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«TRA CEFALONIA E KOS»

Nel documento Sandro Pertini (pagine 111-117)

ranza e ricordo perenne, con Cefalonia e Kos, due isole greche in cui si consumarono, all’indo-mani dell’otto settembre, le tragedie della Divisione Acqui e della Divisione Regina: Erasman-tonio Cocomello, 27 anni, sposato e un figlio che avrebbe accarezzato solo nei primi sei mesi di vita, era un caporale del 17° Reggimento, aveva mostrine di stoffa dagli stessi colori di quelle di questi soldati che oggi sono schierati nella compagnia d’onore e gridano Acqui con la fierez-za di un passato e di una storia che incutono rispetto, commozione, silenzio, raccoglimento, partecipazione. Questo giovane commerciante dai capelli castani e la fronte rosea arruolato in aeronautica per il servizio di leva e poi in fanteria allo scoppio della guerra non è più tornato da Cefalonia: disperso alla data, comune a tanti altri, dell’8 settembre 1943.

E, come lui, non sono più tornati da Cefalonia e Corfù:

Del 17° Reggimento Fanteria Acqui:

S

ignor Vice Presidente della Camera,(On. Rocco Buttiglione)

Bentornato tra noi! Per la seconda volta nell’ambito delle celebrazioni per il conferi-mento della Medaglia d’Oro al Gonfalone della Provincia, ho il piacere di porgere a Lei il saluto caloroso dell’Ente e mio personale, rinnovando con esso, quello dei Sindaci di tutti i Comuni del territorio.

Con altrettanta partecipazione, estendo a ciascuno delle Autorità religiose, civili e milita-ri, ai cittadini presenti un cordiale benvenuto e un apprezzamento profondo per essere oggi a Spigno Saturnia, comune prossimo a quel carnaio di vite che fu la Linea Gustav, per testimo-niare l’elevato grado di sensibilità con la quale essi partecipano ed alimentano, con il respiro derivante dall’aria pulita della democrazia, la Fiaccola della Memoria che, umile Tedoforo dell’istituzione in cui si riconoscono mezzo milione di persone, porto accesa in tutto il territorio perché il ricordo di ciò che avvenne più di mezzo secolo fa - quando uomini dal pensiero totali-tario e avvolti dal buio della ragione, armarono la mano di altri uomini per una lotta fratricida che costò milioni di vite-aiuti la Pace e la Libertà a crescere nella coscienza di tutti come beni supremi ed irrinunciabili dell’Umanità.

Che la Medaglia d’Oro al Merito Civile al Gonfalone della Provincia sia oggi a Spigno Saturnia non è un caso. È un tributo alle sofferenze e alle distruzioni che questo paese, ridotto ad un cumulo di macerie per circa il 98 per cento, subì dai tedeschi prima, dagli alleati poi. Rastrellamenti, fucilazioni, bombardamenti. Come a Castelforte, Santi Cosma e Damiano, Minturno, Formia e Gaeta: i paesi limitrofi! E, poi, il passaggio delle truppe coloniali del Corpo di Spedizione Francese che, anche tra questi monti, espressero la sottocultura del “bottino di guerra”contro Maria e le altre, facendone scempio nella carne e nell’anima.

La Medaglia d’Oro della Provincia si compone simbolicamente di 33 parti, quanti sono i suoi comuni. Spigno ne rappresenta una parte tra le più significative. Anzi, l’alta onorifi-cenza al Gonfalone dell’Ente nell’insieme ei significati di unità, fraternità ed uguaglianza che l’accompagnano, aspira ad esaltare la Medaglia d’Argento al Merito Civile di cui, tra poco, il Gonfalone di questa cittadina sarà fregiato dal Vice Presidente della Camera dei Deputati.

Condivido con voi, Sindaco e Cittadini di Spigno Saturnia, la convinzione che questo paese avrebbe meritato la medaglia d’oro come altri. Il tempo della revisione e di fornire ulteriori elementi di valutazione non manca e questo è il primo passo.

Ma quanto sia importante Spigno per noi è dimostrato dalla figura prescelta per questa per questa cerimonia che consente alla Provincia di Latina di gettare un ponte ideale, fatto di

spe-L’<Arte del comando>, impose a Gandin di prendere tempo e di mediare, consapevole che l’ar-mamento delle sue truppe non poteva reggere il confronto con un esercito tedesco fortemente equi-paggiato e pronto ad adottare le contromisure del disimpegno italiano e fortemente equiequi-paggiato.

Nei suoi doveri di Comandante, quello di salvare gli <undicimila figli di mamma> era giustamente preminente, ma quando arrivarono gli ordini di battersi contro le truppe alpine della Divisione Edelweiss né Gandin, né i suoi ufficiali e sottufficiali, né i fanti ed artiglieri della Acqui, né carabi-nieri, finanzieri e marinai si tirarono indietro e nonostante il desiderio di tutti di tornare in patria con onore ciascuno fece il proprio dovere fino in fondo. Come il C.le Erasmantonio Cocomello del 17° Reggimento.

Padroni del cielo, truppe da montagna addestrate ed agguerrite, i tedeschi della Wermacht ebbero ragione della Acqui in pochi giorni di combattimento in cui gli italiani furono protagonisti, in uno, di ardimento e scoramento, fierezza e smarrimento nell’affrontare la morte, aspergendo sul suolo greco lo stesso sacro sangue degli alpini sul Don, dei paracadutisti e dei bersaglieri ad El Alamein, dei granatieri di Sardegna e dei lancieri di Montebello a Porta San Paolo, dei nostri marinai nelle battaglie delle nostre navi nel Mediterraneo, dei fanti del primo raggruppamento motorizzato a Montelungo, Sono consapevole della storia e della controstoria che accompagnano il massacro la Divisione Acqui a Cefalonia e della ricchezza di contributi intervenuti sul fatto d’arme nel mo-mento in cui esso è stato sottratto all’oblìo delle coscienze e alle polveri degli armadi giudiziari.

Ma, mi sottraggo alle tesi della storia e della controstoria: Le responsabilità ed il numero dei morti di Cefalonia costituiscono argomento di approfondimento per storici e studiosi di opposta visione che hanno prodotto i loro lavori sulla base degli studi di Montanari sulla documentazione italiana, di Schreiber sulla documentazione tedesca e di Rusconi sulle risultanze del lavoro dei primi due autori.

Come Istituzione, la Provincia ha il dovere del ricordo e della testimonianza, nonché di essere equidistante dalle differenti valutazioni dei fatti di quei giorni quando, tra ordini e disposizioni di gerarchie in fuga, i nostri militari, gli italiani veri, vennero lasciati morire per difendere il proprio onore di uomini e di soldati e per quel tricolore che accompagnò il Risorgimento e la rinascita nella Repubblica e nella Costituzione dell’Italia in cui oggi viviamo in pace.

Quattordici Medaglie d’oro, ventinove d’argento e ventitré di bronzo al valor militare non rendono ragione del sangue versato a Kardakata, Capo Munta, Dilinata, alla <Casetta Rossa> e nelle varie località di Cefalonia e spero in una rilettura serena dei fatti che coincida con un sostanziale ampliamento delle onorificenze individuali concesse a suo tempo.

Non posso tuttavia frenare il mio dissenso dinanzi alle scelte del governo nazionale negli anni della

<guerra fredda>, il quale dinanzi all’esigenza di salvaguardare l’immagine del ricostituendo eser-cito tedesco, scelse la strada di tacere agli italiani la tragedia della Divisione Acqui come di altri Caporal Maggiore Alfio Pecoraro di Cisterna

Artigliere Genesio Cipolla di Sonnino.

Del 317° Reggimento Fanteria Acqui:

Fante: Quirino Arzano di Itri;

E, ancora, Salvatore Capolino, 2° Capo Marina Militare, di Formia; il Carabiniere del 7° Bat-taglione Mobiliato Michele La Rocca di Minturno.

Per loro, per gli ufficiali, i sottufficiali e soldati della Divisione Acqui che non sono più tornati alle loro famiglie, così come per i fanti,i sottufficiali e i 103 ufficiali della Divisione Regina, la maggior parte dei quali non aveva ancora 28 anni, fucilati ai primi di ottobre del ’43 a Kos dai tedeschi, vorrei che le mie e le vostre mani si unissero in un caloroso applauso.

Ai giovani che sono con noi, a coloro i quali faremo pervenire il libro dal titolo <Divisione Acqui: cro-naca di una tragedia - Cefalonia settembre 1943 - che raccoglie, con approccio equidistante, la tesi di laurea in storia contemporanea conseguita presso l’Università di Trieste dal tenente Colonnello Ciro Maddaluno, ufficiale alle dipendenze del 2° Comando F.O.D., un primo messaggio: leggete le moti-vazioni delle Medaglie d’Oro al valor militare concesse alle Bandiere del 17° e del 317° Reggimento di Fanteria e allo Stendardo del 33° Reggimento d’Artiglieria della Divisione Acqui. Sono parole che fanno riflettere e inducono ad essere orgogliosi di quanti - ufficiali, sottufficiali, soldati, carabinieri,-finanzieri e marinai - dinanzi alla prospettiva di una resa senza condizioni, obbedirono agli ordini ed affrontarono una battaglia contro i tedeschi che era impossibile vincere perché dei moschetti ’91 nulla avrebbero potuto contro la furia devastante dei bombardieri Stukas. Così come a Kos per ufficiali, sot-tufficiali e soldati della Divisione Regina, il Generale Gandin, gli ufficiali che fino al massacro della Ca-setta Rossa ne eseguirono gli ordini, sottraendosi ad intemperanze non lontane dall’insubordinazione, i militari della Divisione Acqui difesero fino all’ultimo la dignità della propria divisa e di un’Italia allo sbando con l’annuncio dell’armistizio di Cassibile, che il governo Badoglio accompagnò con comunicati privi di chiarezza se non del tutto ambigui e comunque astenendosi dalla formale dichiarazione di guerra alla Germania, che intervenne solo a metà del successivo ottobre del ’43.

Si comprese solo allora che la speranza della neutralità, unita all’assenza di piani di difesa e di rimpatrio dei nostri soldati, avrebbe lasciato alla sorte più nefasta truppe che pur si difesero, lad-dove possibile, come in diversi scenari della penisola balcanica.

di campane esistente al modo: Marinelli di Agnone. Tra poco esse saranno da me consegnate, per la successiva destinazione nelle due isole greche, al Generale di Corpo d’Armata Francesco Tarricone, Comandante il 2° F.O.D. alle dipendenze del quale, tra l’altro, sono poste oggi la Divisione Acqui e il 9° Reggimento Fanteria <Bari> inquadrato nella Brigata corazzata <Pinerolo>.

Grazie di essere con noi, Signor Generale, e di aver reso possibile questo momento di raccoglimento semplice ma non meno solenne, così come dell’ulteriore apporto dei bersaglieri della Brigata <Ga-ribaldi> alle sue dipendenze che, impiegata spesso fuori area, è l’esempio del profilo altamente professionale ed umanitario dei nostri soldati impegnati a mantenere la pace dove la pace non c’è e che nel sangue di Cefalonia e di Kos, come tra le sabbie di El Alamein o di Tobruk e le rive del Don, a Porta San Paolo come sulle balze di Montelungo, ha l’originario seme dell’onore e dell’

amore per questa Italia e la sua Democrazia, rinnovati al prezzo della vita, pochi giorni fa, dai sei paracadutisti della Folgore caduti in un agguato terroristico a Kabul, Afganistan.

Ricordiamo questi sei paracadutisti …. con il calore di un applauso che esprima anche la nostra vi-cinanza alle loro famiglie: Non dimenticheremo!

Ai giovani che sono con noi, a coloro i quali giungerà l’intensità di questo momento, vorrei dire, con le parole di Ferruccio Parri, che siete voi a dover tirare i sassi nei vetri, così noi grandi potremo renderci conto, che è venuto il momento di cambiarli.

Fatelo davvero: la nostra Democrazia sarà sempre più forte e impediremo che dalla Pace e dalla Libertà si possa tornare a vivere il buio della ragione.

fatti d’arme: Se ne fossero state autrici le <SS> non ci sarebbero stati problemi; ma che essa si sia compiuta ad opera dalle truppe alpine della Wermacht poteva risultare sconveniente per la <real-politik> dei nostri uomini di governo sul finire degli anni cinquanta.

Per me non c’è <realpolitik> che tenga dinanzi a fatti e vicende come questa, perché voltare pa-gina e dare vigore allo Stato che si desidera ricostruire dalle fondamenta significa fare i conti con il passato senza riguardi e ritegno. Per me quella decisione, pur sforzandomi di comprendere la delicatezza del contesto storico e politico in cui maturò, è come se sui soldati della Acqui si fosse sparato un’altra volta.

Per fortuna, Cefalonia è un ricordo, anche se a più facce, testimoniato da cerimonie, convegni, processi risoltisi nel nulla, libri, fiction, intitolazioni di strade. Kos no! Nessuno conosce le vicende di ufficiali, sottufficiali e soldati della Divisione Regina in quella lontana isola greca presidiati da due battaglioni del 10 reggimento dalle mostrine bianche come quelle degli ufficiali, sottufficiali e i fanti del Nono Reggimento <Bari> oggi tra noi e custodi delle tradizioni di quella disciolta Divi-sione. Non vollero arrendersi e dinanzi allo sbarco di una intera Divisione tedesca, nonostante la presenza di un battaglione di fanteria inglese giunto 15 giorni prima, il 3 ottobre del 43 gli italiani ingaggiarono una battaglia impari risoltasi con la resa del giorno dopo. 900 dei 1500 soldati britannici furono catturati e poi trasferiti in Germania per essere trattati secondo la convenzione di Ginevra; 3.000 dei 4.000 prigionieri italiani furono trasferiti e rinchiusi nel castello di Kos, dove per 20 mesi subirono malversazioni e uccisioni indiscriminate.

Dei 148 ufficiali, 7 passarono con i tedeschi, 28 riuscirono a fuggire in Turchia, 10 erano ricove-rati in ospedale e furono trasferiti in Germania, 103 i fucilati nella saline di Linopoti. Quei 103 si rifiutarono di collaborare con i tedeschi, vennero imprigionati e poi uccisi. E non furono 104 per caso, perché il Tenente Guerrino Del Vecchio, nativo di Castelforte, quell’otto settembre era in licenza per sostenere un esame universitario a Roma.

Dopo la guerra, da quelle fosse nelle saline di Kos il rimorso altrui fece sì che 66 salme fossero recuperate, traslate prima nel cimitero cattolico dove il comune greco realizzò una lapide comme-morativa e infine al Sacrario dei caduti d’oltremare di Bari, dove Guerrino Del Vecchio è andato spesso, fino al 2005 anno della sua scomparsa, per far visita ai suoi compagni.

All’appello, mancano ancora 37 ufficiali, ma nessuno ha mai scavato in quelle otto fosse di Lino-poti di cui si conosce l’esistenza e si hanno le mappe. Da Spigno parta l’appello perché finalmente mani pietose recuperino i resti dei 37 ufficiali che mancano e testimoni l’Italia la propria gratitu-dine a questi giovani che, come a Cefalonia, difesero il proprio onore di soldati e il simbolo di tutti noi italiani: il Tricolore del risorgimento.

Iniziamo noi, con le Campane del Ricordo per Cefalonia e Kos realizzate dalla più antica fonderia

QUELLE DODICI GAVETTE

Nel documento Sandro Pertini (pagine 111-117)