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Storia dell’educazione, educazione comparata e ricerca educativa

Ogni grande pensatore e intellettuale ha degli strumenti privilegiati che utilizza per interpretare la realtà, per ponderare i fatti che accadono e per trovare soluzioni adatte ai problemi che si presentano. Gli strumenti privilegiati da Ettore Gelpi sono la storia dell’educazione e l’educazione comparata, due discipline con una grande tradizione ma attualmente spesso marginalizzate. La storia dell’educazione e l’educazione comparata sono strumenti utili per analizzare un problema nel tempo e nello spazio, ponendolo in relazione con le esperienze di altri territori e con le saggezze del passato.

La storia dell’educazione è un argomento a cui Ettore Gelpi si interessa per tutta la sua vita perché utilissima per ricollocare le singole storie educative locali in relazione con altre storie educative internazionali e anche con la storia dell’umanità:

«La storia dell’educazione apre a parecchi popoli la prospettiva di nuove forme di identità educativa. È così anche per i gruppi sociali che non si riconoscono nelle tradizioni educative scolastiche che erano loro straniere. La storia dell’educazione diventa riconquista di un passato culturale, conoscenza di relazioni molteplici con altre civiltà, scoperta della sua propria specificità ed incontro di esperienze comuni, che appartengono alla storia dell’umanità. I risultati della ricerca storica sono anche spesso utili per comprendere funzione e pertinenza di strutture educative contemporanee»229.

L’educazione comparata è intesa come un settore specifico delle scienza dell’educazione che studia in maniera scientifica il confronto fra sistemi e concezioni dell’educazione passati e

227 Ivi, p. 181.

228 Ivi, p. 184.

229 Gelpi E., Problèmes de la recherche éducative, op. cit., p. 166.

Testo originale: L’histoire de l’éducation ouvre à plusieurs peuples la perspective de nouvelles formes d’identité

éducative. Il en est ainsi également pour des groupes sociaux qui ne se reconnaissent pas dans des traditions éducatives scolaires qui leur étaient étrangères. L’histoire de l’éducation devient reconquête d’un passé culturel, connaissance de relations multiples avec d’autres civilisations, découverte de sa propre spécificité et retrouvailles d’expériences communes, qui appartiennent à l’histoire de l’humanité. Les résultats de la recherche historique sont aussi souvent utiles pour comprendre fonction et pertinence de structures éducatives contemporaines.

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presenti di tutto il mondo. Effettuare approfonditi studi di educazione comparata è una strada da seguire per analizzare scientificamente i problemi educativi nelle singole realtà e valutare se la soluzione può essere suggerita da esperienze vissute altrove. “L’educazione comparata si configura a differenti livelli: analisi comparata delle pratiche e delle attività educative all’interno dei loro paesi, ricerca congiunta tra i ricercatori dei diversi paesi sulle realtà educative, confronti all’interno dello stesso paese prendendo in considerazione i diversi tipi di pubblico e le discriminazioni in materia di educazione”230.

Il primo grande studio di educazione comparata di Ettore Gelpi è proprio il suo testo “Storia dell’educazione” (1967) in cui l’autore analizza i problemi educativi con una sguardo mondiale, capace di evidenziare differenze e similitudini fra i diversi paesi e la presenza di processi educativi anche fra le popolazioni che spesso si ritengono, erroneamente, arretrate. Inoltre, una buona parte della popolazione non è in grado di scrivere nella propria lingua ma possiede comunque una cultura orale, ricca e creativa, non necessariamente di seconda categoria: l’educazione comparata non si deve ridurre allo studio del solo aspetto quantitativo dell’educazione formale e della scolarizzazione ma anche delle esperienze educative di ogni società a cultura orale o scritta.

Si può facilmente osservare che gli scritti che trattano dei problemi dell’educazione, dell’uguaglianza, della stratificazione sociale nei paesi meno sviluppati sono pochi in rapporto a quelli relativi ai paesi industrializzati e che questa insufficienza di informazioni non è che un riflesso di una ingiusta divisione internazionale dell’educazione in cui i paesi ricchi sono favoriti, sia per quanto riguarda gli strumenti educativi, sia per quanto riguarda gli strumenti per la ricerca educativa e per la divulgazione dei risultati della ricerca stessa.

Secondo Ettore Gelpi, lo sviluppo dell’educazione comparata, paradossalmente, è il risultato di una crisi globale dei valori, dei metodi e dei contenuti educativi collegata alle trasformazioni delle strutture produttive e ai nuovi rapporti di classe. Questi cambiamenti fanno sì che l’educazione comparata, prima disciplina marginale, indipendente e libera di compiere un lavoro libero da ogni forma di manipolazione, abbia iniziato a subire delle pressioni da parte del potere economico, politico e amministrativo. L’educazione comparata rischia di diventare un’attività accondiscendente, politicamente e economicamente orientata. Al comparativista, pertanto, il compito di trarre vantaggi dall’accresciuta importanza della propria disciplina per negoziare meglio la sua indipendenza nel lavoro senza svenderlo con conseguenze gravi per i gruppi più svantaggiati: legittimazione delle politiche conservatrici e dei loro interpreti, importazione di metodologie e di prodotti educativi che rafforzano la dipendenza, ecc. Fondamentale, dunque, la consapevolezza dell’importanza di questa attività

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che può contribuire a rafforzare il razzismo, il colonialismo, il classismo oppure permettere alle popolazioni, vittime di questi fenomeni, di cominciare a liberarsene. I comparativisti dovrebbero riprendere il contatto con la creatività educativa e culturale sempre presente nelle società (attività creative di detenuti, disoccupati, immigrati, disabili, ecc.) e con le attività educative più sofisticate nel campo degli apparati produttivo e militare, che spesso sfuggono perché gravitano intorno ai ministeri e alle università. Essi dovrebbero anche formarsi in molteplici direzioni: da un lato conoscenze relative ai processi di apprendimento e dall’altro conoscenze nel campo delle scienze sociali e dell’economia.

Occorre considerare che l’educazione, in molti casi, è un prodotto commerciale o uno strumento dell’ideologia e, quindi, l’assenza di analisi critica rischia di fare dell’educazione comparata uno strumento per rafforzare l’educazione come prodotto della pubblicità, del mercato e dell’ideologia. “Succede che l’educazione comparata stimoli molto raramente le funzioni critiche di chi l’utilizza, anche se questo obiettivo appare prioritario. Infatti l’educazione merita di essere analizzata e criticata allo stesso modo con cui si analizza e si critica questa o quella attività scientifica o artistica. Un atteggiamento critico potrebbe in certi casi permettere di valutare meglio le eventuali manipolazioni dell’attività educativa”231.

Inoltre “l’espansione dell’educazione in più direzioni e l’applicazione di un nuovo concetto come quello dell’educazione permanente possono arricchire il lavoro dei comparativisti, a condizione che essi compiano uno sforzo per comprendere il significato dell’autoformazione, dell’educazione degli adulti, dell’istruzione a distanza, dei rapporti tra l’educazione formale e informale, della resistenza all’educazione imposta, ecc. La manipolazione per la strada indiretta dell’educazione comparata non ha solo origine ideologica, può essere anche conseguenza dell’ignoranza dei comparativisti, che non conoscono le nuove tendenze educative. Marginalità, lotte per i nuovi progetti educativi, rapporti con i differenti attori del processo educativo sono spesso occasioni culturali per i comparativisti: una professionalità settoriale significa forse più competenze tecniche, ma spesso anche una regressione culturale”232.

È evidente che la ricerca comparata in campo educativo non può prescindere da una preliminare ricerca relativa alle forze sociali, economiche e politiche di un paese e ai rapporti di forza internazionali. “Raffrontare riforme e filosofie educative senza raffronti sulle poste in gioco all’interno di un paese non conduce molto lontano e certe volte può mascherare realtà come la selezione, la gerarchizzazione dei saperi, ecc. Non è facile mettere insieme le condizioni per una ricerca feconda nel settore dell’educazione comparata; c’è bisogno, da un

231 Gelpi E., Gelpi E., Complessità umana: ricerca e formazione, op. cit., p. 81. 232 Gelpi E., Luci e ombre dell’educazione comparata, op. cit., p. 551.

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lato, di ricercatori indipendenti e, dall’altro, dell’opportunità di sviluppare delle reti indipendenti per permettere un lavoro internazionale senza manipolazione e senza orientamento preliminari alle ricerche nei paesi più svantaggiati sul piano economico”233.

Un lavoro comparativo deve prima di tutto rispettare le differenze perché solo attraverso questo rispetto si può comprendere e apprezzare l’identità educativa dei differenti paesi. La ricerca comparativa è infatti finalizzata a cogliere la specificità delle singole situazioni e a raffrontare coerentemente realtà differenti.

Ettore Gelpi ipotizza anche la possibilità, e la necessità, di impostare ricerche comparate che riguardino specificatamente l’educazione degli adulti. “La fragilità teorica di un’educazione comparata degli adulti ha forse cause molteplici; la prima è semplicemente l’assenza di una teoria dell’educazione degli adulti; la seconda è la difficoltà politica di raffrontare dei sistemi di educazione degli adulti, quando le relazioni tra i paesi non sono buone (ne conseguono il formalismo e il nonsenso delle attività comparate); la terza è la difficoltà metodologica di confrontare pratiche educative legate sempre più all’autoformazione, alla educazione informale e a una molteplicità di situazioni e di ritmi educativi”234.

Il rapporto tra Divisione Internazionale del Lavoro (DIL) e politiche educative non è sempre chiaro nelle ricerche di educazione comparata in quanto, spesso, si mettono in relazione strutture formative analoghe nella forma ma diversissime sul piano funzionale. I problemi educativi vanno collocati nel loro contesto globale grazie anche a discipline come la filosofia, la storia, l’economia, l’antropologia e le scienze politiche.

Si tratta dunque di un problema di ricerca educativa, intesa come strumento per lo sviluppo di tutti gli individui in tutte le società. L’attuazione di programmi di ricerca educativa è una strategia che, per il momento, è adottata raramente nei paesi poveri della periferia. La ricerca sembra un lusso dei paesi più ricchi mentre dovrebbe essere, al contrario, una condizione basilare dello sviluppo. Da questo la necessità di ampliare e, eventualmente, creare delle strutture di ricerca fondamentale e applicata in ogni parte del mondo. “La coerenza tra gli obiettivi dei programmi di ricerca e quelli legati allo sviluppo del paese è indispensabile, se si vuole evitare che le strutture di ricerca, insieme a quelle dell’insegnamento superiore, divengano uno strumento per consolidare le élites e/o al tempo stesso la dipendenza dall’esterno”235.

La ricerca in educazione e nelle scienze sociali ha senso solo se contribuisce a risolvere i problemi che bloccano il pieno utilizzo di tutte le risorse umane e della loro creatività.

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Ivi, p. 552.

234

Ivi, pp. 552-553.

235 Gelpi E., Divisione Internazionale del Lavoro e politiche educative, in Visalberghi A. (a cura di), Quale società?, La Nuova Italia, 1984, p. 188.

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L’internazionalizzazione della strutture di ricerca non risolve il problema che troverà invece soluzione solo se i ricercatori concentreranno il loro lavoro sugli effettivi problemi di fondo delle diverse società236. La ricerca educativa, in molti casi, è un’attività chiusa in se stessa, senza alcuna relazione con il tentativo di risoluzione di problemi come la disoccupazione e la disoccupazione. Un collegamento con discipline come l’economia e la sociologia potrebbe essere molto vantaggioso per la ricerca in educazione che però, spesso, si blocca davanti a questa interdisciplinarietà. Lo scarto tra le dichiarazioni di principio dei ricercatori e la loro attività di ricerca è molto grande, ai buoni propositi iniziali non fanno seguito studi capaci di portare a cambiamenti effettivi:

«Storie di vita, micro-pianificazione, micro-psicologia, qualità dell’istruzione: si interrogano le persone interessate, ma le scienze e la ricerca educative compiono lo sforzo di stabilire delle relazioni tra le aspirazioni, le motivazioni, la creatività e l’ambiente politico ed economico nel quale le politiche e le attività educative si sviluppano? Chi si incarica di studiare la natura dei nuovi equilibri tra formazione professionale e formazione generale, atti a rispondere alle necessità di natura materiale e psicologica dei giovani e degli adulti?»237.

La ricerca educativa condotta dalle università è spesso separata dalla ricerca che si svolge al di fuori delle università, nelle strutture autonome, nei centri di ricerca e nelle industrie, cioè nella vita sociale e produttiva. Essa potrebbe invece comprendere tutto l’apprendimento che si svolge nei luoghi di produzione e nella vita associativa e che conduce a un progresso nell’acquisizione degli strumenti scientifici e critici. Si è già iniziato a riconoscere a livello formale questi saperi ma il problema non è questo; quello che sarebbe utile per le università è considerare questi saperi come parte integrante del suo campo di ricerca e di formazione e permettere a coloro che producono e vivono questo sapere di avere delle occasioni di confronto con le università238.

Ulteriori problemi della ricerca educativa nelle scienze sociali sono relativi alla messa a disposizione dei risultati della ricerca per l’azione educativa quotidiana e alla necessità di ampliarne il campo di analisi. Una grande questione aperta è relativa ai ricercatori e alla loro formazione, sia sul piano professionale che culturale. “Spesso la ricerca educativa istituzionale rivela un mondo culturale abbastanza ripiegato su se stesso, relativamente poco al corrente delle trasformazioni in corso nella vita produttiva, sociale e culturale ed in stato di

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Cfr. Gelpi E., Problèmes de la recherche éducative, op. cit., p. 166.

237 Ivi, p. 168.

Testo originale: Histoires de vie, microplanification, micropsyhologie, qualité de l’éducation: on interroge les

personnes concernées, mais est-ce que les sciences et la recherche éducatives font l’effort d’établir des relations entre aspirations, motivations, créativité et environnement politique et économique dans lequel politiques et activités éducatives se développent? Qui se charge d’étudier la nature de nouveaux équilibres entre formation professionnelle et formation générale, aptes à répondre aux nécessités de nature matérielle et psychologique des jeunes et des adultes?

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Cfr. Gelpi E., Politique d’éducation permanente et d’enseignement supérieur: présent et futur, “L’éducation permanente à l’université et le défi des années 80, La Revue de l’AUPELF”, volume XVIII, n. 1, Giugno 1980, p. 210.

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difesa per quanto riguarda le nuove proposte relative all’allargamento del campo d’analisi. Nel quadro non istituzionale, la ricerca educativa esercita un’attrazione allo stesso tempo su quelli che vedono una dimensione d’affare finanziario nella formazione e su quelli che hanno compreso il nuovo significato culturale e le prospettive aperte da nuovi progetti educativi. Ma la ricerca educativa ha bisogno dei ricercatori che lavorano nelle istituzioni di ricerca e dei ricercatori che vivono in modo permanente la realtà sociale, produttiva e politica”239.

Le relazioni tra ricercatori e richieste di ricerca educativa sono spesso difficili poiché i ricercatori dovrebbero avere la libertà di dire anche le cose spiacevoli per il potere politico, economico, amministrativo ed accademico e questi poteri dovrebbero rispondere con delle decisioni concernenti le politiche educative. Come sostiene lo stesso Ettore Gelpi, “delle ricerche educative inutili, fondate su ipotesi false e compiacenti, riempiono spesso i cassetti e talvolta le riviste”240. La ricerca di cui si ha bisogno è una ricerca libera e realmente capace di influenzare le decisioni politiche.

La ricerca educativa si trova a confrontarsi con realtà nuove e in costante mutamento come l’apertura della formazione verso nuovi soggetti (docenti e studenti), la velocità di circolazione dell’informazione, lo sviluppo delle discipline scientifiche e della tecnologia, i nuovi rapporti tra educazione formale e non formale. Per questo i ricercatori hanno bisogno di una formazione, iniziale e continua, molto varia anche se, a volte, i ricercatori in ambito educativo sembrano avere, più degli altri che si occupano di materie scientifiche, delle difficoltà a lavorare sul campo e in laboratorio. Questo forse perché la ricerca educativa mette di rado in gioco la stabilità delle scuole pedagogiche classiche e, spesso, le dichiarazioni di fede (ideologiche, politiche, religiose, ecc.) precedono le ipotesi scientifiche. La risposta a questa sorta di conformismo pedagogico potrebbe risiedere nella collaborazione reale tra ricercatori di diverse discipline (educative, scientifiche, sociologiche, antropologiche, ecc.), artisti, tecnologi e persone impegnate nelle attività produttive. Se l’approccio ideologico caratterizza troppo spesso la ricerca educativa, la scelta dei temi risulta effimera e i risultati saranno difficili da valutare su un piano storico e comparato. A questo riguardo, “Gelpi, impetuosamente, mette il dito nella piaga quando sostiene che è vero che ci sia un

239 Gelpi E., Problèmes de la recherche éducative, op. cit., p. 168.

Testo originale: Souvent la recherche éducative institutionnelle révèle un monde culturel assez replié sur lui-

même, relativement peu au courant des transformations en cours dans la vie productive, sociale et culturelle et en état de défense pour ce qui est de nouvelles propositions concernant l’élargissement du champ d’analyse. Dans le cadre non institutionnel, la recherche éducative exerce une attraction à la fois sur ceux qui voient une dimension d’affaire financière dans l’éducation et sur ceux qui ont compris la nouvelle signification culturelle et les perspectives ouvertes par de nouveaux projets éducatifs. Mais la recherche éducative a besoin des chercheurs qui travaillent dans les institutions de recherche et des chercheurs qui vivent de manière permanente la réalité sociale, productive et politique.

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Ivi, p. 169.

Testo originale: Des recherches éducatives inutiles, fondées sur des hypothèses fautes et complaisantes,

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adeguamento, da parte di taluni, anche fra i professori e i ricercatori universitari, alle linee imposte dolcemente, ma in modo inflessibile, da chi vuole trasformare l’educazione in un prodotto di mercato, privatizzandola e togliendole tutta la sua funzione critica; tuttavia, egli rivela, che se è vero che non tocca alla ricerca nelle università cambiare il corso della storia, è anche vero che tocca i ricercatori e ai professori analizzare su di un piano critico l’evoluzione dei processi educativi e sociali, osservare tutto nello stesso tempo al fine di darne un giudizio che consenta di operare precise scelte in direzione della difesa dell’uomo e dell’ambiente rispetto alla supremazia del capitale sull’uomo e sullo sfruttamento indiscriminato della Terra. Questa posizione esige una lotta che più che un diritto è un dovere”241.

L’università ha la possibilità di assumere un ruolo di primo piano nella promozione della ricerca sull’educazione permanente. La trasformazione delle struttura produttive, la rapida circolazione delle informazioni tramite i mezzi di comunicazione di massa, l’aumento di offerte di formazione non-universitaria, l’internazionalizzazione dell’educazione sono delle sfide con cui l’università deve confrontarsi. Il pubblico che si iscrive all’università sta cambiando: oltre ai numerosi studenti che escono dalle scuola superiori, ci sono anche molti lavoratori diplomati ma senza laurea o con una formazione universitaria incompleta, molte persone che vogliono semplicemente una laurea per passione e soddisfazione personale. L’università deve dunque accogliere tutte queste tipologie di studenti e rinnovare anche le sue metodologie educative: insegnamento a distanza, autoformazione, educazione basata sulle esperienze sono solamente degli esempi di metodologie usate normalmente nell’educazione degli adulti e nell’educazione permanente e che l’università potrebbe far proprie. Ciò non significa “volgarizzare” l’insegnamento universitario ma difendere anche la sua funzione di ricerca. Sono necessari degli spazi di ricerca, di creatività e di comunicazione. “Così con la creazione di posti per la riflessione, la rottura e il pensiero divergente, l’università come centro di educazione permanente, o meglio ancora, come centro di cultura, diventa un laboratorio permanente di domande e risposte provvisorie a disposizione della popolazione generale e non solo alcuni settori privilegiati”242. L’università, in generale e non solo le facoltà dedicate all’educazione, può contribuire allo sviluppo dell’educazione permanente nelle diverse società contemporanee. Potrebbe contribuire alla ricerca teorica permanente sul significato e sulle finalità dell’educazione, all’elaborazione di politiche di educazione

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Schettini B., Ettore Gelpi e “l’utopia al quotidiano”, ovvero lavorare “per un domani che inizia oggi”, “Culture della sostenibilità”, anno II, n.4, 2008, p. 107.

242 Gelpi E., Les universités comme centres d’éducation permanente, inedito, p. 5.

Testo originale: En créant ainsi des lieux à la fois pour la réflexion, la rupture et la pensée divergent, l’université comme centra d’éducation permanente, ou mieux encore, comme centre de culture, devient un laboratoire permanent des questionnements et des réponses provisoires à disposition de l’ensemble de la population et non pas seulement de certains secteurs privilégiés.

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permanente a livello locale, nazionale e internazionale, all’aggiornamento dei contenuti educativi basandosi sulle dinamiche sociali e non solo tecniche, alla formazione degli insegnanti e dei formatori243.

La trasformazione in corso nelle università, che da centri di formazione superiore per una piccola parte della popolazione stanno diventando centri di formazione per gran parte della popolazione, richiede dei cambiamenti anche per quanto riguarda la formazione iniziale dato che un pubblico sociologicamente differente ha ora accesso agli studi universitari. Strategie positive per affrontare questo mutamento e questo accrescimento della popolazione universitaria sono: valorizzazione delle tecnologie educative, ricerca di connessioni tra ricerca universitaria e realtà esterna, adeguata accoglienza per la popolazione adulta. La condizione