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COSA RESTA

Nel documento Sandro Pertini (pagine 134-141)

Ieri, oggi: il cimitero inglese di Minturno nei pressi del fiume Garigliano

ri, ma ne costituiscono un importante e singolare “monumento”, concentrato in pochi chilometri, e tali da formare un vero e proprio “museo della guerra”

all’aperto. Per il rispetto che la storia richiede, e che può anche essere sfruttato come motivo di attenzione dall’esterno (vedi i luoghi della Normandia, delle trincee alpine, della linea Gotica, che hanno drenato miliardi di investimenti e che sono luoghi di richiamo curioso, oltre che storico) si dovrebbe pensare ad una organica segnalazione di questi bunker, eretti per contrastare il temuto sbarco alleato sulle coste pontine, tra il 1942 e la fine del 1943-primi del 1944.

Nell’ordine fotografico seguono, un fortino in mezzo alla spiaggia al di sotto della c.d. “strada chiusa”; un tempo si trovava sulla duna, ed ora testimonia quanto il mare abbia divorato in termini di erosione; una casamatta di cemento armato con feritoie per contrastare con il fuoco eventuali attacchi avversari, sita in prossimità della Bufalara, in territorio di Sabaudia. Un altro fortino è “sban-dato” sulla duna a causa della lenta e sistematica erosione eolica che ha sottratto alla base la sabbia sulla quale un tempo poggiava. Un altro esempio è quello che oggi ha cessato di essere segno militare, per diventare un monumento alla pietà, spontaneamente allestito da volontari e trasformato in sacrario del ricordo di coloro che persero la vita nel tentativo di neutralizzare una mina marittima ap-prodata sulla spiaggia di Sabaudia. Morirono in sei bonificatori di mine, e i loro nomi sono incisi su piccole targhe marmoree, o ricordati in vecchie stampe, al vertice della scalinata che conduce dalla lungomare fino all’antico appostamento bellico. Infine, un fortino italiano, che avrebbe dovuto presidiare i luoghi della Milizia portuaria di Sabaudia, e che oggi è l’anticamera di aree occupate dalla Martina Militare.

Altri fortini fanno parte di un diverso panorama, quello del solo ricordo docu-mentale, perché sono scomparsi, smantellati, erosi dal tempo e dall’incuria. Tra essi il fortino di S. Agostino a Gaeta, usato anche per tenere all’ormeggio con una catena di ferro qualche vecchia barca da pesca. Altre foto illustrano strut-ture militari che sorgevano nella campagna di Itri o sulla riva del mare di Gaeta Porto Salvo. Altre ancora, evidenziano postazioni di <Spandau> (mitragliatrici tedesche) rifugi scavati nella roccia e sangar di pietre sui monti intorno a Castel-forte, Santi Cosma e Damiano ed altri luoghi come l’Ornito (dove un piccolo sacrario ricorda i caduti alleati), il Siola, il Furlito. Sulle colline e i monti della Linea Gustav, i bunker erano superflui, perché il terreno offriva alle truppe Tra Bunker e Trincee per un Museo a Cielo Aperto

di Pier Giacomo Sottoriva

I

l passaggio della guerra abbandona molta spazzatura. Gli archivi sono pieni delle segnalazioni di rinvenimenti di residuati bellici e di sequestri di armi, soprattutto nel dopoguerra, quando si temeva che il disinteresse per il recupero delle armi abbandonate fornisse una facile occasione per perseguire scopi men che puliti o “politicamente scorretti”. Le cronache anche dei giorni che vivia-mo, poi, spesso riportano ulteriori rinvenimenti di proiettili abbandonati ed ancora efficienti (soprattutto a Minturno, Castelforte, Formia, Aprilia, Cister-na). E qualche volta si rinvengono anche i poveri resti di soldati caduti senza il privilegio di lasciare traccia del proprio nome. La progressiva invasione edilizia e stradale del territorio risveglia dalla quiete del tempo questi miseri relitti che la guerra ha lasciato dietro di sé, e mai più rivendicati o ricercati.

Tra questi resti di una guerra scomparsa 70 anni fa e non dimenticata, anche se spesso sconosciuta, vi sono anche le testimonianze di un’arte del costruire finalizzata all’arte del distruggere e dell’uccidere, o del difendersi, come i forti-ni militari, le pill-boxes, i bunker che nella provincia di Littoria fanno ancora mostra di sé, pressoché ignorati da chi li vede, che forse neppure sa a cosa servi-rono, e perché si trovano là dove stanno. A volte essi sono anche la testimonian-za di profonde modifiche subìte dall’ambiente naturale.

Il fatto che in terra pontina e aurunca vi siano ancora questi muti e derelitti te-stimoni di una immane tragedia, costata globalmente tra i 50 e i 60 milioni di morti, è la conseguenza dell’importanza strategica che in un territorio, se pure considerato dagli alleati “secondario” da un punto di vista strategico, fu teatro di grandi avventure militari, come la lunga battaglia contro la linea Gustav, nel Sud, e come lo sbarco di Anzio-Nettuno, che costò soprattutto ai centri di Ci-sterna, Aprilia e Littoria, ma anche ai paesi più interni - Cori, Sezze, Priverno - che conobbero gli effetti delle esplosioni dei grossi calibri sparati dalle grandi navi da battaglia o sganciati dai P-40, gli agili e micidiali caccia bombardieri americani.

Qui documentiamo alcuni dei più evidenti testimoni: si trovano sulle spiagge e sulle dune del Parco nazionale del Circeo (singolare contraddizione, a ben pen-sarci) tra Latina e Sabaudia. Essi non esauriscono il numero di tali resti

milita-8.000 danneggiati; 71 mila metri cubi di stalle e magazzini distrutti e circa 100 mila danneggiati; il 50 per cento dei macchinari agricoli o di mezzi di trazione distrutti. Oltre 6.500 ettari di superficie boschiva vennero distrutti o danneggiati, e l’agricoltura accusò anche la perdita totale di 8,5 milioni di viti e quella parziale di altri 4 milioni; 220 mila olivi perduti e 150 mila dan-neggiati, 600 mila alberature diverse distrutte o danneggiate. E ancora, con riferimento alle scorte vive perdute: 47.491 bovini, l’83,4% del patrimonio anteguerra; 6495 equini, 59.303 ovini, 11.000 suini.

Nel campo delle opere pubbliche e di bonifica, fu messo fuori uso il 50%

degli impianti idrovori e andarono distrutti o furono gravemente danneggia-ti 30 pondanneggia-ti in cemento armato. In complesso, infine, la Relazione Ballerini dava 59.052 vani civili distrutti o inabitabili in 16 dei Comuni che avevano maggiormente patìto la presenza della guerra.

Settanta anni dopo

Oggi, 70 anni dopo, quei giorni svaniscono nel ricordo o non entrano nel patrimonio identitario delle popolazioni giovani, che le ignorano. Una ope-razione-memoria è ancora utile? Io credo proprio di sì, e questa è la ragione per cui, insieme a tanti altri ricercatori, mi sforzo di partecipare quello che ho appreso dalle testimonianze, dai documenti, dalla lettura di testi militari, di diari, di depositi archivistici. Ed è quello che, a mio avviso dovrebbero fare le Amministrazioni, soprattutto per i più giovani, ora che l’Europa unita con-sente di avere dei fatti una visione meno emozionale.

A mio avviso occorre una mobilitazione capace di ricostruire il volto completo di quei giorni, e tale operazione richiede il concorso di più risorse:

- quella dei Comuni, che dovrebbero mobilitare storici, studiosi e gente di buona volontà, soprattutto scuole, antiche famiglie, per disegnare una strate-gia di comportamenti e di compiti. Il Comune può impegnarsi anche attra-verso la lettura dei registri anagrafici, per quel che è possibile; e riorganizzan-do i riorganizzan-documenti d’epoca negli archivi storici, riorganizzan-dove esistono

- quella della comunità religiosa, attraverso la lettura dei documenti conser-vati nelle chiese locali (atti dei nati, dei morti, dei matrimoni, diari, ecc.);

- quella della Scuola, che è fondamentale per mobilitare i bambini e studenti tedesche la possibilità di realizzare punti di difesa strategici che ancor oggi sono

oggetto di studio da parte dei militari della Nato.

Forse le Associazioni impegnate a recuperare e far conoscere la storia dei due grandi fronti di guerra in terra pontina aurunca potranno riservare al recupero di bunker e postazioni parte del loro impegno. Tra queste l’Associazione Li-nea Gustav-Fronte Garigliano con sede a Castelforte e SS. Cosma e Damiano, che ha messo a disposizione della Provincia immagini sconosciute ai più, Si di-stingue per impegno ed assiduità nel raccogliere, catalogare ed esporre reperti, studi, testimonianze tese a coltivare Storia e Memoria in un territorio in cui la rimozione di quei mesi di guerra ha accompagnato per decenni quanti alla guerra ebbero la fortuna di sopravvivere. Le Istituzioni hanno l’obbligo di essere d’aiuto perché la nobiltà di questi esempi possa aiutare la generale crescita di sensibilità per la Pace e la Democrazia.

Dopo la guerra

Il dopoguerra ebbe due strascichi negativi: una forte recrudescenza della ma-laria e l’allagamento di 10-11 mila ettari di agro pontino. Il ritorno delle feb-bri fu notevole in tutta la provincia, ed ebbe picchi anche al di fuori delle aree un tempo paludose, come Formia, Gaeta e Minturno. Secondo una relazione del 12 giugno 1950 fatta dall’ingegner Pietro Ballerini, presidente della rico-stituita Camera di Commercio, in occasione dell’insediamento della Consul-ta economica provinciale, la malaria aveva colpito addirittura il 95 per cento della popolazione. Ma è una cifra sicuramente esagerata. La cifra che viene fatta da altri è 40 mila colpiti dalla malaria. Gli americani iniziarono subito ad impiegare sulle aree impaludate il DDT, lanciato sulla piana di Fondi an-che da aerei. E le zanzare sparirono.

I danni della guerra non sono mai stati quantificati in maniera definitiva.

Diverse fonti, tuttavia, illuminano su alcuni valori. Una carta dell’Opera na-zionale Combattenti parla di 5966 ettari minati nell’area di bonifica, di 299 poderi distrutti, 507 fortemente danneggiati e 954 danneggiati. La relazione dell’ingegner Ballerini, fornisce questo consuntivo generale: 10.468 ettari di superficie allagata per due anni (1944-45), 12.259 ettari di terreno minato e improduttivo per tre anni, 4.205 vani colonici totalmente distrutti e più di

in un lavoro di sondaggio e di scavo presso le famiglie, dalle quali debbono uscire fuori vecchie, preziose fotografie, lettere e scritti di soldati, diari (ce ne sono), e soprattutto il ricordo dei più anziani. Ogni studente deve diventare una staffetta per ricucire il filo del ricordo con le vecchie generazioni, tra le memorie individuali che vanno perdendosi e l’attualità del ricordo come pa-trimonio comune e condiviso di una collettività;

- quella dei circoli di anziani, che debbono imparare a fare memoria attra-verso uno scambio collettivo, che annoti anche piccoli frammenti di ricordo;

- la riscoperta di personaggi che hanno svolto un ruolo che molti non cono-scono.

Questo è un altro modo per ricostruire la solidarietà di allora e trasferirla al mondo attuale, per fare accoglienza dell’altro, e per consolidare il sentimento di essere parte di una comunità cittadina adulta, matura e che si evolve non solo col mantenimento dei ceppi genetici originari, ma anche attraverso ap-porti esterni, pur nella piena consapevolezza della propria storia e della pro-pria identità. Questi 70 anni, allora, non saranno trascorsi invano.

Questo saggio deriva per larga parte da quanto ho raccontato nei miei libri I giorni della guerra in provincia di Littoria, Cipes, Latina 1974, ried. nel 1984; e Cronache da due fronti, Meganetwork, Latina 2004.

Ciascun lettore, nel riceverlo, potrà liberamente decidere di

Nel documento Sandro Pertini (pagine 134-141)