superiore di oltre tre volte quello del secondo

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Paese in classifica: gli USA9. Come spiega bene Shtepani (cap. 8), in Cina la straordinaria diffusione dell’eCommerce e delle forme elettroniche di pagamento ad esso associate si spiegano come un caso di leapfrogging rispetto a una condizione del mercato retail e dei servizi bancari arretrata, nella quale si sono innestati piattaforme, applicazioni, dispositivi digitali di rete a basso costo e a diffusione capillare. In Cina, come anche in altri Paesi in via di sviluppo, in assenza di infrastrutture commerciali, logistiche, creditizio-finanziarie e di telecomunicazione diffuse ed efficienti si è passati in un balzo (e non gradualmente, come nei Paesi con una infrastrutturazione consolidata) all’uso delle tecnologie digitali di rete. Ciò è avvenuto nel momento in cui l’accessibilità diffusa di queste tecnologie è coincisa con una fase di crescita economica formidabile e quindi con un aumento della quota di reddito disponibile per il consumo. Come dimostra uno studio basato sull’indagine di un campione di famiglie statisticamente rappresentativo del Paese, incrociato con dati Alibaba, l’espansione dell’eCommerce ha contribuito ad innalzare il tasso di crescita dei consumi in Cina, specialmente nelle zone rurali, interne e più povere, riducendo pertanto la diseguaglianza spaziale nei consumi (Luo et al., 2019).

Grandi mercati in rete hanno dunque colmato un vuoto, specialmente nelle città di terzo e quarto livello, e lo stesso vale per i pagamenti elettronici via smartphone che, introdotti inizialmente dalle piattaforme di eCommerce a integrazione delle transazioni commerciali online, hanno progressivamente esteso il loro raggio di applicazione a tutti i tipi di transazione, on e off-line.

Il successo dell’eCommerce cinese – le cui specificità sono messe bene in evidenza da Shtepani (cap. 8) – ha svolto un ruolo trainante non solo dal punto di vista del volume degli scambi e delle interazioni (Alibaba e Tencent servono reti di oltre un miliardo di user ciascuna), ma anche nella creazione di servizi innovativi, di nuove imprese e di modelli di business in continua evoluzione. La grande mobilitazione di risorse e di idee, alimentata da un mercato domestico immenso e da un quadro istituzionale flessibile e permissivo, ha fatto maturare valore e competenze tecnologiche di primo livello, stimolato l’innovazione e la concorrenza. Si è generata varietà di

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https://www.emarketer.com/content/global-ecommerce-2019, https://www.emarketer.com/content/china-ecommerce-2019

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imprese: campioni nazionali, concorrenti, startup che competono e/o cooperano a seconda dei casi, e varietà di modelli: B2C, B2B, C2C; social commerce; omnichannel commerce; online + offline; new retail. Non solo, i big champion hanno sviluppato attività cross-border di eCommerce e di Fintech (pagamenti, prestiti, fondi online senza intermediazione bancaria), estendendo i servizi di eCommerce (ad es. Tmall Global) e di ePayment (ad es. tramite Alipay o WeChatPay) a consumatori e a imprese in oltre 60 Paesi nel mondo. L’eCommerce e il Fintech cinesi sono sulla cresta dell’onda della globalizzazione in uscita. Nello stesso tempo, il mercato eCommerce domestico cinese, che pure è il più grande del mondo, ha ancora un potenziale di crescita molto ampio. Infatti, al 2019 il tasso di Internet user in Cina si aggirava attorno al 60% della popolazione, e considerando che il 99% degli accessi avviene via smartphone e che la quota di smartphone sulla popolazione è del 53%, si comprende che il mercato online cinese è ancora lontano dalla saturazione10.

Il follow-up delle transazioni digitali in rete in un mercato della dimensione di quello cinese, che finora ha mostrato scarse preoccupazioni relativamente a privacy e sicurezza dei consumatori online, è costituito dall’immensa mole di dati digitali che va ad aggiungersi all’immensa mole di dati digitali generati dalla capillare presenza di dispositivi IoT disseminati nel Paese. L’abbondanza di questa risorsa, che non è oggetto di scambio economico tra chi la cede e chi la raccoglie, ma può essere impiegata a fini economici da chi ne viene a disporre, costituisce un asset fondamentale e un vantaggio competitivo per l’Intelligenza Artificiale – AI cinese nel mercato globale.

Intelligenza artificiale

Come spiega chiaramente Cauli (cap. 9) AI è un filone di ricerca molto complesso, in cui recentemente sono stati fatti significativi passi avanti che l’hanno rilanciato dopo l’impasse degli anni 1970, ma che è comunque ancora molto distante dalla meta, tinta spesso dei colori della fantascienza, di macchine pensanti. Con la rivoluzione tecnologica introdotta dalle tecnologie digitali di rete, infatti, sono aumentate esponenzialmente la capacità e la velocità del computing, in parallelo alla

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Negli USA la percentuale di Internet user sulla popolazione supera il 75%, in altri Paesi tra cui UK, Olanda, Giappone, Sud Corea supera il 90%

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miniaturizzazione dei dispositivi di calcolo e alla diminuzione del loro costo. Per fare un esempio, tra il 1950 e il 2010 la quantità di calcoli possibile con 1 kilowatt/ora di energia è cresciuta di circa 100 miliardi di volte, mentre il prezzo del computing oggi è circa 1/100.000.000 di quello del 1970, quando è apparso sul mercato il primo microprocessore11. Riprendendo da Cauli (cap. 9) la citazione di Lee (2018), lo smartphone che teniamo in tasca ha una potenza di calcolo superiore di milioni di volte a quella che la NASA ha usato per mandare Armstrong sulla Luna nel 1969. La capillare diffusione di dispositivi di calcolo digitali miniaturizzati connessi in rete hanno reso possibile la massiccia conversione online di attività sociali ed economiche, mediante piattaforme ed applicazioni in grado di raccogliere, elaborare, generare dati digitali in quantità e a velocità impensabili ai tempi in cui le potenzialità dell’AI venivano semplicemente intuite.

AI si nutre di dati, di software e di potenti computer in grado di effettuare machine learning, che in pratica consiste nella capacità di riconoscere dei modelli da masse di dati per procedere a identificazioni, simulazioni, comparazioni, previsioni, e qualsiasi operazione di calcolo utile a finalità specifiche. Ad esempio, la sperimentazione di veicoli a guida autonoma richiede la simulazione di innumerevoli scenari, per ottenere i quali è necessario impiegare enormi quantità di dati raccolti dalla vita reale. Nel caso di AI utilizzata per il riconoscimento facciale, che è attualmente l’applicazione più diffusa, è evidente che l’efficacia dei risultati dipende dall’ampiezza del bacino di dati a cui attingere. Ma un aspetto importantissimo dell’AI è che essa richiede una grande quantità di lavoro umano per il cosiddetto data-labelling12, che serve a classificare i dati raccolti dalle macchine per renderli leggibili dalle macchine. È necessario taggare i particolari delle facce per poter chiedere alle macchine di riconoscere una faccia tra milioni. Tutto questo configura una pipeline in una sequenza di questo tipo: acquisizione di dati (ad es. immagini da telecamere di sorveglianza), software per gli operatori del labelling, algoritmi e chip speciali per il machine learning. In Cina c’è grande abbondanza di dati (ad es. provenienti dall’eCommerce e attività collegate) e di lavoro per il labelling. Ad es. MBH, una delle maggiori data factory

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The Economist, September 12, 2019, Drastic falls in cost are powering another computer revolution. The Internet of Things is the next big idea in computing

12 The Economist, January 14, 2020 Technology in China, A new trinity. Success at AI has relied on good

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cinesi, impiega 300.000 data labellers sparsi nelle province più povere che etichettano 6 ore al giorno sul proprio computer da casa facce, immagini mediche, paesaggi (per le simulazioni delle auto a guida autonoma) per un salario mensile di 425 dollari, che è tre volte il salario medio nelle regioni cinesi più povere, ma è comunque inferiore a quello che l’impresa dovrebbe pagare se i lavoratori vivessero nelle aree urbane. Ma anche nei microprocessori per AI in Cina sono stati fatti molti progressi. Alibaba, ad esempio, ha rilasciato nel settembre 2019 un chip per AI-machine-learning dalla performance molto superiore a quelli prodotti da Nvidia, impresa americana leader nel settore. Queste risorse conferiscono alla Cina un vantaggio competitivo sul mercato AI globale ma come mostra Cauli (cap. 9) la Cina non è autonoma nella produzione industriale dei chip, che deve importare da Taiwan e dagli USA. Il programma MiC2025, infatti, si propone di recuperare questo ritardo, che tuttavia costituisce un forte limite perché richiede un background di conoscenze, competenze e apprendimento che non è possibile acquisire in breve tempo. In questo sforzo di sviluppare un’industria domestica basata su AI per rilanciarla sul mercato globale, la Cina si è concentrata sullo Smart Manufacturing, investendovi 20 miliardi di euro, cento volte l’ammontare dell’investimento del governo tedesco nel piano Industrie 4.0 da cui la Cina ha tratto ispirazione.

Un altro aspetto interessante che emerge da Cauli (cap. 9) riguarda la dimensione locale/nazionale/globale della AI cinese. Da una parte, il modello di policy making cinese prevede che l’implementazione delle policy decise a livello centrale venga decentralizzata a livello provinciale, per cui il livello locale viene responsabilizzato dei traguardi ottenuti rispetto al piano, e questo mette in competizione tra loro i governi regionali. La capacità dei governi locali di intervenire nel settore AI è prevedibilmente confinata ai livelli meno complessi di questo settore tecnologico, per cui è alto il rischio che si determini sovrapproduzione nei settori low-tech dell’AI (ad esempio nella robotica a basso costo). Dall’altra parte, sul piano nazionale, il governo richiede la collaborazione dei big champion dell’AI per raggiungere obiettivi di public management. Ad esempio, Ant Financial (Alibaba) collabora con il governo nella sperimentazione del Social Credit System mettendo a disposizione il proprio expertise e, soprattutto, condividendo i dati che raccoglie tramite le proprie applicazioni di ePayment. Allo stesso modo, Ant Financial ha sviluppato, in collaborazione con il

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governo, l’Alipay Health Code, per verificare lo stato di salute / contagio da Covid-19 dei cittadini cinesi. Infine, per sopperire alla limitazione dei dati, che sono molto abbondanti ma sono tutti cinesi, China Mobile ha aperto un data center in UK, probabilmente nel tentativo di arricchire, diversificandola, la base dati a disposizione della Cina.

Nel documento La Cina nel mercato globale (pagine 32-37)