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DUE SIMBOLI DI MARINAI CORAGGIOSI

Nel documento Sandro Pertini (pagine 91-96)

Alfonso di Nitto ed Osvaldo Uttaro non sono i soli della marineria di Gaeta ad essere stati insigniti di Medaglia d’Argento al Valor Militar. Sono, però, gli unici tra questi decorati che non fecero più ritorno dalle loro missioni. E, come loro, più di cento sono gli ufficiali, i sottufficiali ed i marinai di questa città, imbarcati su corazzate, cacciatorpediniere, incrociatori, sommergibili, scomparsi nell’affondamento delle loro unità. Portano cognomi che ti dicono subito la provenienza come Buttaro, Cervone, Ciaramaglia, Dell’Anno, Fantasia, Gallinaro, Gallo, Insalaco, Ma-gliozzi, Matarazzo, Matarese, Salemme, Scalesse, Simeone, Spinosa, Valente, Vaudo, Viola e tanti altri ancora. Erano tutti iscritti nelle liste di leva della Capitaneria di Porto di Gaeta che quest’anno compie il Settantesimo anniversario della sua istituzione. A tutti loro: Grazie ragazzi, siamo fieri di voi!

Non abbiamo dimenticato, né mai lo faremo! Mai!

E mai dimenticheremo i civili di questa città morti sotto i bombardamenti, nelle rappresaglie dei tedeschi o sui campi minati o, ancora, nei campi d’internamento in Germania all’indomani dell’8 settembre 1943 e della <beffa> di cui i nostri marinai furono protagonisti nel sottrarre ai nazisti le corvette “Gru”, “Gabbiamo” e “Pellicano”, il sommergibile “Axum” e altro naviglio minore, senza poter fare altrettanto con la nave-officina “Quarnaro”, troppo era il tempo necessario per-ché le sue macchine a vapore raggiungessero la pressione giusta per salpare. Analogo, deferente e commosso ricordo riserviamo a quanti ebbero la fortuna di sopravvivere nutrendosi dei frutti del carrubo di Ottaiano o di ciò che era possibile trovare nei terreni dei dintorni, ma che patirono angherie, disagi e sacrifici indicibili senza mai perdere la dignità personale e di popolo.

Aveva da poco compiuto ventuno anni il marò Osvaldo Uttaro quando perse la vita nelle acque al largo delle coste libiche di Bardìa. Di lui si sa che, come tanti, era di origini umili e che faceva il pescatore prima di andare a lavorare nella vetreria della città. Poi, la chiamata in Marina pochi mesi dopo l’ingresso dell’Italia in guerra. Nel giugno del 1941, ecco l’imbarco sul sommergibile

“Ammiraglio Caracciolo”, unità costruita l’anno prima nei cantieri di Monfalcone. Da Taranto, il

“Caracciolo” salpò per la sua prima missione in zona d’operazioni il 5 dicembre dello stesso anno.

La destinazione era Bardìa con 126 tonnellate di materiale vario. Vi arrivò cinque giorni più tardi, per ripartire la stessa sera per Suda, nell’isola di Creta. Durante la notte del 10 dicembre la tragedia: ecco l’avvistamento di un convoglio inglese, il successivo attacco in emersione del nostro sommergibile, il disimpegno, la fuga in immersione, ma il “Caracciolo è intercettato dal caccia-torpediniere “Farndale” che, dopo averlo colpito con le bombe di profondità e averne danneggiato anche le prese d’aria, lo costringe ad emergere. Il Comandante, capitano di corvetta Alfredo Mu-sotto si rende conto che la situazione è senza speranza ed ordina l’autoaffondamento dell’unità ed il suo abbandono da parte dell’equipaggio.

S

ignor Vice Presidente della Camera,(On. Rocco Buttiglione)

Porgo a Lei il saluto della Provincia e mio personale insieme al benvenuto dei Sindaci che condividono con me il governo del territorio e le attese di crescita culturale, civile ed economica di una comunità che, all’indomani della fine della guerra, seppe ricominciare, ricostruendo paesi, città, economie che uomini dalla ragione smarrita coinvolsero in una tragedia epocale della quale mai dovrà sfumare il ricordo, se desideriamo assicurare alle esistenze del presente e a quelle che verranno, prospettive di vita immuni da avventure analoghe e ugualmente devastanti.

Medesime espressioni di benvenuto porgo alle Autorità religiose, civili e militari, a ciascuno dei cittadini per la testimonianza di attenzione ancora una volta sottolineata dalla loro presenza e dalla condivisione del <Percorso della Memoria> intrapreso dalla Provincia all’indomani del conferimento della Medaglia d’Oro al Merito Civile al nostro Gonfalone. È un doveroso tributo ai sacrifici, alle privazioni, ai lutti patiti dalla nostra gente negli anni di guerra, ma desideriamo anche trasmettere ai giovani di oggi principi, valori, esempi da tradurre nella vita di ogni giorno, motivandone un impegno convinto e costante che aiuterà a far crescere la Pace, la Democrazia, la Libertà, l’Uguaglianza in un mondo in cui ancora troppi uomini, troppe donne, troppi bambini non conoscono cosa esse siano e quanto siano importanti per loro, per noi e l’umanità intera.

Lungo questo cammino mi sono spesso chiesto se la scelta di colmare il vuoto della nostra storia contemporanea - sottraendo all’oblìo o semplicemente facendo conoscere ai nostri giovani la storia di altri giovani che, quasi settanta anni fa, raccolsero in una piccola valigia di cartone poche cose e la speranza di tornare, per andare a servire in divisa, fino in fondo, l’Italia e il Tricolore - potesse risultare retorico o ridondante. O, invece, tutto questo fosse utile per capire il significato di parole come Unità, Altruismo, Dovere, Lealtà, Senso dello Stato e rispetto delle sue Istituzioni e delle loro regole e quale importanza devono avere in una società moderna che quei valori pare avere smarrito e che deve recuperare in politica, nella scuola, nel lavoro, in ciascuno dei suoi settori, se essa desidera realmente rinnovarsi e migliorarsi nel segno dell’equità, della solidarietà e delle pari opportunità dei suoi cittadini, senza privilegi per nessuno.

Credo che guardare ogni tanto indietro sia di grande utilità per non smarrire di nuovo la ra-gione e con essa la via della democrazia e della civiltà. Gli esempi del Guardiamarina Osservatore Alfonso Di Nitto e del Marò Osvaldo Uttaro che oggi ricordiamo nel tributo a Gaeta e alla Marina Militare Italiana il cui battesimo del fuoco avvenne quasi un secolo e mezzo fa proprio in queste acque, sono le luci che illuminano la strada dell’orgoglio che abbiamo dei marinai di questa città che ebbero la fortuna di tornare o che persero la vita nei combattimenti in mare e della speranza che i coetanei del presente e del futuro mai più debbano conoscere cosa sia una guerra.

un convoglio, ingaggiò lo scontro a fuoco con una squadra navale inglese, poi incappata in un campo minato con conseguenze a dir poco tragiche: l’affondamento di due unità, il danneggiamen-to grave di altre due e circa 900 morti.

Malgrado la battaglia fosse terminata, quel giorno si poneva il problema di determinare la posizione del naviglio britannico per un successivo attacco degli aerei italiani: Così, la mattina alle ore 8.00, quattro “506B” della 186^ Squadriglia si alzarono in volo alla ricerca delle navi dell’Ammiraglio Cunnigham, ma solo quello del Guardiamarina Alfonso Di Nitto non ri-entrò più alla base. Intercettato e abbattuto dalla caccia inglese? Colpito dalla contraerea degli incrociatori britannici? Un’avaria letale? Nessuno potrà più dircelo, nessuno potrà dirci come sia morto il Guardiamarina Osservatore Alfonso Di Nitto e il resto dell’equipaggio: il tenente pilota Giuseppe Aiuto, il secondo pilota sergente Fabio Sebastianelli, gli avieri Vito Musumeci, Gerolamo Fonti e Giovanni Dal Bo.

Forse non importa più sapere come sia andata. Perché Alfonso Di Nitto, come Osvaldo Uttaro, tutti gli altri sono presenti in ciascuno di noi. È importante raccontare di loro e della storia di que-sta città - punto d’inizio di quella Linea Guque-stav che nella sua corsa fino a Ortona, bruciò migliaia e migliaia di vite – ai nostri giovani, significherà offrire loro una lezione di grande dignità e rispetto per chi antepose il dovere e l’onore della sua persona e del Paese alla propria vita e ai propri affetti.

Capiranno i nostri giovani, capiranno che con il ferro delle spade e delle lance si potranno costruire aratri per seminare i campi e falci per mieterne il frutto e dare cibo a chi non ne ha perché spade e lance sono usate contro di lui e i suoi simili. Capiranno i nostri giovani e la loro passione civile sarà decisiva per evitare guerre in cui i popoli sotterrino nuovamente se stessi e la Pace, la Democrazia e la Libertà saranno la bandiera di ciascun uomo sulla Terra.

In fondo, non è poi tanto difficile – per usare le parole di Bertolt Brecht, il drammaturgo tedesco perseguitato dal nazismo – essere amici al Mondo.

Sono momenti tragici. I cannoni della nave britannica continuano a sparare ed il bagliore dei colpi illuminano il sommergibile italiano. È in quel momento che Osvaldo Uttaro, già in acqua per l’ordine del comandante Musotto, si accorge che un altro marinaio è impigliato e rischia la morte.

Non ci pensa due volte, poche bracciate ed eccolo a bordo per aiutare il suo compagno che riesce finalmente a salvarsi. Lui, Osvaldo, ormai stremato dallo sforzo non ce la fa e muore insieme al suo comandante che già si era rifiutato di lasciare l’unità per andare a fondo con essa ed altri due ufficiali e 14 tra sottufficiali, sottocapi e marinai. In 53 sarebbero poi stati recuperati dal cacciatorpediniere inglese e alla testimonianza di buona parte di loro si deve probabilmente il riconoscimento della Medaglia d’Argento al Valor Militare alla memoria ad Osvaldo Uttaro. Sono sicuro che questo giovane marò sarebbe piaciuto a De Amicis!

Alfonso Di Nitto, invece, di anni ne aveva 25 quando, otto giorni dopo Osvaldo Uttaro, non fece più ritorno con il suo idrovolante, dall’ennesima missione nei cieli del Mediterraneo alla ricerca di navi da guerra, convogli di mercantili alleati o naufraghi da segnalare ai Comandi di Supermarina.

Era il 18 dicembre 1941. In Marina, Di Nitto era entrato nel 1938 dopo aver conseguito il di-ploma di capitano di lungo corso presso l’Istituto Nautico di Gaeta. Ammesso al 34° Corso Allievi Ufficiali di complemento presso l’Accademia di Livorno, ne uscì nel 1939 per essere imbarcato sul cacciatorpediniere <Ostro> e, l’anno seguente, sulla torpediniera <Calliope> con la quale partecipò a varie missioni anche in quelle acque al largo delle coste libiche in cui, così come Uttaro, molto probabilmente scomparve con l’Idrovolante Cant 506B <Airone> in dotazione dopo il Corso di Osservazione Aerea frequentato a Taranto e l’assegnazione agli idroscali di Elmas, Olbia, Augusta e la frequente aggregazione a quello di Stagnone, vicino Trapani.

Di lui, con la Medaglia d’Argento al Valor Militare, sono state consegnate alla famiglia pochi effetti personali. Tra questi un’agendina, dove, giorno per giorno, il Guardiamarina Alfonso Di Nitto annotava le sue pericolose missioni nel Mediterraneo, il costante pensiero rivolto alla fami-glia e agli amici più cari, i suoi svaghi, i suoi trasferimenti da una base all’altra.

Emerge da quelle pagine, il ritratto di un giovane equilibrato, dai sani principi e con un forte senso del dovere e dell’onore condiviso con gli altri Osservatori della Marina che, senza essere nep-pure cinquecento, persero quasi il trenta per cento degli effettivi e guadagnarono, al valor militare, otto medaglie d’oro alla memoria, 230 medaglie d’argento, 152 di bronzo e 36 croci di guerra e con esse l’ammirazione degli avversari del Regno Unito che consideravano loro dei valorosi o dei pazzi a volare su idrovolanti così poco manovrieri e fragili nella struttura.

Cosa sia accaduto quel 18 dicembre del 1941 non è noto. Quello precedente, invece, è negli annali come la “Prima Battaglia della Sirte” in cui parte della flotta navale italiana, di scorta ad

IL SACRARIO DEI

Nel documento Sandro Pertini (pagine 91-96)