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I discorsi approfonditi e interessanti di Ettore Gelpi sull’educazione permanente e sull’educazione degli adulti perderebbero, almeno in parte, il loro senso se egli non si fosse occupato con dedizione e passione anche ai giovani, primi soggetti coinvolti nel processo di educazione lungo tutto il corso della vita e veri e propri agenti di cambiamento per la società. Nelle sue molteplici esperienze lavorative in tutto il mondo, Gelpi incontra moltissimi giovani e sostiene che essi hanno un alto livello di motivazione e un grande desiderio di apprendimento ma che queste risorse umane importanti, sovente, non sono prese adeguatamente in considerazione perché ritenute “ancora in formazione”. I giovani oggi si trovano a doversi confrontare con i cambiamenti oggettivi e sempre più veloci all’interno della società e del mondo del lavoro e con lo spauracchio di una crisi spesso utilizzato per impedire lo sviluppo di politiche realmente audaci in campo economico, politico e sociale.

Tutti i giovani desiderano partecipare alla vita culturale, educativa e produttiva ma le loro iniziative, in molti casi, non sono prese in considerazione seriamente oppure si disperdono con facilità. Non si chiede ai giovani di partecipare attivamente alla vita sociale, culturale e produttiva, piuttosto si costruiscono per loro degli spazi in cui possono stare tra di loro senza lasciarli contribuire a risolvere alcune dinamiche che sono alla base anche della loro emarginazione e delle loro difficoltà. Questo fenomeno di esclusione riguarda maggiormente i giovani dei paesi industrializzati a causa del debole incremento demografico e delle differenze poco marcate tra giovani e adulti nel settore delle tecnologie e delle scienze.

188 Gramsci A., L’alternativa pedagogica, La Nuova Italia, Firenze, 1972, p. 184. 189 Gelpi E., Educazione degli adulti. Inclusione ed esclusione, op. cit., p. 33.

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Dei giovani, oltre a una visione retorica, si ha spesso una visione eccessivamente pessimista e drammatica, che li rappresenta come tormentati dalla disperazione e schiavi della droga e dell’alcool. Si ha l’impressione che, davanti alle difficoltà relative alla reale integrazione dei giovani nella vita della società, si preferisca confinarli in alcune “riserve” (formazione, lavoro, ecc.) che impediscano loro di diventare una fonte di inquietudine per tutti190.

Una grande responsabilità è degli adulti, spesso chiusi e incapaci di rimettere in gioco i meccanismi di esclusione di cui la gioventù è vittima. Il mondo adulto propone di riflettere sulle problematiche economiche e tecnologiche che stanno trasformando il mercato del lavoro; i giovani non rifiutano questo dibattito ma lo considerano insufficiente perché occorrono anche concrete possibilità di azione.

I giovani, che sono coloro che effettivamente vivono la “crisi come punto di partenza”191, sono i veri soggetti interessati alla costruzione di un mondo diverso e migliore. Da loro viene appunto la critica verso l’istituzione scolastica e le strutture formative legate alla produzione che incontrano non poche difficoltà a rimettersi in gioco di fronte ai cambiamenti sociali, tecnologici ed economici. I giovani si rendono conto, da un lato, che la scuola propone valori nobili ma, dall’altro, che la società non rispetta questi stessi valori. Le diverse riforme educative propongono ai giovani tempi e luoghi educativi multipli ma è evidente che non si tengono veramente in considerazione i veri obiettivi e le reali motivazioni degli studenti. I giovani chiedono, al contrario, un’educazione che sia significativa e che li conduca verso un lavoro non fittizio, alienante e provvisorio. La risposta dell’istituzione scolastica è, al contrario, un’educazione che tende a separare i giovani in base alla provenienza geografica, all’origine sociale e al livello di formazione.

Consapevoli che la formazione di cui hanno bisogno spesso non è garantita dalle istituzioni esistenti, i giovani sono interessati alle attività di autoformazione individuale e collettiva, all’autoformazione professionale e culturale, all’istruzione non formale. Si tratta di una pedagogia poco valorizzata che permetterebbe però loro di avere accesso a conoscenze e competenze che le istituzioni di rifiutano di dare. I giovani si battono per sviluppare pienamente le proprie risorse individuali e sarebbero interessati ad un’istruzione che permettesse loro questa valorizzazione, apprezzano la possibilità di entrare in produzione, hanno bisogno di cercare, di creare, di inventare, di manifestarsi e sopportano a stento di vedersi spesso respinti da sistemi formativi e produttivi incapaci di coinvolgerli192: i giovani

190 Cfr. Gelpi E., Les jeunes: leurs créations et leurs contraintes, “International Review of Education”, XXXI,

1985, pp. 429-438.

191

Gelpi E., Istruzione e lavoro: creatività e speranze dei giovani, “Formazione professionale”, n. 17, luglio 1985/I, p. 23.

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hanno la volontà di costruire “valorizzando (soprattutto nei paesi che si trovano ad affrontare tutti i tipi di penuria materiale) tutte le risorse umane, spazio, tempo e cultura. L’educazione formale, non formale, l’auto-educazione: la relazione dialettica tra tutte queste forme educative può favorire questo sviluppo formativo delle risorse umane, compreso l’apprendimento indipendente, individuale e collettivo, dei bambini e degli adolescenti che è un aspetto troppo spesso sottovalutato”193.

Gianfranco Staccioli, parlando dell’esperienza di Ettore Gelpi presso i CEMEA, ricorda il suo sostegno al ricambio generazionale all’interno delle associazioni e alla mobilità internazionale dei giovani:

«Il suo discorso pedagogico era basato su diverse cose: io me ne ricordo solo due. La prima cosa era dedicata ai giovani: lui diceva “una organizzazione, qualunque essa sia, quando si costituisce, è formata da uno spirito giovanile, indipendentemente dall’età delle persone, e ogni associazione, nazionale o internazionale che sia, diventa conservatrice e non può fare altro che mantenersi. Quindi l’unica salvezza ad una associazione, che si dichiari essere formativa e formante, è quella di tenere conto che ci deve essere sempre un ricambio giovanile, anche se questo può fare paura. Il ricambio giovanile può avvenire se questi giovani non si chiudono a loro volta all’interno dell’associazione, per diventare i nuovi vecchi dell’associazione stessa. Come fare per avere dei giovani che abbiano un’apertura non limitata all’interno del gruppo di riferimento? Le attività dei CEMEA a livello internazionale sono fatte apposta”. Lui ci diceva di fare in modo che tutti i nostri giovani facessero uno stage nel Québec, in Germania, in Francia o in Russia, cioè dovunque avevamo dei rapporti a livello internazionale, perché questa mobilità giovanile (c’era già la mobilità universitaria ma in maniera abbastanza limitata) era proprio un atteggiamento di confronto con persone che vengono da situazioni ambientali diverse»194.

I giovani, in molti casi, hanno difficoltà a comprendere perché alcuni paesi si dichiarano in situazione di crisi mentre la produzione e il livello di vita aumentano e il patrimonio scientifico e tecnologico è in fase di forte sviluppo; alcuni di loro contestano questa strumentalizzazione della crisi fatta da paesi e gruppi sociali che non ne sono realmente intaccati.

Il futuro dei giovani è poi collegato all’ambiente sociale, familiare ed economico in cui nascono e vivono e le teorie generali riguardo la loro condizione andrebbero evitate o, almeno, contestualizzate: “ogni generalizzazione relativa alla condizione dei giovani nei confronti del lavoro e dell’istruzione dovrebbe essere evitata. La segmentazione del mercato del lavoro all’interno di un paese e la natura delle relazioni economiche internazionali determinano in modo diverso il destino dei giovani per quel che riguarda formazione e lavoro.

193 Gelpi E., L’enfant et l’adolescent entre la famille et l’école, “Les Amis de Sèvres”, n. 4, dicembre 1981, p.

26.

Testo originale: Construire, donc, en valorisant (notamment dans les pays qui se trouvent confrontés à toutes

sortes de pénurie matérielles) toutes les ressources humaines, d’espace, de temps et de culture. Education formelle, éducation non-formelle, autodidaxie: la relation dialectique entre toutes ces formes éducatives pourrait favoriser cette valorisation des ressources humaines, dont l’apprentissage indépendant, individuel et collectif, des enfants et des adolescents est un aspect trop souvent sous-estimé.

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Vivere in un paese provvisto di tutto oppure in un paese con gravi limitazioni di carattere materiale, in un ambiente rurale o in un ambiente urbano, essere uomo o essere donna, avere beneficiato o meno di una formazione iniziale, appartenere ad un gruppo sociale o ad un altro significa per i giovani un avvio a percorsi formativi e occupazionali diversi”195.

Ettore Gelpi propone di ragionare su tre categorie di giovani sulle quali non si riflette abbastanza, in termini educativi: i giovani che provengono dalle classi dirigenti; i giovani né super-qualificati né sotto-qualificati, cioè la maggioranza dei giovani; i giovani detenuti in istituti di pena. Riguardo alla formazione dei giovani che provengono dalle classi dirigenti, sarebbe opportuno smascherare i meccanismi che portano alla creazione, alla selezione e alla formazione della classe dirigente, che probabilmente sono collegati al rigetto e all’insuccesso di altri giovani e di altri gruppi sociali. Lo scarso interesse per i giovani né super-qualificati né sotto-qualificati riflette invece il ritardo a comprendere l’importanza della formazione in relazione alla produzione. Chi si occupa concretamente di progettazione educativa non dovrebbe dimenticare di includere queste categorie di giovani. La formazione dei giovani in istituti di pena e di rieducazione è spesso tenuta nascosta in quanto si teme di far conoscere la situazione della criminalità giovanile e la natura non sempre educativa di queste iniziative formative. Ettore Gelpi invece dimostra grandissimo interesse per i luoghi di detenzione che possono realmente diventare luoghi di formazione; in particolare, riportiamo un suo ricordo contenuto nel testo “Un meccano international”:

«Nel 1979, ho visitato a Colombo una prigione di donne (segno coraggioso da parte di un paese di aprire le porte di una prigione ad un straniero). Con alcuni funzionari ed educatori cingalesi, abbiamo assistito ad un corso impartito a un gruppo di ragazze. Alla fine, c’è un scambio di idee sulle esperienze educative. In fondo alla sala, una ragazza chiese la parola e c’invitò (i compatrioti ed io, straniero) a riflettere sul modo di rendere il tempo educativo più significativo nella prigione. Il suo discorso è di grande apertura, la sua retorica razionale. Una prigioniera educatrice, in questo caso “formatrice di formatori”, ed io non penso che questa funzione sia paradossale. Ci ricorda che il tempo non scelto in prigione potrebbe essere tuttavia prezioso per i suoi colleghi e per lei e che occorrerebbe permettere loro, con una certa creatività, di arricchirsi sul piano culturale. Partendo, la ringraziamo, senza essere capace di risponderle»196.

195

Gelpi E., Istruzione e lavoro: creatività e speranze dei giovani, op. cit., p. 22.

196 Gelpi E., Un meccano international, op. cit., p. 39.

Testo originale: En 1979, j’ai visité à Colombo une prison de femmes (signe courageux de la part d’un pays

d’ouvrir les portes d’une prison à un étranger). Avec des fonctionnaires et des éducateurs cingalais, nous avons assisté à un cours donné à un groupe de jeunes filles. A la fin, il y a un échange d’idées sur les expériences éducatives. Au fond de la salle, une jeune fille demanda la parole et nous invite (compatriotes et moi, étranger)à réfléchir sur la manière de rendre le temps éducatif plus significatif dans la prison. Son discours est de grande envergure, sa rhétorique rationnelle. Une prisonnière éducatrice, à cette occasion "formatrice de formateurs", et je ne pense pas que cette fonction soit paradoxale. Elle nous rappelle que le temps non choisi en prison pourrait être toutefois précieux pour ses collègues et pour elle et qu’il faudrait, avec une certaine créativité, leur permettre de s’enrichir sur le plan culturel. En partant, nous la remercions, sans être capable de lui répondre.

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